Tra i risultati presentati all’ultima conferenza ICHEP (40th ICHEP conference), spicca l’annuncio di due esperimenti del CERN, ATLAS e CMS di nuove misure che mostrano il decadimento del bosone di Higgs in due muoni. Il muone è una copia più pesante dell’elettrone, una delle particelle elementari che costituiscono la materia dell’Universo. Gli elettroni sono classificati come particelle di prima generazione mentre i muoni appartengono alla seconda generazione.
Il processo di decadimento del bosone di Higgs in muoni, secondo la teoria del Modello Standard, è molto raro (un bosone di Higgs su 5000 decade in muoni). Questi risultati sono molto importanti dal momento che indicano per la prima volta che il bosone di Higgs interagisce con particelle elementari della seconda generazione.
Abbiamo intervistato Roberto Carlin, ricercatore dell’INFN e professore dell’Università di Padova che attualmente è il portavoce dell’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) e gli abbiamo posto alcune domande su questo annuncio e sul prossimo futuro dell’esperimento CMS.
Un decadimento molto raro del bosone di Higgs al CERN
Recentemente la collaborazione CMS ha annunciato i rilevamenti di un decadimento molto raro del bosone di H –> mumu. Per quale motivo è così importante questa misura?
La materia di cui siamo fatti è formata da elettroni e quark di tipo “up” e “down”, i costituenti dei protoni e dei neutroni. Queste sono le particelle della cosiddetta “prima generazione”. Esistono particelle con massa più grande che compaiono nelle interazioni ad alte energie, e sono instabili, decadendo alla fine nelle particelle più leggere: il muone appunto, una specie di elettrone duecento volte più pesante, che con i quark “strange” e “charm” costituiscono la seconda generazione.
Ne esiste una terza, ancora più pesante, con il tau ed i due quark bottom e top. Sappiamo che è così ma non sappiamo perché. Non sappiamo perché ci siano tre famiglie e perché abbiano masse così diverse. Il quark top, la particella più pesante che conosciamo, ha una massa poco più di 170 volte quella di un atomo di idrogeno e circa 350 mila volte quella di un elettrone.
Però sappiamo che nel Modello Standard, l’attuale teoria che descrive le particelle elementari e le loro interazioni, la massa delle particelle è generata dalla loro interazione con il campo di Higgs. Quindi studiare l’accoppiamento delle particelle con il bosone di Higgs significa studiare il meccanismo che fornisce loro la massa, e potrebbe gettare luce sulle ragioni di tanta diversità.
Dalla terza generazione alla seconda
Finora, dopo la scoperta del bosone di Higgs che data al 2012, si sono studiati i suoi accoppiamenti con le particelle pesanti, di terza generazione: tau, top, bottom (oltre che quelli con i bosoni vettori più pesanti, W e Z, particelle che mediano la forza elettro-debole). E il motivo è chiaro, più pesante la particella, più grande è l’accoppiamento con il bosone di Higgs, e quindi più facile misurarlo. Con questa nuova misura per la prima volta abbiamo avuto indicazioni sull’accoppiamento con i muoni, particelle della seconda generazione, più leggere, ottenendo risultati in accordo, entro le incertezze sperimentali, con le previsioni del Modello Standard.
Una misura molto difficile, solo un bosone di Higgs su 5000 decade in una coppia di muoni, mentre più della metà delle volte decade in una coppia di quark bottom. Il risultato è molto importante e niente affatto scontato: a priori il meccanismo che fornisce massa alle particelle di diversa generazione potrebbe essere più complesso coinvolgendo, per esempio, diversi bosoni di Higgs.
Evidenza o Scoperta?
Nell’annuncio si sottolinea che la significatività è di “soli” 3 sigma. Ci potrebbe spiegare per quale motivo 3 sigma non sono sufficienti e quando si pensa di raggiungere la soglia dei 5 sigma?
Intanto direi “già” 3 sigma, non “soli”. Perché una misura di questa significatività non era attesa così presto, ci si aspettava di arrivarci utilizzando anche i dati del “Run 3”, previsto tra il 2022 ed il 2024. Invece la gran mole dei dati forniti negli anni passati da LHC, la grande efficienza e qualità della rivelazione e ricostruzione di muoni in CMS, e l’impiego di strumenti di deep learning, ovvero le tecniche sviluppate nel campo dell’intelligenza artificiale, hanno permesso questo eccellente risultato. Il problema di questa misura è che non solo il segnale è molto raro, abbiamo detto che solo un bosone di Higgs su 5000 decade in due muoni, ma anche che esistono processi diversi che possono imitare il segnale cercato (eventi di fondo), e questi sono migliaia di volte più frequenti del segnale.
Una significatività di 3 sigma viene chiamata “evidenza” e significa che, in assenza di segnale, fluttuazioni degli eventi di fondo potrebbero generare un contributo simile a quanto osservato (e quindi un falso segnale) una volta su 700. Una probabilità piccola ma non piccolissima. Lo standard che ci siamo dati per una “osservazione”, al di là di ogni ragionevole dubbio, è di 5 sigma, che rappresenta una probabilità di una volta su qualche milione.
Per arrivare ciò serviranno circa il triplo dei dati attualmente disponibili. Speriamo che il Run 3 ci darà tanto, contiamo almeno di raddoppiare i dati, anche se siamo abituati a risultati migliori dell’atteso. In ogni caso una combinazione dei risultati di ATLAS e CMS alla fine Run 3 dovrebbe permetterci di arrivare a questa nuova soglia.
Una conferma del Modello Standard
Ci sono stati casi di misure a 3 sigma che poi, con l’aumentare del campione di indagine, si sono rivelate semplici fluttuazioni statistiche?
Certamente. Abbiamo detto che con 3 sigma si parla di probabilità pari una volta su 700. Poiché in questi esperimenti facciamo molte misure diverse (CMS ha recentemente celebrato i 1000 articoli scientifici), simili fluttuazioni accadono. Nel caso una fluttuazione di 3 sigma punti a un fenomeno nuovo, inaspettato, siamo perciò molto cauti. Qui si tratta di una misura, molto importante, che conferma entro le incertezze sperimentali quanto previsto dal Modello standard, il risultato inaspettato sarebbe stato la mancanza del segnale, non la sua presenza.
Muon Collider
Se questa scoperta venisse confermata, avremmo una conferma sperimentale dell’accoppiamento del bosone H con leptoni della seconda famiglia. Questa potrebbe avere influenza per lo sviluppo di un acceleratore basato sullo scontro di muoni invece che elettroni?
Queste prime misure indicano che l’accoppiamento del bosone di Higgs con i muoni è compatibile con quello atteso. In questo caso, assumendo valido il Modello Standard, la probabilità di produrre direttamente (in modo risonante) bosoni di Higgs in un collisore di muoni sarebbe circa 40 mila volte maggiore di quella, troppo piccola, che si avrebbe in un collisore di elettroni, e questo renderebbe possibile misurare alcune quantità, come la massa del bosone di Higgs, con altissima precisione.
Aggiornamento del rivelatore CMS
L’acceleratore LHC (Large Hadron Collider) dovrebbe ripartire tra qualche mese, dopo un anno di riposo. Che miglioramenti sono stati apportati al rivelatore CMS in questo periodo?
Il numero di miglioramenti è molto grande. Tra questi, l’elettronica del rivelatore di vertice, il più preciso e vicino al punto di interazione, sta ricevendo vari aggiornamenti approfittando della necessità programmata di rimpiazzarne lo strato interno, il più soggetto a danneggiamenti da radiazioni. Anche l’elettronica del calorimetro per adroni è stata completamente sostituita, aumentandone significativamente le prestazioni.
Inoltre, abbiamo cominciato a installare rivelatori che sono previsti nel piano di aggiornamento per il futuro “High-Luminosity LHC”. In particolare due dischi di rivelatori di muoni basati sulla nuova tecnologia GEM (Gas Electron Multiplier). Avremo quindi un rivelatore ancora migliore, adatto a gestire in maniera ottimale l’alta intensità di collisioni tra protoni che LHC si prepara a fornire (anche lo stesso LHC ha significativi aggiornamenti in questo periodo).
L’impatto del COVID-19
L’emergenza COVID-19 ha costretto università ed enti di ricerca a nuove forme di lavoro a distanza. Vi sono state conseguenze, come ritardi nella programmazione della ripartenza di LHC o negli aggiornamenti al rivelatore?
CMS è una grande collaborazione internazionale, con istituti da 55 paesi di tutto il mondo, e siamo quindi già abituati a lavorare in rete. Praticamente tutti i nostri meeting sono da anni in videoconferenza per facilitare l’accesso remoto. Quindi la transizione a una modalità di telelavoro per alcune attività, in particolare l’analisi dei dati, è stata forse più facile che in altri contesti. Anche se con difficoltà innegabili, per esempio per persone che hanno dovuto gestire figli a casa. Naturalmente altre attività di aggiornamento dei rivelatori, previste in questo periodo, hanno subito dei ritardi a causa della chiusura del CERN.
Alla fine del lockdown il management degli esperimenti, degli acceleratori e del CERN si è riunito e abbiamo deciso un nuovo programma, che vede la ripresa di LHC ad inizio 2022 invece che a metà 2021. Siamo tuttavia riusciti a ottimizzare i periodi seguenti cosicché la quantità di dati prevista nel prossimo periodo prima della nuova chiusura nel 2025, prevista per installare il grande aggiornamento di “high lumi LHC”, non ne risentirà e ci consentirà di continuare il nostro vastissimo programma di studi, ottenendo sicuramente nuovi importanti risultati.