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Università di Losanna

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ALPI: CON DUE GRADI IN PIÙ PROBABILE RADDOPPIO DI TEMPORALI ESTIVI DI TIPO ESTREMO

Pubblicato su «npj Climate and Atmospheric Science» la ricerca di un team di scienziati dell’Università di Padova e dell’Università di Losanna che ha analizzato i dati di quasi 300 stazioni meteorologiche sulle Alpi. La pubblicazione rivela come un aumento di 2°C della temperatura della regione potrebbe far raddoppiare la frequenza di eventi estremi estivi

Le precipitazioni estreme di breve durata, ovvero quelle molto intense che sviluppano enormi quantità di pioggia nell’arco di pochi minuti o poche ore, possono causare gravi danni alle proprietà e mettere a rischio vite umane. Nel settembre 2022 un evento meteorologico estremo ha colpito la regione Marche: più di 100 mm di pioggia in un’ora hanno generato inondazioni e dissesti che hanno provocato la morte di 13 persone e danni per 2 miliardi di euro.

Con il riscaldamento globale questi eventi rischiano di diventare sempre più frequenti, soprattutto nella regione alpina dove le temperature stanno aumentando più rapidamente rispetto alla media globale. L’aria calda trattiene maggiore umidità (circa il 7% in più per grado) e, in aggiunta, l’attività temporalesca si intensifica con l’aumentare della temperatura. Quantificare il possibile impatto del cambiamento climatico su questi eventi è fondamentale.

Nello studio dal titolo “A 2°C warming can double the frequency of extreme summer downpours in the Alps” pubblicato su «npj Climate and Atmospheric Science» del gruppo Nature, il team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Università di Losanna ha dimostrato che un aumento medio della temperatura di 2°C potrebbe raddoppiare la frequenza dei temporali estivi di breve durata nella regione alpina: ciò che oggi accade ogni mezzo secolo potrebbe verificarsi in futuro ogni 25 anni.

La ricerca

I ricercatori hanno esaminato i dati di quasi 300 stazioni meteorologiche sulle Alpi europee, distribuite tra Svizzera, Germania, Austria, Francia e Italia. Si sono concentrati sugli eventi di pioggia record (della durata da 10 minuti a un’ora) tra il 1991 e il 2020, nonché sulle temperature associate a queste tempeste.

Sulla base di queste osservazioni è stato sviluppato un modello statistico che incorpora principi fisici per stabilire un legame tra temperatura e frequenza delle piogge, e poi per simulare la futura frequenza delle precipitazioni estreme utilizzando proiezioni climatiche regionali.

Secondo quanto emerso dalla ricerca, i problemi per le aree montane potrebbero intensificarsi anche con un incremento medio di 1°C delle temperature locali.

«Un aumento di 1°C non è ipotetico, è probabile che si verifichi nei prossimi decenni», dice Francesco Marra, ricercatore al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e uno degli autori principali dello studio. «Stiamo già assistendo a una tendenza all’intensificazione dei temporali estivi e ci si aspetta che questa tendenza peggiori ulteriormente negli anni a venire».

Francesco Marra
Francesco Marra

«L’arrivo improvviso e massiccio di grandi volumi d’acqua impedisce al suolo di assorbire l’eccesso», sottolinea Nadav Peleg, ricercatore all’Università di Losanna e primo autore dello studio. «Questo può innescare inondazioni improvvise e colate detritiche, portando danni alle infrastrutture e, in alcuni casi, vittime».

Nadav Peleg
Nadav Peleg

Gli autori concludono ricordando quanto sia cruciale capire come questi eventi possano evolversi con il cambiamento climatico al fine di pianificare appropriate strategie di adattamento, anche in termini di adeguamento delle infrastrutture. L’analisi dell’intensificazione prevista per le precipitazioni estreme di 10 minuti da 1 a 3 gradi di riscaldamento regionale conferma un’intensificazione generale nell’area alpina, con un rafforzamento maggiore alle quote più elevate. Con un aumento di 2°C della temperatura media regionale, le statistiche sulle precipitazioni estreme nelle Alpi subiranno probabilmente cambiamenti significativi, determinando un raddoppio della probabilità di occorrenza dei livelli di pioggia estrema. Solo attraverso una comprensione approfondita di questi fenomeni e un’azione tempestiva possiamo sperare di proteggere le comunità montane e preservare l’ecosistema unico delle Alpi per le generazioni future.

nell'immagine, pioggia sulle Alpi

Riferimenti bibliografici: 

Nadav Peleg, Marika Koukoula e Francesco Marra, A 2°C warming can double the frequency of extreme summer downpours in the Alps, npj Climate and Atmospheric Science (2025), DOI: 10.1038/s41612-025-01081-1

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Cambiamento climatico: il ritiro dei ghiacciai indebolisce le interazioni tra piante e impollinatori, la biodiversità, l’ecosistema

Con il ritiro dei ghiacciai le interazioni tra piante e impollinatori diventano più fragili, rischiando di rendere l’intero ecosistema più vulnerabile ai cambiamenti ambientali in atto e meno resiliente.
È il risultato della ricerca di un’equipe internazionale di scienziati coordinato dall’Università Statale di Milano, effettuata nell’area del ghiacciaio del Monte Miné nelle Alpi Svizzere e pubblicata su
Ecography.

Milano, 12 novembre 2024 – I ghiacciai si stanno ritirando, questo ormai è noto. Ma che cosa succede alla terra una volta libera dal ghiaccio? Che tipo di nuovo ecosistema si viene a formare?

Per capire l’impatto del ritiro dei ghiacciai su biodiversità e funzionamento dei sistemi ecologici, un’équipe internazionale di scienziati dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’Università di Losanna, con l’Università Sapienza di Roma e con l’Università di Modena e Reggio Emilia, ha preso in esame le interazioni tra piante e impollinatori e ha scoperto che il ritiro dei ghiacciai mette a rischio la stabilità delle relazioni tra piante e impollinatori, fondamentali per la biodiversità.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Ecography è stato effettuato nell’area del ghiacciaio del Monte Miné nelle Alpi Svizzere, un luogo in cui i ghiacciai si sono costantemente ritirati a causa dell’aumento delle temperature globali.

Utilizzando una modellazione ecologica avanzata basata sulla teoria delle reti che analizza l’ecosistema sulla base delle interazioni tra molte specie diverse, i ricercatori hanno identificato i meccanismi chiave nell’evoluzione di queste interazioni su un arco temporale di 140 anni. È così emerso che le specie di piante in una prima fase formano connessioni altamente specializzate con i loro impollinatori, creano relazioni di mutua dipendenza e “mutua assistenza”. Ad esempio, piante pioniere come l’epilobio (Epilobium fleischeri) sono risultate avere relazioni forti e uniche con impollinatori specifici, assicurando il successo riproduttivo alla pianta e risorse alimentari agli impollinatori.

Tuttavia, con l’arretramento dei ghiacciai e l’aumento della colonizzazione da parte della foresta, hanno iniziato a dominare piante come il rododendro (Rhododendron ferrugineum), una pianta “super-generalista” che interagisce con una più ampia varietà di impollinatori, indebolendo la solidità della rete complessiva.

Nelle prime fasi del ritiro del ghiacciaio, abbiamo riscontrato che molte specie vegetali formavano interazioni specializzate con gli impollinatori, creando una rete molto fitta e robusta. Ma con l’avanzare del ritiro e la maturazione dell’ecosistema, in particolare con l’arrivo della foresta e la scomparsa delle praterie, abbiamo assistito a uno spostamento verso specie più generaliste. Se da un lato queste specie generaliste possono adattarsi a una gamma più ampia di partner, dall’altro formano con loro connessioni più deboli, che potrebbero rendere l’intero ecosistema più vulnerabile ad ulteriori cambiamenti ambientali” spiega Gianalberto Losapio, ricercatore del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano e coordinatore della ricerca.

Il team ha utilizzato un approccio interdisciplinare unico, concentrandosi sui “motivi di rete”, piccoli schemi di interazione all’interno di una rete più ampia. Si è visto così che con l’arretramento dei ghiacciai e il cambiamento degli ecosistemi, questi piccoli motivi passano dall’essere altamente connessi a diventare più frammentati, il che è un indicatore critico di ridotta resilienza.

Questo studio è stato condotto sulla fronte di un ghiacciaio subalpino, ma il ritiro dei ghiacciai avviene in tutto il mondo. Per comprendere appieno gli impatti globali, abbiamo bisogno di studi simili in altre regioni” conclude Losapio.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano.

Scoperto un nuovo tipo di astrociti, definiti astrociti glutammatergici: si tratta di cellule cerebrali essenziali per la memoria, l’apprendimento e il controllo del movimento

Uno studio pubblicato da Nature che ha tra i suoi protagonisti l’Università di Roma Tor Vergata e la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma evidenzia l’esistenza di un terzo tipo di cellule cerebrali essenziali, finora sconosciute, che si pongono a metà tra i neuroni e la glia.

Ada Ledonne
Ada Ledonne. Crediti Foto: Fondazione Santa Lucia IRCCS

Roma, 12 settembre 2023 – Uno studio, svolto presso l’Università di Losanna (UNIL) in Svizzera e presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma con il contributo in tutte le sue fasi della ricercatrice Ada Ledonne – seconda autrice del lavoro – ha scoperto una terza tipologia di cellule cerebrali essenziali che agiscono sui circuiti cerebrali legati alla memoria, all’attenzione e al controllo del movimento.

Lo studio, pubblicato da Nature, ha individuato una particolare tipologia di astrociti, cellule tra i componenti della “glia” ossia la parte non-neuronale del cervello che fornisce struttura, nutrimento e regola l’ambiente all’interno dell’encefalo. Gli astrociti scoperti dal gruppo di ricerca sono però differenti perché presentano caratteristiche neuronali e sono in grado di mettere in circolo il glutammato, un neurotrasmettitore. Questa caratteristica, mai osservata prima di questo studio, pone questi astrociti a metà tra le cellule gliali e le cellule neuronali ed evidenzia l’esistenza di una terza categoria di cellule, finora sconosciuta, necessaria al buon funzionamento del cervello.

Ada Ledonne e Nicola Biagio Mercuri
Ada Ledonne e Nicola Biagio Mercuri. Crediti Foto: Fondazione Santa Lucia IRCCS

Lo studio è stato diretto dal prof. Andrea Volterra, professore emerito presso l’Università di Losanna e visiting faculty presso il Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra, in passato anche visiting scientist presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma. Lo studio è stato condotto da un team internazionale di ricercatori che ha avuto tra i suoi protagonisti, sia in Italia sia in Svizzera, la farmacologa e neuroscienziata Ada Ledonne, attualmente ricercatrice presso l’Università di Roma Tor Vergata e anche presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS, nel laboratorio di Neurologia Sperimentale diretto dal neurologo prof. Nicola Biagio Mercuri, professore di Neurologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, il quale ha contribuito a questo studio.

“I risultati ottenuti” spiega la dott.ssa Ledonne “dimostrano che gli astrociti glutammatergici influenzano l’attività neuronale, la neurotrasmissione e la plasticità sinaptica in importanti circuiti cerebrali, quali il circuito cortico-ippocampale e il sistema dopaminergico nigrostriatale, con implicazioni nella regolazione di processi di apprendimento e memoria, controllo del movimento, e insorgenza di crisi epilettiche”.

Le cellule scoperte sono coinvolte anche nei meccanismi di plasticità sinaptica neuronale, ossia nei meccanismi che regolano la forza della comunicazione tra i neuroni. In particolare lo studio pubblicato su Nature dimostra che gli astrociti glutammatergici sono essenziali per una forma di plasticità (chiamata potenziamento a lungo termine) che è alla base dei processi di apprendimento. Infatti, interferendo con la funzione di questo nuovo tipo di astrociti nei modelli sperimentali si ha un danneggiamento della memoria.

L’identificazione di questa nuova tipologia di cellule cerebrali con caratteristiche intermedie tra astrociti e neuroni risolve le precedenti controversie sulla capacità degli astrociti di effettuare rilascio vescicolare di trasmettitori. In questo modo costituisce un notevole avanzamento della conoscenza dei meccanismi di funzionamento del cervello.

“Nello studio pubblicato su Nature è stato anche evidenziato un ruolo importante degli astrociti glutammatergici nel controllo del circuito cerebrale che regola il movimento – il sistema dopaminergico nigrostriatale – la cui alterazione funzionale è alla base della malattia di Parkinson” commenta la dott.ssa Ada Ledonne.

I risultati ottenuti sono pertanto estremamente utili alla comprensione dei meccanismi che portano allo sviluppo di diverse patologie neurologiche e la creazione di nuove terapie che, agendo su questo meccanismo appena scoperto, possano influenzare il decorso di varie malattie cerebrali.

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Una nuova cellula “ibrida” per consolidare la memoria e regolare i circuiti cerebrali

Un nuovo studio internazionale, realizzato in collaborazione con la Sapienza Università di Roma, ha scoperto una sottopopolazione di cellule neuronali, fondamentali nel controllo delle attività cerebrali. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature, aprono nuove strade per il trattamento di malattie neurologiche come l’epilessia o il Parkinson.

Il cervello funziona grazie ai neuroni e alla loro capacità di elaborare e trasmettere informazioni. Per supportarli in questo compito le cellule gliali svolgono una serie di funzioni strutturali, energetiche e immunitarie. Alcune di queste, conosciute come astrociti, circondano le sinapsi, ovvero i punti di contatto in cui i neurotrasmettitori vengono rilasciati per diffondere le informazioni tra i neuroni.

Per questo motivo, i neuroscienziati suggeriscono da tempo che gli astrociti potrebbero avere un ruolo attivo nella trasmissione sinaptica e partecipare alla elaborazione delle informazioni.

Una ricerca internazionale, coordinata da Andrea Volterra dell’Università di Losanna  in collaborazione con un gruppo di neuroscienziati della Sapienza e del Wyss Center di Ginevra, ha portato alla scoperta di una nuova sottopopolazione di astrociti, un ibrido per composizione e funzione tra i due tipi di cellule cerebrali finora conosciute, i neuroni e le cellule gliali, che sono in grado di controllare il livello di comunicazione e di eccitazione dei neuroni.

“Lo studio – afferma Maria Amalia Di Castro del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia della Sapienza – dimostra che il sottogruppo risponde a stimolazioni selettive con rapido rilascio di glutammato in aree spazialmente delimitate che ricordano le sinapsi. Il rilascio di glutammato da parte di queste cellule specializzate esercita un’influenza sulla trasmissione sinaptica e regola i circuiti neuronali”.

I ricercatori hanno osservato a livello sperimentale che, senza questo meccanismo funzionale, il  processo neurale coinvolto nella memorizzazione a lungo termine, risulta compromesso.

Le implicazioni di questa scoperta si estendono anche ai disturbi cerebrali come l’epilessia o il Parkinson. Interrompendo specificamente gli astrociti glutammatergici, il gruppo di ricerca ha dimostrato che risulta compromesso sia il consolidamento della memoria, che gli effetti negativi di alcune patologie come l’epilessia, con un aumento delle crisi da parte dei pazienti.

Infine, lo studio dimostra che gli astrociti glutamatergici hanno anche un ruolo nella regolazione dei circuiti cerebrali coinvolti nel controllo del movimento e potrebbero offrire bersagli terapeutici per la malattia di Parkinson.

 

 

Riferimenti bibliografici:

Specialized astrocytes mediate glutamatergic gliotransmission in the CNS – Roberta de Ceglia, Ada Ledonne, David Gregory Litvin, Barbara Lykke Lind, Giovanni Carriero, Emanuele Claudio Latagliata, Erika Bindocci, Maria Amalia Di Castro, Iaroslav Savtchouk, Ilaria Vitali, Anurag Ranjak, Mauro Congiu, Tara Canonica, William Wisden, Kenneth Harris, Manuel Mameli, Nicola Mercuri, Ludovic Telley & Andrea Volterra – Nature 2023. https://www.nature.com/articles/s41586-023-06502-w

 

Crediti Foto: Fondazione Santa Lucia IRCCS. Testi e immagini dall’Ufficio Stampa di Ateneo Università di Roma Tor Vergata e dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma. Aggiornato il 28 Settembre 2023.

API E NUMERI

La figurazione spaziale dei numeri è una rappresentazione di natura biologica comune a sistemi nervosi con origini evolutive distanti

Gli insetti si rappresentano i numeri in ordine crescente, i più piccoli a sinistra e quelli più grandi a destra: lo dimostra lo studio pubblicato su PNAS che vede coinvolti ricercatori delle università di Padova, Tolosa e Losanna coordinati da Rosa Rugani del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Ateneo patavino

 

Esattamente come gli esseri umani, anche le api ordinano le numerosità crescenti da sinistra verso destra. Noi infatti rappresentiamo (Linea Numerica Mentale) i numeri nello spazio, i più piccoli a sinistra e i più grandi a destra, e l’orientamento di questa linea mentale dipende sicuramente da fattori sociali e culturali, come testimonia l’esistenza, in una minoranza di società, di una direzionalità opposta (da destra verso sinistra) rispetto a quella, prevalente, occidentale.

Recentemente un ordinamento spaziale dei numeri è stato dimostrato anche in varie specie animali come i macachi e i pulcini di pollo domestico. Una questione cruciale rimane tuttavia capire l’origine di un’associazione numerica spaziale, orientata da sinistra a destra, piuttosto che da destra a sinistra, nei vertebrati (umani e animali) e negli invertebrati, malgrado la considerevole riduzione nella dimensione del cervello e nel numero dei neuroni.

La ricerca dal titolo “An insect brain organizes numbers on a left-to-right mental number line” pubblicata sulla rivista «PNAS» dimostra che la figurazione spaziale dei numeri è una rappresentazione di natura biologica comune a sistemi nervosi con origini evolutive distanti. Il comportamento di scelta osservato nelle api, dotate di un “micro-cervello”, evidenzia la convergenza delle strategie di elaborazione numerica che esistono tra cervelli di diverse complessità nonostante le differenze evolutive.

La ricerca

L’ape mellifera è dotata di spiccate abilità di orientamento spaziale e di conteggio simili ad alcuni vertebrati. Rimaneva tuttavia un mistero se questi piccoli invertebrati orientassero i numeri nello spazio in ordine crescente come fanno gli esseri umani con la Linea Numerica Mentale.

Dopo avere addestrato le api a trovare del cibo (una soluzione zuccherina) in prossimità di un’immagine raffigurante 3 figure posta davanti a loro, i ricercatori hanno osservato la reazione delle api davanti a due immagini, del tutto identiche: una posta a sinistra e l’altra a destra. Entrambe le immagini raffiguravano lo stesso numero di figure in numero però diverso da 3 (che era l’entità numerica appresa durante l’addestramento). Nel primo esperimento le due immagini raffiguravano entrambe una figura, nel secondo ne raffiguravano cinque.

Di fronte a un numero più piccolo di figure, per intenderci quello con numerosità pari a uno, le api cercavano il cibo in prossimità dell’immagine di sinistra, mentre quando il numero di figure era maggiore di tre, nel nostro caso cinque, le api si dirigevano verso destra. Una serie di esperimenti di controllo hanno evidenziato come sia la numerosità a determinare l’associazione con lo spazio e non la quantità di area, perimetro o densità delle immagini.

In un esperimento cruciale, si sono selezionati due gruppi di api: uno è stato addestrato a trovare il cibo in prossimità di un’immagine centrale raffigurante una singola figura, l’altro gruppo è stato addestrato con cinque figure.

Quando le api sono state poste di fronte a due pannelli raffiguranti tre figure, quelle addestrate con una figura si sono dirette verso destra, mentre quelle addestrate con cinque figure si sono dirette a verso sinistra. È interessante notare come lo stesso numero (il 3) diriga il comportamento verso destra con api addestrate con una singola figura o verso sinistra per quelle addestrate con cinque figure.

In altre parole, se le api vedono una numerosità più piccola di quella iniziale vanno verso sinistra e quando ne vedono una più grande vanno a destra. Inoltre, la grandezza di un numero è relativa e dipende dal confronto con il numero osservato durante addestramento.

Api e numeri
Api e numeri

Le api hanno una MNL (pdf)

«La dimostrazione che le api dispongano i numeri piccoli a sinistra e numeri grandi a destra evoca la famosa Linea Numerica Mentale umana, dove i numeri sono rappresentati in ordine crescente da sinistra a destra – dice Rosa Rugani del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e team leader della sperimentazione –. I nostri risultati mostrano che l’associazione tra spazio e numerosità è coerente tra varie specie, compresi gli esseri umani, supportando l’ipotesi di una rappresentazione numerica radicata nell’organizzazione dei sistemi nervosi lateralizzati in cui i due emisferi elaborano informazioni in modo differente. La direzione di mappatura da sinistra a destra durante l’evoluzione potrebbe essere stata imposta dall’asimmetria cerebrale. Tale caratteristica comune e antica, che si verifica in una vasta gamma di vertebrati e invertebrati, può aver aiutato diverse specie a elaborare meglio diversi tipi di informazioni. La ricerca – conclude Rugani – suggerisce che la capacità di ordinare i numeri spazialmente sia probabilmente emersa in diverse specie, esibendo asimmetrie nell’elaborazione delle informazioni tra l’emisfero sinistro e destro del cervello. Questo studio indica che la predisposizione a mappare i numeri nello spazio in ordine crescente sia incorporata nell’architettura dei sistemi neurali degli organismi, indipendentemente dalla loro complessità».

La ricerca è stata supportata da un progetto Marie Curie Global (European’s Union Horizon 2020 Research and Innovation program under the Marie Sklodowska-Curie Grant/Award Number: SNANeB_795242)

Rosa Rugani
Rosa Rugani, team leader della sperimentazione su api e numeri

Rosa Rugani è ricercatrice al Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università degli Studi di Padova e da oltre un decennio studia le basi biologiche dei processi cognitivi.  Dopo la laurea e il dottorato di ricerca conseguiti all’Università degli Studi di Padova, la sua attività di ricerca è proseguita principalmente al Dipartimento di Psicologia Generale dello stesso Ateneo, comprendendo vari periodi di formazione al Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento e al Center for Avian Cognition dell’Università del Saskatchewan in Canada, Center for Cognitive Neuroscience della Duke University a Durham in North Carolina,  USA, Department of Psychology, University of Potsdam, Potsdam, Germany e Department of Psychology, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, United States. Ha pubblicato su numerose prestigiose riviste internazionali e il suo lavoro ha suscitato l’interesse in particolare per quanto concerne il suo innovativo contributo al progresso della conoscenza inerente la questione dell’origine e delle basi biologiche delle abilità matematiche nei modelli animali.

Link alla ricercahttps://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2203584119

Titolo: “An insect brain organizes numbers on a left-to-right mental number line” – PNAS 2022

Autori: Martin Giurfa, Claire Marcout, Peter Hilpert, Catherine Thevenot and Rosa Rugani

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova sullo studio su api e numeri

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”: un nuovo studio Sapienza mette in luce il ruolo delle cellule stellate nello sviluppo del nostro cervello 

Un nuovo studio della Sapienza ha evidenziato il ruolo degli astrociti nei processi di sviluppo cerebrale neonatale. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Cell Reports permettono di approfondire alcuni meccanismi molecolari di base di molte patologie psichiatriche del neurosviluppo che insorgono nel periodo perinatale, come l’autismo, la schizofrenia o il deficit dell’attenzione, e di individuare nuovi potenziali farmaci.

astrociti cellule stellate sviluppo cervello

Gli astrociti rappresentano un importantissimo contingente strutturale del nostro cervello, più numeroso di circa dieci volte rispetto a quello formato dai neuroni. Queste cellule stellate sono sicuramente meno conosciute dei neuroni, ma non meno importanti da un punto di vista funzionale.

astrociti cellule stellate sviluppo cervello

Un nuovo studio coordinato da Paola Bezzi del Dipartimento di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza Università di Roma, realizzato insieme con ricercatori delle Università di Losanna e di Zurigo, mette in luce come la crescita e la maturazione delle cellule stellate subito dopo la nascita sia fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni e quindi per la corretta formazione e funzione dei circuiti nervosi nel cervello adulto. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Cell Reports.

La funzione cerebrale si basa sull’attività dei circuiti nervosi e sui processi di trasmissione del segnale tra neuroni che avviene in piccole strutture chiamate sinapsi. Appena dopo la nascita, durante il periodo dell’allattamento, i neuroni sono ancora immaturi e le sinapsi sono ancora in via di formazione. Poco si sapeva invece sullo sviluppo e sul ruolo delle cellule stellate nei processi di sviluppo cerebrale neonatale.

I ricercatori hanno sviluppato un nuovo approccio metodologico basato sull’iniezione di coloranti fluorescenti in grado di fornire una visione più dettagliata dell’organizzazione strutturale degli astrociti.

Lo studio ha fatto emergere che la funzionalità dei circuiti neuronali e delle sinapsi dipendono dal corretto sviluppo delle cellule stellate che durante il periodo neonatale hanno una riserva energetica particolarmente sviluppata.

“Abbiamo scoperto che tra le varie funzioni di queste cellule, ce ne è una che è fondamentale per il funzionamento dei neuroni: la produzione di energia – spiega Paola Bezzi della Sapienza. “Gli astrociti sono dei veri e propri “baby-sitter” dei neuroni in via di sviluppo e usano molta energia per svolgere questo ruolo fondamentale.  Usando delle tecniche genetiche di recente sviluppo, abbinate alla colorazione di una singola cellula, abbiamo dimostrato che in caso di malfunzionamento degli organelli deputati alla produzione di energia (i mitocondri), le cellule stellate non si sviluppano, non si prendono cura dei neuroni e così facendo inducono problemi nella formazione e maturazione delle cellule nervose e nelle sinapsi”.

Nel campo delle neuroscienze, l’astrocita rappresenta attualmente uno degli argomenti più entusiasmanti in quanto le ricerche sulla maturazione perinatale del cervello sono alla base della comprensione delle malattie ad esso collegate.

I risultati ottenuti dai ricercatori permettono di approfondire i meccanismi cellulari e molecolari di numerose patologie psichiatriche che insorgono nel periodo perinatale e colpiscono prevalentemente la maturazione dei circuiti nervosi, come l’autismo, la schizofrenia o il deficit dell’attenzione, e di individuare così nuovi potenziali farmaci.

Riferimenti:

Mitochondrial biogenesis in developing astrocytes regulates astrocyte maturation and synapse formation – Tamara Zehnder, Francesco Petrelli, Jennifer Romanos, Franck Polleux, Mirko Santello, Paola Bezzi – Cell Reports (2021) https://doi.org/10.1016/j.celrep.2021.108952

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sullo studio circa il ruolo delle cellule stellate per lo sviluppo del cervello.