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Tanti ospiti e personalità all’evento SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI per parlare di inclusione e diversità

Sky Inclusion Days con Figli ≠ Genitori

INTERVENTI E DIBATTITI

con rappresentanti delle Istituzioni tra cui il Ministro per le Disabilità ALESSANDRA LOCATELLI

 

Molti i volti del mondo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’intrattenimento e dello sport. Tra gli altri:

NICCOLÒ AGLIARDI, SALVATORE ARANZULLA, FRANCESCA BARRA, ELISABETTA DAMI, AMALIA ERCOLI FINZI, SARA GAMA, VERA GHENO, GIORGIO MINISINI, ALESSANDRO OSSOLA, AZZURRA RINALDI

 

Con le performance e gli interventi di artisti quali:

VINICIO MARCHIONI, OMAR HASSAN, MACIA DEL PRETE, DOMENICO CUOMO, PAOLA GIOIA KAZE FORMISANO, TOMMY KUTI

 

IL 14 E 15 MAGGIO 2023 A MILANO MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI

Sky Inclusion Days con Figli ≠ Genitori

Dalle performance artistiche e i contributi di Vinicio Marchioni, Omar Hassan, Macia del Prete, Domenico Cuomo, Paola Gioia Kaze Formisano Tommy Kuti agli interventi del Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e della scrittrice Elisabetta Dami; dalle testimonianze degli sportivi Sara Gama e Giorgio Minisini, ai contributi della scienziata Amalia Ercoli Finzi e dell’economista Azzurra Rinaldi, all’atleta paralimpico Alessandro Ossola: sono solo alcuni degli ospiti del programma di “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI”, il primo grande evento di Sky sui temi dell’inclusione e della diversità, organizzato in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice…

Due giorni di testimonianze, performance, workshop, incontri e dibattiti che si svolgeranno domenica 14 e lunedì 15 maggio 2023 a Milano, presso Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci.

Sky, da sempre impegnata sui temi dell’inclusione e della diversità, ha scelto di supportare Lidia Dice… e il progetto Figli  Genitori per realizzare insieme questa importante nuova iniziativa, un momento di confronto per sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche così importanti.

Il via ai lavori è previsto domenica 14 maggio alle 11.00 con le performances della coreografa Macia del Prete e dell’attore Domenico Cuomo. A seguire, spazio alla Festa della Mamma, all’arte con l’intervista a Omar Hassan e al racconto di storie di sport con campioni come Sara Gama e Giorgio Minisini con Daniele Cassioli, oltre a un dibattito che approfondirà il tema della parità di genere, e che vedrà coinvolte la giornalista e scrittrice Francesca Barra e l’economista Azzurra Rinaldi. La giornata prosegue con un confronto sulla libertà nell’era digitale con Padre Paolo Benanti e uno sulla paternità biologica, affidataria e adottiva con il cantautore Niccolò Agliardi e il comico Antonio Ornano. Non mancheranno un momento musicale affidato all’esibizione di Tommy Kuti e una performance dell’attore Vinicio Marchioni.

Lunedì 15 maggio, Giornata Internazionale delle Famiglie, si riparte alle 10.00 con Amalia Ercoli Finzi ed Elvina Finzi, un confronto mamma-figlia tra due generazioni di donne scienziate. Seguiranno altre storie di sport raccontate da giovani campioni e un approfondimento sul tema del razzismo e dell’antisemitismo con Michele Sarfatti. Focus sull’inclusione digitale e il progetto Sky Up che vede tra gli ospiti Salvatore Aranzulla e la tech influencer e imprenditrice digitale Fjona Cackalli. E ancora, un approfondimento sul linguaggio inclusivo con le linguiste Vera Gheno ed Elena Loewenthal e il comico Pierluca Mariti, oltre a un focus sul tema dell’autismo con Nico Acampora, fondatore di PizzAut. Non mancherà un confronto sull’inclusione nel mondo del lavoro con il Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e l’atleta paralimpico e Presidente di Bionic People Alessandro Ossola. Spazio anche alla musica con una performance di Paola Gioia Kaze Formisano.

Maggiori informazioni e il programma della due giorni sono disponibili sulla pagina: https://tg24.sky.it/stories/cronaca/sky-inclusion-days-programma-ospiti-e-iscrizioni/index.html

INFORMAZIONI E PROGRAMMA SKY INCLUSION DAYShttps://inclusiondays.sky.it

L’evento sarà disponibile in diretta sul canale 501 di Sky e in streaming su skytg24.itCollegamenti e aggiornamenti anche su Sky TG24 e su Sky Sport 24.

RTL 102.5 – radio ufficiale dell’evento – seguirà la due giorni con interviste e approfondimenti.

Per partecipare e seguire i dibattiti live è sufficiente registrarsi al seguente link https://www.eventbrite.it/e/616345354547

L’evento “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI ≠ GENITORI” si avvale del patrocinio di Camera di Commercio Americana, Camera di Commercio Britannica, Consolato Generale Americano.

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Fra inclusione e rappresentazione, l’artista afro-italiana KAZE agli Sky Inclusion Days:

“Grata a Lisa Nur Sultan per come ha scritto la mia Sofia in Call My Agent, per la prima volta non sono una checkbox”

 SONIA ROVAI: “Iniziano a breve le riprese della seconda stagione di Call My Agent – Italia

 FRANCESCA VECCHIONI di Diversity: “Tutte le produzioni devono essere inclusive, on-screen e off-screen”

 Milano, 15 maggio 2023 – “Sono estremamente grata a Lisa Nur Sultan per come ha scritto il mio personaggio – Sofia, la receptionist dell’agenzia al centro del racconto della serie Sky Original – in Call My Agent – Italia, per la prima volta non ero solo una checkbox”, ha dichiarato Kaze, poliedrica artista afro-italiana, ospite insieme alla fondatrice di Diversity Francesca Vecchioni e a Sonia Rovai, Senior Director Scripted Productions Sky Italia dell’incontro «Rappresento ergo sum? Essere inclusivi sullo schermo», moderato dal giornalista di Sky TG24 Luigi Casillo nel corso dell’evento “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI”, organizzato da Sky in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice. “La diversità del suo personaggio – spiega Sonia Rovai – è diventata portatrice di un racconto, non era solo un pretesto per spuntare una casella in fase di casting”.

Prima di Call My Agent – di cui, come annunciato da Sonia Rovai, iniziano fra poche settimane le riprese della seconda stagione – Kaze ha sostenuto decine di provini:

“Spesso andavano male e altre volte andavano bene, ma se mi prendevano è perché magari ero la spunta che andava bene, perché scartavano le ragazze con la pelle più scura della mia. Io magari avevo caratteristiche più simili all’eurocentrismo di altre, ero «diversa ma non troppo»”.

SKY INCLUSION DAYS con FIGLI ≠ GENITORI è una due giorni di testimonianze, performance, workshop, incontri e dibattiti che è iniziata ieri 14 maggio e proseguirà anche oggi 15 maggio a Milano, presso il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, per riflettere sul tema del rapporto con la diversità in tutte le sue declinazioni: dalla parità di genere ai diritti delle persone LGBTQ+, dalla disabilità alla body positivity, dal background etnico all’inclusione digitale e a quella del linguaggio, con uno sguardo sempre attento al confronto tra generazioni e al rapporto tra genitori e figli.

Fra rappresentazione sullo schermo, il rischio della stereotipizzazione e toni pietistici da evitare, nella industry

“la situazione è ancora in evoluzione”, ha spiegato Sonia Rovai, “ma si è iniziata a fare molta formazione e comunicazione”. “Noi e Diversity – ha raccontato – ci siamo sentiti molto in questi ultimi mesi, stiamo lavorando a un workshop per tutto il team di Sky Studios, per accedere in maniera chiara ai giusti metodi per evitare di incorrere  in una rappresentazione stereotipata”.

Di produzioni che devono essere quanto più inclusive possibile anche dietro le quinte, e non solo davanti alla macchina da presa, ha parlato Francesca Vecchioni:

“Abbattiamo i pregiudizi a partire non solo da chi appare sullo schermo, guardando quindi all’on-screen, ma soprattutto considerando tutta la parte di off-screen, chi lavora dietro le quinte,  da chi scrive a chi comunica a chi decide, a chi lavora in produzione. Se non si riesce ad aprire tutto il mondo del lavoro alla diversità, nella costruzione del prodotto non si potrà che cadere nello stereotipo”.

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Sky. Aggiornato l’11 Maggio 2023.

Educazione finanziaria nelle scuole, una app fa da tutor agli studenti 
Il progetto messo a punto dai giovanissimi componenti del team di Finanz Road Tour aiuterà a colmare il grave ritardo che ha l’Italia in questo settore.
Da oggi al via la campagna di raccolta fondi con #BiUniCrowd.

Milano, 4 maggio 2023 – Gireranno l’Italia con un obiettivo: offrire agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado gli strumenti per acquisire competenze finanziarie. Sono i giovanissimi componenti del team di Finanz Road Tour, che puntano ad avviare il progetto attraverso Bicocca Università del Crowdfunding, il programma di finanza alternativa dell’Ateneo che promuove lo sviluppo di progetti innovativi e idee imprenditoriali. La campagna di raccolta fondi parte oggi.

L’idea l’hanno avuta, proprio tra i banchi di scuola, tre compagni di classe: Lorenzo Perotta, Matteo Longoni e Alessandro Caccia. Spinti dalla consapevolezza di sapere poco di finanza, si sono presto resi conto di non essere gli unici: quanto a competenze finanziarie il nostro Paese è al 25esimo posto sui 26 presi in esame dall’Ocse e solo un italiano su due conosce il significato di tasso di interesse. Da quella intuizione sono trascorsi tre anni. Il gruppo iniziale si è allargato divenendo un team con competenze multidisciplinari e con un’età media di appena 22 anni. Ne fanno parte anche Sara Bernardini, Giacomo Gallazzi, Andrea Pasini e Matteo Spreafico.

Il sistema messo a punto per rendere facile e divertente l’approccio ai temi della finanza da parte dei ragazzi prevede l’utilizzo di una app ad accesso gratuito. L’utente che si registra viene profilato da un algoritmo in base a interessi, livello di studi e grado di conoscenza delle nozioni finanziarie. Questo consente di definire un “piano di studi” personalizzato che può essere seguito con l’aiuto della stessa app che funge da tutor personale, aggiornando il percorso in base ai progressi o alle difficoltà incontrate dall’utente. Il programma, inoltre, prevede anche corsi tradizionali.

«Per costruire un futuro economicamente sano, è fondamentale promuovere l’educazione finanziaria sin dalla scuola. I giovani – sottolinea il team leader Lorenzo Perotta – devono acquisire le basi della finanza per imparare a gestire i propri soldi in modo consapevole. Per questo, Finanz si impegna a fornire gli strumenti e le risorse necessarie per sostenere questo importante processo educativo. Sostenere il nostro progetto significa garantire un futuro di successo e felicità alle nuove generazioni, permettendo loro di acquisire la libertà di scelta attraverso l’educazione finanziaria».

 

Finanz Road Tour è stato selezionato tra i dieci progetti che sono stati candidati nella sezione a tema libero della quinta call di #BiUniCrowd grazie anche alle sue potenzialità di sviluppo. Non a caso, lo scorso anno il team che lo propone è stato indicato come startup del mese dal centro di innovazione Le Village by Crédit Agricole.

«Finanz Road Tour – spiega Salvatore Torrisi, prorettore alla Valorizzazione della Ricerca – è un progetto imprenditoriale che parte da un problema reale e si rivolge ad un target, i giovani in età scolastica, non facile da raggiungere con metodi didattici tradizionali. L’approccio e lo strumento (un tutor digitale) adottati fanno ben sperare in termini di potenziale di mercato e di impatto sociale».

È possibile sostenere il progetto Finanz Road Tour anche con un piccolo contributo collegandosi alla pagina dedicata su Produzioni dal Basso, prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation. La campagna avrà la durata di 60 giorni. L’obiettivo è raccogliere 10mila euro, ma già al raggiungimento del 50% del target scatterà il co-finanziamento da parte dell’Università di Milano-Bicocca. In base al sistema delle campagne di reward based crowdfunding che da sempre caratterizza #BiUniCrowd, ogni donatore riceverà uno speciale riconoscimento. Per i contributi più importanti, il nome del donatore o il logo dell’azienda o associazione che aiuteranno l’iniziativa verrà inserito fra i supporter sui canali web del progetto e i sostenitori verranno invitati agli eventi di presentazione.

L’avvio della campagna di crowdfunding è stato preceduto dalle attività di team building realizzate in collaborazione con l’associazione Street Is Culture. Prodotto finale di questo percorso è un jingle che identifica il progetto.

Testo, audio e immagini dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca.

Dall’Istria alle isole e coste italiane fino alle Baleari: ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca

Grazie alla nuova tecnica basata sul DNA ambientale e a un monitoraggio durato due anni, i ricercatori dell’ateneo milanese, in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca e con il supporto di nove associazioni, hanno individuato sei “hot spot” di presenza della specie nel Mediterraneo centrale. I dati sono stati pubblicati sulla rivista “Scientific Reports”.

Milano, 15 Febbraio 2023 – Alto Adriatico tra Istria e la laguna di VeneziaSalento-Golfo di Taranto, le isole minori sicilianeSardegna orientale-Canyon di CapreraArcipelago Toscano e l’arcipelago delle Baleari. Sono i sei “hot spot” di presenza della foca monaca individuati dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, grazie alla tecnica basata sul DNA ambientale, in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca APS e con il supporto di nove associazioni ed enti di ricerca impegnati nelle operazioni di campionamento.

A rivelarlo è l’articolo “Playing hide and seek with the Mediterranean monk seal (trad.: “Giocando a nascondino con la foca monaca del Mediterraneo”), pubblicato sulla rivista Scientific Reports (DOI: http://doi.org/10.1038/s41598-023-27835-6) e nel quale sono raccolti i dati della vasta campagna di monitoraggio effettuata lungo le coste italiane e nei tratti di mari limitrofi tra il 2020 e 2021 per tracciare la presenza della foca monaca del Mediterraneo (Monachus monachus), una delle specie più rare al mondo.

Con un rivoluzionario sistema di rilevamento non invasivo, basato sulla ricerca di DNA ambientale in campioni di acqua di mare, i ricercatori hanno analizzato 135 campioni prelevati in 120 punti del Mar Mediterraneo centro-occidentale, alla ricerca di tracce molecolari della foca monaca: l’analisi ha rivelato così la presenza del raro pinnipede in aree dove mancano osservazioni dirette da decenni, come ad esempio in molti tratti di mare che circondano la nostra Penisola, dalle acque sovrastanti il canyon di Caprera all’Alto Adriatico fino alle isole Baleari.
Ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca
Ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca. Le linee continue blu delimitano le sei zone calde («hot-spot» ad alta incidenza di rilevamenti positivi) identificate nello studio, mentre le linee tratteggiate fucsia mostrano i tratti di mare monitorati ma che non hanno restituito dati molecolari suggestivi della presenza della foca monaca, almeno durante la campagna Spot the Monk 2021, a cui si riferisce l’articolo appena pubblicato. Le aree delimitate in arancione (arcipelago Toscano e delle Pelagie) segnalano le «zone calde» identificate precedentemente dagli stessi autori, utilizzando la stessa metodologia, e riportate nell’articolo su “Biodiversity and Conservation”

La ricerca ha fornito una nuova “visione” della distribuzione territoriale della foca monaca, individuando sei aree di grande interesse (“hot spot”) dove saranno concentrate da subito le attività di monitoraggio dei prossimi anni. Altro dato rilevante è la “positività” di alcuni siti storicamente noti per la presenza della specie e anche di aree vicine alle piccole isole e alle Aree Marine Protette.

Il metodo di rilevamento è stato messo a punto da Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, autrice principale dell’articolo e coordinatrice del gruppo di DNA ambientale marino (Marine eDna Group) dell’ateneo milanese, che da alcuni anni promuove il progetto “MeD for Med – Marine environmental DNA for the Mediterranean”, sistema di monitoraggio della biodiversità marina basato proprio sul prelievo di campioni d’acqua e sull’analisi del DNA ambientale in essi contenuto.

Nel 2020 il gruppo di ricerca milanese ha lanciato il progetto Spot the Monk” in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca, per lo studio “focalizzato” su questo pinnipede. Emanuele Coppola, presidente del Gruppo Foca Monaca APS e coautore della pubblicazione, si è occupato di individuare i siti di campionamento al fine di stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà alle singole aree. Siti costieri che, per esperienza diretta o valutazione geo-morfologica, costituivano i potenziali habitat di elezione della foca monaca.

Foto realizzate dall’equipaggio di One Ocean Foundation, una delle associazioni partner nella raccolta di campioni per Spot the Monk. Gallery

La campagna Spot the Monk” 2021, che ha portato alla individuazione dei sei “hot spot”, è stata realizzata anche grazie al coinvolgimento di diversi programmi di citizen science, facenti capo a nove tra associazioni ed enti di ricerca (in ordine alfabetico: Centro Ricerca Cetacei, Circolo Nautico Rimini, Filicudi Wildlife Conservation, Fondazione Cetacea, IMEDEA (CSIC-UIB), One Ocean Foundation, Progetto Mediterranea, Progetto Manaia e Sailing for Blue Life), che si sono adoperati a raccogliere i campioni, consentendo la raccolta simultanea in distretti marini differenti, strategia che ha consentito di delineare meglio la mappa di presenza o assenza del pinnipede.

«È importante che questi monitoraggi siano svolti in modo omogeneo e scientificamente certificato – dichiarano i team leader della ricerca, Elena Valsecchi e Emanuele Coppola –. Solo così potremo avere dati confrontabili che consentiranno di seguire nei prossimi anni il tanto sperato ritorno della specie nel Mediterraneo centrale. Un lieto evento atteso non solo dal nostro Paese, ma anche da Francia, Spagna, Marocco e Tunisia».

Foto realizzate dall’equipaggio di Progetto Mediterranea, una delle associazioni partner nella raccolta di campioni per Spot the Monk. Gallery

Questa ricerca integra i risultati, ottenuti con lo stesso approccio, pubblicati un anno fa dai ricercatori su“Biodiversity and Conservation” (DOI: https://doi.org/10.1007/s10531-022-02382-0). L’obiettivo finale è quello di stimare gli spostamenti stagionali e l’utilizzo che la specie fa dei vari habitat marini, grazie anche all’integrazione di altri campioni raccolti in alto mare, come quelli prelevati da traghetti in navigazione lungo le rotte commerciali (come descritto in un altro articolo a cura di Elena Valsecchi, pubblicato su “Frontiers in Marine Science” , DOI: https://doi.org/10.3389/fmars.2021.704786).

Infine, la collaborazione tra Università di Milano-Bicocca e il Gruppo Foca Monaca ha visto il coinvolgimento anche di realtà accademiche straniere: l’IMEDEA (Instituto Mediterráneo de Estudios Avanzados) con sede nell’isola di Maiorca e l’Università di Edimburgo, coinvolta nel più recente monitoraggio svolto lo scorso autunno tra il golfo di Taranto, Salento e le coste albanesi.
Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca sulla mappa di distribuzione della foca monaca.
Milano-Bicocca, dall’ERC 1,4 milioni di euro per scoprire come l’apprendimento di nuove parole porti a pensare in maniera differente

Si chiama “Brave New Word” il progetto di ricerca, coordinato da Marco Marelli, professore del dipartimento di Psicologia, che svilupperà un modello in grado di predire idee ed intuizioni stimolate quando si imparano vocaboli sconosciuti. Tanti i possibili campi di applicazione, dall’intelligenza artificiale all’educazione, dal marketing alla riabilitazione linguistica.

brave new word
Foto di Dorothe

 

Milano, 31 gennaio 2023 – Sviluppare un modello in grado di predire i significati, le idee e le intuizioni che vengono stimolati nel momento in cui si apprendono nuove parole e come questi si relazionano con le conoscenze e credenze pregresse.
È l’obiettivo di “Brave New Word”, progetto di ricerca dell’Università di Milano-Bicocca, coordinato da Marco Marelli, professore del dipartimento di Psicologia, che ha ottenuto un finanziamento ERC – Consolidator Grant di 1.387.005 euro, per la durata di 5 anni.
Gli ERC – Consolidator Grant sono finanziamenti destinati dal Consiglio Europeo della Ricerca a ricercatori con un’esperienza pluriennale maturata dopo il conseguimento del dottorato che hanno l’obiettivo di consolidare la propria indipendenza nella ricerca creando o rafforzando – se già costituito – un proprio gruppo di lavoro.
Negli ultimi dieci anni, l’Università di Milano-Bicocca ha ricevuto finanziamenti per 13 progetti ERC, 12 con il programma della Commissione Europea “Horizon 2020” (2014-2020, di cui 5 Starting Grant, 5 Consolidator Grant, 1 Proof of Concept, 1 Synergy Grant) e 1 con il nuovo programma “Horizon Europe” (2021-2027), il Consolidator Grant ottenuto” da “Brave New Word”.
«Questi risultati – afferma il prorettore alla Ricerca Guido Cavaletti – confortati dall’ultimo risultato positivo ottenuto dal professore Marco Marelli, sono la dimostrazione tangibile del valore della ricerca dell’Università di Milano-Bicocca e della tensione dei ricercatori dell’Ateneo verso la dimensione europea. Per un’Università giovane e multidisciplinare come la nostra questa è l’unica strategia in grado di garantire da un lato un ulteriore sviluppo, e dall’altro di restituire alla società civile risultati di reale rilevanza, anche grazie allo sviluppo di efficaci reti internazionali».
Il titolo del progetto trae spunto dal capolavoro dello scrittore e filosofo Aldous Huxley (“Brave new world”, in italiano “il mondo nuovo”) e fa riferimento al «coraggio della nuova parola nello stimolare nuove idee», introduce la ricerca Marco Marelli.
«L’apprendimento di nuove parole è un processo che, a tutti gli effetti, non ha mai fine – spiega il professore del dipartimento di Psicologia –. Per quanto la maggior parte del vocabolario della nostra lingua madre, ovvero le parole che conosciamo, venga acquisito in età dello sviluppo, persino da adulti impariamo una nuova parola ogni due giorni. Raramente ce ne rendiamo conto: le nuove parole vengono integrate nel vocabolario preesistente in maniera automatica, senza sforzo esplicito, o persino consapevolezza, da parte nostra».
«Con le nuove parole – prosegue Marelli – acquisiamo anche nuovi concetti ed idee: apprendere nuove parole arricchisce il nostro mondo interno, e ci può portare a pensare in modo differente. Il progetto “Brave New Word” mira a studiare questo fenomeno combinando psicologia sperimentale, linguistica computazionale, e neuroscienze cognitive. L’obiettivo è lo sviluppo di un modello in grado di predire, su base matematica, le idee e i significati che vengono stimolati dall’esperienza di nuove parole, e come questi si relazionano con le nostre conoscenze e credenze pregresse».
Il modello si baserà su tre indizi linguistici che tipicamente accompagnano l’esperienza di nuove parole:
  • informazioni contestuali, “intorno” alla parola (le frasi in cui le nuove parole vengono utilizzate);
  • la struttura della parola stessa. «Come nel famoso caso di “petaloso” – spiega Marelli –: per quanto discutessimo se fosse una vera parola o meno, quando questo termine venne divulgato, tutti avevamo una intuizione chiara del suo significato, basata sugli elementi “petalo” e “oso” di cui era composta»;
  • associazioni tra suoni e significati derivati dall’esperienza linguistica: «tipicamente – osserva il professore – una parola come “sundaliera”, dal suono più dolce, ci evocherà significati maggiormente positivi di “turtotioro”, dal suono più duro».
Alla definizione del modello contribuirà una serie di esperimenti dal vivo ed online, sia sulla lingua italiana, che sulla lingua inglese, che coinvolgerà centinaia di individui. «I diversi studi analizzeranno le intuizioni suscitate da nuove parole, e valuteranno quanto queste siano in linea con le predizioni quantitative fornite dal modello, permettendoci di affinarlo. Le intuizioni verranno raccolte attraverso diversi metodi di misurazione, quali associazioni libere, tempi di reazione, mouse-tracking, e attivazione cerebrale (tramite elettroencefalogramma e risonanza magnetica funzionale)».
«Il lavoro proposto si caratterizza come ricerca di base – conclude Marco Marelli – ma una volta sviluppato, il modello potrà trovare diversi naturali ambiti di applicazione, dal contributo allo sviluppo di una Intelligenza artificiale sempre più in linea con la mente umana, alla definizione di programmi di educazione e riabilitazione linguistica, fino al marketing e alla comunicazione».

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

L’AMILOIDOSI DI TIPO AA DEL GATTO COME MODELLO DI STUDIO DELLE AMILOIDOSI NELL’UOMO

Pubblicato sulla rivista «Nature Communications» lo studio dal titolo “Cryo-EM structure of ex vivo fibrils associated with extreme AA amyloidosis prevalence in a cat shelter” frutto della collaborazione di numerosi gruppi di ricerca in Medicina Veterinaria, tra cui il Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova, ed in Medicina Umana, tra cui l’Amyloid Research and Treatment Centre dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, il Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano ed il centro IMTC del Policlinico San Donato di Milano (coordinatore Prof. Stefano Ricagno).

Il lavoro scientifico verte sulla amiloidosi sistemica di tipo AA – malattia da accumulo cronica nell’uomo e negli animali caratterizzata dalla deposizione patologica, in sede extracellulare, di materiale proteico insolubile, denominato amiloide o sostanza amiloide – in maniera specifica del gatto.

amiloidosi gatto uomo L'amiloidosi di tipo AA del gatto come modello di studio delle amiloidosi nell'uomo
Foto di Alexa

La pubblicazione su «Nature Communications» mette per la prima volta in evidenza, classificandola come epidemiologicamente rilevante, una malattia considerata tradizionalmente rara nel gatto comune europeo.

Nell’uomo, molteplici sono le forme di amiloidosi – oltre 40, ereditarie e non, che differiscono per proteina responsabile, insorgenza, organi coinvolti e decorso – e una di queste è appunto l’amiloidosi AA (infiammatoria/reattiva).

Nello studio effettuato sui gatti ci sono alcuni parallelismi con le amiloidosi dell’uomo che rendono la malattia, nella specie felina, un modello naturale particolarmente promettente per il futuro, tra cui proprio il coinvolgimento renale. La pubblicazione potrà pertanto fornire informazioni utili per meglio caratterizzare le amiloidosi umane. Infatti negli organi dei gatti con la malattia si osserva la deposizione di una sostanza, perfettamente caratterizzata in questo studio, che il sistema immunitario non riesce ad eliminare. Tale sostanza si accumula causando danni agli organi coinvolti e in particolare al rene, proprio come nell’uomo.

«La ricerca pubblicata è una pietra miliare nell’ambito della ricerca sulla amiloidosi e al contempo sulla malattia stessa nel mondo animale – sostiene Eric Zini afferente al Dipartimento MAPS –. Inoltre l’amiloidosi sistemica di tipo AA è a tutti gli effetti una delle malattie più importanti dei gattili e favorisce lo sviluppo di insufficienza renale.»

 «L’eccezionalità di questo lavoro, ancorché significativamente manifestata dalla eccellente collocazione editoriale, è che rappresenta un ulteriore tassello verso la realizzazione perfetta della medicina traslazionale – conclude Alessandro Zotti, direttore del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova – ovvero lo studio di malattie spontanee in modelli animali superiori e quindi con caratteristiche molto vicine alla patologia umana. La possibilità inoltre di sottoporre negli Ospedali Veterinari gli animali affetti a cicli di cure paragonabili a quelle della Medicina Umana potrebbe consentire sviluppi di ricerca inimmaginabili rispetto a quelli ottenuti ed ottenibili con i modelli di malattia sperimentale tradizionale usati fino ad ora».

Link alla ricerca: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36396658/

Titolo: “Cryo-EM structure of ex vivo fibrils associated with extreme AA amyloidosis prevalence in a cat shelter” – «Nature Communications» 2022

Autori: T. SchulteA. Chaves-SanjuanG. MazziniV. SperanziniF. LavatelliF. FerriC. PalizzottoM. MazzaP. MilaniM. NuvoloneA.C. VogtM. VogelG. PalladiniG. MerliniM. BolognesiS. FerroE. ZiniS. Ricagno

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

L’enzima che elimina monossido di carbonio dall’aria, scoperto il segreto del suo funzionamento

Alcuni batteri che si nascondono nel suolo potrebbero essere dei validi alleati nella lotta al cambiamento climatico. Lo studio condotto dall’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con altri atenei europei
inquinamento enzima monossido di carbonio
Foto di Steve Buissinne
Milano, 9 giugno 2022 – Scoperto il meccanismo che consente agli enzimi presenti nel suolo in alcuni batteri di eliminare monossido di carbonio (CO) dall’atmosfera. Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con i colleghi dell’Università della Calabria e dell’Università di Lund, in Svezia, ha consentito di comprendere nel dettaglio in che modo questi enzimi trasformino il CO in biossido di carbonio (CO2). Un risultato che apre nuove prospettive per quanto riguarda la mitigazione delle emissioni di monossido di carbonio, con effetti benefici sia sulla qualità dell’aria che sul clima dato che questo gas, altamente tossico, contribuisce ad aumentare l’effetto serra.

 

Negli ultimi vent’anni, diversi studi sperimentali e teorici sono stati dedicati alla comprensione del processo di ossidazione del CO da parte di un particolare enzima contenente molibdeno e rame, chiamato MoCu CO deidrogenasi. I meccanismi fin qui ipotizzati, tuttavia, riportavano alcune difficoltà nell’evoluzione del prodotto. Grazie all’esperienza maturata in precedenti attività di studio del sistema mediante modelli computazionali, il gruppo di ricercatori formato dal professor Claudio Greco, vicedirettore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra, dal professor Ugo Consentino e dalla ricercatrice Anna Rovaletti dello stesso Dipartimento, dal professor Giorgio Moro del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze, nonché dalla professoressa Emilia Sicilia e dalla dottoressa Alessandra Gilda Ritacca del Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche dell’Università della Calabria e dal professor Ulf Ryde del Dipartimento di Chimica Teorica dell’Università della Lund University, è riuscito a riprodurre per la prima volta un meccanismo di reazione che concorda con i dati sperimentali riportati ad oggi. In particolare, è stato spiegato in che modo l’enzima MoCu CO deidrogenasi trasferisce dall’acqua un atomo di ossigeno trasformando il monossido in biossido di carbonio. La CO2 prodotta viene utilizzata dagli stessi batteri e, quindi, non viene rilasciata nell’atmosfera.

 

Lo studio, dal titolo “Unraveling the Reaction Mechanism of Mo/Cu CO Dehydrogenase Using QM/MM Calculations” è stato pubblicato su ACS Catalysis (DOI: 10.1021/acscatal.2c01408)

 «L’atmosfera contiene, in piccole proporzioni, vari gas dovuti sia a fonti naturali che a emissioni antropiche, come ad esempio proprio il CO – spiega il professor Greco –. Gli enzimi in grado di trasformare CO in CO2 sono presenti in diversi microrganismi del suolo e riescono a “consumare” circa il 15% del monossido di carbonio dell’atmosfera. La scoperta di dettagli fondamentali del funzionamento di questi enzimi segna il passaggio verso la possibilità di progettare composti che funzionano nello stesso modo e che potrebbero essere impiegati sia in sensori di nuova generazione per la rilevazione del CO sia per la riduzione delle emissioni di questo gas in processi industriali».

 

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

Adolescenti sempre connessi: ai ragazzi i consigli dei loro coetanei per il benessere digitale
Dalle esperienze sul campo e da un confronto tra studenti e ricercatori, all’Università di Milano-Bicocca nasce un decalogo per genitori e figli

Milano, 6 maggio 2022 – Gestire il tempo trascorso sui social, disconnettersi per riconnettersi con la realtà, non usare lo smartphone prima di andare a letto, fare attenzione alle regole della privacy delle App: sono i ragazzi ad indicare poche e semplici regole ai loro coetanei per evitare di essere travolti dalle insidie reali che si nascondono nella connessione continua con il mondo virtuale. Il decalogo è stato messo a punto al termine della tavola rotonda cui hanno preso parte studenti delle scuole superiori e universitari, esperti, docenti e ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e rappresentanti delle istituzioni locali. Il momento di confronto ha chiuso il convegno “Il benessere digitale tra gli adolescenti: dalla teoria alle buone pratiche“, organizzato dall’Università in collaborazione con l’Associazione Psyché Onlus, in vista della Giornata internazionale del digital wellness che ricorre oggi.
Nel corso dei lavori sono stati presentati i risultati di progetti di ricerca, attività di laboratorio ed esperienze pratiche sul tema del benessere digitale. Fondamentale il contributo degli stessi ragazzi: gli studenti dell’Istituto professionale di Stato “Cavalieri” di Milano hanno preso parte ad esperienze di disconnessione, quelli dell’Istituto Europeo di Design hanno realizzato spot sul corretto uso della rete, dando sfogo ad ironia e creatività per catturare l’attenzione dei loro coetanei.
Tutto ha contribuito a far emergere aspetti problematici come la gestione del tempo e dell’attenzione, l’alterazione del ciclo sonno-veglia e la limitazione dei contenuti tra cui scegliere dovuta all’invadenza degli algoritmi. E, partendo da questo, è stato possibile definire le indicazioni pratiche per i ragazzi. Si parte con l’avvertenza di usare motori di ricerca che non registrano i dati di navigazione per evitare che gli algoritmi offrano suggerimenti uniformati sulla base dei gusti dell’utente. Si consiglia, poi, di essere se stessi, senza inseguire quanto proposto da profili irrealistici e di dare priorità all’osservazione del mondo che si ha intorno per fare nuove esperienze e socializzare con più facilità.
Il testo non contiene divieti, ma un “no” deciso viene detto al multitasking che abitua a passare rapidamente da un’attività all’altra, facendo assumere un comportamento che diviene un’abitudine anche nella vita quotidiana
L’ultimo punto del decalogo è riservato ai genitori, invitati ad avere un atteggiamento dialogante con i figli per scoprire con loro le potenzialità della Rete e, nel contempo, guidarli ad un uso prudente delle sue risorse.

 

«Il nostro convegno credo sia stato un bell’esempio di come sia possibile creare un confronto proficuo tra realtà apparentemente distanti come quelle dell’Università, del mondo no profit e della scuola. Abbiamo ascoltato la voce di psicologi, psicoterapeuti, sociologi, ingegneri, insegnanti, ma il contributo più efficace – rimarca Chiara Ripamonti, ricercatrice di Psicologia clinica dell’Università di Milano-Bicocca – è stato, a mio parere, quello degli studenti di scuola superiore che hanno raccontato le loro esperienze di disconnessione. A Milano hanno dovuto orientarsi nello spazio senza l’uso di Google map e raccogliere informazioni su un quartiere intervistando le persone per strada. Inoltre, si sono disconnessi per 20 ore consecutive in un rifugio montano. Al convegno ci hanno trasmesso il loro entusiasmo e la loro sorpresa nell’avere scoperto che senza il telefonino ci si può ugualmente divertire, si possono fare nuove conoscenze e, soprattutto, si può stare bene insieme».
Adolescenti sempre connessi
Adolescenti sempre connessi. Foto StartupStockPhotos
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca sugli adolescenti sempre connessi.

L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

La ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicata sul Journal of Applied Ecology, indica come la maggiore o minore cementificazione incida sugli impollinatori e sull’ecosistema di impollinazione
urbanizzazione api Milano
L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

 

Milano, 5 maggio 2022 – L’urbanizzazione del paesaggio e del clima influisce sulla presenza di impollinatori e sull’entità di nettare e polline da essi trasportato. Così, le città e i dintorni diventano laboratori di transizioni ambientali in grado di restituire informazioni sul servizio ecosistemico di impollinazione di una data area utili per la pianificazione e gestione di paesaggi urbani più attenti all’ambiente.
Sono i temi al centro di uno studio di un gruppo di ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, dal titolo “City climate and landscape structure shape pollinators, nectar and transported pollen along a gradient of urbanization”, appena pubblicato sul ”Journal of Applied Ecology“ (DOI: 10.1111/1365-2664.14168). La ricerca, col supporto di Regione Lombardia nell’ambito del progetto “Pignoletto”, dimostra che «la variazione della cementificazione del paesaggio in una regione – come spiega Paolo Biella, ricercatore di Ecologia dell’ateneo milanese – crea un gradiente di trasformazione del paesaggio dovuto all’urbanizzazione».
Paolo Biella
Paolo Biella
Gli scienziati di Milano-Bicocca si sono focalizzati sull’effetto dell’urbanizzazione del paesaggio e del clima su due gruppi di impollinatori (api selvatiche e sirfidi), sulle risorse floreali a loro disposizione (il nettare utilizzato per l’alimentazione) e anche sul polline trasportato sui loro corpi che serve per impollinare le piante.
«Lo abbiamo fatto in un insieme di 40 siti collocati principalmente nella città metropolitana di Milano, da aree seminaturali a basso impatto ad aree con diversi livelli di edificato». Con campionamenti svolti da maggio a luglio del 2019.
Gli effetti dell’urbanizzazione sono risultati in generale negativi per la presenza di impollinatori. «Le aree suburbane erano le più ricche – spiega Biella –: le abbondanze di impollinatori hanno raggiunto il picco quando il paesaggio era occupato dal 22 per cento di superfici cementate, con la rilevazione di oltre 100 individui in 24 ore, e sono poi diminuite con la crescente urbanizzazione. Inoltre, la presenza era influenzata dalla distanza tra le aree verdi e dall’ampiezza del parco urbano: più erano distanti le aree o più era grande il parco, meno erano le api selvatiche e i sirfidi rilevati».
urbanizzazione api Milano
Bombus argillaceus (foto di Paolo Biella)
Siti particolarmente ricchi di impollinatori si sono rivelati, nella cintura periurbana di Milano, Cesano Boscone, Cuggiono, San Bovio e Vimodrone. Nella città di Milano, invece, siti particolarmente friendly per api e sirfidi sono risultati il parco Nord, il parco Segantini e la Collina dei Ciliegi, in zona Bicocca.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: superfici di parchi urbani circondati da abitati
A influire negativamente sulla minore presenza di impollinatori non è stata solo la mancanza di verde e di risorse floreali, ma anche il clima locale.
«Gli impollinatori sono diminuiti nelle aree più urbane – prosegue il ricercatore – che hanno infatti minime variazioni di temperatura tra la primavera e l’estate, che si mantiene alta più a lungo rispetto a aree semiurbane o agricole».
I tre ambienti principali che sono stati campionati: margini di campi agricoli con varie superfici impervie nelle vicinanze
Altro aspetto rilevato: il nettare disponibile – la massa zuccherina di cui si nutrono gli impollinatori quando si posano sui fiori – aumentava proporzionalmente alla copertura cementata e anche alle precipitazioni.

«I nettari delle città erano meno consumati dagli impollinatori, meno presenti, e le piante erano più produttive, forse avvantaggiate dalle più copiose precipitazioni».

Infine, l’urbanizzazione incide anche sul servizio ecosistemico di impollinazione. «Nel polline trasportato dagli impollinatori abbiamo trovato progressivamente meno specie di piante al crescere delle aree cementificate e il polline di città conteneva un’elevata incidenza di piante esotiche e ornamentali, suggerendo comunità vegetali molto antropizzate», aggiunge Biella. Arbusti come la deutzia, la rosa ornamentale, il filadelfo e fiori come le campanule, l’arnica, il nasturzio e il garofano.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: prati seminaturali in prossimità di boschi (1 km) con poca urbanizzazione nelle vicinanze
Ora l’equipe di ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze sta portando avanti altri campionamenti.
«Le città e i dintorni offrono una grande opportunità per capire come piante e impollinatori reagiscono alle transizioni ambientali. Questi due gruppi di esseri viventi sono la chiave di molti processi direttamente e indirettamente connessi con le società umane e con il funzionamento della natura», conclude Biella.
File per approfondire (pdf): Rilevamenti – I sitiRilevamenti – La mappa
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

QUBIC, un modo nuovo di studiare l’universo primordiale

Escono oggi, giovedì 21 aprile, su un numero speciale della rivista “Journal of Cosmology and Astroparticle Physics”, otto articoli a firma della collaborazione internazionale QUBIC (Q&U Bolometric Interferometer for Cosmology), che sta realizzando in Argentina un telescopio per lo studio dell’universo appena nato che si avvarrà di una tecnica innovativa.

QUBIC, infatti, osserverà e mapperà le proprietà del fondo cosmico a microonde, l’eco residua del Big Bang, concentrandosi sulla misura di particolari componenti dell’orientamento dell’oscillazione delle microonde della radiazione cosmica di fondo sul piano del cielo (polarizzazione), denominate modi-B, indicative delle possibili perturbazioni indotte dalle onde gravitazionali generate nei primi istanti di vita dell’universo.

Il progetto vede l’Italia protagonista grazie ai contributi scientifici e tecnologici forniti dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e dalle Università di Milano Statale, Milano-Bicocca, Università di Roma “Tor Vergata” e Sapienza Università di Roma. QUBIC osserverà il cielo a partire dalla fine del 2022, da un sito desertico di alta quota (5000 m) in Argentina, vicino alla località San Antonio de Los Cobres.

QUBIC
Rotatore criogenico. Crediti: archivio fotografico QUBIC

Dopo il suo sviluppo e l’integrazione avvenuta presso i laboratori europei delle Università e degli enti di ricerca coinvolti nella collaborazione, QUBIC è arrivato in Argentina, nella città di Salta, nel luglio 2021, dove si sta procedendo alle fasi finali di calibrazione e di test in laboratorio. I risultati di queste attività, presentati negli otto articoli apparsi su ‘Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, hanno confermato il corretto funzionamento dello strumento e dell’’interferometria bolometrica’, ossia la tecnica di nuova concezione su cui si baseranno le osservazioni di QUBIC, che combina l’elevatissima sensibilità dei rivelatori raffreddati quasi allo zero assoluto (-273 °C) e capaci di misurare l’energia della radiazione del fondo cosmico trasformandola in calore (bolometri), con la precisione degli strumenti interferometrici.

“QUBIC è uno strumento originale ed estremamente complesso: per questo era necessario pubblicare in anticipo tutti i dettagli del suo hardware e delle nuove metodologie di sfruttamento dei dati raccolti. Inoltre, con queste lunghe ed esaustive calibrazioni abbiamo dimostrato in laboratorio l’efficienza di QUBIC come interferometro bolometrico. È un passo essenziale per le successive misure di interesse per la cosmologia e la fisica fondamentale”, spiega Silvia Masi, docente presso Sapienza Università di Roma e ricercatrice INFN, che coordina la partecipazione italiana all’esperimento.

Grazie alla sua estrema sensibilità, che consentirà di distinguere i dettagli di ciascuno dei ‘pixel’ in cui sarà suddivisa la mappa celeste, QUBIC potrà discriminare i modi-B dai segnali generati dalle altre sorgenti del cielo, fornendo una prova diretta della teoria dell’inflazione. Questa è oggi la teoria di riferimento per la descrizione di ciò che sarebbe avvenuto nei primi istanti dell’universo, sviluppata negli anni ‘80 per spiegare alcune caratteristiche dell’universo, fra cui la ‘piattezza’ e l’estrema omogeneità dello spaziotempo.

QUBIC
Criostato. Crediti: archivio fotografico QUBIC

Secondo la teoria dell’inflazione, la rapidissima fase di espansione dell’universo subito dopo il Big Bang, durata meno di un centomillesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo (circa 10-32 secondi), avrebbe lasciato un debole fondo di onde gravitazionali, che a loro volta avrebbero prodotto particolari debolissime tracce, detti modi-B, nella polarizzazione del fondo cosmico di microonde. In pratica, le onde elettromagnetiche del fondo cosmico non oscillerebbero in direzioni casuali. Sarebbero invece leggermente preferite direzioni che in cielo formano un disegno vorticoso.

Alla precisione delle misure che saranno effettuate da QUBIC contribuiranno inoltre la limpidezza e l’assenza di umidità che contraddistinguono l’aria del sito di Alto Chorrillo in cui sarà istallato il telescopio, a circa 5000 metri sul livello del mare, sul plateau La Puna nell’Argentina settentrionale, vicino alla cittadina di San Antonio de los Cobres, nella provincia di Salta.

“QUBIC verrà portato nel sito di Alto Chorrillo entro pochi mesi. Le prime misure dimostreranno l’efficienza del nuovo metodo dell’interferometria bolometrica per la prima volta osservando sorgenti astronomiche. Lo strumento verrà poi completato inserendo un maggiore numero di rivelatori, in modo da poter eseguire le misure di interesse cosmologico entro tre anni. La strada è lunga, e QUBIC si presenta come estremamente originale e complementare a tutti gli altri che cercano di misurare questo elusivo segnale primordiale”, illustra Aniello Mennella, ricercatore INFN e docente all’Università di Milano.

La ricerca dei modi-B rappresenta una sfida formidabile e centrale per fisici e astrofisici. Il segnale da misurare è così debole da richiedere rivelatori ultrasensibili e telescopi di grande precisione, anche per rimuovere, durante l’analisi dati, altri segnali polarizzati di origine locale che potrebbero confondere la misura. Le misure di QUBIC saranno perciò contemporanee a quelle di una mezza dozzina di altri esperimenti nel mondo che hanno lo stesso obiettivo scientifico. A differenza di questi ultimi, che producono immagini direttamente tramite telescopi a singola apertura, QUBIC sarà l’unico strumento a effettuare osservazioni raccogliendo le microonde da molte aperture e facendole interferire.

“La misura di un segnale così debole”, dice Mario Zannoni, ricercatore INFN e docente all’Università di Milano-Bicocca, “verrà ritenuta esente da errori sistematici solo se si avranno risultati consistenti provenienti da strumenti molto diversi. Proprio per questo motivo QUBIC, unico interferometro bolometrico, rappresenta una risorsa insostituibile nella ricerca dei modi-B e nello studio dei primi attimi dell’universo”. Grazie alle capacità multispettrali e di autocalibrazione, “QUBIC produrrà dati del tutto originali e complementari a quelli degli altri esperimenti, offrendo agli analisti innumerevoli possibilità di controllo incrociato e quindi una robustezza ineguagliabile dei risultati”, conclude Giancarlo De Gasperis, ricercatore INFN e docente all’Università di Roma “Tor Vergata”.

QUBIC è il risultato della collaborazione di 130 ricercatori, ingegneri e tecnici in Francia, Italia, Argentina, Irlanda e Regno Unito. Lo strumento è stato integrato a Parigi presso i laboratori APC nel 2018 e calibrato durante il 2019-2021.

Il contributo italiano è stato fondamentale per lo sviluppo dello strumento, e continuerà ad esserlo nelle fasi successive dell’esperimento. Lo strumento è ospitato in un criostato, progettato e costruito nei laboratori della Sapienza e della Sezione di Roma dell’INFN, capace di raffreddare vicino allo zero assoluto non solo i rivelatori ma anche tutto il sistema ottico dell’interferometro. Lo stesso gruppo ha realizzato anche il sistema crio-meccanico che permette di ruotare i componenti ottici all’interno del criostato per misurare lo stato di polarizzazione della radiazione. Italiane sono anche altre componenti criogeniche, che lavorano a una temperatura inferiore a -270 °C, come le avanzatissime antenne corrugate che selezionano i fotoni da far interferire, realizzate nei laboratori dell’Università e della Sezione INFN di Milano Statale, mentre le ottiche che focalizzano i fotoni sui rivelatori e il sistema di otturatori che permette di variare la configurazione dell’interferometro e di autocalibrarlo sono realizzate dall’Università e dalla Sezione di Milano Bicocca. L’Università di Roma “Tor Vergata” e la Sezione INFN di Roma2 contribuisce invece allo sviluppo del complesso software di analisi dei dati.

Per maggiori informazioni:

 

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Inaugurato QUBIC: un modo nuovo di studiare l’universo primordiale

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca e dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma, immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma.

Burnout, quando lo stress diventa cronico – Il fenomeno nei medici lombardi durante la quarta ondata

L’indagine realizzata da Università degli Studi Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia porta in luce come il 71,6% dei medici sospetti di aver sofferto di burnout

Milano, 20 aprile 2022 – Ansia, depressione, stress; quindi la pandemia, ad influenzare lo stato psicologico del personale medico. È quanto emerge dall’indagine condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia. Un fenomeno, quello del burnout – recentemente riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come una sindrome in grado di influenzare lo stato di salute – che nei medici lombardi, una tra le categorie occupazionali maggiormente soggette a stressor lavorativi cronici, è stato rilevato in misura significativa. A risentirne non è solamente lo stato di salute dei soggetti coinvolti nella ricerca, bensì anche le prestazioni lavorative, le quali risultano essere nient’altro che “camera dell’eco” del malessere psicofisico indagato.
L’indagine eseguita tra novembre 2021 e marzo 2022, si propone di stimare la prevalenza, nei medici lombardi, di sintomi riconducibili al fenomeno del burnout; di indagarne le possibili connessioni con variabili demografiche e occupazionali; di valutare l’impatto della pandemia sulla sintomatologia presente nei medici, nell’ottica del rafforzamento e dell’implementazione di strategie atte alla tutela della salute psicofisica del personale.

I RISULTATI
L’indagine, svolta tramite la somministrazione di un questionario online a 958 medici lombardi, mostra come il 71,6% dei medici indagati sospetta di aver sofferto di burnout, mentre il 59,5% teme di poterne soffrire in futuro. Il rilievo psicometrico illustra inoltre come la prevalenza effettiva di una sintomatologia di rilievo clinico riconducibile al burnout sia pari a 18,5%, mentre quella riconducibile a disturbi dello spettro ansioso e depressivo è pari a 31,9% e 38,7%. A soffrire maggiormente della condizione di burnout è il sesso femminile, unito ad ansia, depressione e a una percezione bassa di autoefficacia – quest’ultimo elemento è condiviso con gli specializzandi; una maggior anzianità di servizio risulta essere un fattore protettivo, a cui vengono associati livelli più bassi di burnout, ansia e depressione. Non da ultimo, l’87,4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia e l’avvento della quarta ondata pandemica abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo, nonostante il servizio in area COVID-19 non sia un fattore di per sé associabile a maggiori livelli di burnout, ansia o depressione. Ad impattare maggiormente sono invece le variabili soggettive percepite, quali la vicinanza di cari/colleghi aventi avuto gravi complicazioni legate all’infezione.

“Lo studio fornisce informazioni utili alla pianificazione di interventi preventivi e gestionali finalizzati alla tutela della salute psicologica dei medici. Emerge inoltre una forte corrispondenza tra ciò che rilevano gli strumenti psicometrici oggettivi e il vissuto soggettivo dei medici che hanno preso parte alla ricerca” sottolinea Edoardo Nicolò Aiello, Psicologo, e Dottorando in Neuroscienze all’Università di Milano-Bicocca.

“Quasi il 20% dei medici lombardi accusa sintomi riconducibili al burnout, mentre più del 30% ansia e depressione di significato clinico. È un dato allarmante. – dichiara Stefano Magnone, Segretario Regionale di ANAAO-ASSOMED Lombardia – Le problematiche causate dall’espansione a macchia d’olio di questo fenomeno sono state largamente discusse negli ultimi tempi, aumentando l’awareness anche tra chi non è direttamente coinvolto nell’ambito sanitario. Lo stress lavorativo cronico, o sindrome del burnout, insorge quando le richieste del lavoro superano le capacità del lavoratore di affrontarle, intaccando la salute psicofisica dell’individuo. I medici sono i professionisti maggiormente a rischio di burnout, specialmente il sesso femminile. A peggiorare le condizioni lavorative, oltre alla carenza di risorse e ai ritmi lavorativi isterici in cui siamo costretti, è stata la pandemia: l’87.4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo.”

“I risultati dello studio, condotto con rigore metodologico, indicano la necessità di pensare, strutturare e promuovere programmi di valutazione accurata del disagio lavorativo per tutti gli operatori e segnatamente per il genere femminile e le persone con minore anzianità di servizio. Il progetto rappresenta una sfida importante alla quale non è possibile sottrarsi se si intende contenere il burnout con tutti i suoi correlati di perdita di salute, professionalità, efficacia lavorativa e soddisfazione dei pazienti. Bisognerebbe affrontare la cultura del prendersi cura di sé come operatori sanitari già durante il percorso di studi e metter a disposizione nelle aziende sanitarie specifici setting di supporto. Parallelamente, studi mirati a comprendere come attivare le risorse di resilienza, insieme alla verifica degli esiti di eventuali interventi, rappresenterebbero una buona sinergia fra Organizzazioni Sanitarie ed Università” conclude Ines Giorgi, Psicologa, e Psicoterapeuta.

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca