News
Ad
Ad
Ad
Tag

Brasile

Browsing

Prebunking: il debunking preventivo sulle elezioni può contribuire a ricostruire la fiducia nel processo elettorale 

Comunque la si pensi, viviamo tempi interessanti ma certo non facili: i conflitti sembrano aumentare sanguinosi non solo tra Stati, ma anche all’interno degli stessi. Comunque la si veda, si diceva, perché poi sulle macerie della fiducia, dei principi condivisi e della coesistenza sociale qualcuno in ogni caso dovrà governare.

A rischio è pure l’integrità del processo elettorale, uno degli elementi alla base dell’alternanza, dei principi democratici e della convivenza nella società civile. È successo con le elezioni negli Stati Uniti del 2020 e quelle del 2022 in Brasile: in entrambi i casi, a seguito della sconfitta, è stato messo in discussione il processo elettorale stesso, con la diffusione di accuse di frode elettorale contro i vincitori. Un problema che appare più attuale che mai, con la prospettiva delle elezioni prossime venture.

Un nuovo articolo, pubblicato sulla rivista Science Advances, parte proprio dai due suddetti eventi paralleli, mostrando meccanismi efficaci nel combattere la disinformazione e nel ripristinare la fiducia nel processo elettorale stesso.

In tal senso, la ricerca ha preso in esame due approcci diversi, entrambi accomunati dal fornire comunque informazioni corrette:

  • prebunking, ovvero la condivisione di informazioni fattuali prima del verificarsi dei fenomeni di disinformazione;
  • le correzioni da fonti credibili, sulla base della situazione di riferimento, ovvero quando vengono da chi appartiene al proprio punto di vista e parla contro i propri interessi particolari.

Entrambi gli approcci, pur partendo da meccanismi psicologici differenti, si sono dimostrati efficaci nel contrastare le affermazioni false.

Differentemente dal debunking, che avviene dopo la campagna di disinformazione e che ha dimostrato avere un’efficacia limitata, il prebunking agisce prima e informa brevemente delle cospirazioni circolanti. Una sorta di vaccino contro le stesse. Una particolare forma di prebunking, denominata inoculazione (incidentalmente, un termine abusato da chi sparge disinformazione, con tutt’altro valore) mette ad esempio in guardia preventivamente, rispetto a determinati problemi o tecniche retoriche.

Nel caso delle correzioni da fonti credibili, la campagna di disinformazione è già avvenuta: in casi del genere, chi magari è della stessa fazione politica e parla contro i propri interessi, può più facilmente convincere a non seguire il leader del proprio gruppo, in difesa dell’integrità del processo elettorale.

Lo studio non è andato ad esaminare questi approcci in relazione ad altri fattori demografici. A parere di chi scrive, sarebbe stato interessante vedere i risultati, ad esempio, rispetto a chi ha alle spalle studi di diritto o altre materie correlate, quando la disinformazione in ambito elettorale tocca temi sui quali c’è una competenza acquisita. D’altra parte – come spiegato da Brendan J. Nyhan alla stampa – in letteratura ci sono studi che ci mostrano come in questi casi ci possano essere sorprese.

Gli autori della ricerca su Science Advances hanno quindi effettuato tre studi per mettere alla prova i risultati di prebunking e correzioni da fonti credibili da un punto di vista quantitativo.
Il primo studio ha riguardato 2.643 persone in prospettiva delle elezioni Midterm del 2022 e ha impiegato i due approcci. Il secondo studio si è similmente svolto in Brasile, coinvolgendo 2.949 persone dopo le elezioni del 2022.
In questi due contesti, nei quali la fiducia nel processo elettorale è stata messa in discussione anche con campagne di disinformazione, entrambi gli approcci hanno mostrato di funzionare, ma in particolare il prebunking, che ha prodotto risultati apparentemente duraturi.

Un terzo studio ha coinvolto 2.030 persone e ha voluto verificare – negli Stati Uniti – come funzionasse un messaggio di avviso che condivideva le cospirazioni. Messi a confronto, il prebunking senza esposizione alle cospirazioni ha dimostrato di funzionare meglio, probabilmente perché l’esposizione alle cospirazioni potrebbe aver introdotto dello scetticismo rispetto agli elementi fattuali mostrati in seguito. Il prebunking con esposizione alle cospirazioni ha però migliorato il discernimento tra affermazioni vere e false. Fondamentale sembra invece essere il contenuto fattuale fornito contro la disinformazione, piuttosto che il messaggio di avviso. Entrambe le tattiche hanno funzionato meglio con chi era maggiormente disinformato.

Una delle autrici della ricerca, Natalia Bueno, ha commentato che entrambi gli approcci si sono rivelati promettenti, essendo pratici, efficienti e scalabili, oltre che poco costosi.

In tutta onestà, per quanto siano passati solo pochissimi anni dagli eventi oggetto della ricerca, sembrano essere passate ere geologiche nell’attuale politica statunitense e si potrebbe far fatica ad essere così ottimisti. Questo anche in considerazione del fatto che il secondo degli strumenti in oggetto, quello delle correzioni da fonti credibili, è stato ampiamente utilizzato negli anni successivi al 2020 e pure durante le ultime presidenziali. Vero è che tra i due strumenti sarebbe stato quello dai risultati meno duraturi.
Oppure si tratta semplicemente di una questione meramente quantitativa, di forze in campo e di peso di questi elementi nelle decisioni.

Prebunking: come il debunking preventivo sulle elezioni può contribuire a ricostruire la fiducia nel processo elettorale. Immagini dall’attacco del 6 Gennaio 2021 a Capitol Hill. Foto Flickr di Tyler Merbler, CC BY 2.0

Riferimenti bibliografici:

John M. Carey, Brian Fogarty, Marília Gehrke, Brendan Nyhan, Jason Reifler, Prebunking and credible source corrections increase election credibility: Evidence from the US and Brazil, Science Advances, DOI: 10.1126/sciadv.adv3758

Un’acquamarina da Chumar Bakhoor (Pakistan) sarà uno dei reperti esposti al Museo della Natura e dell’Uomo (MNU) dell’Università di Padova che aprirà il 23 giugno 2023 al Complesso di Palazzo Cavalli.

MERAVIGLIE IN VISTA / 2

Acquamarina di Chumar Bakhoor MNU

«Nasce a Padova un nuovo luogo di partecipazione collettiva e democratica alla conoscenza, un grande museo scientifico inclusivo, che incentra la sua narrazione su migliaia di reperti originali di straordinario valore – dice Telmo Pievani, Responsabile scientifico del Museo della Natura e dell’Uomo –. Al MNU si farà ricerca, conservazione, didattica, condivisione dei saperi scientifici, sensibilizzazione sui temi ambientali, aprendosi ai pubblici più diversi, soprattutto giovani e giovanissimi. Sarà un teatro appassionante di cittadinanza scientifica».

«La nostra Università sta per compiere un altro grande salto verso il futuro con un progetto museale unico a livello universitario in Europa e probabilmente tra i più importanti progetti museali al mondo nel suo genere – afferma Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei –. Da un Ateneo come il nostro non potevamo aspettarci che questo: un enorme investimento economico e di risorse umane completamente dedicato alla cultura e al territorio. Siamo tutti pronti ad iniziare questa entusiasmante avventura con l’obiettivo di educare ed ispirare le future generazioni».

Il Museo della Natura e dell’Uomo (MNU) dell’Università di Padova, che aprirà venerdì 23 giugno 2023, nasce dalla fusione delle ricchissime collezioni naturalistiche che sono state costruite nei secoli da studiosi ed esploratori dell’Università patavina, a fini di ricerca e didattica. Il nuovo allestimento riunisce in un unico percorso espositivo i preesistenti musei universitari di Mineralogia, Geologia e Paleontologia, Antropologia e Zoologia, integrandoli in una narrazione coerente e appassionante, arricchita da un intelligente apparato grafico, testuale e multimediale, a raccontare una storia planetaria dai suoi esordi, più di quattro miliardi di anni fa, fino ai giorni nostri.

Il MNU si articola in 38 sale per un totale di circa 3.800 mq, cui si aggiungono un ambiente per le esposizioni temporanee di circa 300 metri quadri.

Un’altra delle sezioni del museo sarà quella di Mineralogia dedicata ad Alessandro Guastoni – La Terra, un grande sistema in evoluzione con 5 sale e 613 metri quadri a disposizione per illustrare ed esporre i suoi reperti: tra questi anche un’acquamarina da Chumar Bakhoor.

«L’acquamarina è la varietà gemma del berillo, un silicato di berillio, particolarmente apprezzato sia dai collezionisti di minerali che dai gioiellieri di tutto il mondo per la trasparenza dei suoi cristalli e la caratteristica colorazione variabile dal blu profondo al verde acqua. Il berillo comprende diverse varietà spettacolari di qualità gemma: la goshenite incolore, il berillo rosso, il giallo eliodoro, la morganite rosa, il verde smeraldo, e soprattutto l’acquamarina colore del mare e del cielo. Tra i gioielli più preziosi possiamo ricordare gli orecchini con tre acquemarine donati dal presidente del Brasile ad Elisabetta II per la sua incoronazione ed il ancor più celebre “Asprey Ring”, anello con acquamarina e diamanti appartenuto alla principessa Diana. I perfetti prismi esagonali di questo minerale hanno affascinato gli esseri umani fin dalla preistoria, generando leggende, curiosità, attrazione – sottolinea Gilberto Artioli referente scientifico della sezione di Mineralogia –. Il nome stesso venne coniato dagli antichi romani “aqua marina”, a richiamare lo stretto legame della stessa con il mare. I pescatori romani le donarono un significato mistico come amuleto protettivo e di buon auspicio per i viaggi in mare e legarono indissolubilmente la gemma al Dio Poseidone, considerato il plasmatore della stessa direttamente dalle acque del mare».

«All’interno della sezione di mineralogia “Alessandro Guastoni” sarà possibile ammirare un’importante collezione di acquemarine provenienti dai più importanti giacimenti di tutto il mondo. Tra i numerosi esemplari vi è certamente l’eccezionale campione rinvenuto in una miniera sulla catena Himalayana in Pakistan con cristalli di acquamarina colore azzurro cielo che spiccano dalla matrice di una roccia ricca di mica e feldspato chiamata pegmatite, la quale è la sorgente anche di molti altri minerali di qualità gemma come tormaline e topazi – conclude Simone Molinari, conservatore della sezione di Mineralogia –. Altro esemplare, decisamente interessante per la sua rarità è un esemplare di acquamarina, anch’esso proveniente dal Pakistan, caratterizzato da un aggregato di minuti cristalli biterminati dall’abito fibroso di colore variabile dall’azzurro tenue al blu profondo. Infine, per la sua importanza storica non può non essere menzionato il bellissimo cristallo esagonale dalla colorazione blu profonda, proveniente dai filoni pegmatitici tardo alpini della Val Codera in provincia di Sondrio. Altri esemplari interessanti sono le acquemarine cinesi, quelle brasiliane e quelle provenienti dalla Namibia, spesso associate con tormaline nere».

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova

The Cooling Solution

la mostra fotografica
dal 19 maggio al 31 luglio 2023

presso l’Università Ca’ Foscari Venezia

The Cooling Solution

The Cooling Solution è un progetto fotografico e scientifico che mostra come persone con diversi background culturali e socioeconomici si adattino a condizioni di alta temperatura e umidità, in paesi temperati e tropicali. La mostra fotografica è esposta a Venezia in due sedi dell’Università Ca’ Foscari Venezia (Ca’ Foscari Zattere – Cultural Flow Zone e il Cortile Grande dell’ateneo) dal 19 maggio al 31 luglio 2023.

The Cooling Solution è un progetto di arte e scienza che ha scelto la fotografia d’autore di Gaia Squarci per raccontare come persone provenienti da diversi contesti socioculturali, in varie parti del mondo, si adattino a temperature crescenti ed alti tassi di umidità. A partire dal titolo, il termine “soluzione” vuole mettere in discussione il paradigma dell’adattamento al cambiamento climatico incentrato sull’uso indiscriminato dei condizionatori. Il progetto esamina come l’uso dell’aria condizionata si sia affermato come l’unica strategia onnipresente e intensamente pubblicizzata per far fronte al caldo estremo in diverse parti del mondo, non importa quanto caldo o umido ci sia.  Secondo il rapporto “The Future of Cooling” pubblicato nel 2018 dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, nei prossimi 30 anni  verranno venduti 10 impianti di aria condizionata al secondo, raggiungendo così nel 2050 il numero strabiliante di 5,6 miliardi di impianti installati a livello mondiale.

L’intento di The Cooling Solution è quello di rendere accessibili all’ampio pubblico, attraverso il potere comunicativo della fotografia, una serie di risultati scientifici che sono stati prodotti in 5 anni dal progetto di ricerca ENERGYA. Il progetto, finanziato dal Consiglio Europeo per la Ricerca (ERC) è stato coordinato da Enrica De Cian, professoressa di Economia ambientale a Ca’ Foscari e ricercatrice presso la Fondazione CMCC. La mostra integra i risultati del progetto scientifico con un reportage fotogiornalistico tra Brasile, India, Indonesia e Italia, offrendo così un percorso visivo attraverso esperienze quotidiane di persone alle prese con il disagio termico, esempi di raffreddamento inefficiente e inefficace, iper-raffreddamento, architettura vernacolare e tecnologie all’avanguardia.

Gallery. Fotografie di Gaia Squarci

“The Cooling Solution vuole far riflettere i visitatori sul concetto di comfort termico, mostrando come questo dipenda non solo dalla temperatura, ma anche dal modo in cui persone in diversi regioni e società si siano storicamente adattate a condizioni di caldo ed umidità estremi. Quello che stiamo osservando oggi è un uso eccessivo o non adeguato di metodi energivori per mantenere le condizioni di comfort termico, anche laddove esistono alternative che potrebbero dare un risultato altrettanto soddisfacente. La mostra mette in luce le contraddizioni ambientali e sociali legate all’uso eccessivo dell’aria condizionata, nonché la tensione con gli obiettivi che spesso ne motivano l’utilizzo, come la necessità di proteggere le persone più fragili della società, dai bambini agli anziani, alle persone con disabilità” – spiega Enrica De Cian, professoressa del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice della Fondazione CMCC.

 

Gaia Squarci, autrice delle fotografie esposte a Ca’ Foscari, aggiunge: “Senza dubbio ci troveremo a vivere in un pianeta più caldo, e senza dubbio, in alcuni contesti, l’aria condizionata può e potrà salvare vite. Ma esistono tantissimi altri modi di raffrescarsi, soprattutto quando le condizioni di temperatura e umidità non sono estreme. La mostra intende anche dare visibilità ad architetture, tecnologie, e comportamenti che ci potranno aiutare ad adattarci senza surriscaldare il pianeta”.

SCHEDA INFORMATIVA

The Cooling Solution

Mostra fotografica 19 maggio – 31 luglio 2023

Fotografia di Gaia Squarci, ricerca di ENERGYA, coordinata dalla prof.ssa Enrica De Cian, Università Ca’ Foscari Venezia e Fondazione CMCC, curatela di Kublaiklan e coordinamento arte-scienza di Elementsix.

  • Interni: Ca’ Foscari Zattere – Cultural Flow Zone, Dorsoduro 1392, Venezia

  • Esterni: Cortile Grande dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia

 

ORARI

Cortile Grande

Dal lunedì al venerdì 8.00 – 18.00

Sabato 8.00 – 13.00

Entrata libera, 2 e 3 giugno chiuso per festività nazionale

Tesa 1, Ca’ Foscari Zattere

Dal lunedì al venerdì 10.00 -18.00

sabato 10.00 – 18.00
Domenica 15.00 -18.00

Entrata libera, 2 e 3  giugno chiuso per festività nazionale

 

INAUGURAZIONE

Venerdì 19 maggio 2023, ore 17.00, Cortile Grande Università Ca’ Foscari, Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia

Introduzione di Cristina Baldacci di THE NEW INSTITUTE Centre for Environmental Humanities, seguita da un tour guidato alle Zattere Cultural Flow Zone con la fotografa Gaia Squarci, la coordinatrice scientifica Enrica De Cian, il collettivo curatoriale Kublaiklan, e il coordinatore del progetto di arte-scienza Elementsix.

Per registrarsi all’inaugurazione, compilare il form

 

WORKSHOP SCIENTIFICO

Venerdì 19 maggio 2023, ore 09.00, Aula Baratto, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia

La mattina del 19 maggio si svolgerà nella storica Aula Baratto dell’Università Ca’ Foscari, un workshop scientifico con rinomati esperti internazionali, dove verrà discusso il previsto boom dell’aria condizionata nei prossimi 20 anni, insieme ad alcune delle possibili alternative.

L’agenda del workshop si trova in cartella stampa, per registrarsi al workshop, compilare il form

 

SITO WEB E CATALOGO

Il progetto sarà consultabile online dal 19 maggio 2023 su un sito web dedicato dal quale sarà anche possibile acquistare una copia cartacea del catalogo thecoolingsolution.com

 

A CURA DI

La mostra fotografica, curata da Kublaiklan, non sarebbe stata possibile senza la ricerca economica di Enrica De Cian ed il suo team, la ricerca etnografica di Antonella Mazzone, la ricerca politica di Marinella Davide, e la fotografia di Gaia Squarci, il tutto coordinato da Elementsix.

 

Questa mostra è supportata dal progetto di ricerca ENERGYA guidato da Enrica De Cian e finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea (n. 756194), dalla Fondazione CMCC e dal progetto Marie Curie ACTION (No 841291) guidato da Marinella Davide. È stata organizzata congiuntamente dal Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia, dal centro THE NEW INSTITUTE Centre for Environmental Humanities, e dalla Oxford Martin School dell’Università di Oxford. “The Cooling Solution” rientra nell’ambito della programmazione delle iniziative di Public Engagement 2023 dell’Università Ca’ Foscari Venezia.

Testo e immagini dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Area Comunicazione e Promozione Istituzionale e Culturale Università Ca’ Foscari Venezia

TEORIE DELLA FISICA APPLICATE ALLE NEUROSCIENZE

Predizione dei deficit neurologici nell’ictus attraverso modelli biofisici computerizzati dell’attività del cervello

I meccanismi fondamentali alla base delle dinamiche dell’attività cerebrale sono ancora in gran parte sconosciuti. La loro conoscenza potrebbe aiutare a comprendere la risposta del cervello a condizioni patologiche, come le lesioni cerebrali (ictus). Nonostante gli sforzi della comunità scientifica, i meccanismi alla base del recupero funzionale e comportamentale dei pazienti colpiti da ictus sono ancora poco conosciuti. Lo studio Recovery of neural dynamics criticality in personalized whole brain models of stroke pubblicato su «Nature Communications», frutto di una collaborazione internazionale tra fisici, neurologi e psicologi, a cura di Rodrigo Rocha, Loren Koçillari, Samir Suweis, Michele De Grazia, Michel Thiebaut De Schotten, Marco Zorzi e Maurizio Corbettapropone la teoria della criticità cerebrale per spiegare le relazioni fra alterazioni cerebrali e funzione nei pazienti neurologici.

In fisica è noto da tempo che certi sistemi si trovano tra l’ordine e il caos in uno stato così detto “critico”. In un materiale ferromagnetico, per esempio, i dipoli magnetici si allineano con i loro vicini per formare piccoli campi magnetici locali. La disposizione casuale delle loro direzioni impedisce la formazione di campi più grandi. Quando però il materiale viene raffreddato alla temperatura critica, i campi si allineano in domini di dimensioni sempre più grandi. Una volta raffreddato fino a raggiungere una temperatura “critica”, i dipoli si allineano in tutto il materiale formando un campo unico. Le criticità come la transizione di fase ferromagnetica hanno caratteristiche distintive.

Le criticità sono state usate per descrivere molti fenomeni, dai ferromagneti ai terremoti o alla frequenza cardiaca umana ed è stato mostrato che anche il cervello potrebbe operare in prossimità di un punto critico, in cui tutti o buona parte dei neuroni hanno un comportamento collettivo e coordinato, che fornirebbe al sistema delle funzionalità ottimali, legate per esempio all’efficienza nella trasmissione delle informazioni, o alla velocità di risposta a stimoli esterni.

Se la criticità è effettivamente una proprietà fondamentale dei cervelli sani, allora le disfunzioni neurologiche alterano questa configurazione dinamica ottimale. Alcuni studi hanno riportato un’alterazione della criticità durante le crisi epilettiche, il sonno a onde lente, l’anestesia e la malattia di Alzheimer. Tuttavia, un test cruciale di questa ipotesi sarebbe quella di mostrare che alterazioni locali dell’architettura strutturale e funzionale del cervello causano anche una perdita di “criticità’” del sistema. Inoltre, se le alterazioni miglioreranno nel tempo, per esempio per una attività di fisioterapia, allora dovremmo osservare parallelamente il recupero della criticità. Un’altra previsione è che se la criticità è essenziale per il comportamento, allora la sua alterazione dopo una lesione focale deve essere correlata alla disfunzione comportamentale e al recupero della funzione. Infine, i cambiamenti nella criticità dovrebbero anche essere correlati ai meccanismi di plasticità che sono alla base del recupero.

“L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di affrontare queste importanti domande attraverso un approccio interdisciplinare che combina neuroimmagini, neuroscienze computazionali, fisica statistica e metodi di scienza dei dati“, spiega Rodrigo Rocha (Dipartimento di Fisica dell’Università Federale di Santa Catarina, Florianópolis, Brasile). “Abbiamo esaminato come le lesioni cerebrali modifichino la criticità utilizzando un nuovo approccio personalizzato di modellizzazione dell’intero cervello. La teoria modellizza le dinamiche cerebrali individuali (cioè di un singolo paziente) sulla base di reti di connettività anatomica del cervello reali. Abbiamo studiato longitudinalmente una coorte di partecipanti sani e colpiti da ictus misurando sia la loro connettività anatomica che l’attività funzionale del cervello (attraverso la risonanza magnetica funzionale, nota come fMRI). Per questi individui, infine, avevamo anche a disposizioni i risultati di test comportamentali. Abbiamo trovato – continua Rocha –  che i pazienti colpiti da ictus presentano, a distanza da tre mesi dall’ictus, livelli ridotti di attività neurale, della sua variabilità, e della forza delle connessioni funzionali. Tutti questi fattori contribuiscono a una perdita complessiva di criticità che però migliora nel tempo con il recupero del paziente. Dimostriamo inoltre che i cambiamenti nella criticità predicono il grado di recupero comportamentale e dipendono in modo rilevante da specifiche connessioni della sostanza bianca. In sintesi, il nostro lavoro descrive un importante progresso nella comprensione dell’alterazione delle dinamiche cerebrali e delle relazioni cervello-comportamento nei pazienti neurologici“.

Rodrigo Rocha

Questi risultati dimostrano che modelli dinamici al computer sull’intero cervello possono essere utilizzati per tracciare e prevedere il recupero dell’ictus a livello di singolo paziente; questo apre la possibilità di utilizzare questi metodo per misurare l’effetto di terapie quali la riabilitazione o la stimolazione non-invasiva” conclude Maurizio Corbetta, Direttore del Padova Neuroscience Center (PNC) dell’Università di Padova e della Clinica Neurologica Azienda Ospedale Università Padova, e ricercatore del Venetian Institute of Molecular Medicine (VIMM).

Maurizio Corbetta fisica neuroscienze
Maurizio Corbetta

Questa ricerca è stata finanziata dal Research, Innovation and Dissemination Center per Neuromathematics (FAPESP) and the National Council for Scientific and Technological Development (CNPq), Brasil; European Research Council (ERC) H2020 (grant# 818521); Italian Ministry of Health (Grant# RF-2013-02359306); M.C. by the Italian Ministry of Research Departments of Excellence (2017-2022), CARIPARO foundation (Grant #55403), Italian Ministry of Health (Grant# RF-2018-12366899; RF-2019-12369300), H2020-SC5-2019-2 (Grant # 869505);  H2020-SC5-2019-2 (Grant # 869505).

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41467-022-30892-6

Titolo: Recovery of neural dynamics criticality in personalized whole brain models of stroke” – «Nature Communications» 2022

Autori: Rodrigo P. Rocha, Loren Koçillari, Samir Suweis, Michele De Filippo De Grazia, Michel Thiebaut de Schotten, Marco Zorzi & Maurizio Corbetta

Teorie della Fisica applicate alle Neuroscienze
Teorie della Fisica applicate alle Neuroscienze. Foto di Gerd Altmann

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Padova sul nuovo studio che applica teorie della Fisica alle Neuroscienze.

Individuare fenomeni quantistici attraverso rapporti di causa-effetto

Per comprendere la relazione quantistica fra due eventi, un team di ricercatori del QuantumLab della Sapienza ha sviluppato un nuovo metodo basato sulla misura della forza dei rapporti causa-effetto tra le variabili. La tecnica, eseguita sperimentalmente nei laboratori dell’Ateneo, potrà essere utilizzata per verificare il corretto funzionamento di nuove tecnologie quantistiche

Individuare fenomeni quantistici attraverso rapporti di causa-effetto: un nuovo su Science Advances

“Qual è il motivo?”, “Perché sta succedendo?” sono domande molto frequenti nella vita quotidiana, in cui spesso si è portarti a chiedersi la causa degli eventi che succedono, cercando motivi più o meno diretti o astratti. La strategia intuitivamente più efficace per capire se due eventi siano l’uno la causa dell’altro è verificare la loro correlazione, ovvero chiedersi: l’evento A succede sempre quando succede l’evento B? Come quando ogni volta che viene spinto un interruttore (evento A) si accende una lampadina (evento B). Tuttavia, questo processo, apparentemente così semplice e immediato, nasconde una grande insidia: quando due eventi sono correlati, possono sia essere la causa l’uno dell’altro ma possono anche essere influenzati da una causa comune, di cui spesso non si tiene conto. Per esempio, ogni anno, in estate, aumentano parallelamente il consumo di gelati e il numero di persone che soffrono di cali di pressione. Questi due eventi sono indubbiamente correlati, ma non sono l’uno la causa dell’altro. Avvengono simultaneamente solo perché hanno una causa comune: l’aumento delle temperature.

Comprendere se due eventi siano causati da un fattore comune o se siano direttamente collegati non è affatto semplice, per cui tali relazioni sono da sempre una sfida per gli scienziati. Secondo la fisica classica è possibile comprendere appieno la relazione causa-effetto tra due eventi effettuando una serie di opportune misurazioni. Molto più difficile è quando entrano in gioco effetti quantistici, perché i rapporti di causa-effetto tra un evento A e un evento B hanno conseguenze diverse se questi hanno una causa comune non classica. Tuttavia, la discrepanza tra predizioni classiche e quantistiche può tornare utile proprio per rilevare la presenza di fenomeni quantistici, come avviene nei cosiddetti test di Bell, effettuati per misurare le proprietà di particelle fisicamente separate ma correlate in maniera non classica.

fenomeni quantistici causa-effetto

Il gruppo QuantumLab (https://www.quantumlab.it/) della Sapienza Università di Roma ha presentato, in un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Science Advances, un metodo altamente innovativo che è basato sulla misura della forza dei rapporti causa-effetto tra due variabili. Lo studio è nato nell’ambito di una collaborazione internazionale dell’Ateneo romano con l’International Institute of Physics di Natal (Brasile), l’Università di Colonia (Germania) e l’Università di Gdansk (Polonia).

Il team di fisici, da tempo impegnato nello studio di questi fenomeni con l’obiettivo di creare tecniche per rilevare la presenza di fenomeni quantistici, è partito dal caso in cui un evento A è causa di un evento B e, in più, questi hanno una causa comune quantistica. In tale situazione, si può dimostrare che, per ottenere determinati effetti su B, c’è bisogno di un’influenza causale più debole da parte di A, rispetto al caso classico. Quindi, misurando la forza del rapporto causa-effetto tra A e B, è possibile capire se il processo che stiamo osservando è quantistico oppure puramente classico.

“La novità di questo approccio – afferma Iris Agresti della Sapienza – sta nel fatto che permette di individuare comportamenti quantistici del tutto nuovi, che non potevano essere individuati con le tecniche note finora”.

Per mostrare queste nuove tracce di fenomeni quantistici è stato riprodotto nei laboratori di ottica e informazione quantistica della Sapienza lo schema di rapporti causa-effetto menzionato (chiamato processo strumentale) su una piattaforma fotonica.

In dettaglio, nell’esperimento, gli eventi A e B erano i risultati di due misure su fotoni, mentre la causa comune era una sorgente di stati quantistici.

“Abbiamo generato coppie di fotoni entangled (cioè correlati quantisticamente) e abbiamo implementato il rapporto di causa-effetto tra le misure A e B, scegliendo la misura B in base al risultato di A” – spiega Fabio Sciarrino, coordinatore del gruppo. “Siccome i due fotoni da misurare vengono generati nello stesso istante, per avere il tempo di eseguire la misura A, abbiamo dovuto ritardare il fotone misurato in B tramite una fibra lunga più di 100 metri e abbiamo sfruttato un dispositivo elettro-ottico per cambiare la misura B in pochi nanosecondi”.

Questa tecnica che si basa sulla misura della forza dell’influenza causale tra due eventi per dimostrare la presenza di fenomeni quantistici, che è stata eseguita sperimentalmente dai ricercatori del QuantumLab, ha dei risvolti sia dal punto di vista applicativo, perché potrà essere utilizzata per verificare il corretto funzionamento di nuove tecnologie quantistiche, sia teorico, perché ha permesso di individuare nuove tipologie di comportamenti non classici.

Riferimenti:

Experimental test of quantum causal influences – Iris Agresti, Davide Poderini, Beatrice Polacchi, Nikolai Miklin, Mariami Gachechiladze, Alessia Suprano, Emanuele Polino, Giorgio Milani, Gonzalo Carvacho, Rafael Chaves and Fabio Sciarrino – Science Advances, Vol 8, Issue 8 https://doi.org/10.1126/sciadv.abm1515 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

UN’ESTINZIONE DI MASSA 201 MILIONI DI ANNI FA – TRACCE DI EMISSIONI DI GAS SERRA ALLA FINE DEL TRIASSICO

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista «Nature Communications» dal titolo “Massive methane fluxing from magma–sediment interaction in the end-Triassic Central Atlantic Magmatic Province” rivela un massiccio rilascio di metano dalle rocce dei bacini dell’Amazzonia durante l’estinzione di massa di fine Triassico. Circa 1 milione di chilometri cubi di magma basaltico ha intruso rocce contenenti carbonio, che sono state scaldate e, come risultato, hanno quindi liberato metano.

Affioramento lungo la strada Trans-Amazzonica di una delle intrusioni magmatiche nel Bacino Amazzonico nei pressi della città di Medicilândia (Stato di Pará, Brasile). Fotografia di Andrea Marzoli

Un gruppo di ricerca internazionale guidato da Manfredo Capriolo dell’Università di Padova e ora al centro CEED dell’Università di Oslo in Norvegia ha individuato la presenza di metano in micrometriche goccioline fluide preservate nei cristalli delle rocce magmatiche dell’Amazzonia.

Il metano è un gas serra molto impattante in atmosfera e il suo coinvolgimento nella crisi di fine Triassico era stato precedentemente ipotizzato, ma questa è la prima volta che il metano viene individuato in maniera diretta all’interno delle rocce magmatiche di fine Triassico.

«L’analisi di microscopiche inclusioni fluide intrappolate in cristalli magmatici di 201 milioni di anni ha fornito la prima evidenza diretta del rilascio di ingenti quantità di metano, prodotto dal riscaldamento di rocce ricche in materia organica, alla fine del Triassico» afferma Manfredo Capriolo.

estinzione di massa gas serra Triassico
Inclusione fluida micrometrica (indicata dalla freccia rossa) contenente una bolla di metano (di forma sferica) ed un cristallo di sale (di forma cubica) in un liquido acquoso salino, che preserva l’originaria composizione dei fluidi derivanti dall’interazione tra magma e sedimenti, all’interno di un cristallo di quarzo in una roccia doleritica proveniente dal Bacino Amazzonico (campione proveniente da Monte Alegre, Stato di Pará, Brasile). Fotomicrografia di Manfredo Capriolo

«Simili evidenze di metano, derivante dall’interazione di Grandi Province Magmatiche con rocce sedimentarie durante le estinzioni di massa, saranno probabilmente individuate anche per altri eventi di simile intensità» aggiungono Omar Bartoli del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e Angelo De Min dell’Università di Trieste.

«Questo studio rappresenta un importante passo in avanti nella comprensione delle emissioni di gas serra dalla Grande Provincia Magmatica di fine Triassico, la cui attività era sincrona con una delle più catastrofiche estinzioni di massa nella storia della Terra» conclude Andrea Marzoli, Dipartimento di Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’Università di Padova.

Tutti i principali episodi di estinzione di massa negli ultimi 500 milioni di anni sono contemporanei a eventi magmatici eccezionali. Lo studio delle emissioni magmatiche di gas serra, che innescarono queste antiche crisi biotiche, possono contribuire alla comprensione dei possibili effetti dell’attuale cambiamento climatico.

estinzione di massa gas serra Triassico
Veduta sul Rio delle Amazzoni dalla città di Monte Alegre (Stato di Pará, Brasile). Fotografia di Andrea Marzoli

Un’estinzione di massa 201 milioni di anni fa, tracce di emissioni di gas serra alla fine del Triassico

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41467-021-25510-w

Titolo: “Massive methane fluxing from magma–sediment interaction in the end-Triassic Central Atlantic Magmatic Province” – «Nature Communications» – 2021

Autori: Manfredo Capriolo, Andrea Marzoli, László E. Aradi, Michael R. Ackerson, Omar Bartoli, Sara Callegaro, Jacopo Dal Corso, Marcia Ernesto, Eleonora M. Gouvêa Vasconcellos, Angelo De Min, Robert J. Newton & Csaba Szabó.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova.