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Che cosa sono microplastiche e nanoplastiche e quale impatto hanno sulla salute umana e sull’ambiente circostante?

 

Che cosa sono le microplastiche?

Le plastiche sono componenti onnipresenti nella vita di tutti i giorni. Dal punto di vista chimico sono polimeri di idrocarburi, cioè un insieme di molecole contenenti solo carbonio, idrogeno e ossigeno. I motivi del loro successo sono principalmente la loro leggerezza, versatilità, resistenza ed economicità.

Un aspetto da considerare seriamente è la loro permanenza nell’ambiente: se non sono smaltite correttamente, le plastiche raggiungono i corsi d’acqua e i mari, ma non solo. Probabilmente, avrai sentito parlare dell’isola di plastica presente tra la California e le Hawaii, nell’Oceano Pacifico: una massa di detriti galleggianti. Le plastiche sono pericolose per gli animali marini, che possono cibarsene o rimanervi intrappolati. Eppure, non sono i rifiuti visibili il problema, ma quelli (quasi) invisibili.

Le cosiddette microplastiche (una presentazione del tema qui) hanno dimensioni inferiori ai 5mm e sono state rinvenute negli ecosistemi terrestri, marini e di acqua dolce, nonché negli alimenti e nell’acqua potabile. Le microplastiche si distinguono in primarie e secondarie, a seconda della loro origine. Le prime sono prodotte per uso domestico e industriale grazie alle loro proprietà abrasive (per esempio, nei cosmetici); le secondarie hanno origine da fenomeni di erosione e degradazione dei rifiuti plastici quando sono esposti, per esempio, alla luce solare.  

microplastiche nanoplastiche ambiente
Foto di Hans

Microplastiche nell’ambiente

La plastica si degrada continuamente nell’ambiente in particelle via via più piccole facilmente trasportate dall’aria. Anche i microrganismi possono contribuire alla degradazione delle plastiche (si parla di biodegradazione), dal cui processo, temperatura-dipendente, si ottengono anidride carbonica, metano e acqua. Ma le condizioni per una completa degradazione raramente si verificano nell’ambiente marino.

In più, i polimeri più comunemente utilizzati non sono facilmente biodegradabili: sono soggetti alla deformazione e alla frammentazione in micro e nanoplastiche. Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri). Entrambe permangono nell’ambiente per secoli e possono essere ingerite da invertebrati e piccoli pesci, entrando così nella catena alimentare, di cui fa parte anche l’uomo. Oltre alla plastica, bisogna considerare che si tratta di una complessa combinazione di sostanze chimiche, tra cui vi sono anche gli additivi per conferire resistenza e flessibilità alle materie plastiche.

Quante sono le specie di animali che subiscono l’inquinamento da plastica? Vi sono specie più esposte di altre? Per esempio, studi di laboratorio sulle ostriche, invertebrati marini filtratori, hanno riscontrato che le plastiche possono danneggiare, tra le altre cose, il loro sistema riproduttivo. I particolati agiscono negativamente anche sulle cellule del sistema immunitario, sulla composizione del microbiota e sulle funzionalità neuro-endocrine sia in specie acquatiche che in animali di laboratorio.  

Foto di Naja Bertolt Jensen 

Microplastiche nel corpo umano 

Nel rapporto ISTISAN 21|2 “Strategie di campionamento di microplastiche negli ambienti acquatici e metodi di pretrattamento” dell’Istituto Superiore di Sanità, si legge:

la tossicità e l’impatto sulla salute umana delle microplastiche non sono del tutto conosciute perché la loro caratterizzazione e classificazione non sono standardizzate.

Anche l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority, in sigla EFSA) ha esaminato la letteratura scientifica esistente sull’argomento, rilevando l’insufficienza dei dati relativi alla presenza, alla tossicità e al destino delle microplastiche e nanoplastiche negli alimenti ai fini di una valutazione completa del rischio. Tuttavia, l’EFSA riconosce che l’argomento richiede un’attenzione particolare.

Attraverso la catena alimentare, la plastica ingerita dagli animali può arrivare direttamente sulla nostra tavola. Le microplastiche sono state trovate nella birra, nel miele e nell’acqua del rubinetto.

Per cui, non sorprende se di recente sono state trovate tracce di plastica anche all’interno del corpo umano. Come riporta Margherita Ghiara nel suo articoloMicroplastiche ovunque, anche nel sangue”, è noto da tempo alla comunità scientifica come il tessuto polmonare o le deiezioni di adulti e bambini possano contenere tracce di microplastiche.

Inoltre, un gruppo di ricercatori della Vrije Universiteit Amsterdam e dell’Amsterdam University Medical Center ha confermato la presenza di tracce di microplastica nel sangue umano. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, è stata condotta dall’ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica analitica Marja Lamoree. Lo studio, eseguito su una popolazione di 22 donatori volontari, ha evidenziato la presenza di polimeri particolarmente utilizzati in prodotti di uso comune. In aggiunta a sangue, polmoni e feci, nel 2021 sono stati riscontrati frammenti microplastici anche nella placenta umana.

Tuttavia, stabilire se le microplastiche provochino danni o meno è molto difficile. Infatti, la natura del rischio dipende sia dalle caratteristiche fisiche e dalla composizione chimica delle microplastiche, sia dal tempo necessario per biodegradarsi. Studi precedentemente effettuati in vitro hanno dimostrato alcune possibili implicazioni derivanti dall’esposizione a microplastiche, ma i punti da chiarire sono ancora molti.

sangue emofilia A in forma grave
Immagine di Arek Socha

Microplastiche nel cervello  

All’elenco degli organi in cui sono state trovate microplastiche si aggiunge anche il cervello. Infatti, nei pesci sono state trovate tracce di plastica nel cervello e questo è stato collegato ad alterazioni fisiche e chimiche del sistema nervoso, nonché a variazioni comportamentali. Nel giugno 2020 i ricercatori del Neurotoxicology Research Group dell’Università di Utrecht riportarono in una review i principali effetti, fino ad allora noti, delle particelle di plastica sul sistema nervoso non-umano, avanzando l’ipotesi che esse potessero entrare nel circolo sanguigno e attraversare la barriera ematoencefalica (struttura che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche da e verso il cervello).

La dottoressa Verena Kopatz e altri ricercatori dell’Università di Vienna e i collaboratori da Stati Uniti, Ungheria e Olanda hanno scoperto particelle di plastica nel cervello di topo dopo due ore dall’ingestione di acqua contenente microplastiche. I risultati sono stati ottenuti mediante studi sui topi e simulazioni matematiche al computer. Lo studio prevedeva la somministrazione di acqua contenente polistirene, il tipo di plastica più comune degli imballaggi alimentari.
Le domande aperte sono ancora molte: il meccanismo osservato nel modello murino e simulato matematicamente al computer sarà lo stesso nell’essere umano? Quanta plastica è necessaria per causare un danno? Qual è il ruolo delle microparticelle di plastica negli stati infiammatori e patologici del cervello?
Nel mentre che la ricerca scientifica sul tema va avanti, bisognerebbe ridurre l’esposizione e l’uso della plastica allo stretto indispensabile.
 

Quali alternative o soluzioni?  

Per ridurre l’esposizione alle microplastiche, è importante limitare l’uso di prodotti di plastica monouso e utilizzare alternative come bottiglie riutilizzabili e contenitori per alimenti in vetro o acciaio inossidabile. 

Possibili soluzioni sono l’introduzione di un’alternativa alle microplastiche primarie con materiali diversi e la riduzione delle microplastiche secondarie, incrementando la raccolta e il riciclo dei materiali plastici. Motivati dalle preoccupazioni per l’ambiente e per la salute delle persone, diversi Stati membri dell’UE hanno già emanato o proposto divieti nazionali sugli usi intenzionali delle microplastiche nei prodotti di consumo. I divieti riguardano principalmente l’uso di microgranuli nei cosmetici che vengono lavati via dopo l’uso, in cui le microplastiche sono utilizzate come agenti abrasivi e leviganti.  L’Unione Europea vuole diventare pioniere nella lotta globale all’inquinamento ambientale, in particolare per quanto riguarda la plastica. Ricerca scientifica e politiche mirate potrebbero davvero ridurre il volume e l’impatto ambientale di alcuni prodotti di plastica. 

Per avere un quadro più ampio sulle plastiche si consiglia anche il recente libro “Quello che sai sulla plastica è sbagliato” di Ruggero Rollini, Simone Angioni e Stefano Bertacchi. Clicca qui per recensione del libro e intervista agli autori.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, pubblicato da Gribaudo (2023)

 

Per rispondere ad alcune domande sulle microplastiche, non perderti la mostra “Invisible – L’impronta nascosta delle microplastiche” al Festival della Scienza di Genova, visitabile dal 26 ottobre al 3 novembre. Mediante esperienze interattive sarà possibile esplorare le caratteristiche chimico-fisiche delle microplastiche e capire quali sono le principali fonti nascoste, imparare che cosa si intende con il termine plastisfera e cosa possiamo fare per migliorare la situazione come singole persone e come società.

 

Fonti 

  • L’educazione civica per l’Agenda 2030 (Link)  
  • Le microplastiche sono nel nostro corpo. Ma quanto sono dannose per la salute umana? (Link
  • Microplastiche: tutto quello che dovete sapere (Link)
  • Microplastiche ovunque, anche nel sangue (Link)
  • Microplastiche: origini, effetti e soluzioni (Link)
  • Strategie di campionamento di microplastiche negli ambienti acquatici e metodi di pretrattamento (Link)
  • Nanoplastic Ingestion Causes Neurological Deficits (Link)
  • Opinion: Plastic Pollution May Endanger Brains (Link)
  • Plastic is already in blood, breast milk, and placentas. Now it may be in our brains (Link)
  • Plastic Particles Found in The Brains of Mice Just Two Hours After They Ate (Link)
  • The plastic brain: the potential neurotoxicity of microplastics (Link)
  • Plastic waste and recycling in the EU: facts and figures (Link)
  • Microplastiche e nanoplastiche negli alimenti: una questione emergente (Link)
Lavoro e stili di vita, la fotografia della società italiana nell’indagine “Italian Lives”
Arrivano i dati della ricerca condotta dall’Istituto IASSC del dipartimento di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca insieme a Ipsos e Istat. Al via la seconda sessione di interviste
Italian Lives
Lavoro e stili di vita, la fotografia della società italiana nell’indagine “Italian Lives”. Foto di Kookay

 

Milano, 3 novembre 2021 – Più della metà degli italiani ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Una famiglia su quattro non può permettersi una settimana di vacanza lontano da casa e una su tre dichiara di ricevere una retribuzione non adeguata ai propri sforzi e al proprio lavoro. E ancora: un italiano su tre non possiede pc né connessione Internet e il 60 per cento degli intervistati non svolge alcuna attività fisica durante la settimana.
Sono alcuni dei dati restituiti da “Ita.Li. – Italian Lives, Indagine sui corsi di vita in Italia”, l’indagine longitudinale quali-quantitativa condotta dall’istituto IASSC (Institute for Advanced Study of Social Change) del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca, insieme all’istituto di ricerca Ipsos, e finanziata dal Ministero dell’Università e ricerca mediante i fondi dei Dipartimenti di eccellenza. Una fotografia nitida della società italiana, realizzata tra giugno 2019 e dicembre 2020 attraverso questionari sottoposti a 8.778 soggetti, di età superiore ai 16 anni, appartenenti a 4.900 famiglie, selezionate in oltre 280 comuni italiani attraverso un sistema di campionamento probabilistico sviluppato con l’Istat.
L’obiettivo è la costruzione di una banca dati dinamica sul mutamento sociale intergenerazionale in Italia.  L’indagine quantitativa si svilupperà nel tempo in più ondate (“wave”) di rilevazione, attraverso la raccolta di un ampio insieme di informazioni di tipo retrospettivo sui membri delle famiglie coinvolte. La prima wave si è svolta tra giugno 2019 e dicembre 2020 e la seconda è stata avviata a settembre.
Viene così ricostruito il corso di vita di tutti i partecipanti, in relazione alla mobilità geografica o residenziale, all’istruzione, alla carriera lavorativa, allo stato civile, alla composizione della famiglia, con informazioni sulle percezioni e le abitudini dei soggetti coinvolti rispetto a temi quali la salute, la qualità della vita, le risorse, i debiti e i sostegni familiari, l’accesso ad Internet e la partecipazione politica. Un anno fa i ricercatori di Milano-Bicocca avevano reso pubblico un primo focus riguardante un campione selezionato dei partecipanti per fare luce sull’“Italia ai tempi del Covid-19”. Ora vengono resi noti i risultati della prima wave.


Consumi

Il 59 per cento degli intervistati afferma di avere almeno una qualche difficoltà ad arrivare alla fine del mese.  Solo l’1,7 per cento vi arriva con facilità. Se il 28 per cento delle famiglie, poco più di una su quattro, non potrebbe permettersi una settimana di vacanza all’anno lontano da casa, il 34 per cento – una su tre – non possiede un pc e il 33 per cento non ha una connessione Internet. Il 26 per cento delle famiglie ritiene che le spese per la casa siano un carico pesante e il 23 per cento dichiara che non sarebbe in grado di fronteggiare spese impreviste di un ammontare pari a circa 800 euro. Se il 14 per cento delle famiglie ha dovuto rinunciare a trattamenti dentistici per motivi economici, l’8 per cento non può permettersi di mangiare carne o pesce almeno una volta ogni due giorni.


Lavoro e reddito

Il reddito netto mensile familiare è di 2860 euro. Il 36 per cento degli intervistati dichiara di ricevere una retribuzione non adeguata ai propri sforzi e al proprio lavoro. Il 54 per cento degli intervistati ritiene che il proprio lavoro non dia buone prospettive di avanzamento di carriera e il 35 per cento ritiene di non ricevere il giusto riconoscimento per il lavoro svolto. Il 59 per cento ritiene di essere costantemente sotto pressione per il carico pesante di lavoro e il 40 per cento sostiene di avere pochissima libertà nel decidere come svolgere il proprio lavoro. In media il risparmio annuo delle famiglie è di circa 3900 euro e l’ammontare del debito delle famiglie è di 2700 euro.
Social network
Lo smartphone non manca tra le mura degli italiani, solo il 13 per cento degli intervistati dichiara di non possederne uno. ll social/app più in voga è WhatsApp, utilizzato dal 57 per cento degli intervistati. Al secondo posto figura Facebook, utilizzato dal 47 per cento. Seguono nell’ordine Instagram (26 per cento), Twitter (9 per cento), Telegram e LinkedIn (4 per cento). Solo lo 0,4 per cento degli intervistati ha un profilo TikTok. Tuttavia, il 32 per cento attualmente dichiara di non avere un profilo personale su social network o app.
Salute
Il 60 per cento degli intervistati non svolge mai attività fisica (intesa come sport, giardinaggio, ballo, escursioni o camminate veloci). Il 28 per cento circa, invece, svolge attività fisica almeno una volta a settimana. Il 13 per cento del campione dichiara di avere problemi di salute a lungo termine. Il 39 per cento degli intervistati ha sofferto di insonnia o ha avuto difficoltà ad addormentarsi.
Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca sull’indagine Italian Lives.