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Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità.
Per il cancro alla mammella è previsto un calo generale, ma un aumento tra le pazienti più anziane

Le previsioni dei decessi per tumori indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 3,5% circa nell’Unione Europea negli uomini e dell’1,2% nelle donne. Un andamento positivo è stimato anche per il tumore della mammella, tranne nelle donne ultraottantenni, probabilmente per mancanza di screening regolari, diagnosi tempestive e utilizzo di terapie innovative. I risultati dello studio, coordinato dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna e sostenuto dalla Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista “Annals of Oncology”.

Milano, 12 marzo 2025 – Nel 2025 i tassi di mortalità per tumore della mammella dovrebbero diminuire in tutte le fasce d’età nell’Unione Europea (UE), a eccezione delle pazienti ultraottantenni. Per queste ultime si prevede infatti un aumento del 7% circa rispetto ai tassi osservati nel periodo 2015-2019.

Questi risultati provengono da uno studio in cui si sono stimati i tassi di mortalità per tumore nell’UE [1] e nel Regno Unito per il 2025. I risultati dello studio, condotto da ricercatori dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna, sono stati pubblicati oggi sulla rivista Annals of Oncology [2].

Gli epidemiologi coordinati da Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia all’Università Statale di Milano, ritengono che un motivo per l’aumento dei tassi di mortalità per tumore della mammella tra le pazienti più anziane nell’UE possa essere dovuto alla mancanza di screening regolari e di diagnosi tempestive per le donne ultraottantenni, che hanno anche minore probabilità di ricevere i trattamenti più innovativi.

Le donne anziane non sono incluse nei programmi di screening e probabilmente, rispetto alle donne più giovani, hanno minore giovamento dagli importanti progressi nella diagnosi e nella gestione del tumore della mammella, compresi i miglioramenti nella chemioterapia, nella terapia ormonale e nell’immunoterapia che include il trastuzumab e i farmaci similari, ma anche nella radioterapia e nella chirurgia” ha dichiarato La Vecchia.

L’aumento della prevalenza di sovrappeso e obesità osservato negli ultimi decenni nella maggior parte dell’Europa settentrionale e centrale ha portato a un aumento del rischio di tumore della mammella. Questo fenomeno, però, non è stato controbilanciato da un miglioramento della diagnosi e della gestione della malattia nelle donne anziane e, di conseguenza, potrebbe spiegare l’aumento della mortalità stimato.

Il gruppo di ricercatori prevede una diminuzione dei tassi di mortalità per tumore della mammella a tutte le età pari al 3,6% nell’UE e allo 0,8% in Italia nel 2025 rispetto al 2020. Il tasso di mortalità standardizzato per età è 13,3 per 100.000 donne nell’UE (per un totale di 90.100 decessi) e di 14,0 per 100.000 donne in Italia (per un totale di 13.660 decessi).

Stimiamo che tra il 1989 e il 2025 siano stati evitati 373.000 decessi per tumore della mammella nell’UE. La maggior parte di questi decessi evitati è dovuta al miglioramento della gestione della malattia e all’introduzione di innovazioni terapeutiche, ma il 25-30% è probabilmente attribuibile auna maggiore diffusione della diagnosi precoce e del programma di screeningPoiché oggi il tumore della mammella può essere curato efficacemente grazie ad approcci innovativi, è essenziale che tutte le pazienti alle quali viene diagnosticato vengano indirizzate a centri oncologici in grado di offrire tutte le terapie necessarieInoltre, come indicato dagli andamenti sfavorevoli per le donne ultraottantenni, il controllo del sovrappeso e dell’obesità rimane una priorità, non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori, compreso il quello della mammella” ha aggiunto il professor La Vecchia.

I ricercatori hanno analizzato, per il quindicesimo anno consecutivo, i tassi di mortalità per tumore nell’UE [3] e nel Regno Unito, esaminando separatamente i tassi di mortalità per tumore dello stomaco, colon-retto, pancreas, polmone, mammella, utero (compresa la cervice), ovaio, prostata e vescica, nonché i tassi di mortalità per leucemie, per entrambi i sessi [4]. Sono stati raccolti i dati di mortalità dai database dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, relativi al periodo 1970-2020. Tali stime si sono dimostrate affidabili nel corso degli anni.

Tutti i tumori:

Nei Paesi dell’UE si prevede un calo del 3,5% circa dei tassi di mortalità per tutti i tumori: si passerà da 125/100.000 nel 2020 a 121/100.000 nel 2025 per gli uomini, e da 80/100.000 a 79/100.000 per le donne. In totale si stima che nel 2025 circa 1.280.000 persone moriranno di tumore nell’UE e circa 176.000 in Italia. In Italia il tasso di mortalità per tutti i tumori diminuirà per gli uomini, passando da 112 nel 2020 a 96/100.000 nel 2025, e per le donne, passando da 75 a 71/100.000.

Secondo le stime dei ricercatori, dal 1988 al 2025 nell’UE si sono evitati 6,8 milioni di decessi per tutti i tipi di tumore (4,7 milioni negli uomini e 2,1 milioni nelle donne), ipotizzando che i tassi di mortalità rimanessero costanti rispetto a quelli del 1988.

Tuttavia, a causa del crescente numero di anziani nella popolazione, il numero di decessi per tumore aumenterà da 671.963 nel 2020 a 709.400 nel 2025 tra gli uomini nell’UE e da 537.866 a 570.500 tra le donne. In Italia, invece, il numero di decessi passerà da 97.866 a 94.740 per gli uomini e da 79.991 a 81.740 per le donne.

Si prevede che i tassi di mortalità per la maggior parte dei tumori diminuiranno quest’anno nell’UE, a eccezione del tumore del pancreas, che mostrerà un aumento del 2% negli uomini e del 3% nelle donne. Per le donne si prevede un aumento del 4% del tumore del polmone e del 2% del tumore della vescica.


In Italia gli unici tassi di mortalità previsti in lieve aumento sono quelli per il tumore del pancreas e della vescica nelle donne. 
I tassi di mortalità per tutti gli altri tipi di tumore sono in calo per entrambi i sessi.

Il fumo rimane di gran lunga la principale causa nota di tumore del pancreas, causando dal 20 al 35% dei casi in varie fasce di età, a seconda delle diverse abitudini di fumo. Il diabete, il sovrappeso che portano allo sviluppo della sindrome metabolica sono responsabili di circa il 5% dei tumori al pancreas in Europa. Questo aspetto sta diventando sempre più importante a causa della crescente prevalenza dell’obesità, ma il controllo e la prevenzione del fumo rimangono la priorità per il controllo anche del tumore del pancreas” ha spiegato la professoressa Eva Negri, docente di epidemiologia ambientale e medicina del lavoro dell’Università di Bologna e co-leader della ricerca.

Il tumore del polmone rappresenta la principale causa di morte per tumore tra gli uomini nell’UE (151.000 casi) e in Italia (19.600 casi). Nel nostro Paese il tumore della mammella è la prima causa di morte per cancro fra le donne italiane (13.660 casi). Anche nell’UE, il tumore della mammella rappresenta la principale causa di morte per tumore tra le donne; tuttavia, si stima che il tasso di mortalità per il tumore del polmone supererà quello della mammella nel 2025. Infatti, l’andamento della mortalità per tumore del polmone è ancora in aumento tra le donne (+3,8% rispetto al 2020).

Conclude Carlo La Vecchia: Gli andamenti di mortalità per tumore continuano a essere favorevoli in tutta Europa. Tuttavia vi sono anche aspetti negativi: uno di questi sono i decessi per tumore del colon-retto nelle persone di età inferiore ai 50 anni, che hanno iniziato ad aumentare nel Regno Unito e in diversi Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, a causa dell’aumento della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità nei giovani che, per età, non sono coperti dallo screening del tumore colorettale. Inoltre i tassi di mortalità per il tumore del pancreas non sono in diminuzione nell’UE ed è ora la quarta causa di morte per tumore dopo il cancro del polmone, del colon-retto e della mammella. I tassi di mortalità per tumore del polmone stanno iniziando a stabilizzarsi, ma non ancora a diminuire nelle donne dell’UE. Le tendenze del tumore del pancreas e del polmone nelle donne sottolineano l’urgenza di attuare un controllo ancora più rigoroso del tabacco in tutta Europa”.

Il progetto è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC; Claudia Santucci e Carlo La Vecchia hanno ricevuto sostegno dall’iniziativa Next Generation EU-MUR PNRR Extended Partnership Inf-Act.

NOTE

[1] Al momento di questa analisi, l’UE contava 27 Stati membri, con l’uscita del Regno Unito nel 2020. Cipro è stato escluso dall’analisi perché non erano disponibili sufficienti dati a lungo termine, necessari per prevedere le tendenze, soprattutto nei piccoli Paesi. Tutti gli altri Paesi avevano dati che risalivano almeno al 1970.

[2] “European cancer mortality predictions for the year 2025 with focus on breast cancer”, by C. Santucci et al. Annals of Oncology, doi: 10.1016/j.annonc.2025.01.014.

[3] I tassi standardizzati per età per 100.000 abitanti riflettono la probabilità annuale di morire aggiustata per riflettere la distribuzione per età di una popolazione.

[4] Il documento contiene tabelle individuali dei tassi di mortalità per tumore per ciascuno dei sei massimi Paesi Europei.

Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità. Foto di Konstantin Kolosov

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano e dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Bologna.

Il fumo passivo delle sigarette elettroniche può incidere sulla salute cardiovascolare di bambini e adolescenti

Una collaborazione italiana tra la Sapienza Università di Roma, I.R.C.C.S. Neuromed e Mediterranea Cardiocentro, evidenzia gli effetti sul sistema cardiovascolare del fumo passivo da sigarette a tabacco riscaldato.

Il fumo passivo è considerato un fattore dannoso per la salute dei non fumatori, soprattutto bambini. Un concetto ben noto, ma fino ad oggi rimasto legato solo alle sigarette “tradizionali”. Ora una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Pollution ha evidenziato come anche le sigarette “heat-not-burn” (HNBC), quelle che riscaldano il tabacco senza bruciarlo, potrebbero influenzare negativamente la salute cardiovascolare dei bambini ed adolescenti esposti.

Lo studio, che ha visto la collaborazione tra Sapienza Università di Roma, I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) e Mediterranea Cardiocentro di Napoli, ha preso in esame tre gruppi di bambini e adolescenti di età compresa tra 2 e 18 anni, divisi in base all’esposizione al fumo che potevano avere in famiglia: non esposti ad alcun tipo di fumo, esposti a fumo tradizionale, esposti a fumo di tabacco riscaldato. Una serie di esami, eseguiti su prelievi ematici e prove strumentali, ha quindi misurato lo stress ossidativo, la funzione endoteliale (un indicatore chiave della salute dei vasi sanguigni) e l’attivazione delle piastrine (un fattore di rischio per la formazione di trombi).

“Il dato più importante emerso dalla nostra ricerca – dicono gli autori, Lorenzo Loffredo e Anna Maria Zicari, Sapienza Università di Roma, e Roberto Carnevale, Sapienza Università di Roma e I.R.C.C.S. Neuromed – è che non ci sono differenze significative tra fumo di sigaretta tradizionale e fumo da tabacco riscaldato. In entrambi i casi, i bambini e gli adolescenti esaminati presentavano, rispetto a quelli non esposti ad alcun tipo di fumo, un più elevato stress ossidativo, una maggiore attivazione piastrinica ed una alterazione della funzione endoteliale e quindi un maggior rischio cardiovascolare”.

“Questi risultati – continuano gli Autori – mostrano che anche le sigarette di nuova generazione, universalmente considerate meno dannose rispetto alle sigarette tradizionali, possano configurarsi come un potenziale pericolo per la salute di chi è a fianco dei fumatori, soprattutto i più giovani. L’obiettivo finale deve quindi rimanere quello della incentivazione alla cessazione della pratica tabagica in tutte le sue forme ed i suoi surrogati compresa una tolleranza zero verso il fumo passivo, di qualsivoglia tipologia”.

Riferimenti bibliografici:

Children smoke prevention group*. Impact of heat-not-burn cigarette passive smoking on children’s oxidative stress, endothelial and platelet function – Loffredo L, Carnevale R, Pannunzio A, Cinicola BL, Palumbo IM, Bartimoccia S, Nocella C, Cammisotto V, Violi F, Biondi-Zoccai G, Frati G, Zicari AM – Environ Pollut. 2024, DOI: https://doi.org/10.1016/j.envpol.2024.123304

 

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Il fumo passivo delle sigarette elettroniche può incidere sulla salute cardiovascolare di bambini e adolescenti. Foto di Ethan Parsa 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Tumori, nel 2024 in diminuzione i tassi di mortalità nell’Unione Europea e nel Regno Unito, ma obesità e alcol tra i fattori che contribuiscono all’aumento dell’incidenza del tumore al colon-retto tra i giovani adulti

Le predizioni dei decessi per tumore indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 6,5% negli uomini e del 4% nelle donne nell’Unione Europea, tra il 2018 e il 2024. Seppur in diminuzione nei dati assoluti, il cancro del colon-retto è in aumento del 26% negli uomini e del 36% nelle donne tra i 25 e i 49 anni nel Regno Unito, probabilmente a causa di un aumento dell’obesità e del consumo di alcol e superalcolici. I risultati dello studio, coordinato dall’Università degli Studi di Milano assieme all’Università di Bologna e sostenuto da Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista “Annals of Oncology”.

 

Milano e Bologna, 29 gennaio 2024 – Un aumento di mortalità per tumore al colon-retto tra i giovani adulti di 25-49 anni emerge dai risultati, di uno studio, pubblicato oggi sulla rivista Annals of Oncology [1] nel quale si prevedono i tassi di mortalità per tumore nell’Unione Europea (UE) e nel Regno Unito per il 2024. La crescita conferma una tendenza già rilevata nel Regno Unito, che potrebbe dipendere da fattori di rischio quali sovrappeso e l’obesità. Ciononostante, la mortalità prevista per questo tipo di tumore risulta complessivamente in calo in tutta Europa.

Il gruppo di ricercatori, guidati da Carlo La Vecchia, docente di Statistica Medica ed Epidemiologia presso l’Università Statale di Milano, stima che il maggiore aumento dei tassi di mortalità per tumore al colon-retto tra i giovani si registrerà nel Regno Unito, dove nel 2024 ci sarà un aumento del 26% rispetto al 2018 negli uomini e di quasi 39% nelle donne. Si stimano aumenti anche in alcuni paesi della UE compresa l’Italia.

“I fattori chiave che contribuiscono all’aumento dei tassi di mortalità per tumore al colon-retto tra i giovani includono il sovrappeso, l’obesità e le condizioni di salute correlate, come alti livelli di glucosio nel sangue o il diabete”, ha dichiarato il professor La Vecchia.

L’aumento del consumo di superalcolici nell’Europa centrale e settentrionale e nel Regno Unito e la riduzione dell’attività fisica costituiscono ulteriori fattori di rischio. Il consumo di alcol è stato associato al tumore al colon-retto a insorgenza precoce e, infatti, nei Paesi in cui è stata riportata una riduzione del consumo di alcol (ad esempio Francia e Italia), non si è registrato un aumento marcato dei tassi di mortalità per questo tumore. Rispetto ai più anziani, il cancro al colon-retto diagnosticato nei giovani adulti tende a essere più aggressivo e con tassi di sopravvivenza più bassi.

“Si dovrebbe considerare l’adozione di politiche che promuovano l’aumento dell’attività fisica, la riduzione del numero di individui in sovrappeso o obesi e la limitazione del consumo di alcol. Inoltre, in termini di prevenzione, si dovrebbe valutare anche l’estensione dello screening per il tumore al colon-retto avviando la campagna a partire dai 45 anni. I programmi di screening variano in Europa, ma il crescente aumento dell’incidenza tra i giovani adulti negli Stati Uniti ha spinto la US Preventive Service Task Force a raccomandare la riduzione dell’età di inizio dello screening a 45 anni”, ha continuato La Vecchia.

I ricercatori hanno analizzato, per il quattordicesimo anno consecutivo, i tassi di mortalità per tumore nell’UE [2] e nel Regno Unito, esaminando gli stessi tassi anche nei cinque Paesi più popolosi dell’Unione Europea, ossia Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna. Sono stati raccolti i dati di mortalità dai database dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Eurostat. È stata analizzata la mortalità per diversi tumori, stomaco, colon-retto, pancreas, polmone, mammella, utero (compresa la cervice), ovaio, prostata, vescica e leucemie, sia per uomini che per donne[3].

 

Tutti i tumori

Si stima che nell’Unione Europea i tassi di mortalità standardizzati per età [4] per tumore diminuiranno del 6,5% negli uomini, passando da 132 per 100.000 nel 2018 a 123 per 100.000 nel 2024, e del 4% nelle donne, passando da 82,5 a 79 per 100.000. Nel Regno Unito, per il 2024 si prevede una diminuzione della mortalità per tumore di quasi il 14% negli uomini, passando da un tasso di 120 a 104 per 100.000, e del 10% nelle donne, passando da 92,5 a 83 per 100.000. Tuttavia, a causa dell’invecchiamento della popolazione, nell’UE si prevede un aumento del numero di decessi per tumore da 675.265 nel 2018 a oltre 705.100 nel 2024 negli uomini, e da 535.291 a oltre 565.700 nelle donne, arrivando a 1.270.800. Nel Regno Unito si stima un aumento da 91.059 a 92.000 negli uomini e da 79.631 a 80.900 nelle donne, per un totale di 172.900 morti attese per il 2024. I ricercatori hanno, inoltre, calcolato il numero di decessi per tumore evitati nel periodo compreso tra il 1989 e il 2024, ipotizzando che i tassi rimanessero costanti rispetto ai livelli del 1988. Hanno stimato che complessivamente sono stati evitati 6.183.000 decessi nell’UE (4.244.000 negli uomini e 1.939.000 nelle donne) e 1.325.000 nel Regno Unito (899.000 negli uomini e 426.000 nelle donne).

Tumore del polmone

Sebbene si registri un andamento favorevole negli uomini, il tumore al polmone è caratterizzato dai tassi più elevati per entrambi i sessi, sia nell’Unione Europea che nel Regno Unito. Per il 2024 i ricercatori stimano tassi di mortalità di 28 uomini e 13,6 donne ogni 100.000 abitanti nell’UE, con una riduzione rispetto al 2018 del 15% negli uomini e senza alcuna riduzione nelle donne. Nel Regno Unito si stimano tassi di mortalità per il cancro ai polmoni di 19 uomini e 16 donne ogni 100.000, con una riduzione del 22% negli uomini e del 17% nelle donne rispetto al 2018.

Tumore del colon-retto

Sia nell’UE che nel Regno Unito, attualmente, il cancro al colon-retto è per gli uomini la seconda causa di morte dopo il tumore ai polmoni e per le donne la terza causa di morte dopo il tumore alla mammella e ai polmoni. Gli andamenti di mortalità per questo tipo di tumore sono favorevoli, tranne che nelle donne nel Regno Unito. Tra i non fumatori, il tumore al colon-retto è la prima causa di morte per tumore sia nell’UE che nel Regno Unito. Nell’UE, per il 2024 si stima una diminuzione rispetto al 2018 di mortalità per tumore al colon-retto del 5% negli uomini, con un tasso previsto di 15 per 100.000, e del 9% nelle donne, con un tasso di 8 per 100.000. Nel Regno Unito si prevede un calo del 3% negli uomini, con un tasso di 14 per 100.000, mentre i tassi resteranno stabili nelle donne, con un tasso di 10 per 100.000.

“Queste tendenze complessivamente favorevoli possono essere spiegate dal miglioramento delle diagnosi e del trattamento del tumore al colon-retto. I tassi di mortalità tendono a diminuire nei Paesi con un migliore accesso ai programmi di screening e diagnosi precoce. Tuttavia l’aumento della mortalità tra i giovani è preoccupante”, ha commentato Carlo La Vecchia.

 

Tumore della mammella

Gli andamenti di mortalità per tumore alla mammella continuano a essere favorevoli nell’EU e nel Regno Unito. Nel 2024 si prevede una diminuzione del 6% nell’UE, passando da 14 per 100.000 donne nel 2018 a 13 nel 2024, e dell’11% nel Regno Unito, passando da 15 a 13 per 100.000 donne.

La professoressa Eva Negri, docente di Epidemiologia Ambientale e Medicina del Lavoro al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e co-leader della ricerca, ha proseguito:

“I progressi nella diagnosi del tumore alla mammella hanno un ruolo fondamentale nel sostanziale calo dei tassi di mortalità, ma i progressi nei trattamenti e nella gestione della malattia sono le ragioni principali dell’aumento del numero di persone che sopravvivono”.

 

Tumore del pancreas

Il tumore al pancreas, molto difficile sia da individuare che da trattare con successo, è l’unico tumore per il quale non si prevede un andamento favorevole nella mortalità nell’Unione Europea (ma non nel Regno Unito) per entrambi i sessi. Rappresenta oltre il 3% delle nuove diagnosi di tumore in Europa, ma circa il 7% dei decessi per cancro, ed è la quarta causa di morte per tumore. Si prevede che i tassi di mortalità nell’UE aumenteranno dell’1,6% negli uomini e del 4% nelle donne. Le tendenze sono migliori nel Regno Unito, dove si stima un calo del 7% negli uomini e del 2% nelle donne.

“Il fumo è il principale fattore di rischio per il cancro al pancreas, ma spiega solo in parte l’aumento dei tassi di mortalità. Anche il sovrappeso, l’obesità, il diabete come anche l’eccessivo consumo di alcolici possono avere un ruolo importante”, ha aggiunto Eva Negri.

E Carlo La Vecchia ha aggiunto: “Queste previsioni sottolineano l’importanza di controllare e, in ultima analisi, di eliminare il consumo di tabacco. Il tabacco rimane responsabile del 25% di tutti i decessi per tumore tra gli uomini e del 15% tra le donne nell’Unione Europea. Non solo è il principale fattore di rischio per i decessi per tumore ai polmoni, ma anche per altri tipi di tumore, tra cui quello al pancreas. Un ulteriore problema è rappresentato dall’aumento del consumo di superalcolici nell’Europa centrale e settentrionale”.

“Le nostre previsioni evidenziano anche l’importanza di colmare i divari tra i Paesi Europei per quanto riguarda i programmi di diagnosi e trattamento del tumore. I tassi di mortalità continuano a essere più elevati in Polonia e in altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, e ciò è dovuto in parte all’inadeguatezza dei programmi di screening per individuare tumori come quello alla mammella, al collo dell’utero e al colon-retto, nonché alla mancanza di accesso alle terapie più moderne”, hanno concluso i ricercatori.

Note

[1] “European cancer mortality predictions for the year 2024 with focus on colorectal cancer”, by C. Santucci et al. Annals of Oncologyhttps://www.annalsofoncology.org/article/S0923-7534(23)05110-4/fulltext

; doi: 10.1016/j.annonc. 2023.12.003

[2] Quando queste analisi sono state condotte, l’UE contava 27 Stati membri, con l’uscita del Regno Unito nel 2020. La Repubblica di Cipro è stata esclusa dalle analisi a causa dell’eccessiva mancanza di dati.

[3] Il manoscritto contiene tabelle dei tassi di mortalità per ogni sede tumorale analizzata per ciascuno dei sei Paesi.

[4] I tassi standardizzati per età (ed espressi per 100.000 abitanti) riflettono la probabilità annuale di morire aggiustata per struttura per età mondiale per fini comparativi.

 

causa rischio metastasi tumore al seno
Tumori, nel 2024 in diminuzione i tassi di mortalità nell’Unione Europea e nel Regno Unito. Foto di StockSnap

 

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano sulla diminuzione de tassi di mortalità dei tumori nel 2024 nell’Unione Europea e nel Regno Unito.

Quale impatto ha avuto la pandemia sulle dipendenze?

Intervista ai professori Angelo Panno, Benedetto Farina, Claudio Imperatori e ai dottori Giuseppe Alessio Carbone e Chiara Massullo del Laboratorio di Psicologia Cognitiva e Clinica (CCPL) dell’Università Europea di Roma

“[…]la pandemia ha prodotto, tra le sue tragiche conseguenze, un incremento delle condizioni di disagio psichico, acutizzando situazioni di emergenza psicologica e sociale.” Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante la Giornata mondiale della salute mentale del 2020, spiegava la situazione di aumento di disagio psicologico e sociale con cui l’Italia si è trovata a fare i conti per via della pandemia.

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Dipendenze: “la pandemia ha prodotto, tra le sue tragiche conseguenze, un incremento delle condizioni di disagio psichico, acutizzando situazioni di emergenza psicologica e sociale.” Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana. Foto da quirinale.it, licenza con attribuzione

È oramai noto come la quarantena, l’isolamento sociale e l’aumento dei casi di COVID-19 siano strettamente legati ad un peggioramento generale della salute mentale nella popolazione. Rimangono, però, alcune psicopatologie e domini cognitivi non del tutto analizzati, tra questi le dipendenze, sia da sostanze che comportamentali. Con la parola “dipendenze” si prendono in considerazione tantissimi tipi di disturbi: dal disturbo da uso e abuso di alcool fino a un disturbo di shopping compulsivo.

Quanto la pandemia, quindi, ha avuto un impatto sulle dipendenze? E su quali dipendenze?

In uno studio pubblicato a Novembre 2020 su Frontiers in Psychiatry, Angelo Panno, Giuseppe Alessio Carbone, Chiara Massullo, Benedetto Farina e Claudio Imperatori hanno cercato di ottenere un quadro più comprensibile della situazione e, in particolare, degli effetti del tipo di stress negativo (distress), percepito dagli italiani in maniera crescente, e il suo eventuale collegamento con diversi tipi di dipendenze.

In particolare, lo studio si è focalizzato sulla dipendenza da alcool, quella da social media e la dipendenza da cibo. Ai più di 1500 soggetti presi in considerazione è stato richiesto anche di indicare se fossero fumatori o meno, ma questo dato, come anche riportato successivamente nell’intervista, non è stato approfondito ulteriormente.

 

Dipendenza da alcool, da social media e da cibo

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Pandemia e dipendenze: l’alcool. Foto di Myriams-Fotos

Dei tipi di dipendenza presi in considerazione da Panno e colleghi, la dipendenza da alcool è quella più conosciuta non solo in ambito scientifico, ma anche in generale. L’alcool è una sostanza psicoattiva, per questo inserita nell’elenco delle sostanze stupefacenti, che spesso e volentieri può portare a una dipendenza e, con questa, all’insorgenza di una serie di sintomi che possono aggravarsi col tempo. Questo tipo di dipendenza, anche chiamata disturbo da uso e abuso di alcool, è chiaramente definita in moltissimi manuali diagnostici, come il Manuale Diagnostico Statistico – 5 (DSM 5) dell’American Psychiatric Association e la Classificazione Internazionale delle Malattie – 11 (ICD-11) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Non è lo stesso per la dipendenza da social media e la dipendenza da cibo.

La dipendenza da social media può essere considerata un “nuovo” tipo di disturbo, in quanto nasce e si diffonde in parallelo con l’uso delle nuove tecnologie. Se nei primi anni 2000 erano poche le persone che facevano uso di social network, dal decennio successivo questi strumenti hanno iniziato a spopolare (indagine Censis, 2018). Inizialmente, i più giovani utilizzavano di più le piattaforme social, ma con il tempo queste hanno iniziato ad essere sfruttate da persone di tutte le fasce di età. Con l’aumentare della popolarità e dell’uso dei social, ovviamente, è divenuto sempre più palese il problema della dipendenza da social media e, in particolare, da social network e da smartphone.

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Pandemia e dipendenze: i social media. Foto di Engin Akyurt

La dipendenza da cibo, invece, è un tipo di dipendenza che si trova a cavallo fra la dipendenza comportamentale e un disturbo del comportamento alimentare, in quanto vi è una relazione con il cibo anormale e maladattiva che può portare a serie conseguenze psicologiche, sociali e mediche (Gordon et al., 2018). 

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Pandemia e dipendenze: il cibo è un piacere. Foto di Moira Nazzari

Il cibo per il nostro cervello è un piacere e provoca una cascata di eventi che vanno ad agire su una serie di strutture cerebrali chiamate “circuito della ricompensa”. Questo circuito, solitamente, è tenuto strettamente sotto controllo, così da preservare il cervello stesso da possibili comportamenti impulsivi, motivati solo dalla gratifica imminente. A fronte di cibi molto gratificanti per la persona, questo circuito può “districarsi” dal controllo delle aree superiori, facendo sviluppare comportamenti compulsivi e pensieri ossessivi simili a quelli delle altre dipendenze.

Nella dipendenza da cibo abbiamo tre sintomi che solitamente accompagnano l’uso di sostanza o l’adozione di comportamenti disfunzionali, quali: sindrome da astinenza; la tolleranza, cioè l’adattamento del corpo e, in particolare, del cervello a determinate dosi di cibo crescenti; il craving, cioè il bisogno ossessivo, psicologico e fisiologico, che invade i pensieri della persona rispetto al dover ottenere, in qualsiasi modo, il cibo da cui è dipendente.

Seppur nessun manuale abbia mai definito tale dipendenza, gli studi crescenti a riguardo stanno definendo il quadro sintomatico di questo disturbo e le sue differenze con altri disturbi, come il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder), ed altre condizioni non patologiche, come l’alimentazione come risposta a determinati stati emotivi (emotional eating).

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Pandemia e dipendenze da cibo. Foto di Free-Photos

 

Lo stress? Gli stress

Per il loro studio, Panno e colleghi hanno preso in considerazione quanto è stato forte l’impatto della pandemia e la quarantena in termini di “stress” percepito. Stress, in psicologia, è un termine indica la capacità di adattamento a fronte di una richiesta ambientale. Con il tempo e le ricerche, quel che noi chiamiamo semplicemente “stress”, può essere diviso in due tipologie: eustress e distress. L’eustress è un tipo di stress tipicamente definito “positivo”, è uno stress che si rivela necessario per reperire risorse sufficienti per affrontare  una situazione che, generalmente, non determina un rischio di vita per la persona. Il distress, invece, è tipicamente definito “negativo”, ed è quello che comunemente definiamo come, semplicemente, “stress”, e ci porta a vivere una situazione specifica con uno stato affettivo e cognitivo alterato e disfunzionale (Selye, 1956; 1974).

Nel loro studio sulle dipendenze, Panno e colleghi hanno preso in considerazione quanto è stato forte l’impatto della pandemia e la quarantena in termini di “stress” percepito. Foto di 1388843

I risultati dello studio

In generale, tutti i punteggi nelle scale di misurazione della presenza e gravità dei diversi tipi di dipendenza sono aumentate con l’aumentare dell’importanza che l’evento della quarantena ha avuto nella vita dell’individuo. In altre parole, dai dati presentati in questa ricerca, lo stress dato dalle condizioni pandemiche da COVID-19 ha portato a un peggioramento dei diversi tipi di dipendenza, sia da sostanze che comportamentali.

Per quanto lo studio presenti alcuni limiti, come la prevalenza di partecipanti di sesso femminile nel campione, i suoi risultati sembrano presentare un quadro abbastanza preoccupante per quanto riguarda l’incidenza delle dipendenze tra gli italiani. Le dipendenze, come ricordiamo, non hanno solo effetti sulla mente e sul corpo della persona, ma, come ogni tipo di patologia, influenzano anche le famiglie, le relazioni, la società e il lavoro.

Ringraziamo i professori Angelo Panno, Benedetto Farina e Claudio Imperatori, che insieme ai dottori Giuseppe Alessio Carbone e Chiara Massullo, del Laboratorio di Psicologia Cognitiva e Clinica (CCPL), un’unità del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma, hanno risposto alle domande di ScientifiCult.

Intervista

Il vostro studio è stato uno tra i pochi a prendere in considerazione la variazione e l’aumento delle dipendenze durante la quarantena. Dalle vostre ipotesi, sappiamo cosa vi aspettavate, cioè che il distress associato al COVID-19 sia collegato ai problemi di alcool, all’abuso di social media e alla dipendenza da cibo. Avete preso in considerazione moltissime variabili anche personali (dall’età fino allo status personale durante la quarantena). C’è stato qualche dato, nelle vostre analisi statistiche, che non vi aspettavate, che vi ha sorpreso? Se sì, quale e perchè?

Intanto, anche a nome degli altri colleghi che hanno realizzato lo studio, ci tenevo a ringraziarla per questa intervista. Occorre fare una precisazione: il nostro studio ha fatto una “fotografia” della situazione legata alla prevalenza di alcune dipendenze durante il lockdown: per calcolare una vera e propria variazione avremmo dovuto avere dei dati relativi allo stesso campione prima dello scoppio della pandemia.

In particolare, sono due i dati che hanno stimolato la nostra attenzione. Il primo ha riguardato l’elevata percentuale di persone che hanno ricevuto una diagnosi di dipendenza da cibo (46.9%), nettamente superiore alle stime riportate in altri campioni non-clinici, che si attestano tra il 3% e il 13% circa.

Se da un lato questo dato potrebbe essere stato influenzato dalle modifiche apportate alla scala in relazione agli obiettivi della ricerca (riferimento dei sintomi negli ultimi 14 giorni, invece che negli ultimi 12 mesi), non ci aspettavamo comunque una percentuale così elevata.

Il secondo dato che ci ha colpito, invece, è stato quello relativo al numero di persone che hanno riportato un livello di distress clinicamente significativo legato al COVID-19. Più di una persona su 2 (il 54.4%), infatti, ha sviluppato dei sintomi significati di distress psicologico (pensieri intrusivi, comportamenti di evitamento, sintomi da iperarousal) durante il lockdown.

Il vostro studio ha preso in considerazione tipi di dipendenze comportamentali e da sostanze con rinforzi “facilmenti accessibili” in casa durante il lockdown, quali alcol, social media e cibo. Riguardo la nicotina, avete preso solo in considerazione l’essere o non essere fumatore da parte del soggetto preso in considerazione. Dato che circa il 28,8% del vostro campione era composto da fumatori, come mai non si sono presi in considerazione anche i dati relativi alla variazione dei sintomi della dipendenza da nicotina (es. numero di sigarette, sintomi associati, aumento o diminuzione dell’assunzione di nicotina)?

Questa è buona domanda. In fase di progettazione dello studio, pensando di fare uno studio che potesse riguardare tutta la popolazione, abbiamo deciso di raccogliere semplicemente il dato relativo ai fumatori e di non fare un’analisi mirata solo su questo campione. Perciò abbiamo deciso di concentrarci su altri stimoli di rinforzo facilmente accessibili. Sicuramente altri studi sul tabagismo completeranno il quadro da noi messo in evidenza.

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Pandemia e dipendenze: lo studio ha raccolto il dato relativo ai fumatori ma non ha effettuato un’analisi mirata solo su questo campione. Foto di Free-Photos

Guardando i dati di regressione della Bergen Social Media Addiction Scale, scala da voi utilizzata per misurare il livello di dipendenza da Social Media, sembra che il punteggio di questa scala sia significativamente legato all’età. I soggetti da voi presi in considerazione avevano un’età compresa tra i circa 18 e i 38 anni. Come avete specificato, questi dati non possono essere generalizzati alla popolazione adolescente, ma per quanto riguarda, invece, persone fra i 40 e i 50 anni?

In realtà il range di età dei nostri partecipanti è stato 18-74, anche se l’età media dei partecipanti era relativamente bassa (28.49 ± 10.89 anni). I social media ormai fanno parte della nostra vita quotidiana e la crisi pandemica “ha costretto” e “sta costringendo” anche fasce di età diverse da quelle degli adolescenti e dei giovani adulti a cimentarsi sempre maggiormente con questi strumenti. Perciò, sebbene sia un fenomeno diffuso soprattutto nel mondo dei giovani, non mi sorprenderebbe avere dei dati di prevalenza elevati anche in altre fasce d’età. Probabilmente il fenomeno sarà destinato ad aumentare in futuro proprio perché i social media raggiungono fasce della popolazione sempre più variegate.

 

All’inizio del vostro studio avete preso in considerazione lo status personale durante il lockdown (isolamento, quarantena, lavoro, numero di coabitanti ecc.). Pare che lo status personale durante la prima fase della pandemia, dove la curva dei contagi si stava alzando esponenzialmente, sia strettamente collegato ai punteggi del Bergen Social Media Addiction Scale. Questo legame sembra svanire nel momento in cui si vanno invece ad analizzare una ad una le sottovariabili (isolamento, numero di coabitanti, smart working ecc.) Volendo speculare su questo risultato, come avete provato a spiegarvi questo risultato? Potrebbe essere che non vi sia un solo fattore nell’ambiente ad influenzare lo sviluppo di abuso di social media, ma tutti concorrano ad esso, differenziandosi per peso e misura da persona a persona?

In letteratura sono riportati diversi dati che suggeriscono, in accordo con il modello biopsicosociale di Bronfenbrenner, il ruolo di diversi fattori (sociali, psicologici e biologici) nel determinismo di questa forma di dipendenza.

Rispetto a chi poteva uscire per andare al lavoro, chi era in isolamento o in quarantena ha riportato maggiori sintomi legati alla dipendenza da social media. Questo potrebbe essere dovuto alla condizione di necessità imposta dal lockdown in cui i social hanno rappresentato l’unico modo per rimanere connessi con i propri cari e con il mondo esterno nel quale eravamo abituati ad immergerci ogni giorno. Sicuramente questo è un tema che merita di essere approfondito.

 

Dai dati è emerso un forte collegamento fra i punteggi della Bergen Social Media Addiction Scale e la modified Yale Food Addiction Scale Version 2.0, quest’ultima utilizzata per misurare la presenza e la gravità dei sintomi di dipendenza da cibo. La dipendenza da cibo è spesso descritta come un disturbo a metà fra dipendenza comportamentale (per via del circuito coinvolto, della presenza di tolleranza, astinenza ecc.) e disturbo del comportamento alimentare (soprattutto, per via della compromissione del rapporto con il cibo). Da letteratura, sappiamo che i social media hanno un forte impatto sui disturbi del comportamento alimentare, in particolare su bulimia e binge eating. A fronte di quanto è emerso dalla vostra ricerca, pensate che la dipendenza da social network e la dipendenza da cibo abbiano un legame più profondo di quel che attualmente ci è noto? In altre parole, pensate che questi due tipi di dipendenza si alimentino a vicenda, soprattutto in una situazione di forte stress, come la pandemia?

È assolutamente possibile. Si tratta di una tematica molto attuale e molto interessante. Una recente meta-analisi pubblicata nel 2019 e condotta su 16.520 studenti ha riportato che l’uso problematico di Internet sembra essere un predittore della sintomatologia legata ai disturbi del comportamento alimentare. Nonostante questo, la complessa associazione tra questi due fenomeni deve essere ancora chiarita e ulteriormente approfondita, soprattutto in riferimento a quei meccanismi psicopatologici che possono alimentare e mantenere questa relazione anche in contesti non necessariamente legati alla pandemia.

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Nello studio di Panno e colleghi su pandemia e dipendenze, il 76% del campione è composto da donne. Foto di Foundry Co

Tra i limiti del vostro studio vi è il fatto che il 76% del  campione fosse composto da donne, le quali “fanno molto più uso dei social network rispetto agli uomini, più propensi a giochi online” (Panno et al.,2020, p.8). Tralasciando l’uso dei social, studi precedenti hanno confermato come il sesso femminile sia stato più a rischio di sviluppo di sintomi depressivi e ansiosi durante il periodo di quarantena in vari paesi (Shaukat, Ali  Razzak, 2020; Luo et al., 2020). I sintomi depressivi e ansiosi, a loro volta, sono strettamente collegati alle dipendenze, in quanto l’uso di sostanze o l’adozione di comportamenti disadattivi (come l’abuso di social network o la dipendenza da cibo) sembrano fungere come da ansiolitici e antidepressivi momentanei, proprio per via della loro specifica azione sul sistema nervoso centrale. Pensate che avere una così grande percentuale di persone di sesso femminile nel vostro campione, possa aver influito sui risultati anche in questa direzione? Pensate, in caso, di prendere in considerazione i sintomi depressivi e di ansia in studi successivi?

Come giustamente osservato la maggior prevalenza di donne distorce il nostro campione che, come specificato, non è rappresentativo della popolazione italiana. Per controllare questo aspetto, questa variabile è stata inclusa come covariata nei modelli testati proprio al fine di “limitarne” il suo effetto.

Relativamente alla seconda domanda, bisogna considerare che lo strumento utilizzato per valutare il distress legato al COVID-19 nel presente studio, la IES-R, nasce per l’assessment del disturbo da stress post-traumatico caratterizzato anche da una forte componente sintomatologica ansioso-depressiva. In ogni caso, un approfondimento specifico su queste due dimensioni psicopatologiche, in relazione alle dipendenze patologiche, potrebbe essere sicuramente interessante, soprattutto in associazione al contesto pandemico.

 

Il vostro studio mette in luce una realtà della pandemia nascosta, ma non più ignorabile, cioè l’aumento e la presenza di dipendenze di vario tipo nella popolazione italiana. Più in generale, assieme a molti altri studi, si mette in luce la presenza di sempre più disagi e disturbi psicologici dovuti sia all’emergenza che alla quarantena. Visti i dati in crescita raccolti dalla scienza, cosa vi augurate o vi aspettate per il futuro della Sanità da un punto di vista psicologico? Credete che siamo ancora in tempo per poter promuovere nuove iniziative e nuovi movimenti di sensibilizzazione a questi temi? Infine, pensate che gli effetti psicologici a lungo termine della pandemia necessitino di ulteriore attenzione?

Assolutamente sì! Questo si ricollega alla risposta della prima domanda, in riferimento all’elevato numero di persone che durante il lockdown hanno sperimentato dei livelli significativi di distress psicologico. In Italia, ormai siamo a più di un anno dall’inizio della pandemia ed è lecito pensare che ci sarà un significativo aumento della richiesta di aiuto legata a problemi di depressione, ansia e più in generale alla salute mentale. Numerosi studiosi internazionali hanno già lanciato questo allarme e l’Italia non può sottovalutarlo. Perciò, da un lato, sarà necessario porre estrema attenzione ai problemi di salute mentale legati alla pandemia nel prossimo futuro e dall’altro essere pronti ad agire per fronteggiarli nel miglior modo possibile. In questo senso, policy makers e decisori politici dovranno porre la massima attenzione nell’offrire linee guida chiare ed efficienti volte ad offrire servizi ed interventi tempestivi per contrastare questi effetti della pandemia, che potremmo definire secondari, nel senso che si svilupperanno a lungo raggio. Tutto dovrebbe avvenire in un’ottica di prevenzione e promozione della salute pubblica che non può non passare anche attraverso delle campagne di sensibilizzazione.

 

Bibliografia

  • Panno, A., Carbone, G. A., Massullo, C., Farina, B., & Imperatori, C. (2020). COVID-19 Related Distress Is Associated With Alcohol Problems, Social Media and Food Addiction Symptoms: Insights From the Italian Experience During the Lockdown. Frontiers in Psychiatry, 11, 1314.
  • Idagine Censis (2018) I Media digitali e la fine dello star system, https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Sintesi_2.pdf
  • Gordon et al. (2018) What is the evidence for “food addiction?” a systematic review, Nutrients, 10(4), 477, doi: 10.3390/nu10040477
  • Selye, H. (1956). The stress of life.
  • Selye, H. (1974). Stress without distress. Philadelphia.