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“Energetica degli ecosistemi”: la fauna selvatica africana ha perso un terzo della sua “energia naturale”

A rivelarlo una ricerca dell’Università di Oxford realizzata in collaborazione con la Sapienza, che individua il declino della biodiversità come causa del fenomeno. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, propone misure innovative per la tutela degli ecosistemi.

Ogni ecosistema terrestre possiede una propria “energia naturale” che alimenta funzioni ecologiche vitali come il ciclo dei nutrienti e la dispersione dei semi.

Un nuovo studio condotto dall’Università di Oxford in collaborazione con la Sapienza di Roma, ha introdotto un nuovo approccio basato proprio sull’“energetica degli ecosistemi” che ha quantificato la perdita di energia naturale della fauna africana.

I risultati pubblicati sulla rivista scientifica Nature, hanno evidenziato che, rispetto all’epoca precoloniale, l’energia naturale complessiva del continente africano è diminuita di oltre un terzo a causa del declino di specie di grandi dimensioni come elefanti, rinoceronti e leoni che modellavano e regolavano l’ecosistema in passato. In questo senso i grandi animali selvatici rappresentano veri e propri ingegneri ecologici che non possono essere semplicemente sostituiti da specie più piccole o da bestiame.

“La ricerca mostra come la riduzione dell’energia nelle comunità di uccelli e mammiferi non sia stata uniforme, ma abbia colpito in modo differenziale i gruppi funzionali che sostengono processi ecosistemici essenziali come la dispersione dei semi, l’impollinazione e il modellamento della vegetazione”, dichiara Luca Santini della Sapienza di Roma, coautore dello studio.

Basandosi su dati relativi a oltre 3.000 specie di uccelli e mammiferi distribuite su 317.000 paesaggi comprendenti foreste, savane e deserti, i ricercatori hanno combinato sei grandi set di dati ecologici, incluso un nuovo Indice di Integrità della Biodiversità per l’Africa, costruito con il contributo di esperti locali.

Questa prospettiva energetica rivela non solo quanto della biodiversità sia andato perso, ma anche come tale perdita incida sul funzionamento stesso della natura. Mentre i grandi mammiferi hanno subito i cali più gravi, specie più piccole – come roditori e uccelli canori – dominano ora i flussi energetici residui del continente.

Lo studio, oltre a diagnosticare il declino delle comunità di uccelli e mammiferi africane, propone anche l’uso di un approccio “energetico” per informare progetti di restauro ecologico. La mappatura dei flussi di energia permette di quantificare l’integrità dei gruppi di specie che svolgono importanti funzioni ecosistemiche, identificando quindi priorità di restauro che prescindono dalla composizione specifica.

Questa ricerca potrebbe ridefinire il modo in cui scienziati e decisori politici valutano la perdita di biodiversità in tutto il mondo, in quanto il destino delle singole specie è collegato al funzionamento e alla stabilità dell’intero pianeta.

Grafico che mostra il flusso energetico per la fauna selvatica africana secondo il nuovo approccio della energetica degli ecosistemi
Grafico che mostra il flusso energetico per la fauna selvatica africana secondo il nuovo approccio della energetica degli ecosistemi

Roma, 3 novembre 2025

 

Riferimenti bibliografici:

Ty Loft, Imma Oliveras Menor, Nicola Stevens, Robert Beyer, Hayley S. Clements, Luca Santini, Seth Thomas, Joseph A. Tobias & Yadvinder Malhi, Energy flows reveal declining ecosystem functions by animals across Africa, Nature (2025), DOI: 10.1038/s41586-025-09660-1

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione, Ufficio Rettorato Sapienza Università di Roma

PISTE DA SCI E BIODIVERSITÀ: UNA RISORSA INATTESA PER GLI UCCELLI ALPINI

Uno studio del Bird Lab Torino scopre che, in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie. Ma gli impatti ambientali restano una minaccia

Le piste da sci delle Alpi italiane, spesso al centro del dibattito per il loro impatto ambientale, potrebbero offrire un’insolita risorsa ecologica in primavera: aree di alimentazione per diverse specie di uccelli. È quanto emerge dallo studio “Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes”, appena pubblicato sulla rivista Bird Conservation International, condotto dal Bird Lab Torino e guidato dal dott. Riccardo Alba.

La ricerca, svolta nel comprensorio sciistico della Via Lattea, nei pressi di Sestriere (Alpi Cozie), ha documentato la presenza attiva di 17 specie di avifauna lungo le piste innevate. Gli uccelli sembrano prediligere i margini delle piste dove la neve si alterna al fango, creando microhabitat ricchi di invertebrati, proprio in un periodo critico dell’anno in cui le specie devono recuperare energie in vista della stagione riproduttiva.

Alpi Cozie

Il fenomeno è legato allo scioglimento ritardato della neve sulle piste rispetto agli habitat circostanti, dovuto sia al compattamento del manto nevoso sia all’utilizzo di neve artificiale. Una dinamica simile a quella delle chiazze di neve residua in natura, che offre opportunità alimentari in ambienti altrimenti ancora inospitali a fine inverno.

Ma lo studio mette anche in guardia: il bilancio ecologico complessivo dell’attività sciistica resta negativo. La costruzione e la gestione delle piste comportano alterazioni significative dell’ambiente alpino, dalla rimozione della vegetazione alla compattazione del suolo, fino all’impiego sempre più massiccio di neve artificiale, con impatti idrici e biologici ancora poco noti.

Alla luce dei cambiamenti climatici e del previsto calo delle nevicate naturali, gli autori sottolineano l’urgenza di integrare le dinamiche ecologiche legate alla neve e alla fauna nelle strategie di gestione del territorio montano. Promuovere un turismo più sostenibile e una pianificazione attenta agli equilibri ecologici diventa fondamentale per tutelare la biodiversità alpina, oggi sempre più sotto pressione.

uno spioncello (Anthus spinoletta)
Piste da sci e biodiversità: in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie di uccelli sulle Alpi Cozie; lo studio pubblicato sulla rivista Bird Conservation International. In foto, uno spioncello (Anthus spinoletta)

Riferimenti bibliografici:

Alba R, Fragomeni A, Rosselli D, Chamberlain D, Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes, Bird Conservation International 2025;35:e23. doi:10.1017/S0959270925100130

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

AREE PROTETTE SOTTO PRESSIONE: IL CAMBIAMENTO CLIMATICO SPINGE GLI UCCELLI PIÙ IN ALTO, MA LA CONSERVAZIONE NON TIENE IL PASSO

Uno studio condotto dai ricercatori di UniTo nelle Alpi Cozie e Graie rivela che le specie adattate al freddo stanno scomparendo anche dove la natura è tutelata

Le montagne sono hotspot di biodiversità a livello globale, ma sono anche tra gli ambienti più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nelle Alpi europee, il riscaldamento globale e le trasformazioni del paesaggio stanno rapidamente modificando la vegetazione, con effetti diretti sulle comunità di uccelli, in particolare su quelle di alta quota. Le aree protette rappresentano strumenti fondamentali per salvaguardare queste specie adattate al freddo, ma quanto sono realmente efficaci in un mondo che si riscalda?

A questa domanda hanno cercato di rispondere il dott. Riccardo Alba e il prof. Dan Chamberlain del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino nello studio Elevational shifts in bird communities reveal the limits of Alpine protected areas under climate change, recentemente pubblicato sulla rivista Biological Conservation. Coprendo un periodo temporale di 13 anni di dati raccolti lungo un ampio gradiente altitudinale nelle Alpi Cozie e Graie, i ricercatori hanno utilizzato il Community Temperature Index (CTI) – un indicatore della tolleranza termica delle comunità – per valutare l’evoluzione delle comunità ornitiche all’interno e all’esterno delle aree protette.

I risultati mostrano un dato sorprendente: mentre al di fuori delle aree protette il CTI è rimasto stabile, all’interno delle stesse è aumentato rapidamente, riflettendo un incremento delle temperature medie annuali di oltre 1,19 °C nel periodo di tempo coperto. Questo indica che qualcosa sta avvenendo all’interno delle aree protette alpine, dove le comunità ornitiche stanno diventando sempre più simili a quelle presenti in zone non tutelate, probabilmente a causa del declino delle specie di alta quota ma anche per la colonizzazione di specie più comuni dalle quote più basse, come ad esempio la capinera e lo scricciolo.

Le variazioni più marcate si osservano in prossimità del limite del bosco, una fascia sensibile dove la vegetazione arbustiva e forestale sta avanzando verso le alte quote a causa dell’abbandono delle attività pastorali e del cambiamento climatico. Gli autori individuano proprio il cambiamento della copertura vegetale come principale motore di trasformazione delle comunità, sottolineando come la semplice esistenza di aree protette dai confini stabili potrebbe non bastare più a garantire la sopravvivenza degli uccelli più specializzati alle quote estreme.

Per contrastare questi effetti, lo studio suggerisce misure gestionali adattive come il pascolo mirato e la conservazione della connettività altitudinale, oltre a un monitoraggio continuo delle comunità ornitiche negli anni a venire. Solo espandendo la protezione formale e integrando azioni concrete sul campo sarà possibile mantenere habitat eterogenei e resilienti, in grado di ospitare anche in futuro le specie simbolo delle Alpi evitando la loro scomparsa.

Parco naturale dei Laghi di Avigliana. Foto di Elio Pallard, CC BY-SA 4.0
Aree protette sotto pressione: il cambiamento climatico spinge gli uccelli più in alto, ma la conservazione non tiene il passo. Parco naturale dei Laghi di Avigliana. Foto di Elio Pallard, CC BY-SA 4.0

Riferimenti bibliografici:

Riccardo Alba, Dan Chamberlain, Elevational shifts in bird communities reveal the limits of Alpine protected areas under climate change, Biological Conservation Volume 309 2025, 111267, ISSN 0006-3207, DOI: https://doi.org/10.1016/j.biocon.2025.111267

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Uno studio dell’Università di Pisa svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo

La ricerca pubblicata sulla rivista Animal Behaviour mostra come il carattere dei singoli individui influenzi la coesione dei gruppi di colombi durante il volo, anche quando minacciati da RobotFalcon, un predatore robotico usato per la simulazione, la sperimentazione nel laboratorio Arnino a San Piero a Grado (Pisa)

Fare fronte comune di fronte all’ignoto o al pericolo è tutta una questione di personalità, individuale. A rivelare i segreti del volo degli stormi è uno studio condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, appena pubblicato sulla rivista Animal Behaviour. La ricerca che ha analizzato il comportamento collettivo di gruppi di colombi viaggiatori esposti a sfide e mincce, come quella di RobotFalcon, un predatore robotico usato per la sperimentazione. I risultati hanno mostrato che i tratti caratteriali individuali – come la reattività e l’audacia – influenzano in modo decisivo la capacità di un gruppo di rimanere coeso durante il volo.

Uno studio, pubblicato su Animal Behaviour, svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo. Gallery

I ricercatori hanno formato stormi omogenei per “personalità”: alcuni composti da colombi più reattivi, altri da individui meno pronti alla risposta. Dotati di GPS, gli uccelli sono stati seguiti in tre situazioni: il primo volo collettivo lontano dal nido, il ritorno da un sito sconosciuto e l’attacco simulato di un predatore robotico. Nei primi voli, i gruppi più reattivi hanno mantenuto una formazione più compatta, dimostrando un coordinamento superiore. La minaccia del RobotFalcon”, un finto falco pellegrino, ha invece disgregato tutti i gruppi, ma quelli meno reattivi si sono frammentati prima e in modo più marcato.

“Questo studio dimostra che le differenze individuali non si annullano nel gruppo, ma ne modellano le risposte collettive – afferma la dottoressa Giulia Cerritelli dell’Università di Pisa, prima autrice della ricerca – Comprendere questi meccanismi può aiutarci a interpretare meglio i comportamenti sociali degli animali e a sviluppare modelli più realistici di movimento collettivo”.

“Oltre al valore teorico, la ricerca potrebbe avere applicazioni pratiche, ad esempio nella progettazione di strategie per ridurre il rischio incidenti, ad esempio la collisione tra uccelli e aerei, noto come “bird strike, conclude il dottor Dimitri Giunchi dell’Ateneo pisano.

L’esperimento è stato condotto presso la stazione di Arnino dell’Ateneo pisano a San Piero a Grado (Pisa) nell’ambito del progetto PRIN2020 coordinato dal professore Claudio Carere (Università della Tuscia) con il coinvolgimento dell’Università di Pisa e di Milano.

Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Lorenzo Vanni e Anna Gagliardo dell’Unità di Etologia del Dipartimento di Biologia dove da anni si studiano i meccanismi di orientamento  del colombo viaggiatore.

Riferimenti Bibliografici:

Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Robert Musters, Irene Vertua, Lorenzo Vanni, Diego Rubolini, Anna Gagliardo, Claudio Carere, Personality composition affects group cohesion of homing pigeons in response to novelty and predation threat, Animal Behaviour, Volume 223, 2025, 123122, ISSN 0003-3472, DOI: https://doi.org/10.1016/j.anbehav.2025.123122

 

Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

COME GLI UCCELLI SI ADATTANO ALL’URBANIZZAZIONE DEI TERRITORI: TORINO È UN RIFUGIO VERDE PER I VOLATILI FORESTALI

Uno studio condotto in sei città italiane da parte dell’Università di Torino e appena pubblicato su Scientific Reports rivela come le specie di uccelli rispondano all’urbanizzazione in maniera differente in base alle stagioni.

L’espansione delle città è una delle principali cause del declino globale della biodiversità, ma le comunità di uccelli possono rispondere in modo sorprendentemente diverso a questa minaccia nei vari periodi dell’anno. È quanto emerge dalla ricerca “Different traits shape winners and losers in urban bird assemblages across seasons”, pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista Scientific Reports e frutto di una collaborazione tra ricercatori di diverse università italiane e straniere, sotto la guida del National Biodiversity Future Center (NBFC).

Coordinato da Riccardo Alba, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e del Bird Lab Torino, lo studio ha analizzato come le specie di uccelli rispondano all’urbanizzazione lungo un gradiente che va dai centri cittadini fino alle periferie rurali. La ricerca, che ha coinvolto le città italiane di Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli e Campobasso, ha adottato un approccio multi-stagionale, includendo sia il periodo riproduttivo che quello invernale, per cogliere appieno la complessità delle dinamiche ecologiche urbane. Una particolare attenzione è stata posta ai tratti funzionali delle specie – come dieta, strategia riproduttiva, comportamento sociale e modalità di nidificazione – per comprendere quali caratteristiche favoriscano o penalizzino le diverse specie in ambienti urbanizzati.

I risultati mostrano come alcune specie, definite “winners”, riescano a prosperare in città grazie alla nidificazione coloniale, un’elevata numero di covate o una lunga durata della vita. In inverno, invece, prevalgono le specie solitarie e opportuniste, dotate di una dieta generalista. Al contrario, le specie “losers” tendono ad essere insettivore, migratrici e a nidificare al suolo – caratteristiche che le rendono vulnerabili alla perdita di habitat e alle pressioni dell’ambiente urbano. Tuttavia, la maggior parte delle specie rientra nella categoria degli “urban adapters”: non completamente favorite dagli ambienti urbani, ma comunque in grado di sfruttare efficacemente i contesti con un livello intermedio di urbanizzazione. Alcune specie, inoltre, mostrano però notevoli capacità di adattamento stagionale, frequentando aree urbane in inverno ma non durante la stagione riproduttiva e viceversa.

Torino si distingue tra le grandi città del Nord Italia per la sua eccezionale estensione di aree verdi e parchi urbani, che creano un mosaico urbano capace di ospitare una notevole diversità di uccelli, inclusi quelli tipici degli ambienti forestali. I grandi parchi urbani come il Parco della Colletta, il Meisino, il Valentino e la Pellerina offrono habitat idonei a molte specie sensibili, spesso rare in altri contesti metropolitani. In alcuni di questi parchi, ad esempio, si possono osservare specie come la cincia bigia, il rampichino comune e il picchio muratore, ma anche specie più rare nidificano, come il picchio rosso minore, il picchio nero, la colombella o il lodolaio.

Un ruolo chiave è svolto anche dalla collina di Torino, che con il Parco Naturale della Collina di Superga rappresenta un importante polmone verde a ridosso della città, fungendo da serbatoio di biodiversità e da zona di nidificazione per molte specie. Inoltre, il fiume Po, con le sue fasce perifluviali alberate, agisce come un vero e proprio corridoio ecologico, facilitando gli spostamenti e il collegamento tra le aree verdi urbane e quelle naturali circostanti. Questi elementi, inclusi i grossi viali alberati della città, rendono Torino un esempio virtuoso di come le città possano contribuire concretamente alla conservazione della biodiversità, anche di specie forestali più esigenti. Allo stesso tempo, la presenza di una fauna ricca e diversificata nelle aree verdi urbane migliora la qualità della vita dei cittadini, offrendo occasioni di contatto con la natura. Così la biodiversità urbana diventa un patrimonio sociale e culturale da valorizzare.

“Lo studio – dichiara Riccardo Alba – evidenzia la straordinaria capacità degli uccelli di adattarsi a una vasta gamma di condizioni ambientali, anche all’interno di paesaggi fortemente modificati dall’uomo. Considerare le variazioni stagionali è fondamentale per comprendere pienamente le risposte ecologiche delle specie all’urbanizzazione. Questo approccio può contribuire a migliorare la pianificazione del tessuto urbano, rendendolo più sensibile alle esigenze della fauna selvatica e più efficace nel promuovere città sostenibili e ricche di biodiversità”.

Riferimenti bibliografici:

Alba, R., Marcolin, F., Assandri, G. et al., Different traits shape winners and losers in urban bird assemblages across seasons, Sci Rep 15, 16181 (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s41598-025-00350-6

un picchio rosso minore. Foto di Carlo Caimi, CC0
un picchio rosso minore. Foto di
Carlo Caimi, CC0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

I SEGRETI DEI PINGUINI, LA NUOVA SERIE NATIONAL GEOGRAPHIC CHE SVELA COMPORTAMENTI INEDITI CON UNA FOTOGRAFIA MOZZAFIATO DEBUTTERÀ IL 21 APRILE SU DISNEY+

Guidata da Bertie Gregory, National Geographic Explorer e regista vincitore di premi Emmy e BAFTA, la serie si immerge nel mondo incontaminato dei pinguini, mostrando momenti unici, coraggiosi e affascinanti

Narrata nella versione originale da Blake Lively (Un altro piccolo favore), la serie in tre parti vede come produttore esecutivo James Cameron, National Geographic Explorer at Large e vincitore del premio Oscar, ed è prodotta dalla pluripremiata Talesmith

I segreti dei pinguini fa parte della campagna di Disney e National Geographic per il Mese della Terra, per ispirare il pubblico ad apprezzare il mondo naturale usando il potere dello storytelling

I segreti dei pinguini, la serie Key Art
la Key Art

15 aprile 2025 – In occasione della Giornata della Terra, sarà possibile immergersi in un’indimenticabile avventura con I segreti dei pinguini assieme a Bertie Gregory (@BertieGregory), National Geographic Explorer e vincitore di premi Emmy® e BAFTA. Gli executive producer sono James Cameron, National Geographic Explorer at Large e regista vincitore dell’Academy Award®, e i vincitori di Emmy e BAFTA Ruth Roberts e Martin Williams di Talesmith. Questo ultimo capitolo del franchise “I segreti di”, targato National Geographic e vincitore di un Emmy, accompagna gli spettatori di tutte le età negli angoli più remoti del mondo per assistere ai comportamenti dei pinguini catturati su pellicola per la prima volta, mostrando questi simpatici e soffici uccelli che non possono volare, mentre affrontano alcuni degli ambienti più estremi della Terra. Narrata nella versione originale da Blake Lively (Un altro piccolo favore), la serie debutterà il 21 aprile 2025 su Disney+ con tutti e 3 gli episodi.

Quest’anno, The Walt Disney Company celebra il Mese della Terra con una campagna aziendale insieme a National Geographic per ispirare il pubblico ad apprezzare il mondo che ci circonda attraverso il potere dello storytelling. Per tutto il mese di aprile, la campagna ourHOME offrirà nuovi contenuti, attività digitali ed esperienze, e metterà in luce gli sforzi globali per proteggere, ripristinare e celebrare il mondo naturale, permettendo agli spettatori e ai fan di scoprire tanti altri motivi per amare questo luogo chiamato casa.

Nonostante molti documentari abbiano studiato questi animali, I segreti dei pinguini li porta a un livello completamente nuovo. Il team di Talesmith, guidato da Bertie Gregory e da oltre 70 scienziati e filmmaker di fama mondiale, si è imbarcato in un’avventura di due anni per tutto il mondo, dalle spiagge rocciose di Città del Capo e le coste ghiacciate dell’Isola della Georgia del Sud, fino alle Galapagos tropicali e alle grotte desertiche della Namibia, per osservare i pinguini come mai era stato fatto prima. Spingendosi oltre i confini del cinema naturalistico, una troupe di tre persone ha affrontato ben 274 giorni di riprese sulla piattaforma di ghiaccio Ekström, in Antartide, dove vive una colonia di 20.000 pinguini imperatori. Affrontando uno degli ambienti più difficili del pianeta, hanno catturato momenti inediti, come una coppia di pinguini imperatori che si esercita con una palla di neve a trasferire le uova per affinare le proprie capacità in vista del momento in cui dovranno farlo con un uovo vero; pulcini tenaci che navigano tra ghiaccio frammentato in un contesto di cambiamento climatico e giovani pinguini che usano il becco per sollevarsi da un crepaccio.

Con una fotografia mozzafiato e una tecnologia di ripresa all’avanguardia, la serie cattura momenti rari e mai visti prima in natura. Per la prima volta, si potranno osservare pulcini di “rockaroni”, un raro ibrido di pinguini saltarocce (rockhopper) e ciuffodorato (macaroni), con uno sguardo approfondito alla potenziale evoluzione e all’adattamento. Tra le altre scene, un coraggioso pinguino saltarocce che respinge un leone marino meridionale, le prime riprese di una colonia di pinguini africani in una grotta nascosta e gli intelligenti pinguini delle Galapagos che si alleano per un audace furto: rubare il pesce direttamente dal becco dei pellicani e radunare abilmente le palline di sardine come esca.

Nell’aprile del 2024, National Geographic ha presentato per la serie un filmato mozzafiato sui pinguini imperatori,  catturato da Bertie Gregory sulla piattaforma di ghiaccio Ekström in Antartide. Per la prima volta, l’equipaggio ha registrato uno spettacolo sorprendente: centinaia di pulcini di pinguino imperatore che saltano da una scogliera di 15 metri nell’oceano ghiacciato sottostante, uscendone indenni. La serie mostrerà l’intero spettacolo di questo comportamento straordinario, insieme a nuove riprese che inizialmente non erano state incluse nel video virale. A oggi, il filmato ha ottenuto 74 milioni di visualizzazioni sull’account TikTok di National Geographic – il suo video più performante di sempre – e ha ricevuto oltre 165 milioni di visualizzazioni su tutte le piattaforme social di National Geographic. Le riprese di storia naturale di Gregory hanno avuto una tale risonanza tra gli spettatori da far sì che egli abbia registrato alcuni dei video più visti nell’ultimo anno sull’account Instagram di National Geographic. Il video dei pinguini imperatori conta circa 63 milioni di visualizzazioni, mentre il secondo più visto è quello sulle api del Parco Nazionale Dzanga-Sangha con 34 milioni di visualizzazioni, seguito da quello sulle orche antartiche B1 con 23 milioni di visualizzazioni, entrambi tratti dalla sua serie originale Disney+ di National Geographic Bertie Gregory: a tu per tu con gli animali, attualmente in fase di riprese della seconda stagione.

La serie, adatta alle famiglie, si avvale della passione e dell’esperienza di scienziati e ambientalisti di fama mondiale, tra cui il National Geographic Explorer e biologo marino Pablo Borboroglu, la biologa ambientalista Michelle LaRue, l’esperta di pinguini africani Andrea Thiebault, il dottore in medicina veterinaria Gustavo Jiménez Uzcátegui, l’esperta di pinguini Jessica Kemper e la biologa marina Katta Ludynia.

EPISODI

  • “Il cuore dell’imperatore”
    Gli imperatori sono i pinguini più grandi e forti, e vivono nell’ambiente più freddo ed estremo della Terra. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory, inserito in una colonia antartica, si imbatte in capacità relazionali mai riprese prima, scoprendo che i legami forgiati fin dalla nascita tra famiglia, amici ed estranei fanno la differenza tra la vita e la morte.
  • “La sopravvivenza del più intelligente”
    Milioni di anni fa, un gruppo di pinguini ha lasciato i ghiacci, seguendo forti correnti e arrivando in nuove e strane terre. Qui hanno rimodellato le loro tradizioni per i deserti e i tropici e persino per vivere tra gli esseri umani. Messi alla prova fino all’estremo, sono diventati forse i più intelligenti tra tutti i pinguini. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory scopre la loro capacità di risolvere i problemi, di “parlare” e di andare alla ricerca di nuovi mondi.
  • “Ribelli per una causa” 
    Ci vuole un tipo speciale di pinguino coraggioso per sopravvivere al feroce Oceano Antartico, ma 40 milioni di esemplari affollano i suoi avamposti isolati e rocciosi, e sono tra i pinguini più impavidi sulla Terra. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory segue i saltarocce, i gentoo e i ciuffodorato alla scoperta di un mondo fatto di amanti del rischio, ribelli e genitori non convenzionali.

I precedenti capitoli di “I segreti di” comprendono I segreti del polpo, narrata nella versione originale da Paul Rudd; I segreti degli elefanti, narrata nella versione originale da Natalie Portman; e I segreti delle balene, vincitrice di un Emmy, narrata nella versione originale da Sigourney Weaver. Tutti gli episodi sono attualmente disponibili in streaming su Disney+.

I segreti dei pinguini è prodotto da Talesmith per National Geographic. Gli executive producer sono i vincitori del premio Emmy James Cameron e Maria Wilhelm per Lightstorm Earth. Bertie Gregory, vincitore di un BAFTA e di un Emmy Award, è narratore principale, direttore della fotografia e produttore. Per Talesmith, gli executive producer sono i vincitori di Emmy e BAFTA Ruth Roberts e Martin Williams. Il produttore della serie è Serena Davies. Pam Caragol è executive producer per National Geographic.

Hashtag
#DisneyPlus
Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa The Walt Disney Company Italia, Opinion Leader, Cristiana Caimmi.

Tre volte il diametro del loro corpo, a questa profondità nuotano gli animali marini per ridurre al minimo il dispendio energetico nei lunghi spostamenti

L’Università di Pisa partner dello studio pubblicato sulla rivista PNAS.

I rettili marini, gli uccelli e i mammiferi viaggiano a profondità ottimizzate lungo il percorso e quando non si nutrono
I rettili marini, gli uccelli e i mammiferi viaggiano a profondità ottimizzate lungo il percorso e quando non si nutrono

Per ridurre al minimo il dispendio energetico duranti i lunghi spostamenti, gli animali marini non nuotano in superficie, ma a una profondità che corrisponde a circa tre volte il diametro del loro corpo. La scoperta di questo stratagemma che accomuna uccelli, mammiferi e rettili arriva da uno studio coordinato dalle università di Swansea in Gran Bretagna e Deakin in Australia pubblicato sulla rivista PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences USA, al quale hanno partecipato i professori Paolo Luschi Paolo Casale del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa.

“Molte specie semiacquatiche, compreso l’uomo, spesso nuotano nell’interfaccia aria-acqua ma in questo modo generano onde superficiali che provocano un dispendio energia – spiega Luschi – Gli animali marini che nel corso della loro vita percorrono grandi distanze hanno invece elaborato una strategia per evitare questo spreco e che consiste nel nuotare poco sotto la superficie, è un po’ come fanno gli atleti nuotatori subito dopo la partenza, quando rimangono il più a lungo possibile sott’acqua prima di effettuare la prima emersione”.

Piccoli pinguini. Crediti: parchi naturali di Phillip Island
Piccoli pinguini. Crediti: parchi naturali di Phillip Island

La ricerca ha analizzato i dati ottenuti da profondimetri applicati su tartarughe marine e pinguini durante fasi di movimento attivo, che sono stati poi integrati con dati già disponibili nella letteratura  scientifica sulle balene. I risulatai hanno quindi rivelato che animali così diversi impiegano la medesima strategia, che consiste nel nuotare ad una profondità corrispondente a tre volte il loro diametro, al di là delle loro dimensioni che possono variare da 50 centimetri a 20 metri.

“Ci sono ovviamente casi in cui la profondità di nuoto è determinata da altri fattori, come ad esempio la ricerca di prede – sottolinea Luschi – ma i dati generali confermano il modello e questo ha importanti implicazioni a livello di conservazione, contribuendo a diminuire le collisioni con le imbarcazioni e le catture accidentali durante la pesca”.

nuotano gli animali marini Tartaruga Caretta caretta con sistema di rilevamento. Crediti: DEKAMER Archive
Tartaruga Caretta caretta con sistema di rilevamento. Crediti: DEKAMER Archive

In particolare, l’Università di Pisa ha contribuito alla ricerca fornendo i dati sulle tartarughe Caretta caretta nidificanti in Turchia.

“Dati di questo tipo sono estremamente difficili da ottenere – aggiunge Casale – perché sono troppo dettagliati per essere trasmessi tramite satellite e sono quindi necessarie speciali procedure sperimentali per recuperare gli strumenti applicati sugli animali in libertà”.

nuotano gli animali marini Tartaruga verde. Crediti: R. D. and B. S. Kirkby
Tartaruga verde. Crediti: R. D. and B. S. Kirkby

Il gruppo di ricerca dei professori Luschi e Casale da tempo impiega avanzate tecniche di telemetria animale per studiare il comportamento delle tartarughe marine durante i loro estesi movimenti, che comprendono migrazioni anche di centinaia di chilometri.

Riferimenti bibliografici:

K.L. Stokes, N. Esteban, P. Casale, A. Chiaradia, Y. Kaska, A. Kato, P. Luschi, Y. Ropert-Coudert, H.J. Stokes, G.C. Hays, Optimization of swim depth across diverse taxa during horizontal travel, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. (2024) 121 (52) e2413768121, link: https://doi.org/10.1073/pnas.2413768121

 

Testo, video e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.

Lo stress termico prolungato ha un effetto drammatico sugli animali selvatici e sull’intero ecosistema: il caso del falco grillaio (Falco naumanni)

Pubblicata su Global Change Biology una ricerca che dimostra sperimentalmente l’effetto drammatico che le ondate di calore possono avere su alcune specie di uccelli selvatici nell’area mediterranea. Lo studio è stato coordinato dall’Università degli Studi di Milano e condotto in stretta collaborazione con Università di Padova, CNR-IRSA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e Provincia di Matera.

Milano/Padova – 27 luglio 2023 – Lo stress termico prolungato, connesso alla disidratazione e all’impossibilità di dissipare calore, può avere effetti drammatici sugli animali selvatici, in particolare sugli uccelli, fino a condurre alla morte. Per evitare questo esito infausto, basterebbe avere alcuni accorgimenti nella progettazione e costruzione delle strutture destinate ad ospitarli.

 

Lo stress termico prolungato ha un effetto drammatico sugli animali selvatici e sull’intero ecosistema: il caso del falco grillaio. Gallery, foto di Davorin Tome

Ecco la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Padova che, assieme all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), al CNR-IRSA e alla Provincia di Matera, hanno appena pubblicato i risultati dell’esperimento empirico su Global Change Biology, in Open Access.

L’aumento di frequenza e intensità delle ondate di calore nell’area mediterranea negli anni recenti, una conseguenza della crisi climatica in atto, sta infatti avendo profonde ripercussioni sulla biodiversità di questa zona, ma lo studio degli effetti degli eventi estremi è tuttavia complicato dalla loro relativa imprevedibilità temporale e richiede studi di lungo periodo.

Lo studio è stato condotto a Matera durante le ondate di calore che hanno investito il sud Italia nel giugno 2021 e 2022, dove si sono registrate temperature superiori a 37°C per più giorni consecutivi, condizioni estreme di temperatura mai verificate in quest’area nei 20 anni precedenti. I ricercatori hanno sperimentato una metodologia innovativa di raffrescamento dei nidi, per quantificare sperimentalmente l’effetto dell’esposizione a ondate di calore intense e prolungate sul successo riproduttivo di una specie di uccello rapace coloniale caratteristico delle regioni mediterranee, il falco grillaio (Falco naumanni).

Matera ospita infatti ospita una delle maggiori colonie riproduttive mondiali di questa specie, con circa un migliaio di coppie nidificanti, ed è parte integrante del patrimonio culturale della città. Un tempo estremamente abbondante, il falco grillaio è un piccolo rapace migratore (circa 140 g) di interesse conservazionistico a livello europeo, tutelato dalla Direttiva Uccelli, che ha subito un drastico declino delle popolazioni nella seconda metà del secolo scorso, causato dall’intensificazione agricola e da eventi di siccità nella regione del Sahel dove trascorre l’inverno. Nelle regioni mediterranee, la specie nidifica in aree urbane, in cavità di edifici, monumenti e pareti rocciose, e frequenta spesso cassette nido posizionate appositamente dai ricercatori per studiarne l’ecologia e il comportamento riproduttivo e per favorirne la conservazione.

Il raffrescamento sperimentale è avvenuto mediante una semplice ombreggiatura delle cassette nido, che ha consentito di abbassare la temperatura interna delle cassette nido di circa 4°C rispetto a quelle non ombreggiate. Il successo riproduttivo della specie nelle cassette nido non schermate è stato drammaticamente ridotto: solo un terzo delle uova deposte ha generato pulcini pronti all’involo, mentre nelle cassette nido ombreggiate tale valore rientra nella norma (circa 70%). Nelle cassette nido non ombreggiate si sono verificati diffusi episodi di mortalità dei pulcini, tutti in corrispondenza con le giornate più calde (con temperatura dell’aria superiore a 37°C all’ombra e temperature interne delle cassette nido superiori a 44°C), mentre tali eventi sono risultati molto rari nelle cassette nido ombreggiate. Inoltre, i pulcini cresciuti in cassette nido schermate sono risultati essere in condizioni fisiche decisamente migliori e di taglia maggiore, caratteristiche che ne promuovono la sopravvivenza una volta involati.

“Questi risultati evidenziano come fenomeni di temperature estreme, in passato estremamente rari e in alcuni casi mai registrati prima, possano avere effetti profondi e molto rapidi sulle popolazioni di animali selvatici. Considerato che gli scenari di cambiamento climatico prevedono un ulteriore aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore nei prossimi decenni, in particolare nella regione mediterranea, ciò potrebbe rappresentare una ulteriore grave minaccia per la biodiversità delle regioni colpite”spiega il prof. Diego Rubolini dell’Università Statale di Milano.

Tra l’altro, l’attuale persistenza dell’anticiclone africano ha determinato nel 2023 condizioni ancora più calde rispetto al 2021-2022 e i risultati preliminari delle nostre attività di monitoraggio indicano un effetto ancora peggiore sui falchi grillai rispetto a quanto osservato in precedenza.

“Questi risultati suggeriscono anche che limitati accorgimenti nella progettazione e costruzione di strutture destinate ad ospitare animali selvatici, come un incremento dell’isolamento termico delle cassette nido, debbano essere attentamente considerati in quanto possono favorire in maniera significativa il successo dei progetti di conservazione in uno scenario di riscaldamento globale”conclude il prof Andrea Pilastro, dell’Università di Padova.

Lo studio è stato realizzato con il parziale supporto del programma di finanziamento LIFE della Comunità Europea (progetto LIFE FALKON, www.lifefalkon.eu) e del MUR (PRIN 2017).

 

Testo dagli Uffici Stampa dell’Università Statale di Milano e dell’Università di Padova.

Sciami di insetti: gli ingredienti per il volo perfetto

Abilità di muoversi nello spazio e una buona dose di ‘pigrizia’. Sono le caratteristiche necessarie per mantenere unito il gruppo. Lo evidenzia un nuovo studio sul comportamento collettivo di un sistema biologico, come gli sciami di insetti, pubblicato sulla rivista Nature Physics dal CNR-ISC e dal Dipartimento di fisica della Sapienza Università di Roma.

sciami di insetti
Traiettorie tridimensionali del volo dei moscerini all’interno di uno sciame. Crediti: Gruppo CoBBS

Sciami di moscerini e stormi di uccelli sono esempi comuni di comportamenti collettivi biologici. Sebbene gli organismi che compongono tali gruppi siano molto diversi a livello individuale, spesso i comportamenti dei gruppi hanno caratteristiche simili a livello globale. Per esempio, gli sciami di moscerini, che osserviamo nei parchi, ci appaiono tutti uguali, ma in realtà sono spesso sciami di specie diverse. Sembrerebbe dunque che, nonostante le specificità degli individui che ne fanno parte, solo alcuni ingredienti determinano le proprietà collettive di un gruppo.

Uno studio, pubblicato su Nature Physics dal gruppo CoBBS – Collective Behavior in Biological Systems – composto da ricercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isc) e del Dipartimento di fisica della Sapienza Università di Roma, identifica tali ingredienti grazie ad un approccio teorico mutuato dalla fisica dei sistemi complessi interagenti, permettendo di caratterizzare per la prima volta il comportamento collettivo di un sistema biologico.

“Gli sciami sono sistemi solo apparentemente disordinati e caotici; in realtà, al loro interno, gli insetti si comportano in modo altamente coordinato e fortemente correlato. Alla base di questa coordinazione vi è un meccanismo imitativo: ogni moscerino tende a voler imitare il comportamento dei propri vicini”, spiega Stefania Melillo, ricercatrice Cnr-Isc e afferente al gruppo CoBBS. “Sotto questo punto di vista, sciami di insetti e sistemi fisici come i magneti sembrano estremamente simili: in ambedue i casi gli agenti – atomi o animali che siano – provano ad allinearsi gli uni agli altri. Nei magneti questo allineamento permette di generare un campo magnetico stabile, nel caso degli animali invece l’allineamento permette al gruppo intero di coordinarsi anche a grandi distanze”.

Setup sperimentale per l’acquisizione dei dati in vivo sul moto degli sciami di insetti. Crediti: Gruppo CoBBS

Nel nuovo studio, i ricercatori del gruppo CoBBS introducono un modello che combina la capacità degli insetti di allineare la loro velocità a due nuovi ingredienti che derivano da osservazioni sperimentali precedentemente condotte.

“Il primo ingrediente, il più intuitivo e ovvio, è l’abilità degli individui di muoversi nello spazio, che in fisica è chiamata ‘attività’; al contrario dei ferromagneti, gli insetti non sono fermi su un reticolo ma sono liberi di muoversi spinti dalla loro velocità”, afferma Mattia Scandolo del Dipartimento di Fisica, Sapienza Università di Roma. “Il secondo ingrediente è invece quella che viene detta ‘inerzia comportamentale’: questa rappresenta la resistenza degli insetti nel modificare il loro comportamento, una sorta di ‘pigrizia’ che porta i singoli moscerini a non allinearsi istantaneamente al comportamento dei vicini”.

Lo studio rivela che la combinazione di questi due ingredienti aggiuntivi, attività e inerzia, spiega in modo accurato la dinamica dei comportamenti collettivi che emergono negli sciami di moscerini, indipendentemente dalla specie in questione, facendo chiarezza sui meccanismi messi in atto.

L’innovazione della ricerca, tuttavia, sta non solo nei risultati, ma anche nel metodo usato. È infatti la prima volta che un approccio mutuato dalla fisica dei sistemi interagenti predice i comportamenti collettivi di un sistema biologico con tale accuratezza.

“L’idea di fondo di questo approccio, noto come ‘gruppo di rinormalizzazione’, è simile a quanto accade nell’occhio umano, che vede i dettagli di un oggetto sfocarsi man mano che questo si allontana; così nell’ambito della fisica teorica è possibile ‘sfocare’ i dettagli di un sistema fisico, permettendo, al contempo, di apprezzare appieno le caratteristiche collettive su scala macroscopica”, prosegue Scandolo.

Il successo nell’applicazione di uno strumento così sofisticato, come il ‘gruppo di rinormalizzazione’, suggerisce come, anche nei sistemi biologici, un ruolo decisivo può essere giocato dalla “universalità”.

“Qualsiasi sistema che condivide con gli sciami di insetti le stesse caratteristiche generali esibirà comportamenti simili a quelli ora studiati”, conclude Melillo. “Non è stato, infatti, necessario un modello che descrivesse le interazioni biologiche tra gli insetti nel minimo dettaglio, ma è bastato individuare i pochi ingredienti fondamentali per comprendere i comportamenti collettivi negli sciami di insetti”.

Riferimenti:

Natural swarms in 3.99 dimensions – Andrea Cavagna, Luca Di Carlo, Irene Giardina, Tomàas S. Grigera, Stefania Melillo, Leonardo Parisi, Giulia Pisegna & Mattia Scandolo – Nature Physics (2023) https://www.nature.com/articles/s41567-023-02028-0

 

Testo, video e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

GLI EFFETTI DELLE VALANGHE NELLE ALPI OCCIDENTALI: CREANO HABITAT DIVERSIFICATI E INCREMENTANO LE SPECIE DI UCCELLI

Uno studio dell’Università di Torino appena pubblicato sul Journal of Ornithology evidenzia le conseguenze delle perturbazioni sulla flora e sulla fauna alpina.

valanghe Alpi Occidentali uccelli

Le valanghe nelle Alpi occidentali italiane contribuiscono a eliminare le aree boschive dense e a creare habitat più aperti e eterogenei che attraggono una maggiore diversità di specie di uccelli. Lo afferma lo studio intitolato “Avalanches create unique habitats for birds in the European Alps” pubblicato oggi, 14 febbraio, sul Journal of Ornithology.

Gli autori, guidati dal Dott. Riccardo Alba, dottorando del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi UniTo, hanno esaminato 240 siti nelle Alpi occidentali italiane (120 tracciati di valanga e 120 siti vicini usati come controllo) durante il periodo di riproduzione degli uccelli nella primavera del 2021. In questo lasso di tempo, nei siti interessati dalle valanghe, è stata riscontrata una percentuale significativamente più elevata di specie di uccelli rispetto ai siti di controllo vicini.

Stiaccino
Stiaccino

Nei tracciati delle valanghe presi in esame è stata riscontrata una maggiore diversità della vegetazione e una maggiore proporzione di specie di uccelli rispetto ai siti di controllo, in particolare quelli a quote più basse. I siti interessati dalle valanghe presentavano inoltre una maggiore copertura di rocce e arbusti e un numero più elevato di piccoli alberi, mentre i siti di controllo erano tipicamente foreste ad alta copertura.

Prispolone
Prispolone

Nello specifico, i tracciati delle valanghe presentavano percentuali più elevate di uccelli che nidificano in habitat aperti e di specie migratrici, come lo stiaccino  o il prispolone, che sono tra le categorie di uccelli più minacciate. Nei siti di controllo è stata osservata una percentuale maggiore di specie che nidificano in habitat forestali, come la cincia alpestre, il tordo bottaccio e il picchio rosso maggiore.

In futuro la frequenza delle valanghe potrebbe essere influenzata dai cambiamenti climatici, ma non è ancora chiaro se le valanghe diminuiranno a causa della minore copertura nevosa o se aumenteranno a causa di inverni più caldi e precipitazioni nevose in primavera. Gli autori concludono che questa potenziale perturbazione può avere implicazioni per la biodiversità montana, sia per gli habitat che per le specie di uccelli che vi fanno affidamento.

valanghe Alpi Occidentali uccelli

Testo e foto dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino