Le ali di ottocento uccelli ovvero il peso silenzioso dell’estinzione oscura
I nostri occhi non vedranno tutto ciò che è stato su questa Terra, né vedranno mai tutto ciò che abbiamo distrutto. Tendiamo a pensare alle estinzioni causate dall’uomo come conseguenza di atti deliberati o perlomeno in cui guardiamo negli occhi ciò che uccidiamo. Lance dopo lance che infilzano prede: contadini che sparano all’ultimo tilacino selvatico, i marinai che catturano l’ultimo uovo di alca impenne. Ma gran parte dello stillicidio accade di nascosto. Introduciamo ratti su un’isola, e questi divorano uova senza che ce ne accorgiamo; coltiviamo campi, e distruggiamo i nidi dove sverna un insetto, o leviamo spazi a una pianta rara; mettiamo una diga, e impediamo a un pesce di riprodursi, e così via.
Quindi le specie scompaiono lontano dagli occhi e dal cuore, prima ancora di riuscire a conoscerle: è quella che si chiama dark extinction, estinzione oscura, usando un’espressione coniata da Manfred Boehm e Quentin Cronk della Università della Columbia Britannica, nel 2021. Molte specie per esempio vengono oggi identificate dalle collezioni naturalistiche dei musei, quando sono in realtà già estinte. Ma a volte non abbiamo neanche un guscio vuoto dimenticato in un cassetto. Su Nature Communications, Rob Cooke del Gothenburg Global Biodiversity Centre e colleghi ora hanno provato a valutare quante specie di uccelli si sono estinte, in totale, dal Pleistocene a oggi, conosciute e non. Mettendo insieme le estinzioni conosciute con una stima di quante specie potevano abitare un certo ambiente, nonché di quale percentuale di quelle perdute possiamo aspettarci di ritrovare – e di non ritrovare – come fossili o subfossili.
Quello che risulta è una strage di cui non avevamo idea. Dalla fine del Pleistocene a oggi sono scomparse 1300-1500 specie di uccelli: il 12% del totale. Significa che poco meno di una specie su otto di uccelli si è estinta nel corso degli ultimi 12.000 anni. Di queste specie perdute, oltre la metà, il 55%, non ha lasciato traccia. È una stima per difetto, avvertono gli autori, che hanno volutamente usato assunzioni di partenza il più possibile ottimistiche. Si tratta di qualcosa come 800 specie che, in gran parte, non conosceremo mai. Per un confronto, ci sono circa 500 specie di uccelli in Italia: immaginate di spazzarle via tutte. Gran parte di queste estinzioni è concentrata nelle isole del Pacifico, con due picchi in epoca storica: intorno all’840 a.C. e al 1300 d.C., corrispondenti alle ondate di colonizzazione umana dell’Oceania. Nel XIV secolo infatti l’umanità ha colonizzato la Nuova Zelanda e il resto delle isole del Pacifico Orientale; un evento storico che ha portato per la prima volta gli esseri umani a contatto con gli ecosistemi di numerose isole, ciascuna delle quali possedeva e possiede specie uniche. Il terzo picco, non sorprendentemente, è in corso nell’attuale epoca.
Ci sono varie lezioni qui. Innanzitutto, gli ecosistemi che conosciamo differiscono dagli attuali per molti aspetti che potrebbero rimanerci per sempre ignoti. Contenevano specie a noi ignote, quindi reti ecologiche a noi ignote, quindi quando parliamo di ripristinarli non sappiamo neanche cosa ripristinare: anche con tutti i procedimenti di de-estinzione, potremo ritornare comunque solo a ecosistemi mutilati, parziali. Qualsiasi tecnologia non cambia che l’estinzione è per sempre. Se questo vale per animali macroscopici come gli uccelli, vale a maggior ragione per componenti più umili ma non meno fondamentali. Ragni. Muschi. Funghi. Insetti. Quanti di questi sono stati perduti senza alcuna traccia?
In secondo luogo, l’Antropocene non è la storia di un’erosione costante. È fatta di molteplici ondate di estinzione localizzate nello spazio e nel tempo, a volte peggiori dell’attuale: secondo Cooke e colleghi, il picco di estinzione del XIV secolo è di gran lunga il più elevato, addirittura superiore all’epoca attuale (forse perché, ormai, adesso di specie da estinguere ne son rimaste poche?), corrispondente a un tasso di estinzione 80 volte superiore a quello pre-Pleistocene.
E questo ricorda anche che l’Antropocene, dal punto di vista della biodiversità, non è iniziato con l’epoca industriale o coloniale, né solo l’attuale civiltà ne è responsabile – anche se questa sta contribuendo ad accelerare oltremisura il processo. Si accompagna da sempre all’espansione della specie umana in generale. Lo sanno i mammut, lo sanno i moa, lo sanno i bradipi giganti e le tigri dai denti a sciabola. Lo sanno anche migliaia di specie che non sapremo mai nominare, di cui non abbiamo nulla, se non la mancanza.
Riferimenti bibliografici:
Boehm M. M. A., Cronk Q. C. B., Dark extinction: the problem of unknown historical extinctions, Biol. Lett. 17 (2021) 172021000720210007, DOI: http://doi.org/10.1098/rsbl.2021.0007
Cooke, R., Sayol, F., Andermann, T. et al. Undiscovered bird extinctions obscure the true magnitude of human-driven extinction waves, Nat Commun 14, 8116 (2023), DOI: https://doi.org/10.1038/s41467-023-43445-2