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Università di Pisa

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Ginelfite: un nuovo minerale scoperto a Pisa rende omaggio a due tecnici del Dipartimento di Scienze della Terra.

Il minerale, per il quale è uscito il lavoro di descrizione, è stato battezzato ginelfite, unendo parte dei due cognomi di Carlo Gini e Francesco Guelfi.

Lo hanno chiamato “ginelfite”, unendo i nomi di due tecnici del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa oggi in pensione – Carlo Gini e Francesco Guelfi – che per quasi quarant’anni, hanno gestito con competenza e dedizione il laboratorio di diffrattometria a raggi X, rendendo possibili decenni di ricerca d’eccellenza. Si tratta di un minerale scoperto nel luglio 2022 e classificato grazie al nuovo diffrattometro a raggi X per cristallo singolo Bruker D8 Venture installato presso il CISUP (Centro per l’Integrazione della Strumentazione scientifica dell’Università di Pisa). È proprio con questo strumento che è stato analizzato un campione proveniente da Jas Roux, nelle Alpi dell’Alta Provenza, donato da cercatori francesi.

Il campione del nuovo minerale ginelfite (a sinistra) e la sua complessa struttura cristallina (a destra)
Il campione del nuovo minerale (a sinistra) e la sua complessa struttura cristallina (a destra)

L’esame diffrattometrico rivelò trattarsi di una fase già individuata nel 1974, ma mai caratterizzata a causa della difficoltà di estrarre cristalli adatti allo studio cristallochimico. Con la nuova strumentazione installata per CISUP, è stato possibile risolvere la struttura della specie e, in collaborazione con colleghi cechi e francesi, fu presentata una nuova specie mineralogica, approvata dalla Commission on New Minerals, Nomenclature and Classification dell’International Mineralogical Association il 3 gennaio 2023.

Nel corso degli anni i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa hanno descritto oltre 120 diverse specie mineralogiche, molte delle quali conservate nelle collezioni del Museo di Storia Naturale dell’Ateneo pisano. Questo gran numero di scoperte è stato reso possibile non solo dal lavoro dei ricercatori e dalla collaborazione con i cercatori di minerali, che hanno fatto giungere a Pisa materiale di interesse scientifico da tutta Italia e parte d’Europa, ma anche dall’efficienza del laboratorio Raggi X del Dipartimento, sempre perfettamente operativo grazie all’impegno costante, per quasi 40 anni, di Carlo Gini e Francesco Guelfi, entrambi ormai pensionati (Gini, originario di Pisa, nel 2019; Guelfi, originario di Livorno, nel 2011).

“L’installazione del nuovo diffrattometro CISUP, nel 2022, rappresentava un momento per l’apertura di nuovi orizzonti di ricerca, per proiettare nel futuro la ricerca del nostro Ateneo – spiegano i ricercatori e le ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra – Ma quale miglior momento, di fronte a un nuovo cammino da intraprendere, per fermarsi e guardare la strada sino a lì percorsa? Nacque quindi spontaneamente l’idea di proporre un nome che ricordasse l’attività dei nostri due ex-tecnici, per il loro invisibile ma fondamentale contributo allo sviluppo della ricerca mineralogica a Pisa negli ultimi decenni”.

Il minerale, di formula Ag₂(Ag₀.₅Fe₀.₅)TlPb₂₄.₅(Sb,As)₃₂.₅S₇₅.₅, è stato quindi battezzato ginelfite, unendo parte dei due cognomi di Carlo Gini e Francesco Guelfi.

“A Carlo e Francesco va la nostra gratitudine per l’eredità, umana e scientifica, che ci hanno lasciato – concludono dal Dipartimento – La loro unione lavorativa e il loro contributo alla ricerca mineralogica resteranno per sempre cristallizzati nella complessa struttura della ginelfite”.

Carlo Gini (a sinistra) e Francesco Guelfi (a destra)
Carlo Gini (a sinistra) e Francesco Guelfi (a destra)

Testo e immagini dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Al via il progetto DAEDALUS: l’Università di Pisa guida una rivoluzione nella rigenerazione dei tessuti intestinali con biomateriali intelligenti

Rigenerare il colon senza bisturi: è questa la promessa del progetto DAEDALUS, finanziato dal programma Horizon Europe e coordinato dal Centro di Ricerca “Enrico Piaggio” dell’Università di Pisa. Con un budget complessivo di 7,7 milioni di euro – di cui oltre 1 milione destinato al centro pisano – DAEDALUS mira a cambiare il trattamento delle malattie colorettali (CRDs), che colpiscono più di 2,2 milioni di europei, offrendo un’alternativa concreta e meno invasiva alla chirurgia tradizionale.

“Con DAEDALUS vogliamo dimostrare che è possibile intervenire in modo mirato e minimamente invasivo, combinando tecnologie endoscopiche avanzate con biomateriali intelligenti capaci di rigenerare selettivamente mucosa e sottomucosa del colon”, spiega il professore Giovanni Vozzi, ordinario di bioingegneria, a capo del progetto.

DAEDALUS Giovanni Vozzi
Giovanni Vozzi

Questi innovativi biomateriali, applicati direttamente sulla lesione tramite tecniche di stampa endoscopica, reagiscono a stimoli esterni come luce o campi magnetici e rilasciano fattori di crescita, molecole antibatteriche e antifibrotiche per stimolare la rigenerazione e ridurre complicanze. L’impatto atteso non riguarda solo i pazienti – in particolare anziani e soggetti con colite ulcerosa o FAP – ma coinvolge anche l’intero ecosistema medico-industriale: dagli ospedali ai professionisti sanitari, dalle industrie dei dispositivi medici e dei materiali avanzati fino agli enti regolatori e alla comunità scientifica nei campi dell’ingegneria tissutale e dei biomateriali.

Il progetto, partito ufficialmente il 1° giugno 2025, sarà realizzato da un consorzio multidisciplinare che riunisce università, centri di ricerca, ospedali e aziende industriali provenienti da tutta Europa. Oltre all’Università di Pisa, partecipano partner di primo piano come l’Universitätsklinikum di Würzburg, il Politecnico e l’Università degli Studi di Torino, il CNRS/IBMM in Francia, l’Università di Gent in Belgio, ADBioInk in Turchia, Thiomatrix GmbH in Germania, AIJU in Spagna, e realtà come BEWARRANT, Warrant Hub, 4TISSUE, ENDOSCOPY Srl e il Luxembourg Institute of Science and Technology.

il gruppo di ricerca UniPi del progetto DAEDALUS
Al via il progetto DAEDALUS: l’Università di Pisa guida una rivoluzione nella rigenerazione dei tessuti intestinali con biomateriali intelligenti. Il gruppo di ricerca UniPi del progetto DAEDALUS

Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Uno studio dell’Università di Pisa svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo

La ricerca pubblicata sulla rivista Animal Behaviour mostra come il carattere dei singoli individui influenzi la coesione dei gruppi di colombi durante il volo, anche quando minacciati da RobotFalcon, un predatore robotico usato per la simulazione, la sperimentazione nel laboratorio Arnino a San Piero a Grado (Pisa)

Fare fronte comune di fronte all’ignoto o al pericolo è tutta una questione di personalità, individuale. A rivelare i segreti del volo degli stormi è uno studio condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, appena pubblicato sulla rivista Animal Behaviour. La ricerca che ha analizzato il comportamento collettivo di gruppi di colombi viaggiatori esposti a sfide e mincce, come quella di RobotFalcon, un predatore robotico usato per la sperimentazione. I risultati hanno mostrato che i tratti caratteriali individuali – come la reattività e l’audacia – influenzano in modo decisivo la capacità di un gruppo di rimanere coeso durante il volo.

Uno studio, pubblicato su Animal Behaviour, svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo. Gallery

I ricercatori hanno formato stormi omogenei per “personalità”: alcuni composti da colombi più reattivi, altri da individui meno pronti alla risposta. Dotati di GPS, gli uccelli sono stati seguiti in tre situazioni: il primo volo collettivo lontano dal nido, il ritorno da un sito sconosciuto e l’attacco simulato di un predatore robotico. Nei primi voli, i gruppi più reattivi hanno mantenuto una formazione più compatta, dimostrando un coordinamento superiore. La minaccia del RobotFalcon”, un finto falco pellegrino, ha invece disgregato tutti i gruppi, ma quelli meno reattivi si sono frammentati prima e in modo più marcato.

“Questo studio dimostra che le differenze individuali non si annullano nel gruppo, ma ne modellano le risposte collettive – afferma la dottoressa Giulia Cerritelli dell’Università di Pisa, prima autrice della ricerca – Comprendere questi meccanismi può aiutarci a interpretare meglio i comportamenti sociali degli animali e a sviluppare modelli più realistici di movimento collettivo”.

“Oltre al valore teorico, la ricerca potrebbe avere applicazioni pratiche, ad esempio nella progettazione di strategie per ridurre il rischio incidenti, ad esempio la collisione tra uccelli e aerei, noto come “bird strike, conclude il dottor Dimitri Giunchi dell’Ateneo pisano.

L’esperimento è stato condotto presso la stazione di Arnino dell’Ateneo pisano a San Piero a Grado (Pisa) nell’ambito del progetto PRIN2020 coordinato dal professore Claudio Carere (Università della Tuscia) con il coinvolgimento dell’Università di Pisa e di Milano.

Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Lorenzo Vanni e Anna Gagliardo dell’Unità di Etologia del Dipartimento di Biologia dove da anni si studiano i meccanismi di orientamento  del colombo viaggiatore.

Riferimenti Bibliografici:

Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Robert Musters, Irene Vertua, Lorenzo Vanni, Diego Rubolini, Anna Gagliardo, Claudio Carere, Personality composition affects group cohesion of homing pigeons in response to novelty and predation threat, Animal Behaviour, Volume 223, 2025, 123122, ISSN 0003-3472, DOI: https://doi.org/10.1016/j.anbehav.2025.123122

 

Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Infezioni da RSV nei bambini: costi economici significativi anche fuori dall’ospedale

L’Università di Pisa partner della ricerca: 3400 bambini coinvolti in cinque paesi europei

Uno studio europeo pubblicato sulla rivista Eurosurveillance dimostra che le infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) nei bambini sotto i 5 anni generano un impatto economico rilevante anche quando non richiedono il ricovero. L’Università di Pisa è tra i protagonisti della ricerca.

La ricerca, condotta in cinque Paesi europei (Italia, Belgio, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna), ha evidenziato che le visite ripetute dal medico di base e l’assenteismo dal lavoro dei genitori rappresentano i principali costi sociali delle infezioni da RSV gestite dall’assistenza primaria.

“Si tratta di dati fondamentali per supportare decisioni su nuove strategie di immunizzazione contro l’RSV nei bambini. Finora ci si era concentrati quasi esclusivamente sui costi del ricovero ospedaliero. Questo studio mostra invece che anche le forme gestite a casa e dal pediatra comportano un impatto economico non trascurabile”,

spiega la professoressa Caterina Rizzo, docente di Igiene e medicina preventiva presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, tra le autrici dello studio.

Lo studio ha coinvolto oltre 3.400 bambini con infezioni respiratorie acute, di cui circa un terzo è risultato positivo all’RSV. I dati, raccolti tra il 2020 e il 2023, mostrano differenze significative nei costi tra i Paesi: le spese sanitarie per singolo caso variano da 97 euro nei Paesi Bassi a 300 euro in Spagna, mentre l’assenteismo da lavoro dei genitori comporta costi medi che vanno da 454 euro nel Regno Unito fino a 994 euro in Belgio.

In Italia, la partecipazione dell’Università di Pisa ha incluso la raccolta dei dati attraverso i pediatri di libera scelta in quattro regioni (Puglia, Lazio, Toscana, Liguria e Lombardia), il coordinamento locale dello studio, la supervisione scientifica e l’analisi dei risultati in collaborazione con gli altri partner europei.

“La pubblicazione arriva in un momento cruciale, con l’introduzione recente di nuovi strumenti di immunizzazione contro l’RSV, come anticorpi monoclonali e vaccinazione materna – conclude Rizzo – La disponibilità di dati affidabili sull’impatto economico della patologia a 360 gradi è essenziale per valutarne la sostenibilità e l’impatto sulle famiglie e sui sistemi sanitari”.

Caterina Rizzo
Le infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) nei bambini sotto i 5 anni portano costi economici significativi anche fuori dall’ospedale. In foto, Caterina Rizzo

Riferimenti bibliografici:

Sankatsing Valérie DV, Hak Sarah F, Wildenbeest Joanne G, Venekamp Roderick P, Pistello Mauro, Rizzo Caterina, Alfayate-Miguélez Santiago, Van Brusselen Daan, Carballal-Mariño Marta, Hoang Uy, Kramer Rolf, de Lusignan Simon, Martyn Oliver, Raes Marc, Meijer Adam, on behalf of the RSV ComNet Network, van Summeren Jojanneke. Economic impact of RSV infections in young children attending primary care: a prospective cohort study in five European countries, 2021 to 2023, Euro Surveill., 2025;30(20):pii=2400797, DOI: https://doi.org/10.2807/1560-7917.ES.2025.30.20.2400797

ospedale bambini
Foto di Mylene2401

Testo e foto (ove non indicato diversamente) dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Litigare o fare pace? Le scimmie gelada lo capiscono solo ascoltando

Uno studio coordinato dall’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista PLoS ONE dimostra che queste scimmie hanno una capacità di “ascolto” orientata alla comprensione delle relazioni sociali nel gruppo.

I gelada, primati che vivono sugli altopiani dell’Etiopia, sono capaci di riconoscere e interpretare le interazioni vocali dei propri simili collegando i versi a dinamiche sociali di conflitto o riconciliazione, anche senza vedere la scena, solo dal suono. È questo quanto emerso da una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista PLoS ONE, coordinata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Rennes e l’Università di Addis Abeba.

Durante gli esperimenti, condotti sul campo, i ricercatori hanno fatto ascoltare ai gelada vocalizzazioni aggressive seguite da altre consolatorie (sequenza naturale), e poi l’opposto (sequenza anomala). Le scimmie mostravano maggiore attenzione – misurata dalla durata dello sguardo verso la fonte del suono e dall’interruzione di ciò che stavano facendo – nei confronti dello stimolo “anomalo”, ovvero quando le vocalizzazioni consolatorie precedevano l’urlo dell’aggressione.

Secondo i ricercatori, questo comportamento indica che i gelada non percepiscono i segnali acustici come semplici eventi isolati, ma li interpretano come risultato di interazioni sociali legate alla risoluzione dei conflitti e al conforto. In altre parole, la loro capacità di “ascolto” implica un’elaborazione cognitiva, orientata alla comprensione delle relazioni sociali nel gruppo.

“I nostri risultati suggeriscono che i gelada possiedono una forma di intelligenza sociale che si manifesta anche attraverso l’ascolto degli altri – spiega Elisabetta Palagi, professoressa associata al Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e responsabile del progetto – Sono in grado, attraverso la percezione e la decodifica delle sequenze vocali, di comprendere, interpretare e reagire alle dinamiche sociali in modo appropriato anche senza avere davanti la scena di ciò che sta accadendo. Un’abilità che getta luce sulle basi evolutive delle nostre stesse capacità empatiche”.

Litigare o fare pace? Le scimmie gelada lo capiscono solo ascoltando. Gallery

Lo studio, durato 15 mesi, è stato finanziato dalla Leakey Foundation attraverso il progetto “Science for reconciliation” e da numerosi zoo e fondazioni europee nell’ambito del progetto BRIDGES dell’Università di Pisa. In particolare, per l’Università di Pisa, hanno partecipato allo studio Luca Pedruzzi, dottorando in cotutela con l’Università Rennes, che si occupa dei comportamenti a base empatica e alla complessità comunicativa in diverse specie di primati. Martina Francesconi e Alice Galotti, dottorande presso il Dipartimento di Biologia, che studiano il comportamento sociale in diverse specie animali. Infine, Elisabetta Palagi, professoressa associata al Dipartimento di Biologiada anni impegnata a far luce sul comportamento sociale in varie specie animali, uomo incluso, in particolare la comprensione dell’evoluzione di alcuni comportamenti come il gioco, i meccanismi di risoluzione dei conflitti e le capacità empatiche alla base della vita sociale. Nel 2020, Palagi ha ricevuto il premio dall’Animal Behavior Society per i risultati conseguiti grazie ai suoi studi sul comportamento animale.

Riferimenti bibliografici:

Pedruzzi L, Francesconi M, Galotti A, Bogale BA, Palagi E, Lemasson A, Wild gelada monkeys detect emotional and prosocial cues in vocal exchanges during aggression, PLoS ONE (2025) 20(5): e0323295, DOI: https://doi.org/10.1371/journal.pone.0323295

 

Testo e immagini dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

AlgoNomy: ripensare il rapporto medico-paziente ai tempi dell’IA

Il progetto, coordinato da Nicolò Amore, è stato finanziato con il Seed Funding Scheme di Circle U.

logo AlgoNomy

Si chiama AlgoNomy ed è un progetto che guarda al futuro della medicina attraverso l’obiettivo dell’intelligenza artificiale. Coordinato dall’Università di Pisa e nato dalla collaborazione tra diversi atenei europei riuniti nell’Alleanza Circle U., AlgoNomy mette in rete competenze, idee e strumenti per capire come le tecnologie intelligenti possano trasformare il modo in cui ci prendiamo cura della salute. Il progetto si propone di affrontare una delle sfide più urgenti della sanità del futuro: il cosiddetto paternalismo digitale, una nuova forma di paternalismo prodotto dall’implementazione dell’Intelligenza artificiale, in cui decisioni cliniche cruciali vengono sempre più influenzate dagli algoritmi, riducendo lo spazio di dialogo e co-decisione tra medico e paziente. Coordinato da Nicolò Amore, ricercatore di Diritto penale presso l’Università di Pisa, AlgoNomy riunisce un team interdisciplinare di esperti ed esperte in diritto, medicina e informatica di Università di Vienna, King’s College London, Humboldt-Universität zu Berlin, Université Paris Cité, University of Belgrade, che hanno ricevuto un finanziamento da Circle U. attraverso il Seed Funding Scheme 2024 e di cui è da poco uscita la call 2025.

“Con l’adozione crescente di dispositivi medici basati su IA, la medicina risulta sempre più guidata dai dati – spiega Nicolò Amore – Si tratta certamente di un processo da incoraggiare, vista le opportunità che apre; tuttavia, questa trasformazione comporta anche dei rischi da gestire, e in particolare quello di ridurre il ruolo attivo di pazienti e medici, mettendo in discussione la natura stessa dell’assistenza sanitaria come relazione umana e condivisa. In effetti, almeno per come attualmente concepiti, i sistemi IA che assistono le scelte terapeutiche operano spesso attraverso processi opachi, per altro basandosi esclusivamente su dati clinici quantitativi e offrendo scarse possibilità di dialogo e personalizzazione”.

Questi limiti richiedono un ripensamento profondo della progettazione e dell’integrazione dei sistemi di IA nella pratica clinica. L’approccio interdisciplinare proposto da AlgoNomy punta a restituire ai protagonisti del percorso terapeutico — pazienti e medici — un controllo reale e consapevole sui processi decisionali, preservando così l’agency umana anche in un contesto tecnologicamente avanzato.

Il team di ricerca analizzerà l’impatto dell’IA sull’autonomia dei pazienti e dei professionisti sanitari, con una particolare attenzione alle implicazioni giuridiche e alla distribuzione della responsabilità nei processi decisionali clinici:

“AlgoNomy intende indagare come molte attuali applicazioni di intelligenza artificiale in ambito sanitario tendano a escludere le preferenze individuali dei pazienti e a limitare la capacità dei medici di influenzare e comprendere appieno gli esiti terapeutici – continua Nicolò Amore – L’obiettivo è sviluppare strategie concrete per contrastare tali rischi, promuovendo un utilizzo dell’IA che sia rispettoso dei diritti fondamentali e del principio di autonomia — cardine dell’etica medica contemporanea”.

Nicolò Amore
Nicolò Amore

Il progetto rappresenta un passo significativo verso un modello di sanità digitale che coniughi innovazione, responsabilità e rispetto dell’autonomia individuale.

Algonomy al Festival della Robotica 2025

Domenica 11 maggio, il progetto sarà presentato nell’ambito della Algonomy Conference in programma presso gli Arsenali Repubblicani a partire dalle ore 9.00.

 

Testo dall’ Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

IA e chimica alleate rivoluzionano la progettazione di nuovi farmaci per malattie rare o complesse

L’Università di Pisa partner della ricerca pubblicata sull’European Journal of Medicinal Chemistry

 

Creare nuovi farmaci in modo più veloce e mirato, anche per malattie rare o complesse. Un team di ricerca internazionale, delle Università di Pisa e di Bonn ha sviluppato un innovativo approccio per generare nuove molecole chimiche grazie all’intelligenza artificiale. Al centro dello studio pubblicato sull’European Journal of Medicinal Chemistry ci sono i cosiddetti “chemical language models”, modelli linguistici ispirati a quelli usati nei chatbot come ChatGPT, capaci di leggere e scrivere il linguaggio molecolare.

“L’obiettivo – racconta il professore Tiziano Tuccinardi del Dipartimento di Farmacia dell’Ateneo pisano – è quello di superare i limiti delle tecniche tradizionali nella progettazione di nuovi farmaci, generando in modo automatico molecole chimicamente corrette, strutturalmente originali e potenzialmente bioattive, a partire da frammenti”.

Ricercatori e ricercatrici hanno addestrato tre modelli di IA per “tradurre” frammenti chimici (strutture centrali, gruppi sostituenti o combinazioni di entrambi) in nuove molecole a partire da enormi dataset di molecole bioattive.

“La ricerca rappresenta un salto qualitativo nell’uso dell’IA per la chimica e la farmacologia – continua Tuccinardi – aprendo la strada a una generazione automatica e intelligente di molecole, con impatti potenziali su sanità, industria e ricerca. Non si tratta solo di accelerare i processi, ma di immaginare strutture molecolari che la mente umana difficilmente può concepire”.

“In linea con i principi di scienza aperta – conclude Tuccinardi – il codice sorgente e i dataset utilizzati nello studio sono stati resi pubblicamente disponibili, a beneficio della comunità scientifica. Ma soprattutto, il progetto segna un traguardo importante: da oggi, anche all’Università di Pisa, è possibile generare automaticamente nuove molecole bioattive, un passo concreto verso una progettazione molecolare più rapida, innovativa e accessibile”.

Ha collaborato alla ricerca Lisa Piazza, iscritta al Dottorato in Scienza del Farmaco e delle Sostanze Bioattive dell’Università di Pisa e componente del gruppo di Chimica Computazionale del professore Tuccinardi.

Lisa Piazza e Tiziano Tuccinardi
Intelligenza artificiale (IA) e chimica alleate rivoluzionano la progettazione di nuovi farmaci per malattie rare o complesse. Nella foto, da sinistra: Lisa Piazza e Tiziano Tuccinardi

Riferimenti bibliografici:

Lisa Piazza, Sanjana Srinivasan, Tiziano Tuccinardi, Jürgen Bajorath, Transforming molecular cores, substituents, and combinations into structurally diverse compounds using chemical language models, European Journal of Medicinal Chemistry, Volume 291, 2025, 117615, ISSN 0223-5234, DOI: https://doi.org/10.1016/j.ejmech.2025.11761

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Rettorato Università degli Studi di Napoli Federico II.

I pesci zebra sbadigliano e si contagiano a vicenda: una scoperta che riscrive l’evoluzione del comportamento sociale

La ricerca coordinata dall’Università di Pisa pubblicata su Communications Biology

Per la prima volta, un team di ricerca delle Università di Pisa ha dimostrato che anche i pesci zebra (zebrafish, Danio rerio, piccoli pesci d’acqua dolce noti per le loro capacità sociali e le somiglianze genetiche con l’uomo) sono in grado di “contagiarsi” a vicenda sbadigliando. Un comportamento che finora era stato documentato solo in mammiferi e uccelli, lasciando credere che fosse esclusivo degli animali a sangue caldo con sistemi sociali evolutiLo studio pubblicato su Communications Biology apre così nuovi scenari sull’origine di questa “risonanza motoria” e suggerisce che le radici del contagio dello sbadiglio potrebbero risalire a più di 200 milioni di anni fa.

I ricercatori hanno osservato che, in risposta ai video di altri zebrafish che sbadigliano, i pesci protagonisti dell’esperimento tendevano a fare altrettanto, con una frequenza quasi doppia rispetto ai video di controllo, in cui si mostravano normali comportamenti respiratori. Un effetto del tutto paragonabile a quello osservato nell’essere umano. Non solo: i pesci coinvolti sbadigliavano spesso accompagnando il gesto a una sorta di “stiracchiamento” – la pandiculazione – un comportamento noto in uccelli e mammiferi, utile per ripristinare l’attività neuromuscolare e precedere un cambiamento motorio, come un cambio di direzione nel nuoto.

Ma perché i pesci dovrebbero sbadigliare “in gruppo”? La domanda potrebbe trovare una risposta nella loro natura sociale di questi piccoli pesci. 

La sincronizzazione tra individui è fondamentale per i banchi di pesci – spiega la professoressa Elisabetta Palagi del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – coordinarsi significa aumentare la vigilanza, migliorare la ricerca del cibo e difendersi meglio dai predatori. In quest’ottica, il contagio dello sbadiglio si configura come un raffinato strumento di coesione sociale”.

“L’aspetto forse più sorprendente della scoperta riguarda però l’evoluzione di questo comportamento – aggiunge Massimiliano Andreazzoli del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano – e in questo caso due sono le ipotesi possibili. Il contagio dello sbadiglio è un tratto ancestrale, emeros nei primi vertebrati sociali e mantenuto da alcune linee evolutive fino a oggi. L’altra possibile interpretazione è che si tratti di un meccanismo emerso in modo indipendente in diverse specie, a testimonianza del ruolo cruciale che la coordinazione sociale ha avuto – e ha tuttora – nella sopravvivenza”.

Insieme ad Elisabetta Palagi e Massimiliano Andreazzoli ha lavorato un team di giovani ricercatori e studenti, come Alice Galotti e Matteo Digregorio, dottorandi in Biologia, e Sara Ambrosini, studentessa magistrale. La parte legata all’IA è stata invece sviluppata dal professore Donato Romano, esperto di robotica bioispirata, e Gianluca Manduca, dottorando presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Grazie a un sofisticato modello di deep learning da loro sviluppato all’Istituto di BioRobotica è stato possibile distinguere con precisione i veri sbadigli dai semplici atti respiratori, rendendo oggettiva l’osservazione e replicabili i risultati.

La ricerca è stata finanziata dal National Geographic Meridian Project OCEAN-ROBOCTO e dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa nell’ambito del programma Dipartimenti di Eccellenza.

Riferimenti bibliografici:

Galotti, A., Manduca, G., Digregorio, M. et al. Diving back two hundred million years: yawn contagion in fish, Commun Biol 8, 580 (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s42003-025-08004-z

pesci Femmina di pesce zebra (Brachydanio rerio). Foto di Marrabbio2, in pubblico dominio
I pesci zebra sbadigliano e si contagiano a vicenda: una scoperta che riscrive l’evoluzione del comportamento sociale. Femmina di pesce zebra (Brachydanio rerio). Foto di Marrabbio2, in pubblico dominio

Testo dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Banche dei semi: una nuova metodologia indica quali specie conservare per salvare le piante dall’estinzione (e ridurre i costi)

La ricerca dell’Università di Pisa pubblicata sulla rivista New Phytologist

Circa due specie di piante su cinque nel mondo potrebbero sparire. Per questo motivo, è importante capire quali specie sono più a rischio e trovare i modi efficaci per conservarle.

È questa la sfida raccolta da un gruppo di ricercatori coordinato dal professore Angelino Carta del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Il risultato è stata una nuova metodologia basata sulla rilevanza evolutiva delle specie grazie alla quale sarà possibile integrare le collezioni attualmente conservate nelle banche dei semi. Lo studio pubblicato sulla rivista New Phytologist promette inoltre anche dei risparmi in termini economici. Al progetto hanno partecipato ricercatori della Stazione Biologica Doñana (Spagna), degli Orti Botanici di Ginevra (Svizzera), Meise (Belgio) e Kew (Regno Unito).

L’analisi ha riguardato un imponente set di dati provenienti da 109 banche dei semi comprendente oltre 22.000 specie relative a tutta la flora d’Europa. È così emerso che le banche custodiscono una ricca varietà di piante, ma ancora non coprono completamente tutta la diversità evolutiva possibile. In pratica, alcuni “rami” dell’albero genealogico delle piante europee non sono rappresentati nelle collezioni. Le specie attualmente non conservate, ma il cui campionamento e stoccaggio in banca sarebbe fondamentale, sono sopratutto quelle che rappresentano un unicum evolutivo perché mostrano delle strategie riproduttive singolari o sono confinate ad aree geografiche limitate.

“Si tratta di un metodo che può essere personalizzato per adattarlo a diversi obiettivi di conservazione, fino all’esaurimento del budget disponibile – sottolinea Carta – La nostra ricerca rappresenta quindi un passo fondamentale per future azioni di conservazione, i risultati possono servire come base di discussione per promuovere nuove politiche, incluso la salvaguardia delle specie in via di estinzione, la resilienza dei sistemi agroalimentari e l’identificazione delle specie più adatte al restauro degli habitat in uno scenario di cambiamenti climatici”.

Il cortile del Palazzo della Sapienza dell’Università degli Studi di Pisa. Foto di Antonio D’Agnelli, in pubblico dominio

Testo dall’Ufficio Comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa.

Un biosensore innovativo per la rilevazione rapida dei virus

Università di Pisa e CNR-Nano hanno sviluppato un nuovo biosensore in grado di rilevare con precisione la proteina Spike di SARS-CoV-2 nei fluidi biologici, consentendo una rilevazione virale rapida. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nanoscale, il dispositivo è in corso di brevettazione.

Un team di ricerca congiunto, coordinato dall’Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-Nano) e dall’Università di Pisa (Dipartimento di Farmacia), in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Scuola Normale Superiore, ha sviluppato un biosensore di nuova generazione in grado di rilevare con precisione le proteine dei virus, tra cui la proteina Spike di SARS-CoV-2 nei fluidi biologici.

Questo risultato, descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nanoscale, rappresenta un nuovo approccio alla progettazione di biosensori che ricorda il principio dei mattoncini Lego; utilizza una struttura modulare e flessibile, pensata per essere facilmente adattabile a diversi target molecolari.

Il cuore del sensore è una proteina ingegnerizzata che unisce tre funzioni in una sola sequenza. Una parte della proteina rappresenta il bersaglio da riconoscere, ed è stata costruita basandosi su frammenti della proteina Spike; una parte centrale, ispirata al recettore umano ACE2, è progettata per legarsi alla proteina Spike del virus, se presente. La terza parte, contenente la proteina fluorescente verde (GFP), agisce come una “lampadina” e produce un segnale fluorescente quando il virus è presente. Al contatto con la proteina virale, il biosensore emette quindi un segnale fluorescente facilmente rilevabile, consentendo un’identificazione rapida e precisa.

“Il biosensore è stato realizzato applicando sia le metodologie classiche di produzione di proteine ricombinanti, ma anche l’applicazione di tecnologie di nuova concezione, come per esempio la click-chemistry; grazie a queste conoscenze, derivate da ambiti diversi, abbiamo potuto realizzare un biosensore capace di rilevare quantità minime di proteina virale con una sensibilità fino a livelli sub-nanomolari” spiega Eleonora Da Pozzo dell’Università di Pisa.

“Il vero punto di forza di questo prototipo è la modularità”, spiega Giorgia Brancolini di CNR Nano, “grazie all’integrazione tra ricerca sperimentale, modellizzazione molecolare e simulazioni al computer, è stato possibile selezionare con precisione i componenti e progettare un’architettura modulare, flessibile e facilmente adattabile. Cambiando alcune sequenze, lo stesso sensore potrà essere riprogrammato per riconoscere altri virus o molecole di interesse, aprendo la strada a nuovi strumenti diagnostici rapidi, precisi e personalizzabili”.

A tutela dell’innovatività e delle potenziali applicazioni di questo strumento, è in corso una Domanda di Brevetto per invenzione industriale Nazionale: Sviluppo di un sensore FRET per la rilevazione del coronavirus (Rif. 102022000025416) Data di presentazione: 13/12/2022

La ricerca è stata finanziata grazie a Spark Global con il progetto Proof-of-Concept SPARK PISA 2020-2022, “Fret sensor for the Assessment of Coronavirus Titre (FACT)” (EDP) e dal progetto PRIN2020 “Early Phase Preclinical Development of PACECOR, a Mutation-Independent Anti-SARS-CoV-2 Therapeutic Strategy” (GB).

biosensore virus Nanoscale UniPi
un biosensore di nuova generazione per la rilevazione delle proteine dei virus, tra cui la proteina Spike di SARS-CoV-2

Testo e immagine dall’Ufficio Comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa.