Alle ore 7:30 della mattina del 18 maggio 1980, Don Swanson dello USGS dice “the bulge still bulges”. Lo strano rigonfiamento cresciuto sul fianco settentrionale del Monte Sant’Elena (Mount St. Helens in inglese) nelle ultime settimane è ancora lì, ormai da giorni tutto suggerisce una possibile un’eruzione. Inizierà esattamente un’ora dopo.
Per ripercorrere gli episodi dell’evento eruttivo, lo USGS (U. S. Geological Survey) ha riportato la fedele cronaca degli eventi accaduti quaranta anni fa, dettagliandola giorno per giorno sulla sua pagina Facebook. Foto e ricordi affascinanti, registrazioni video esclusive, curiosità e dettagli che nel tempo erano andati persi. Vi proponiamo qui una breve storia geologica del vulcano fino al giorno dell’eruzione, consigliandovi l’ulteriore lettura del racconto su Facebook e del libro In the Path of Destruction: Eyewitness Chronicles of Mount St. Helens di Richard Waitt, scienziato dello USGS.
Lo stratovulcano
Il Monte Sant’Elena è uno stratovulcano attivo che fa parte dell’arco vulcanico della Catena delle Cascate (Cascades, Stato di Washington, USA), segmento nordamericano della Cintura di fuoco del Pacifico (Pacific Ring of Fire). Un arco vulcanico si forma per risalita di magma in zone di subduzione, ossia quando una placca (oceanica in questo caso) scivola sotto una continentale. La discesa di crosta ricca di fluidi nel mantello a temperature e pressioni sempre maggiori crea instabilità ed una conseguente risalita di materiale fuso. I movimenti tettonici della placca Pacifica e di quelle attorno hanno generato diverse zone di subduzione e conseguenti archi vulcanici nella forma di un anello, la Cintura di fuoco.
Il magmatismo dei vulcani formatisi in zone di subduzione, solitamente ha origine a circa 100 km di profondità. Determinate condizioni di temperatura e pressione sono necessarie affinché il magma si formi e possa iniziare la sua risalita verso la superficie. La peculiarità del Monte Sant’Elena è quella di trovarsi a soli 67 km sopra il piano di subduzione. I risultati dello studio iMUSH (Imaging Magma Under St. Helens) suggeriscono che il vulcano sia posizionato sopra un cuneo di rocce magmatiche (serpentiniti) fredde che si formano quando il mantello reagisce con l’acqua. La sorgente del magmatismo sarebbe invece localizzata ad Est, sotto altri vulcani della stessa catena; il magma poi migrerebbe lateralmente fornendo materiale per le eruzioni del Monte Sant’Elena.
La storia geologica
L’edificio vulcanico di uno stratovulcano si forma per imposizione di prodotti emessi nel corso della sua storia eruttiva. La forma del Monte Sant’Elena prima dell’eruzione del 1980 è andata finalizzandosi durante lo stadio Spirit Lake (Olocene, 3900 anni – presente). Lo stadio è suddiviso in sei periodi eruttivi: Smith Creek, Pine Creek, Castle Creek, Sugar Bowl, Kalama, Goat Rocks e quello Moderno iniziato con l’attività del 1980. Questi periodi furono caratterizzati eruzioni prevalentemente esplosive, come dimostrano i prodotti più antichi. L’evento più significativo avvenne durante il periodo Kalama con la crescita del duomo sommitale che definì la forma finale del vulcano. Ci vollero circa cento anni perché il duomo si formasse e dopo il 1720 l’elevazione massima della montagna raggiunse 1800 m, limite utile per la formazione del ghiacciaio in coma. Il vulcano rimase relativamente calmo fino alla metà del mese di marzo 1980.
I segnali precursori
Il 20 marzo 1980, dopo 123 anni di quiete, un terremoto di magnitudo 4.2 (scala Richter) viene registrato nell’area del vulcano. Il suo ipocentro (il punto di origine all’interno della Terra) è poco profondo e segue altri deboli scosse che si verificano ormai da qualche giorno. Nei giorni successivi gli strumenti registrano differenti sciami sismici di bassa magnitudo e non percepiti dalla popolazione; gli esperti dello USGS ancora non sanno determinare l’origine dei movimenti tellurici (se tettonici o vulcanici) né se o quando ci sarà un’eruzione.
L’attività vulcanica inizia il 27 marzo quando dalle vedute aree gli esperti individuano un neonato cratere nel ghiaccio largo circa 70 metri e si alza una nuvola eruttiva fino a 2 km sopra la sommità. Mappano inoltre due sistemi di fratture con direzione Est-Ovest e documentano oltre 50 scosse sismiche di magnitudo superiore a 3.5 in un giorno solo. Nei giorni successivi sia l’attività sismica che eruttiva aumentano, le colonne eruttive si alzano fino a 3 km sopra la cima della montagna.
Nei primi giorni di aprile vengono registrate scosse sismiche armoniche a bassa frequenza. Contrariamente ai terremoti classici causati da rilascio improvviso di energia dalle rocce, le scosse armoniche sono associate ad attività vulcanica; sono generalmente causate da movimenti di magma nel sottosuolo o dal rilascio di gas dal magma. Possono quindi essere indicative di una eruzione imminente, che però sembra farsi attendere.
Il 3 aprile gli esperti notano un cratere largo 450 m e profondo 90 m sul fianco settentrionale, delle fratture visibili nella neve ed una strana zona di terreno esposto, probabilmente prime avvisaglie del rigonfiamento (bulge). Gli esperti raccolgono campioni dei prodotti eruttati e misurano basse concentrazioni di anidride solforosa (SO2), che invece può essere indicatrice di repentina risalita di magma se presente in alte concentrazioni. L’acqua ed il ghiaccio attorno al cratere hanno formato dei laghi fangosi sul fondo; quando nel cratere avviene una nuova immissione di fluidi dall’esterno, essi si riscaldano e vengono gettati in aria come vapore e cenere.
Il “bulge”
Nella prima metà di aprile l’attività eruttiva sembra assestarsi: esplosioni moderate che generano piccole colonne di cenere, tremori armonici, fratture sul fianco settentrionale ed crescita del bulge. Dalla seconda metà del mese l’attenzione degli esperti si concentra proprio sul rigonfiamento sul fianco verticale: alla fine del mese le sue dimensioni raggiungono il chilometro e mezzo di lunghezza, due e mezzo di larghezza e circa 100 m di altezza. La sua origine è una intrusione magmatica nel vulcano (anche chiamata criptoduomo) avvenuta alla fine di marzo. La velocità di crescita a fine aprile raggiunge il metro e mezzo al giorno. Il pericolo derivante dall’esistenza del bulge e dalla sua crescita così repentina è quello di un distaccamento di materiale (neve, ghiaccio e roccia) dal versante e la rapida discesa a valle.
Nonostante gli scienziati concordino sul pericolo derivante dal versante settentrionale, nessuno sa con certezza quando ciò accadrà: i geologi non conoscono la resistenza delle rocce sottostanti né la profondità della deformazione. Il 12 maggio un terremoto di magnitudo 5.0 provoca una valanga di ghiaccio e roccia larga 250 m sul versante settentrionale, confermando la fondatezza del pericolo.
18 maggio 1980
Poco dopo le 8:30 del mattino una frattura lunga un chilometro e mezzo con direzione Est-Ovest si apre a Nord del cratere principale. La scossa sismica che ne segue provoca il distacco di una sezione del versante verso valle e la discesa per 14 chilometri di 2.5 chilometri cubi di materiale, pari al volume di un milione di piscine olimpioniche.
La parte di versante distaccatasi era quella che manteneva il sistema magmatico sottostante pressurizzato; con la rimozione del criptoduomo, l’acqua bollente presente nel sistema si trasforma in vapore dando inizio ad esplosioni idrotermali laterali dalla frattura lasciata esposta dal bulge. L’esplosione crea una colonna eruttiva alta 24 chilometri in meno di 15 minuti ed un flusso piroclastico che viaggia a 130 km/h per 8 km verso Nord. Il flusso abbatte alberi nel raggio di 10 km.
Inoltre, il flusso piroclastico scioglie parte dei ghiacci sul versante dando origine a svariati lahars, fiumi di fango che si muovono velocemente verso valle. Il più distruttivo viaggia fino ad 80 km dal vulcano. I lahars distruggono 27 ponti ed quasi 200 abitazioni.
Le vittime dell’esplosione del 18 maggio 1980 sono 57. Gran parte della popolazione e dei turisti era stata evacuata precedentemente durante la fase. Per via della sua potenza esplosiva, l’eruzione è stata classificata come pliniana nella scala dei tipi di eruzioni.
L’evento eruttivo continua fino ad ottobre dell’anno successivo, caratterizzato da piccoli episodi esplosivi che producono colonne di cenere alte fino a 15 km e flussi piroclastici sul versante settentrionale ed i cui prodotti raggiungono aree metropolitane degli stati di Washington ed Oregon che non erano state interessate dall’eruzione del 18 maggio.