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Del coraggio e della passione – L’avventurosa storia di Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell’Italia contemporanea (1914-1954), saggio di Eugenia Tognotti – Intervista

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Clicca qui per l’intervista a Eugenia Tognotti, a cura di Carmen Troiano

 

 

la copertina del libro Del coraggio e della passione - L'avventurosa storia di Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell'Italia contemporanea (1914-1954), saggio di Eugenia Tognotti, con prefazione di Rosy Bindi, edito da FrancoAngeli (2025) nella collana La società / Saggi e studi, immagine della Sardegna con lente e composizione da Canva, licenza d’uso
la copertina del libro Del coraggio e della passione – L’avventurosa storia di Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell’Italia contemporanea (1914-1954), saggio di Eugenia Tognotti, con prefazione di Rosy Bindi, edito da FrancoAngeli (2025) nella collana La società / Saggi e studi, immagine della Sardegna con lente e composizione a cura di Carmen Troiano, da Canva, licenza d’uso

 



Commento al libro, a cura di Carmen Troiano

Il saggio “Del coraggio e della passione” di Eugenia Tognotti accompagna il lettore nella Sardegna di inizio Novecento per presentargli Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell’Italia contemporanea.

Ho dovuto lottare contro tutti, in un ambiente talvolta ostile che voleva il sesso debole relegato tra i fornelli di casa (pag.9).

Si dice medica o medichessa?

Secondo l’Accademia della Crusca, possono essere utilizzate entrambe le forme, attestate nella letteratura fin dai primi secoli. Per esempio, le Mulieres Salernitanae, le dame della Scuola Medica di Salerno dell’XI secolo, di cui è famosa la medica Trotula de Ruggiero, che esercitavano l’arte medica. Tuttavia, la forma medichessa rimanda alla medicatrice, cioè una persona che svolgeva attività e pratiche dell’arte medica del passato ma che oggi sono assenti dalla professione (per esempio, sacerdotessa guaritrice, persona dotata di poteri magici). Anche dal punto di vista fonetico, si suggerisce l’uso della forma medica rispetto a medichessa. 

la copertina di Del coraggio e della passione - L'avventurosa storia di Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell'Italia contemporanea (1914-1954), saggio di Eugenia Tognotti, con prefazione di Rosy Bindi, edito da FrancoAngeli (2025) nella collana La società / Saggi e studi
La copertina del libro Del coraggio e della passione – L’avventurosa storia di Adelasia Cocco, la prima donna medico condotto nell’Italia contemporanea (1914-1954), saggio di Eugenia Tognotti, con prefazione di Rosy Bindi, edito da FrancoAngeli (2025) nella collana La società / Saggi e studi

Il testo “Del coraggio e della passione”, edito da FrancoAngeli, chiarisce il dubbio su chi sia stata la prima medica condotta dell’Italia unita. Oltre alla vicenda biografica, il volume rende merito al lavoro della dottoressa Adelasia Cocco e fornisce al lettore un quadro d’insieme della vita sociale e politica, nonché del sistema sanitario da fine Ottocento agli anni Cinquanta del XX secolo, passando per due guerre, la Spagnola e la dittatura fascista. La prof.ssa Tognotti cita studiose e studiosi italiani che si sono distinti in diversi campi della medicina: luminari, sconosciuti ai più, ma che mettono in luce la vivacità scientifico-culturale del tempo. A volte, in campi in cui l’Italia è stata pioniera. La storia che viene narrata nel libro ci aiuta a comprendere il difficile cammino delle donne nel rivendicare i loro diritti e il loro spazio nella scienza.

Adelasia era un medico condotto e i suoi meriti riguardano l’ambito dell’assistenza e della cura: la sua battaglia ha riguardato il retaggio storico e un’organizzazione discriminatoria che stabiliva l’identità sociale di un uomo e di una donna, legittimando le disuguaglianze che ne costituivano il substrato (p. 9).

Il libro è ricco di note bibliografiche e ha un lessico curato, specifico e settoriale. Gli argomenti sono divisi in sette sezioni, ciascuna delle quali inerente una fase della vita di Adelasia Cocco.

Dopo la prefazione di Rosy Bindi, ci si immerge nella Sardegna di oltre un secolo fa, dove si manifesta il conflitto con la società patriarcale. Il volume non rende merito solo alla “medichessa” Cocco, ma anche a tutte quelle giovani donne che, tra fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, perseguirono la scelta di andare all’università. L’autrice, quindi, soprattutto nelle prime due sezioni, nomina tante mediche i cui nomi non ci dicono niente. Il merito del libro è proprio questo: dare voce a chi ha superato brillantemente un percorso a ostacoli per sentirsi pari dei colleghi.

Adelasia sapeva da dove veniva e dove voleva arrivare.

Nella foto, il Duomo con la Torre di Pisa. Immagine di Fotografa65, CC BY-SA 4.0
Pisa, la città in cui Adelasia ha iniziato a studiare medicina. Nella foto, il Duomo con la Torre della città. Immagine di Fotografa65, CC BY-SA 4.0

Adelasia a 22 anni è sposata e si trasferisce a Pisa per studiare medicina. Immergetevi nell’epoca e pensate al sentire comune: una donna che si accosta ad un corpo maschile nudo da sezionare e/o visitare. Non rinuncia al suo obiettivo. Ciò è reso possibile anche al gruppo eccezionale di docenti che l’accompagnarono negli anni della sua formazione: Rina Monti (zoologia e anatomia comparata), Guglielmo Romiti (anatomia), Giovanni Arcangeli (botanica).

Le prime laureate in medicina avevano un bagaglio di formazione pari o superiore a quello dei loro colleghi maschi.

Adelasia Cocco era assetata di conoscenza e questo l’ha spinta a formarsi e aggiornarsi continuamente, a padroneggiare tecniche di laboratorio a cui non si era inizialmente dedicata. E continuò a farlo anche quando i pregiudizi di genere, le concezioni legate all’ideologia fascista della donna e le rivalità professionali ostacolarono i suoi progetti. 

Il libro è, attraverso le vicissitudini personali e professionali di Adelasia, una lezione di resilienza. Sì, perché nella vita di Adelasia Cocco, soprattutto sotto il regime fascista, si è tentato di privarla dei suoi ruoli. E lei ha sempre risposto con la ferma volontà di mettersi alla prova, anche in campi nuovi, perché era spinta dal desiderio di conoscere e sperimentare. Oltre alla resilienza, è messa in luce anche una resistenza al partito, non ostentata, ma tenace e fermissima.

I rapporti tra scienza e fascismo richiederebbero un lunghissimo discorso, articolato per ambiti scientifici e con un focus sul mondo accademico, col quale il fascismo ebbe un rapporto a volte difficile.

Adelasia Cocco Floris negli anni Trenta. Foto (archivio di famiglia) di Defrasil, CC BY-SA 4.0

 


Intervista a Eugenia Tognotti, a cura di Carmen Troiano

 

Nel 1914 c’erano 11554 medici condotti in Italia e una medica, Adelasia Cocco. Secondo gli ultimi dati di Almalaurea il numero di laureati in medicina e chirurgia nel 2023 è di 9403, di cui il 58,8% sono donne. Come gioire pienamente di questi dati se, spesso, non si fa memoria delle pioniere che oggi rendono possibile tutto ciò?

Non c’è dubbio sul fatto che vada riconosciuto alla prima coraggiosa pattuglia di pioniere il merito di aver aperto una strada alla femminilizzazione della professione. Tuttavia, questa, nonostante l’evoluzione culturale e gli interventi legislativi degli ultimi anni – non ha comportato una parità di genere completa, soprattutto sul piano della retribuzione e degli avanzamenti di carriera.

Per secoli il sistema patriarcale ha segnato in modo decisivo il percorso storico delle donne: in poche potevano avere accesso all’istruzione e, in aggiunta, era spesso loro precluso l’accesso alla formazione scientifica. Oltre al mancato accesso agli studi, i contributi delle  donne alla ricerca scientifica  sono stati tradizionalmente sottovalutati. Secondo lei, come rendere merito, in maniera adeguata, e non semplicemente celebrare, la partecipazione delle donne alla ricerca scientifica, senza cadere nella storiografia dilettantesca che sembra dilagare?

La scelta del modello biografico, prevalente in Italia, non è funzionale ad una riflessione sull’immenso contributo che, in tempi e contesti diversi, le donne hanno dato alla scienza, alla ricerca, alla destinazione pratica del loro lavoro scientifico. Anche se non mancano le iniziative, resta da approfondire il rapporto fra donne e scienza e i motivi per cui, nonostante il gap di genere si stia attenuando, siamo ancora lontani da un reale allineamento fra uomini e donne nell’approccio alle discipline scientifiche e ai percorsi professionali e di carriera ad esse collegati. Sicuramente, la presenza delle donne nella comunità scientifica è meno rada che nel passato e vissuta con minore ruvidezza e ombrosità da parte dei colleghi uomini. E, di certo, le brillanti ricercatrici di oggi, impegnate nelle Università e in centri di ricerca in importanti campi di studio, sono meno disposte a restare nell’ombra. Come avvenne per Rosalynd Franklin, la scienziata di famiglia anglo-ebraica, che contribuì, con le fotografie della diffrazione ai raggi X del DNA, alla più grande scoperta scientifica del ventesimo secolo. La giovane scienziata morì a soli 38 anni, nel 1958, quattro anni prima che i colleghi Wilkins, Crick e Watson fossero insigniti del premio Nobel. Il suo ruolo, rimasto a lungo nell’ombra, si è imposto solo di recente, dopo l’uscita in America della sua biografia che ha rivelato quanto fosse e sia difficile per una donna farsi accettare nel mondo scientifico.

Plinio Nomellini, Ritratto di Grazia Deledda, 1914, collezione privata. Foto di Francesco Bini, CC BY 3.0
Plinio Nomellini, Ritratto di Grazia Deledda, 1914, collezione privata. Foto di Francesco Bini, CC BY 3.0

 

Grazia Deledda, la donna che non mise limiti alle donne” (dal titolo del Convegno svoltosi a Roma il 29 ottobre 2021, all’interno delle celebrazioni dei 150 anni dalla nascita della scrittrice premio Nobel per la Letteratura). Grazia Deledda nel suo libro è citata più volte. Una storia di emancipazione e di libertà. Una figura centrale nella definizione di personalità femminili dal destino diverso, ma accomunate dalla ferma volontà di essere indipendenti, autonome, artefici del proprio destino, libere. Può parlarci del legame tra Grazia Deledda e Adelasia Cocco? 

L’adolescente Adelasia, il cui padre, folklorista e cultore di storia locale – era legato a Grazia Deledda da un’amicizia basata sulla scrittura e sulla condivisione di interessi culturali, fu sicuramente l’influenzata dalla scrittrice che tra Otto e Novecento viveva ancora a Nuoro, dove la famiglia si era trasferita da Sassari. La strategia di emancipazione di Grazia rappresentò per la giovanissima studentessa “un modello” a cui ispirarsi nel suo personale cammino di emancipazione. Attraverso la scrittura, infatti, Grazia era riuscita a sottrarsi all’apparato normativo sanzionatorio della comunità paesana, a lasciarsi alle spalle gli stereotipi di genere e ad affrancarsi in una società patriarcale che, alle donne – di qualunque condizione- assegnava il ruolo fisso di moglie-madre.

Qual è il messaggio principale che Adelasia dona alle ragazze di oggi?

Direi il suo affrancarsi da modelli imposti e la sua tenacia e determinazione nel lottare – anche in tempo difficili come quelli della dittatura fascista – per l’auto-affermazione e contro una condizione di disparità di genere che dopo avere attraversato, con piccoli progressi e arretramenti, diverse fasi storiche, resta ancora un obiettivo da raggiungere.

Scienza e fascismo. Il fascismo godette di una notevole popolarità in ambiente accademico. Con ciò non si vuole lasciare il lettore con l’impressione che tutti gli scienziati italiani fossero fascisti, ma bisogna ammettere che (l’Italia sembra non abbia ancora fatto i conti con il passato) la scienza italiana non abbia revisionato il suo ruolo nel periodo fascista. È tuttavia innegabile che diversi scienziati italiani aderirono effettivamente al fascismo. Secondo lei, il mondo della scienza italiano fatica a fare i conti con il passato e a far emergere verità scomode?

Il rapporto della comunità scientifica col fascismo è stato oggetto di un lungo dibattito fra gli storici della scienza, e senza dubbio  meriterebbe nuovi  e più approfonditi  studi . Dopo la caduta del fascismo, nel  triennio 1943-46   si provò  a mettere in campo – con scarsi risultati – tentativi di epurare gli  elementi più legati al ‘passato regime’.  La comunità scientifica ne fu naturalmente investita, dal momento che le università, le accademie e gli enti di ricerca ricadevano nel dominio delle istituzioni pubbliche, salvo poche  eccezioni. Tuttavia,  i risultati  furono quantitativamente modesti  benché alcune delle personalità coinvolte fossero esponenti di prima fila  del mondo accademico. A colpire, in verità,  è la rapidità con cui, caduto il regime,   alcune personalità tornarono  a ricoprire le posizioni prestigiose   occupate durante il ventennio, o perché reintegrati in fasi successive delle procedure, o perché (nel caso delle accademie e delle posizioni di governo degli atenei) rieletti dai loro colleghi. Studi mirati  dalla prospettiva degli avvenimenti successivi all’epurazione, potrebbero mettere in luce  aspetti e verità  rimaste a lungo in un cono d’ombra.

La prof.ssa Tognotti evidenzia anche due questioni: in primo luogo, le pesanti costrizioni ideologiche (es. tema della razza) che obbligarono gli scienziati ad indirizzare le loro ricerche in modo da compiacere i desideri del regime. Basta accennare al caso dei dieci promotori del “Manifesto della razza”, documento che diede un’ignobile giustificazione pseudoscientifica alle successive leggi razziali fasciste; in secondo luogo, la riforma universitaria del settembre 1923 che introduceva anche per i professori universitari l’obbligo del giuramento di fedeltà allo Stato, già previsto per tutti i pubblici funzionari.

 

Eugenia Tognotti è professoressa ordinaria di Storia della Medicina e Scienze umane, saggista ed editorialista. È responsabile del Centro Studi CSAPS del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Sassari. I suoi interessi di ricerca sono volti alla storia della medicina e della sanità, temi che sono anche al centro di un’intensa attività pubblicistica e saggistica. Tra le sue monografie Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia (Ed. Laterza, 2000). La Spagnola in Italia, Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (2ªed. FrancoAngeli 2015). Vaccinare i bambini tra obbligo e persuasione. 3 secoli di controversie(FrancoAngeli 2020).

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

AI e Formazione: Un Nuovo Paradigma Didattico – recensione di “AI Experience con 101Ò” (Fòrema, 2024)

Articolo a cura di Federica Illuzzi e Gianluca Viola

L’intelligenza artificiale sta ridefinendo profondamente il mondo dell’istruzione e della formazione, introducendo strumenti innovativi che migliorano l’apprendimento e ne amplificano l’efficacia. In questo scenario, AI Experience con 101Ò, realizzato dall’AI Development Team di Fòrema, si distingue come un contributo prezioso. Il libro si propone come una guida pratica all’integrazione dell’AI nei processi formativi, con un approccio che mette al centro l’esperienza, trasformando l’AI da semplice strumento tecnologico a una vera e propria metodologia didattica in grado di rivoluzionare l’insegnamento e l’apprendimento.

la copertina del saggio AI Experience con 101Ò, opera di AA. VV., edito da Fòrema, in questa immagine generata (licenza) e modificata (licenza) da Federica Illuzzi
la copertina del saggio AI Experience con 101Ò, opera di AA. VV., edito da Fòrema, in questa immagine generata (licenza) e modificata (licenza) da Federica Illuzzi

Uno degli elementi più interessanti dell’opera è il legame tra l’Intelligenza Artificiale e il ciclo di apprendimento esperienziale di Kolb. Gli LLM vengono presentati come dispositivi in grado di arricchire ogni fase del percorso formativo: dalla progettazione dei corsi all’analisi dei bisogni, dalla conduzione delle attività formative fino alla valutazione dei risultati.

Grazie a tecnologie come l’Adaptive Learning, i chatbot e le simulazioni immersive, i formatori hanno la possibilità di personalizzare l’insegnamento in base alle esigenze specifiche degli studenti, offrendo esperienze didattiche più dinamiche e su misura.

Il fattore adattativo dell’approccio utilizzato, supportato dalle tecnologie, permette infatti di ritagliare una formazione su misura per ciascuna risorsa umana, nell’ottica di una formazione life-long e sempre pertinente al contesto.

I fabbisogni formativi possono essere identificati e selezionati avvalendosi delle tecnologie, sulla base di attitudini e necessità del singolo discente. Le modalità di somministrazione, i tempi e i contenuti possono essere progettati ad hoc per ognuno e possono essere variati, per via della versatilità delle soluzioni, in qualsiasi momento e adattati a nuovi scopi. Un sistema di apprendimento in continuo divenire che può inseguire le necessità del singolo. Pertanto, si propone come un’alternativa ad alta efficacia rispetto alla formazione aziendale erogata in modalità “standard”.

Il libro si suddivide in due macroaree. La prima approfondisce il ruolo dell’AI come strumento didattico, mentre la seconda si concentra sulle sue applicazioni pratiche. Un concetto chiave è quello della formazione adattiva, che sfrutta lo strumento per personalizzare i percorsi di apprendimento in tempo reale. Grazie alle piattaforme di Learning Analytics, è possibile raccogliere dati sul comportamento degli studenti e adattare i contenuti in base ai loro progressi e alle loro difficoltà. Questo approccio promuove un modello di apprendimento continuo, in cui ogni studente riceve il supporto più adatto alle necessità.

Un altro aspetto innovativo affrontato riguarda l’utilizzo dell’AI nella progettazione didattica. Gli autori spiegano come l’intelligenza artificiale possa supportare sia la macro che la micro-progettazione dei corsi, suggerendo contenuti personalizzati e adattando le attività formative ai diversi stili di apprendimento.

L’analisi predittiva consente di individuare con maggiore precisione le competenze che saranno richieste nel futuro, aiutando i formatori a costruire percorsi didattici mirati e aggiornati rispetto ai cambiamenti del mercato del lavoro.

Durante l’erogazione della formazione, l’AI assume un ruolo chiave nel fornire feedback immediati e personalizzati. Strumenti come i tutor virtuali e le piattaforme di simulazione permettono agli studenti di sperimentare situazioni realistiche in ambiente controllato, ricevendo suggerimenti e correzioni in tempo reale. L’utilizzo della gamification e della Realtà virtuale rende l’apprendimento più coinvolgente, mentre i chatbot possono rispondere alle domande e chiarire dubbi in modo più rapido ed efficace.

Anche la fase di valutazione dell’apprendimento beneficia degli LLM, grazie a strumenti avanzati di analisi dei dati. Il testo spiega come i modelli possano misurare i progressi degli studenti attraverso sistemi di valutazione adattiva, che modulano la difficoltà dei test in base alle risposte fornite. Le dashboard analitiche consentono ai formatori di monitorare in modalità sincrona l’andamento del percorso d’apprendimento e di apportare eventuali modifiche per ottimizzarne l’efficacia.

Oltre agli aspetti metodologici e pratici, il volume affronta anche le sfide e le implicazioni pedagogiche legate all’uso di tali dispositivi nella formazione continua.

Tra le criticità emergenti, spiccano la necessità di evitare un’eccessiva standardizzazione dei percorsi di apprendimento, il rischio di bias nei dati utilizzati per addestrare gli algoritmi e l’importanza di un uso etico e responsabile dell’Intelligenza Artificiale. Si sottolinea, infatti, come la “blackbox” debba essere considerata di supporto all’intelligenza umana, e non un suo sostituto. L’interazione critica e ponderata fra uomo e macchina rimane fondamentale per preservare gli aspetti relazionali e motivazionali del processo di insegnamento-apprendimento, elementi fondanti per il successo di qualsiasi processo educativo.

la copertina del saggio AI Experience con 101Ò, opera di AA. VV., edito da Fòrema, in questa immagine generata (licenza) e modificata (licenza) da Federica Illuzzi
la copertina del saggio AI Experience con 101Ò, opera di AA. VV., edito da Fòrema, in questa immagine generata (licenza) e modificata (licenza) da Federica Illuzzi

AI Experience con 101Ò può essere, pertanto, una risorsa di grande valore per chi lavora nel settore della formazione e vuole approfondire le potenzialità delle nuove tecnologie in ambito didattico. Il libro offre una panoramica completa e aggiornata sugli strumenti e le metodologie emergenti, delineando un modello formativo in cui l’AI non è solo un mezzo di supporto, ma un motore di innovazione pedagogica. Grazie a un approccio pratico e sperimentale, il volume si rivela essenziale per ripensare l’apprendimento nell’era digitale dell’informazione, promuovendo un’educazione continua più efficace, inclusiva e personalizzata.

Il contesto in cui si sviluppano i prodotti presentati nell’opera è altamente mutevole, pertanto le modalità scelte per la progettazione sono volutamente versatili e agili. In ogni momento della progettazione possono cambiare completamente gli scenari, sia in termini di fabbisogni che di budget. Per far fronte alla complessità del contesto, la metodologia scelta si basa su storie agili e sprint.

Una storia agile è costituita da una struttura semplice e narrativa che, partendo dal ruolo ricoperto, spiega gli strumenti che si vogliono utilizzare e il perché, ovvero gli obiettivi da raggiungere.

Lo sprint è un ciclo di sviluppo, basato su un set di storie agili, nel quale pressoché tutti i parametri possono mutare, tranne il tempo. In questa trattazione uno sprint dura un mese. Al termine di ogni sprint, dopo opportuni test di validazione delle funzionalità, se il ciclo è completato la procedura può essere archiviata per essere utilizzata in futuro.

Negli ultimi capitoli il test fornisce una serie di applicazioni (alcune già progettate e altre ancora da progettare) per molte figure in ambito HR, da progettisti della formazione, ai coach, da trainer di hard e soft skills ad HR Manager.

Tra le applicazioni in fase di test in ambito HR Management sono annoverate alcune soluzioni di supporto alla selezione del personale. Tra tutte, queste sono le più delicate, in quanto le analisi del curriculum vitae potrebbero essere affette da bias, che potrebbero penalizzare per criteri legati al genere o ad altri attributi non prettamente legati alla sfera lavorativa. Questa è la sfida principale dei prossimi sprint.

L’intelligenza artificiale sta modificando e modificherà il mondo dell’istruzione e della formazione. Se la sfida è ormai lanciata, questo manuale operativo fornisce le basi per coglierla con la giusta criticità e senza paura.

AI Experience con 101Ò, saggio che è opera di AA. VV., edito da Forèma
la copertina del saggio AI Experience con 101Ò, opera di AA. VV., edito da Fòrema

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

“LA SFIDA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA – OLTRE L’INDIFFERENZA”: UN CONTRIBUTO DI PAOLO D’ANSELMI SUL RUOLO DELLA CONCORRENZA NELLA GOVERNANCE ECONOMICA

La responsabilità sociale d’impresa non è una questione di mera reputazione, né un concetto riservato alle élite manageriali. Riguarda l’intero sistema economico e produttivo, dal settore pubblico al privato, e incide direttamente sull’efficienza e sulla sostenibilità delle organizzazioni. Il lavoro, se sottratto alla concorrenza, rischia di generare inefficienze, perdita di accountability e, in ultima analisi, una stagnazione economica che frena l’innovazione e la crescita.

Partendo da questa premessa, Paolo D’Anselmi presenta la seconda edizione del suo saggio Il barbiere di Stalin, ora rieditato con il titolo La sfida della responsabilità sociale d’impresa – Oltre l’indifferenza, pubblicato da Cacucci Editore. Il volume propone un’analisi critica delle dinamiche di governance nel settore pubblico e privato, esplorando i meccanismi che determinano la qualità e l’efficacia della gestione delle organizzazioni. D’Anselmi mette in discussione il paradigma dell’impresa e dell’amministrazione pubblica come entità distinte, sottolineando come la responsabilità sia distribuita tra tutti gli attori del sistema economico.

Il testo affronta le distorsioni del mercato e della regolazione attraverso cinque settori chiave: monopoli nazionali, grandi e piccole imprese, amministrazione pubblica, politica e non-profit. Grazie ai contributi di Simona Argentieri, Alessandro Ferrara, Antonella Gargano, Toni Muzi Falconi e Rossella Sobrero, il libro offre una prospettiva multidisciplinare sui fattori che influenzano la competitività e la sostenibilità economica.

La sfida della responsabilità sociale d’impresa – Oltre l’indifferenza, saggio di Paolo D'Anselmi con contributi di Simona Argentieri, Alessandro Ferrara, Antonella Gargano, Toni Muzi Falconi e Rossella Sobrero, pubblicato da Cacucci Editore (2024)
La sfida della responsabilità sociale d’impresa – Oltre l’indifferenza, saggio di Paolo D’Anselmi con contributi di Simona Argentieri, Alessandro Ferrara, Antonella Gargano, Toni Muzi Falconi e Rossella Sobrero, pubblicato da Cacucci Editore (2024)

Uno dei concetti centrali del volume è la metafora del barbiere di Stalin: l’idea che ogni individuo, anche senza un ruolo decisionale esplicito, contribuisca al funzionamento del sistema, spesso senza sentirsi responsabile delle sue conseguenze. Solo la concorrenza e la trasparenza possono disciplinare questi comportamenti e garantire una maggiore accountability.

Un caso emblematico è quello della sanità pubblica, un settore che incide significativamente sui bilanci regionali ma che spesso opera senza un’effettiva misurazione della produttività. D’Anselmi osserva:

“La sanità è il tema principe delle regioni d’Italia. Si dice: ‘ci sono le file d’attesa, occorre aumentare i soldi’, senza un reporting sulla produzione che c’è già. Ma quante visite si fanno ogni anno? E cosa ci dice il confronto fra le 225 Asl e ospedali d’Italia: hanno tutte le Asl la stessa produttività e sono virtuose? Cosa vuol dire quando al CUP ti dicono ‘non sono aperte le agende?’ Uno si chiede quante visite per specialista prevedono queste agende. Parliamo di produttività stagnante senza chiederci quale sia la produttività dei 100.000 dirigenti medici del Servizio Sanitario Nazionale. E in Puglia, ne possiamo sapere di più? Il consiglio che si può dare ai cittadini è di prenotare comunque presso la Asl: la visita prenotata servirà per il controllo nel tempo, anche se nella urgenza si è ricorso alla visita a pagamento”.

D’Anselmi, economista e consulente con una lunga esperienza nella governance e nelle politiche pubbliche, propone un modello di valutazione basato sulla competizione e sulla misurabilità della performance. L’obiettivo è quello di superare la retorica della responsabilità sociale come strumento di marketing e trasformarla in un reale driver di efficienza. Nel Capitolo 9, ‘La ricchezza delle nozioni’, Paolo D’Anselmi sottolinea il ruolo cruciale dei manager nella rendicontazione della responsabilità sociale d’impresa, evidenziando la mancanza di un modello univoco e standardizzato per misurare l’impatto sociale delle organizzazioni. L’autore critica l’approccio frammentario che caratterizza la CSR, spesso relegata a esercizi di comunicazione piuttosto che a un vero strumento di governance. Per i manager, questa lacuna rappresenta una sfida ma anche un’opportunità: solo attraverso un reporting trasparente e rigoroso è possibile integrare la responsabilità sociale nei processi decisionali, trasformandola da mero adempimento formale a leva strategica per la competitività e la sostenibilità aziendale.

“Dal profondo a me grido, signore: questo libro è l’urlo di attaccamento di chi è vissuto tutta la vita in un paese in crisi. Paese fondatore e tuttavia fanalino di coda della Unione Europea. Messico d’Europa. Il libro risolve il problema del declino e affronta la dicotomia ‘Coca Cola o Putin?’ Tuttavia resta la sensazione di cadere dalla padella delle ‘cose fatte all’italiana’, per dire cose fatte male, nella brace della retorica di Tolkien che forse non basterà a migliorare la nostra nazione”.

Paolo D'Anselmi
Paolo D’Anselmi

Biografia dell’autore

Paolo D’Anselmi è insegnante e consulente di management. Ha lavorato per McKinsey e ha fondato Guidazzurra per la Pubblica Amministrazione. Autore di saggi sulla governance e sulla responsabilità sociale, ha pubblicato Unknown Values and Stakeholders (Palgrave Macmillan, 2011 e 2017) e SMEs as the Unknown Stakeholder (Palgrave, 2013). Ingegnere, ha studiato alla Sapienza di Roma e alla Harvard Kennedy School. Attualmente è impegnato in ricerche sulla pubblica amministrazione e sulla misurazione della performance nel settore pubblico.

Il libro è in vendita nelle migliori librerie, sul sito di Cacucci Editore (www.cacuccieditore.it) e sui principali book store digitali.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa del libro.

Pianeti mancanti: arriva in libreria il libro sui mondi nascosti nel Sistema Solare dell’astrofisico Luca Nardi

 

Arriva nelle librerie fisiche e digitali Pianeti mancanti. Da Plutone a Planet Nine, gli astri erranti nascosti nell’oscurità, il primo libro che racconta della caccia di tutti i mondi che, nel corso della storia, gli astronomi hanno ipotizzato potessero esistere attorno al Sole. Dagli asteroidi a Plutone, da Vulcano a Planet X, sulle tracce di questi corpi celesti l’astrofisico Luca Nardi ripercorre le tappe che hanno condotto a scoprire tutto il Sistema Solare.

la copertina del saggio di Luca Nardi, Pianeti mancanti. Da Plutone a Planet Nine, gli astri erranti nascosti nell’oscurità, pubblicato da Edizioni Dedalo (2025)
la copertina del saggio di Luca Nardi, Pianeti mancanti. Da Plutone a Planet Nine, gli astri erranti nascosti nell’oscurità, pubblicato da Edizioni Dedalo (2025)

Nel corso della storia, gli astronomi hanno ipotizzato l’esistenza di molti mondi attorno al Sole, molti più di quanto siano poi stati trovati davvero. Sono i cosiddetti “pianeti mancanti”, mondi cercati e mai esistiti, come Vulcano, un piccolo corpo vicinissimo al Sole che guidò Einstein alla scoperta della relatività generale. Oppure sono oggetti cercati e poi trovati davvero, come il gigante ghiacciato Nettuno ai confini del Sistema Solare. A volte, poi, da questa ricerca è scaturito tutt’altro: a inizio ‘900 gli astronomi hanno cercato un pianeta misterioso oltre l’orbita di Nettuno, chiamato Planet X. Cercandolo, Clyde Tombaugh scoprì il pianeta nano Plutone, che abbiamo avuto modo di conoscere più da vicino solo nel 2015 grazie alla sonda New Horizons.

Ma la caccia ai pianeti mancanti non è solo storia. Ancora oggi stiamo cercando un pianeta mancante: il misterioso Planet Nine, una gelida super-Terra che si troverebbe nell’oscurità ai margini del sistema planetario.

Pianeti Mancanti, pubblicato per Edizioni Dedalo, è il primo libro interamente dedicato al mistero dei pianeti mancanti, la più affascinante epopea di scoperta astronomica, che lega a doppio filo oltre tre secoli di scienza, storia ed esplorazione spaziale. Un libro adatto a tutti, sia a chi è a digiuno di questi argomenti sia ai lettori più appassionati di saggistica scientifica.

Quella dei pianeti mancanti è in effetti la storia di come abbiamo scoperto tutti i corpi del Sistema Solare” commenta Nardi. “Dalle prime ipotesi dei pensatori greci, fino alle recenti su Planet Nine, passando per gli asteroidi, Nettuno, Vulcano e Planet X, tutte queste storie sono legate da un unico filo conduttore, che ci racconta di come abbiamo imparato a conoscere il nostro vicinato cosmico.”

Il libro è disponibile a partire dal 14 febbraio 2025 in tutte le librerie fisiche e sugli store online di Amazon ed Edizioni Dedalo.

la copertina del saggio di Luca Nardi, Pianeti mancanti. Da Plutone a Planet Nine, gli astri erranti nascosti nell’oscurità, pubblicato da Edizioni Dedalo (2025)
la copertina del saggio di Luca Nardi, Pianeti mancanti. Da Plutone a Planet Nine, gli astri erranti nascosti nell’oscurità, pubblicato da Edizioni Dedalo (2025)

Luca Nardi è astrofisico, dottore in scienze planetarie e divulgatore scientifico. È noto su tutti i social network, ma in particolare sul suo canale YouTube. Collabora con il Planetario di Roma e con varie testate tra cui Wired Italia. Ha pubblicato “Un mese a testa in giù” (Geo4Map, 2021), “Giganti Ghiacciati” (Dedalo, 2023), e “Pianeti Mancanti” (Dedalo, 2025). Con Giganti Ghiacciati ha vinto il Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica.

 

Testo e immagini dall’autore.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato – Intervista agli autori e recensione del nuovo libro di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023).

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Il libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, edito da Gribaudo, è una guida per il lettore-consumatore, divisa in quattro capitoli. Gli argomenti sono trattati con un approccio didattico che aiuta a imparare e reimparare quello che crediamo di sapere sulle plastiche: paragrafi, concetti in evidenza, parole chiave in grassetto, codici QR per approfondimenti (che riportano a video e a pratiche aziendali virtuose).

Il saggio fa riflettere sulle scelte quotidiane di ciascuno di noi e sulle ricadute sociali di quelle stesse scelte. Cosa troviamo nel libro? Metafore, esempi, excursus storici e aneddoti di storia della scienza, analogie utili a comprendere il concetto scientifico spiegato poi con il lessico idoneo. In più, le note consentono al lettore di soffermarsi subito sulla fonte o sull’approfondimento proposto.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato è un viaggio nel mondo delle plastiche, senza proclami o annunci “urlati”. Vi sono poche formule chimiche spiegate in maniera chiara e immagini funzionali alle spiegazioni testuali. La grafica è piacevole, sebbene il testo sia leggermente piccolo. L’uso di diverse tipologie di grafici non appesantisce la narrazione, anzi rende il messaggio più comprensibile, lo riassume a vista d’occhio e consente al lettore di fare le sue considerazioni. Quello che sai sulla plastica è sbagliato ha tutte le caratteristiche per essere un valido strumento per la comunità.


Il libro inizia scardinando le piccole convinzioni e conoscenze del lettore. Per esempio, la prima frase che lo destabilizza è la seguente: “non tutto ciò che è plastica va nella plastica”. E tanto per complicarci la vita, dipende anche dal comune…
Nella stesura del libro vi siete imbattuti in fonti su metodologie di raccolta o di riciclo delle plastiche non idonee in Italia? E di realtà particolarmente virtuose?

Quando parliamo di gestione dei rifiuti e, in particolare, di recupero dei rifiuti plastici non è tanto semplice distinguere tra “virtuoso” e “non idoneo”. A seconda dei punti di vista la gestione dello smaltimento delle plastiche in Italia può essere considerato virtuoso o carente. Dipende da quali parametri prendiamo in considerazione e qual è l’obiettivo che ci prefiggiamo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, si ricicla pochissimo e gran parte della plastica finisce in discarica, tuttavia questa gestione, sicuramente non ideale, permette di avere una filiera più semplice ed efficiente diminuendo la dispersione di rifiuti plastici nell’ambiente. Chiariamoci, la gestione statunitense è ben lontana dall’essere ideale o sostenibile, tuttavia, è esemplificativo del fatto che il panorama della gestione dei rifiuti è così complesso che è difficile dare una definizione assoluta di “idoneo”.

Per tornare all’Italia, noi siamo piuttosto forti nel recupero e riciclaggio delle plastiche. Questo sicuramente ci rende, almeno in parte, virtuosi. Tuttavia, recentemente, ci siamo opposti strenuamente alla nuova direttiva europea che mira ad eliminare gli imballaggi inutili e incentivava il riutilizzo.

Lo scenario migliore sarebbe quello che ci porta a non generare proprio il rifiuto, così da non doverlo gestire rischiando la dispersione nell’ambiente. Probabilmente questo potrebbe definirsi davvero virtuoso. L’Europa sta andando in questa direzione, l’Italia un po’ meno.

 

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Immaginiamo di essere al supermercato: c’è davvero bisogno di tutto questo packaging?

A volte sì, a volte no. Gli imballaggi hanno lo scopo di proteggere il prodotto nel trasporto dal produttore al consumatore, quindi, per definizione, sono degli oggetti che diventano immediatamente un rifiuto.

D’altro canto, anche i prodotti che acquistiamo hanno un impatto sull’ambiente, quindi senza imballaggio molti di essi non arriverebbero nemmeno nelle nostre case perché danneggiati dal trasporto o, nel caso di alimenti, andati a male.
Anche lo spreco ha un impatto, spesso, ben superiore a quello dell’imballaggio correttamente gestito.

È comunque innegabile che in molti casi ci sia una sovrabbondanza di imballaggio e sicuramente noi consumatori siamo chiamati a selezionare i prodotti che si propongono di essere più sostenibili, ma per noi  cittadini non è sempre così facile capire quali lo siano realmente.

La soluzione migliore è proprio quella proposta dall’Europa nella nuova direttiva imballaggi che prevede di vietare per legge gli imballaggi inutili, limitandosi solo a quelli necessari per la corretta conservazione del prodotto.

supermercato supermarket
Foto di Joshua Rawson-Harris

Attendere che la ricerca scientifica faccia il suo corso e non mostrarsi frettolosi nel trarre le conclusioni. Soffermiamoci sul vostro modo prudente di trattare le microplastiche, un ambito di ricerca in espansione.

Le microplastiche sono sicuramente una questione delicata. Molti media ne parlano come qualcosa dall’impatto catastrofico, tuttavia ad oggi sappiamo molto poco del loro impatto sull’uomo e sugli ecosistemi.

Certo, il principio di precauzione ci suggerisce di tenere gli occhi aperti e fare il possibile per diminuirne la diffusione, perché se è vero che non abbiamo la certezza che ci facciano male, è decisamente poco probabile che ci facciano bene.

L’unica cosa che possiamo fare è continuare a studiare la questione e cercare di diminuire il più possibile la formazione delle microplastiche. Chiaramente il modo migliore per farlo è evitare di disperdere oggetti di plastica nell’ambiente.

 

Per quanto riguarda l’Italia, mettete in evidenza tanto i comportamenti virtuosi quanto le bad practice che non ci fanno esultare. Quali suggerimenti dareste al lettore-consumatore per non cadere nella trappola di sensazionalismi e proclami?

Il grosso problema con cui ci scontriamo nelle nostre presentazioni in giro per l’Italia è la difficoltà di comprensione, da parte del consumatore, su dove gettare un determinato oggetto.

Il fatto che ci siano moltissimi tipi di plastiche diverse, che possiamo mettere nel cestino solo gli imballaggi, e che si stiano diffondendo i materiali compostabili, che vanno conferiti (quasi sempre) nell’umido, rende piuttosto complesso per il consumatore capire cosa deve fare.

Ammettiamo che anche noi, ancora oggi, abbiamo qualche difficoltà. Inoltre, a volte le informazioni sulla confezione sono insufficienti e richiedono di andare sul sito dell’azienda per avere un’indicazione completa.

Il consiglio migliore che ci sentiamo di dare è quello di non fermarsi allo slogan, ma leggere con attenzione l’etichetta del prodotto prima di acquistarlo. L’ideale sarebbe avere leggi più stringenti che obblighino le aziende a inserire tutte le indicazioni di smaltimento sulla confezione del prodotto, ma in mancanza di questo, non rimane che prenderci noi l’onere di andare oltre gli slogan.

Ovviamente non sarà possibile farlo sempre e per tutti i prodotti che acquistiamo, ma farci attenzione ogni tanto è già un buon inizio.

 

Biodegradabile, compostabile, bio-based, plant-based, parole che nel libro vengono spiegate molto bene. Il marketing tiene sempre più conto della crescente coscienza ambientale delle persone? Lo fa nel modo corretto?

Se c’è una cosa positiva nel greenwashing, che alcune aziende mettono in atto, è proprio il fatto che si sentano forzate a improntare il proprio marketing sulla sostenibilità. Rispetto al passato, infatti, sembra sia diventato inaccettabile non essere sostenibili e amici dell’ambiente. Chiaramente, questa pressione da parte della società, trova facile risposta negli slogan, ma una più difficile risposta concreta.

D’altro canto, il marketing serve a vendere un prodotto, non a comunicare oggettivamente la sostenibilità. Molti di noi sono cresciuti con le pubblicità e le televendite e dovremmo sapere che non tutto quello che è scritto in grande su una confezione corrisponde alla realtà. Se partiamo da questo presupposto, che spesso dimentichiamo, dovrebbe essere più facile diventare dei consumatori critici e consapevoli.

 

Immagino non sia stato facile per voi districarsi nella chimica delle plastiche. Ma non è semplice anche per il legislatore. A vostro parere, le leggi sulla produzione, sul riutilizzo e sul riciclo delle plastiche sono coerenti e adeguate ai nostri tempi?

Non è una domanda facile. Noi abbiamo affrontato l’argomento dal punto di vista tecnico-scientifico, la questione politica si muove parallelamente ma su altri binari. Il mercato delle plastiche è enorme e ogni cambiamento implica un vasto impatto su migliaia di aziende di produzione, raccolta, smaltimento e riciclaggio. È comprensibile che un politico sia più prudente di uno scienziato e che le leggi non siano sempre perfettamente aderenti a quando dice la scienza. Detto questo, è abbastanza chiaro che la situazione attuale sia frutto di una certa leggerezza nella scrittura delle leggi e nella loro applicazione.

Certo, se noi tre avessimo in tasca la soluzione al problema delle plastiche probabilmente ora saremmo a Stoccolma a ritirare il Nobel.

Il nostro auspicio è che in futuro ci sia molta più attenzione da parte del legislatore nel richiedere un’informazione trasparente e nel fornire un’educazione alla popolazione.

Si riuscisse a standardizzare delle regole a livello nazionale (invece di avere regole diverse da comune a comune) sarebbe già un buon inizio.

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Tecnologia, Legge, Politica ed Economia sono elementi decisivi per una maggiore sostenibilità di un mondo “plastico”. Secondo voi “parlano” davvero tra loro in vista degli ambiziosi obiettivi di valorizzazione dei rifiuti dell’Agenda 2030?

Sicuramente tutti questi ambiti parlano tra loro, ma non sempre si capiscono. Soprattutto, non in tutto il mondo questi campi della conoscenza hanno pari peso. Per molti paesi la crescita economica e industriale è più importante della sostenibilità ambientale. In altri la politica non vuole “pestare i piedi” ad una filiera produttiva consolidata e di successo. Come già citato più volte in questa intervista, l’Unione Europea si sta muovendo bene imponendo ai vari stati di modificare il proprio comportamento per migliorare la gestione dei rifiuti plastici. È probabile che anche questa nuova direttiva non risolverà completamente il problema, ma la strada è tracciata. Non rimane che vedere con quanta rapidità i politici italiani si adegueranno alle richieste e sulla base di questo trarre le nostre conclusioni. Se da un lato come cittadini non possiamo, singolarmente, risolvere i problemi causati dalla diffusione della plastica nel nostro tessuto produttivo, possiamo per lo meno valutare se i nostri rappresentati si stiano muovendo nella direzione giusta.

 

Ove non indicato diversamente, si ringraziano gli autori per le immagini.

 

Gli autori del saggio Quello che sai sulla plastica è sbagliato


Stefano Bertacchi
Stefano Bertacchi

Stefano Bertacchi è dottore di ricerca in biotecnologie industriali e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca. Si occupa dello sviluppo di molecole di interesse industriale, mediante l’uso di microrganismi geneticamente modificati o meno. È anche un divulgatore scientifico, via social media ed eventi scientifici. Ha all’attivo tre libri: “Piccoli geni – alla scoperta dei microrganismi“, “Geneticamente modificati – Viaggio nel mondo delle biotecnologie”, “50 grandi idee biotecnologie

 

 

 

 


 

Ruggero Rollini
Ruggero Rollini

Ruggero Rollini è uno dei volti noti di Superquark+ su RaiPlay e  di Noos su Rai1. Laureato in chimica e divulgazione delle scienze naturali, si occupa di comunicazione della scienza sui social media e per eventi culturali. Tratta principalmente la chimica dell’ambiente e del quotidiano. Ha scritto “C’è chimica in casa” (Mondadori, 2022).

 

 

 

 

 

 


 

Simone Angioni
Simone Angioni

Simone Angioni è chimico con un dottorato sulla sintesi di polimeri innovativi per la transizione. Ha lavorato per anni nel mondo della ricerca specializzandosi sulle fonti di energia sostenibili. È divulgatore scientifico sia online sia collaborando come docente per diversi master in comunicazione della scienza. È autore di due libri “Chimica in 5 minuti” e “Con la giusta energia – Verso un futuro sostenibile“, entrambi editi da Gribaudo.

Materiali per la vita di Devis Bellucci, edito da Bollati Boringhieri, è un libro che ci parla di biomateriali, da un lato raccontandone la storia, dall’altra facendo un po’ il punto della situazione [Vai all’antefatto].

Non sono storie lontane anni luce da noi, ma ci raccontano scoperte di biomateriali che sono ormai parte della vita quotidiana. Ci raccontano di come siamo arrivati ad avere le lenti a contatto, i cristallini artificiali, le protesi dell’anca, l’amalgama dei denti, a usare acido ialuronico e collagene, ecc. Insomma, invenzioni delle quali ci auguriamo di non aver mai bisogno, ma che per molti di noi sono invece realtà (e per fortuna, perché l’alternativa sarebbe sicuramente peggiore).

È un libro che – plausibilmente – pare destinato a invecchiare bene, perché le storie raccontate non sono focalizzate tanto sulle ultimissime scoperte, quanto sul percorso che da decenni, quando non secoli, stiamo percorrendo. Certo, non c’è tantissimo spazio per l’archeologia, ma l’autore fa ben intendere che da sempre siamo sul cammino dell’invenzione dei biomateriali.

È un libro che parla di una scienza fatta di persone, di tanto studio e fatica, di abnegazione, di meccanismi economici non sempre facili, di errori e direzioni che si rivelano sbagliate, di colpi di fortuna, di finali tragici come di riconoscimenti meritati.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Le storie dei biomateriali sono spesso storie di gente dotata di una “buona dose di saggia irragionevolezza” (p. 69), grazie alla quale riescono a portare avanti dei principî nuovi, rivoluzionando il loro campo, nonostante la diffidenza circostante.

Questa diffidenza non appare però mai del tutto immotivata, e proprio nelle ultime pagine del libro, Devis Bellucci ci lascia con un finale tragico, quello dello scandalo STAP, che fa intendere come per cambiare una concezione sia sempre necessario portare solide prove a sostegno delle proprie tesi. Anche al di là di questo, come si diceva, la storia dei biomateriali non è sempre una storia di successi, ma appare costellata di fallimenti, di ciarlatani, di pratiche esecrabili.

Scopriremo anche le storie di alcuni italiani, nessuno dei quali otterrà i riconoscimenti che avrebbe meritato. Viste le premesse, non mi sono sorpreso.

 

Dall’altra parte, anche se finora abbiamo parlato soprattutto di storie, nel saggio di Devis Bellucci troviamo anche i principî, che permettono al lettore di avvicinarsi in maniera non del tutto passiva alla materia, ma lasciando la piacevole sensazione di iniziare a capire.

Scopriremo così come la chimica del carbonio dialoga chimicamente con la materia inorganica, scopriremo principî come quelli di biocompatibilità, di bioattività, di osteointegrazione, oltre che la differenza tra biomateriali di prima, seconda e terza generazione.

Come spiega Devis Bellucci (pp. 9-16), il rapporto tra biomateriali e cellule del nostro corpo non è poi troppo diverso da quello di Gulliver legato dai lillipuziani. Illustrazione da p. 121 del libro Boys’ and Girls’ Bookshelf, volume nono, Children’s Book of Fact and Fancy, The University Society, New York (1912). Immagine Internet Archive Book Images da Flickr, in pubblico dominio

 

Tornando a quanto in antefatto, quello di Devis Bellucci è anche un libro che sostiene un rapporto sano con la scienza, piacevolmente equidistante dagli estremi, da eccessi che spesso avvelenano la discussione pubblica. Non troveremo quindi il “non ce lo dicono”, né “gli oscuri moventi di Big Pharma”, e neppure “la Scienza con la S maiuscola, che non sbaglia mai”.

Polietilene
Polietilene espanso. Foto di Tasuavicu, CC BY-SA 4.0

 

Ringraziamo Devis Bellucci per aver risposto alle domande di ScientifiCult:

Episodi come quello dello scandalo STAP sarebbero ancora possibili oggi? E in Italia?

Certo che possono succedere, in Italia e ovunque. Come racconto più volte nel libro, la scienza è fatta, prima di tutto, di persone. Col loro vissuto e le loro aspirazioni. Il rischio di una frode, o comunque di comportamenti eticamente discutibili, va messo in conto.

In altri casi, invece, il ricercatore di turno sbaglia in buona fede, arrivando perfino a interpretare inconsciamente i risultati in funzione delle proprie aspettative, scartando quel che non gli torna ed esaltando i dati che confermano le sue idee.

Ma per fortuna, non si fa scienza da soli. C’è un’intera comunità di addetti ai lavori che vaglia le novità, cerca di riprodurre i risultati, discute, critica e corregge. Nel caso delle STAP, furono proprio gli esperti in materia a sollevare dubbi sulla solidità della scoperta, visto che quei risultati non erano riproducibili in altri laboratori. La magagna è venuta presto a galla e gli articoli sono stati ritirati.

Gli errori – frodi incluse – possono sfuggire sul momento, ma di solito non hanno vita lunga. E tanto più la scoperta è eclatante, quanto più la comunità scientifica si attiva per “fare le pulci” ai risultati pubblicati.

Polietilene. Foto di Lluís de Tarragona, CC BY-SA 3.0

In queste settimane si parla sempre più insistentemente di interfacce che possano ampliare le possibilità umane. Pensa accetteremo mai una simile prospettiva, da un punto di vista culturale? I rischi e i vantaggi ai quali andremmo incontro sarebbero diversi da quelli che vediamo nei futuri distopici della fantascienza?

Penso che, come in ogni avventura dell’umanità, ci sarà spazio per tutto: qualcuno ambirà ad avere un corpo performante, in grado di correre veloce come il vento o, che so io, di vedere nell’infrarosso, e qualcuno si accontenterà di quel che madre natura ci ha donato, puntando sostanzialmente ad avere un corpo in buona salute e che mantenga le proprie funzionalità, nonostante l’invecchiamento, le malattie o eventuali incidenti di percorso che possono capitare.

Nel libro racconto il caso emblematico di Neil Harbisson, il primo ragazzo cyborg, in grado di percepire i colori in forma di suoni, anche quelli al di là delle possibilità della visione umana. Ha fatto bene a farsi impiantare in testa un’antenna per trasformare il mondo che ci circonda in una sinfonia? Non saprei. Mi auguro solo che possa spegnere l’impianto quando desidera il buio, cioè un po’ di silenzio.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Quali potrebbero essere le grandi scoperte in ambito biomateriali che ci aspettano nei prossimi decenni? Saranno inaspettate?

Riguardo all’inaspettato, quando fai ricerca è sempre lì che ti aspetta! A parte gli scherzi, sono tanti i campi di indagine da cui avremo – credo – delle belle sorprese. Impareremo sempre meglio a sfruttare i biomateriali per coadiuvare i processi autoriparativi dei nostri tessuti. Proprio al Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia stiamo cercando di sviluppare degli speciali biovetri in polvere, con effetto antibatterico e cicatrizzante, per metterli su cerotti e garze da impiegare laddove una ferita fatichi a guarire.

Penso, ad esempio, alle piaghe da decubito o a quelle che affliggono i pazienti diabetici. Ancora, impareremo a sfruttare sempre meglio la stampa e la biostampa 3D, così da realizzare in laboratorio parti di ricambio per i nostri corpi, fatte su misura per ognuno di noi. Infatti, il punto di partenza sono le cellule del corpo del paziente, prelevate tramite biopsia. In questo modo, il tessuto e chissà, in futuro l’organo che andiamo a impiantare non verrà rigettato dall’organismo: spariranno quindi le lunghe lista di attesa per i trapianti e anche i farmaci anti-rigetto diventeranno solo un brutto ricordo.

Un altro ambito interessante è quello dei biomateriali per drug-delivery, ossia il rilascio controllato di farmaci. In questo caso, il biomateriale, ad esempio sottoforma di nanoparticelle, viene caricato con un farmaco, e funge da vettore per condurre la molecola direttamente al bersaglio, ad esempio una massa tumorale. In ultimo, c’è tutto quello che arriverà grazie all’impiego dell’elettronica. Personalmente, sono molto curioso e fiducioso.

 

Le ultime parole del libro mi hanno incuriosito. Riusciremo superare il limite di Hayflick, a raggiungere l’immortalità? Sarebbe poi auspicabile o no?

Il limite di Hayflick ci racconta che, in un certo senso, è scritto nella trama stessa della vita che essa debba esaurirsi e spegnersi. Non so se riusciremo a modificare questo straordinario racconto, di cui facciamo parte e che si svolge ogni giorno attorno a noi. A livello di impressione, mi sembra più probabile che impareremo a riparare sempre meglio i nostri corpi, fino a rigenerarne alcune parti, più che a renderli immortali.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Riprendendo una suggestione del libro, nella scienza oggi servirebbe più gente ragionevole o irragionevole?

Serve gente innamorata di quello che fa: stare continuamente in bilico ai confini, seminare con fiducia senza veder crescere nulla per molto tempo, sentire di far parte di un grande gioco di squadra di cui non conosci appieno né le regole, né gli avversari. E non nascondiamolo: sono necessari grandi sacrifici. Spesso non hai orari, la precarietà è all’ordine del giorno e la tua mente è sempre un pochino da un’altra parte. Ci vogliono quindi passione e amore. L’amore deve essere ragionevole o irragionevole per continuare ad ardere e rinnovarsi, nonostante tutto? Me lo dica lei…

 

La copertina del saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo
La copertina del saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze

Devis Bellucci

Devis Bellucci (Vignola, 1977) ha conseguito una laurea e un dottorato di ricerca in fisica all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dove oggi è ricercatore in Scienza e Tecnologia dei Materiali presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”. Si occupa di materiali compositi per il settore automotive e di biomateriali per ortopedia, odontoiatria e ingegneria dei tessuti. Scrittore, giornalista e divulgatore scientifico, ha pubblicato: “Perché la forchetta non sa di niente? E altre domande curiose per capire la scienza senza uscire di casa” (Rizzoli); “Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo” (Bollati Boringhieri) e “Guida ai luoghi geniali. Le mete più curiose in Italia tra scienza, tecnologia e natura per piccoli e grandi esploratori” (Ediciclo).

Antefatto 

Prima di incontrare l’autore del saggio Materiali per la vita, Devis Bellucci, mi stavo arrovellando su una questione. Nel tentativo di questa testata di comunicare gli avanzamenti scientifici (quindi, un fatto intrinsecamente positivo), notavo una risposta assai negativa dal pubblico.
Se si scopriva qualcosa a livello di astronomia, era uno spreco perché quei soldi era meglio spenderli per curare i tumori.
Se si raccontava un’iniziativa in ambito medico, si ipotizzavano chissà quali oscuri moventi.
Se si spiegavano gli avanzamenti nell’intelligenza artificiale, il pubblico si ribellava, ritenendola inutile e ipotizzando futuri distopici nei quali le macchine superano l’uomo, dimenticando completamente le attuali, ubique applicazioni dell’IA.
Non oso neppure accennare alle reazioni sul COVID-19.

La risposta mi era chiara, che non si può pretendere di avere una scienza “on demand”, ma che per raggiungere un obiettivo tanti piccoli passi intermedi sono necessari, che gli studi legati alle missioni spaziali hanno contributo alle nostre conoscenze in tante direzioni, ecc.
Sentivo però che non era una risposta di quelle che lasciano sazio l’interlocutore.

Devis Bellucci Beatrice Mautino Food & Science 2022 Foto Giuseppe Fraccalvieri
Devis Bellucci e Beatrice Mautino al Food&Science 2022 di Mantova. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Arrivarono così i giorni del Food&Science Festival di Mantova e dell’intervento di Devis Bellucci, ricercatore in Scienza e Tecnologia dei Materiali, Università di Modena e Reggio Emilia. Il tema era quello dei materiali che incontrano il cibo, e rimasi piacevolmente colpito tanto dall’eloquio spigliato e acuto, come dalle storie raccontate.
Storie di scienza che spiegavano il mondo attorno, ma davano anche una risposta alle mie domande. Dai materiali utilizzati nello spazio che trovano applicazione sulla terra, a quelli scoperti decenni prima e ritenuti inutili, che diventano d’un tratto utilissimi nel contesto giusto.
È il concetto di serendipità (p. 88), che spesso trova applicazione in campo scientifico, e che in questo libro, oltre a mostrarsi con alcuni splendidi esempi, diventa anche un invito a non essere superficiali e a osservare con grande attenzione (p. 117).

Le storie raccontate in Materiali per la vita non mi sono parse troppo diverse da quelle dell’intervento, e pur nella forma scritta, conservano lo stesso spirito del racconto dal vivo, e così le pagine scorrono veloci [Torna all’inizio].