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Nasce la Fondazione Bicocca, una nuova rete per l’alta formazione, la ricerca e il trasferimento tecnologico 

Presentata oggi, supporterà l’Università di Milano-Bicocca nelle attività didattiche e scientifiche e di terza missione, aumentando la competitività dell’ateneo e potenziandone l’impatto sul territorio e sul panorama accademico nazionale e internazionale.

Milano, 24 febbraio 2025 – Supportare e valorizzare le attività di alta formazione, ricerca e trasferimento tecnologico – attraverso iniziative di promozione e sostegno finanziario e strategie di cooperazione nazionale e internazionale – per contribuire alla crescita economica del Paese, mettendo in stretta connessione mondo accademico e produttivo. È la mission della Fondazione Bicocca, il nuovo ente costituito dall’Università di Milano-Bicocca presentato oggi nell’Aula Magna dell’ateneo, durante l’evento “Connessioni per il futuro”, alla presenza della rettrice Giovanna Iannantuoni, del presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo Marco Orlandi, del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Alessandro Morelli, dell’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi e dell’assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano Alessia Cappello.

La Fondazione Bicocca è una fondazione di partecipazione, senza scopo di lucro, e nasce per favorire la partnership tra ateneo e soggetti esterni, la collaborazione tra pubblico e privato.

Sue finalità principali sono:

  • Il sostegno all’imprenditorialità accademica e alla valorizzazione della proprietà intellettuale;

  • Il supporto ai servizi per gli studenti e alle iniziative di orientamento;

  • La partecipazione a progetti internazionali, europei e nazionali per attrarre finanziamenti a sostegno della ricerca e dell’innovazione.

Fondazione Bicocca avrà il suo quartier generale nella sede principale dell’Università, nell’Edificio U6 “Agorà”. A poca distanza, in BiM – il grande progetto di rigenerazione urbana promosso da Aermont Capital e Kervis SGR che sta trasformando un iconico edificio di Vittorio Gregotti in una work destination all’avanguardia – troverà casa il Bicocca Pavilion, il nuovo Innovation Hub della Fondazione Bicocca, che mette in relazione le eccellenze dell’Ateneo con il mondo delle imprese.

Il Bicocca Pavilion, l’innovation hub della fondazione
Il Bicocca Pavilion, l’innovation hub della fondazione

Il Pavilion, progettato da Piuarch e costruito al centro della piazza, immerso nel verde, sarà uno spazio polifunzionale dal design distintivo e flessibile, pensato per ospitare un ecosistema evoluto di imprese e professionisti, favorendo il dialogo e le sinergie. L’inaugurazione del Bicocca Pavilion avverrà il 14 aprile.

Nello specifico, la Fondazione opera nei seguenti ambiti:

  • Alta Formazione: Gestione e promozione di tutti i Master di I e II livello, corsi professionalizzanti, summer e winter school e convegni accademici, con l’obiettivo di aumentare del 10 per cento l’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2025-2026;

  • Ricerca e trasferimento tecnologico: promozione e valorizzazione dei risultati della ricerca universitaria attraverso il supporto alla brevettazione e alla partnership con imprese ed enti pubblici, con lo scopo di incrementare del 10 per cento i proventi da collaborazioni con aziende;

  • Eventi e public engagement: coordinamento e organizzazione di hackathon, workshop e conferenze per promuovere la ricerca, condividerne la conoscenza con il pubblico e attrarre sponsorizzazioni private. È prevista l’organizzazione di almeno 10 eventi sponsorizzati all’anno.


«La creazione della Fondazione Bicocca rappresenta un passo strategico per il nostro ateneo – afferma la rettrice dell’Università di Milano-Bicocca Giovanna Iannantuoni – introducendo una serie di vantaggi operativi, gestionali e strategici che integrano e potenziano le attività già svolte. La Fondazione potenzia e amplifica l’impatto dell’Università sul territorio e nel panorama accademico nazionale e internazionale. Milano-Bicocca si pone all’avanguardia nella creazione di un ecosistema accademico-innovativo, in grado di rispondere alle sfide del futuro con strumenti più efficaci e competitivi».

«Grazie alla Fondazione – dichiara il presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo, Marco Orlandi – potremo ottimizzare la gestione di iniziative chiave per la formazione, il trasferimento tecnologico e la valorizzazione della ricerca, consolidando il ruolo dell’Università di Milano-Bicocca come polo di eccellenza. Vogliamo che la Fondazione diventi un punto di riferimento per la valorizzazione della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, promuovendo sinergie con il mondo imprenditoriale e con le istituzioni pubbliche».

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca

ERC Proof of Concept per il progetto FLORA (Fusing LiDAR Observations with Remote-sensing Analysis)

Innovazione e benessere urbano: un progetto dell’Università degli Studi di Milano si aggiudica un finanziamento complessivo di 150mila euro

 Il riconoscimento dell’European Research Council è stato assegnato a due docenti della Statale di Milano: Valentina Bollati, al suo quarto ERC, ed Elia Biganzoli, con FLORA (Fusing LiDAR Observations with Remote-sensing Analysis), un progetto interdisciplinare per rispondere alle necessità di benessere e alla salute dei cittadini. Lo studio coinvolgerà le istituzioni e i cittadini di Legnano, in provincia di Milano, per creare un modello replicabile a livello globale.

 

Milano, 23 gennaio 2025 – Migliorare l’estetica urbana e la vivibilità delle città, per tutelare e promuovere la salute dei cittadini: è l’obiettivo che si pone il progetto FLORA (Fusing LiDAR Observations with Remote-sensing Analysis), vincitore di un ERC Proof of Concept (PoC) di 150 mila euro. FLORA è guidato da Valentina Bollati, docente dei Medicina del Lavoro e responsabile dell’EPIGET Lab, il Laboratorio di Epidemiologia, Epigenetica e Tossicologia del Dipartimento Scienze Cliniche e di Comunità ed Elia Biganzoli, docente di Statistica Medica e responsabile del gruppo di Epidemiologia e Statistica Bioinformatica del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dello stesso Ateneo, cofondatori dell’iniziativa INES nella quale si colloca anche il progetto FLORA e componenti del Centro di Ricerca Coordinata DESIRE sulla Scienza delle Decisioni.

FLORA avrà come compito quello di analizzare con metodi di Intelligenza Artificiale il legame tra la salute e l’esposoma, ovvero l’insieme di tutte le esposizioni ambientali, comportamentali e occupazionali, non genetiche, cui un individuo è esposto nel corso della sua vita. Questo studio, che sarà svolto a Legnano (Mi), è un’importante applicazione del progetto MAMELI “MApping the Methylation of repetitive elements to track the Exposome effects on health: the city of Legnano as a LIving lab”, progetto guidato sempre da Valentina Bollati per il quale nel 2023 si è aggiudicata un ERC Consolidator Grant di circa 3 milioni di euro, che si è avvalso della collaborazione con diversi gruppi di ricerca di Ateneo, tra cui quello coordinato da Elia Biganzoli. Il riconoscimento PoC viene infatti conferito ai progetti che si propongono di esplorare il potenziale commerciale e sociale delle ricerche già finanziate da un ERC iniziale, risultando così ancora più significativo.

Con FLORA avremo la possibilità di integrare alcune informazioni dettagliate sul paesaggio urbano – come spazi verdi, qualità dell’aria, flussi di traffico – con le percezioni dei cittadini. Inoltre si potranno creare metriche per quantificare la percezione estetica, la vivibilità e la salute urbana, identificando le aree che necessitano di interventi mirati. E soprattutto, coinvolgendo urbanisti, amministratori, comunità locali e abitanti, si potrà dare avvio a una nuova progettazione delle città che risponda alle esigenze di benessere e salute”, spiega Valentina Bollati, già vincitrice anche di un ERC Starting Grant nel 2011 e di un ERC PoC nel 2018.

Un team multidisciplinare di eccellenza, composto anche da Fabio Mosca (Università degli Studi di Milano), Pilar Guerrieri (Politecnico di Milano), Andrea Cattaneo (Università dell’Insubria) e Giovanni Sanesi (Università degli Studi di Bari) collaborerà con le autorità locali e i cittadini di Legnano per raccogliere dati e implementare un cruscotto di indicatori multidimensionali (FLORA dashboard), capace di integrare diverse tecnologie, come lo strumento laser LiDAR (Light Detection and Ranging) per rilevare la distanza di un oggetto, i sistemi GIS (Geographic Information System) e i sondaggi sulla percezione umana, con l’obiettivo finale di creare un modello replicabile e trasferibile a livello globale. 

La forza di FLORA risiede proprio nella capacità di unire competenze interdisciplinari, con l’uso responsabile e trasparente dell’Intelligenza Artificiale e della Scienza delle Decisioni, superando i tradizionali approcci settoriali e adottando una visione integrata e sostenibile del benessere urbano”, conclude Elia Biganzoli.

Milano. Foto di Giannino Nalin
Milano. Foto di Giannino Nalin

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano.

Malattie ematologiche, il ruolo fondamentale del dialogo medico-paziente-figli

La comunicazione condivisa tra medico, paziente e figli, utilizzando anche immagini e metafore, riveste un ruolo cruciale per una maggiore serenità in caso di diagnosi di malattie ematologiche. Lo rivela uno studio guidato dal reparto di ematologia della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.

 

Milano, 15 luglio 2024 – L’importanza del dialogo tra genitori e figli, in caso di diagnosi di malattia ematologica, e il ruolo chiave del medico. Questi gli aspetti principali che emergono dallo studio “Communicating the diagnosis of a hematological neoplastic disease to patients’ minor children: a multicenter prospective study “, guidato dal reparto di Ematologia adulti della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori, diretto dal professor Carlo Gambacorti Passerini, ematologo di Milano-Bicocca.

La ricerca si è svolta anche attraverso il confronto con reparti ematologi di altre strutture (Ospedale Niguarda di Milano, Policlinico di Milano, Policlinico San Matteo di Pavia) e ha evidenziato come la comunicazione condivisa, ma con ruoli ben precisi, possa essere la chiave per una maggiore serenità di tutta la famiglia.

Una nuova diagnosi di malattia oncoematologica rappresenta infatti un evento in grado di modificare radicalmente la vita quotidiana di una persona e gli equilibri familiari. In questo contesto, i figli in età minore spesso rappresentano la “voce dimenticata” all’interno della famiglia: nel tentativo di proteggerli dalle situazioni dolorose, i genitori tendono ad evitare la comunicazione con i figli in merito alla malattia, nella convinzione che bambini e ragazzi non possano comprendere quanto succede.

Questo studio ora invece sottolinea, grazie ai «dati emersi dall’analisi dei questionari sottoposti (dal 2017 al 2021) a coppie di genitori – dice la dottoressa Beatrice Manghisi del gruppo di ricerca di Monza, prima autrice dello studio – che la comunicazione di diagnosi di malattia ematologica ai figli minori, seppur con modalità diverse nei quattro centri coinvolti, abbia un impatto positivo, senza cambiamenti allarmanti nei comportamenti di bambini e ragazzi. Una comunicazione sincera ed aperta, in merito a questa tematica difficile, promuove il dialogo all’interno della famiglia, senza necessità di tenere nascosti ai figli ricoveri ed effetti collaterali delle terapie.»

In particolare, presso la Clinica Ematologica dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori, è attivo dal 2009 il “Progetto Emanuela” che offre aiuto ai genitori per parlare della loro malattia ai figli. Alla base di questo progetto, il colloquio di medico ematologo e psicologo insieme con i minori per spiegare loro cosa sta succedendo al genitore, offrendo così sia la competenza scientifica del medico sia la mediazione psicologica.

«Attraverso l’uso di immagini che illustrano con metafore e figure la malattia e la terapia – precisa la dottoressa Lorenza Borin, co-autrice dello studio – si preparano i bambini ai cambiamenti fisici che interverranno e si spiega il motivo per cui il genitore dovrà stare isolato. Durante il colloquio è presente una psicologa che sostiene il medico e guida la risposta alle domande, proponendo a seconda dell’età attività di dialogo, gioco o disegno.»

«Presso il nostro centro di Monza – prosegue Manghisi – è stata riscontrata una maggior apertura al dialogo tra figli e genitori, mentre nelle altre realtà, dove non esiste un progetto consolidato come il Progetto Emanuela, la comunicazione con i figli dei pazienti è affidata al supporto psicologico o ai genitori stessi.»

«La nostra esperienza con il progetto Emanuela ci convince fortemente del ruolo chiave che il medico ematologo può svolgere nella comunicazione con i figli dei pazienti. – conclude il prof. Carlo Gambacorti Passerini, direttore della Struttura Complessa Ematologia adulti del San Gerardo – I pazienti percepiscono le competenze mediche come complementari a quelle genitoriali, e identificano nell’ematologo un supporto indispensabile nella comunicazione, una figura in grado di prendersi cura anche degli aspetti familiari e relazionali. Questo nuovo ruolo del medico sembra avere un impatto positivo sui pazienti stessi, migliorando la comprensione della malattia, la fiducia nel personale sanitario e l’alleanza terapeutica medico-paziente.»

Malattie ematologiche: il ruolo fondamentale del dialogo medico-paziente-figli evidenziato da una ricerca su The Oncologist. Esempi di immagini usate per la comunicazione della diagnosi ai figli dei pazienti.

Riferimenti bibliografici:

Beatrice Manghisi, Lorenza Borin, Maria Rosaria Monaco, Gaia Giulia Angela Sacco, Laura Antolini, Raffaele Mantegazza, Monica Barichello, Umberto Mazza, Patrizia Zappasodi, Francesco Onida, Luca Arcaini, Roberto Cairoli, Carlo Gambacorti Passerini, Communicating the diagnosis of a hematological neoplastic disease to patients’ minor children: a multicenter prospective study, The Oncologist, 2024, DOI: oyae104, https://doi.org/10.1093/oncolo/oyae104

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

Bimbi prematuri: col progetto ParWelB, un’indagine di Milano-Bicocca dà voce alle esperienze dei genitori

Sono le madri dei neonati prematuri a soffrire di livelli di stress più elevati, in particolare le più giovani. A rivelarlo il progetto ParWelB, avviato nel 2021 in collaborazione con ASST Niguarda e ASST Rhodense, finanziato da Fondazione Cariplo.

Milano, 20 febbraio 2024 – Sono le madri di neonati prematuri a soffrire di livelli di stress più elevati, in particolare le più giovani. Ma, rispetto ai padri, sono sempre le madri a mostrare maggior “autoefficacia”, cioè percezione di saper gestire il proprio neonato, soprattutto se con prematurità più grave.

Questa la sintesi conclusiva del progetto ParWelB (Voicing preterm parents’ experiences. A multidisciplinary study to set neonatal practices and enhance families’ wellbeing), avviato a novembre 2021, con lo scopo di migliorare il benessere dei genitori di neonati prematuri e, allo stesso tempo, con l’obiettivo di facilitare il coinvolgimento dei cittadini e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della prematurità.

Lo studio, finanziato da Fondazione Cariplo, è stato coordinato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano Bicocca (Alessandra Decataldo) insieme al Reparto di Terapia intensiva neonatale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale-ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano (diretto da Stefano Martinelli) e al Reparto di Terapia sub-intensiva neonatale dell’ASST Rhodense Ospedale di Rho (diretto da Salvatore Barberi).

Focus della ricerca sono state le interazioni tra le diverse componenti del personale sanitario (medici con diverse specializzazioni e infermieri); la relazione tra tali operatori e i genitori di bambini nati pretermine; infine, la relazione tra il benessere dei genitori e gli esiti in termini di salute del loro bambino.

I partecipanti hanno risposto a interviste con questionario e monitoraggio post dimissione con web app appositamente progettata per ParWelB. Tramite la web-app si è puntato a realizzare un monitoraggio annuale (con cadenza mensile) del benessere dei genitori pretermine che hanno aderito al progetto ParWelB. Oltre a questo, son state realizzate interviste narrative e video interviste.

Il progetto ParWelB ha previsto anche attività di supporto e public engagement tra cui: supporto psicologico; incontri informativi sulla prematurità; corsi pre-parto; incontri psico-educativi con i genitori di neonati in degenza; gruppi peer to peer di genitori post-dimissione; open meeting con differenti categorie professionali; infine, 4 workshop rivolti ad un pubblico più ampio.

Campione di ricerca

Le attività di ricerca hanno coinvolto 60 neonati (46 ricoverati presso l’Ospedale Niguarda e 14 presso quello di Rho) e 104 genitori.

Dei 104 genitori il 56,7 per cento erano donne (58 erano partorienti e 46 partner). L’età dei genitori variava dai 23 ai 53 anni. Per quanto riguarda l’occupazione, l’86,4 per cento dei genitori ha dichiarato di avere un lavoro (97,8 per cento degli uomini e 77,6 per cento delle donne).

Per quanto riguarda la gravità della prematurità, questa è stata misurata sia in base alle settimane di gestazione alla nascita, definita gravità di tipo 1 (suddivisa in estrema/molto alta con riferimento alla situazione dei bambini nati prima della trentaduesima settimana e moderata/lieve relativamente a quella dei nati dopo 32 più 1) sia in base al peso alla nascita, definita gravità di tipo 2 (e classificata come estrema/molto alta nel caso di bambini con un peso inferiore ai 1.500 grammi e moderata/lieve in quello dei nati con un peso superiore).

Il 34,6 per cento dei neonati coinvolti nella ricerca era nato prima della trentaduesima settimana di gestazione e il 42,3 per cento pesava meno di 1.500 grammi alla nascita.

Risultati dell’indagine

Gli esiti dello studio mostrano che le madri hanno livelli di stress più elevati rispetto ai padri. Ad avere sintomi di depressione più elevati, sono i genitori più giovani (23/24 anni), rispetto a quelli con età più alta (35 anni o più).

Contrariamente alle attese, i livelli di depressione più alti si osservano tra i genitori con figli con prematurità moderatamente grave rispetto a quelli i cui nascituri si trovavano in una situazione molto più critica. Questo risultato, apparentemente controintuitivo, è da attribuire alle maggiori competenze sviluppate dai genitori con degenze più lunghe dei loro neonati. Questi genitori, infatti, imparano all’interno del reparto e con il supporto del personale sanitario a comprendere e gestire i bisogni del proprio bambino.

Se si guarda all’autoefficacia percepita – in questo caso, la percezione dei genitori di essere in grado di gestire il proprio neonato – si osserva che le madri, pur più colpite da stress, come emerge dall’analisi precedente, mostrano livelli medi di autoefficacia decisamente più elevati di quelli dei padri (25,13 e 17,31 rispettivamente).

In particolare, l’autoefficacia risulta maggiore per i genitori con figli in condizioni più gravi, proprio grazie ai benefici tratti dal maggiore accompagnamento del personale sanitario e di supporto psicologico.

«Questa ricerca è nata da uno sforzo collettivo e interdisciplinare: quello di ragionare sull’esperienza dei genitori che hanno vissuto un’esperienza di ospedalizzazione in terapia intensiva neonatale non solo raccogliendo le loro narrazioni e le loro caratteristiche psico-sociali con diversi strumenti di rilevazione, ma anche coinvolgendoli nella creazione di uno spazio comune di riflessione sull’esperienza di prematurità e sul modo in cui questa investe la triade madre-padre-bambino. – ha detto Alessandra Decataldo, sociologa di Milano-Bicocca alla guida del progetto – La nostra attenzione è verso il benessere dei genitori con la convinzione che questo rappresenti le fondamenta per la salute del bambino. Oggi si conclude l’esperienza finanziata da Fondazione Cariplo, ma il progetto continuerà a vivere grazie ad un nuovo finanziamento del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica».

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Bimbi prematuri: col progetto ParWelB, un’indagine dell’Università di Milano-Bicocca dà voce alle esperienze dei genitori. Foto di tahabaz

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

Progetto Cli-DaRe@School: grazie al lavoro di 350 studenti recuperate oltre 4.000 pagine di antichi dati meteorologici italiani

Nell’ambito dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, 350 studenti e studentesse delle scuole superiori hanno partecipato al progetto Cli-DaRe@School di AISAM, coordinato da un team interdisciplinare di scienziati, volto a recuperare tramite digitalizzazione l’immenso patrimonio storico italiano di dati pluviometrici e termometrici. Oltre 4.000 le pagine recuperate durante il primo anno.

 Milano, 13 luglio 2023 – Coinvolgere gli studenti per recuperare, analizzare e digitalizzare antichi dati metereologici che altrimenti potrebbero andare perduti: ecco l’obiettivo Cli-DaRe@School, un progetto formativo promosso dall’Associazione Italiana di Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia (www.aisam.eu) all’interno di Cli-DaReattività di Citizen Science.

Cli-DaRe@School è stato sviluppato da un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università Statale di Milano, dell’Università di Trento, del Politecnico di Milano, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima ISAC/CNR, di Eurac Research e della Società Meteorologica ItalianaHa coinvolto 350 studenti e studentesse di 10 scuole superiori italiane, nell’ambito delle ore di PCTO (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento– ex alternanza scuola-lavoro), volta alla digitalizzazione dei dati delle pubblicazioni sui dati mensili di precipitazione e di temperatura: sono stati coinvolti 350 studenti di 10 scuole superiori italiane.

L’Italia dispone infatti di un patrimonio di antichi dati meteorologici di eccezionale valore. Il recupero di questo enorme patrimonio di dati osservativi è in corso da lungo tempo, ma, ancora oggi, una parte consistenze è disponibile solamente su supporto cartaceo: registri osservativi di singoli osservatori, raccolte di dati pubblicate su annali o antichi lavori monografici che avevano l’obiettivo di censire e raccogliere i dati esistenti al momento della loro pubblicazione. Queste ultime fonti, in particolare, sono ricche e importanti per i dati di precipitazione (pioggia, neve, grandine, …). Per questa variabile esistono pubblicazioni che presentano i dati mensili di migliaia di stazioni, raccolti in Italia al 1915; dal 1916 al 1920 e dal 1921 al 1950. Per i dati mensili della temperatura dell’aria invece è disponibile una pubblicazione con i dati del periodo 1926-1955.

I ricercatori e le ricercatrici si sono occupati innanzitutto di individuare, regione per regione, quali fossero i dati da digitalizzare, assegnando poi alle singole classi un set di pagine da digitalizzare (mediamente una dozzina per studente), sotto monitoraggio dei docenti. I dati digitalizzati restituiti sono infine stati sottoposti a minuziosi controlli di qualità, anche grazie al lavoro di tesi di diversi laureandi e laureande dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Milano-Bicocca. Ogni scuola è stata seguita da un membro del gruppo di lavoro che ha supportato il lavoro dei ragazzi durante l’intera durata del progetto.

Inoltre, per sensibilizzare gli studenti e le studentesse al problema del cambiamento climatico e per avvicinarli alle discipline della scienza dell’atmosfera sono stati organizzati dei seminari a tema. Infine, una volta ultimata l’attività di digitalizzazione, per alcuni studenti che volevano proseguire l’attività formativa sui dati digitalizzati sono stati preparati dei pacchetti di attività, come un tool per il controllo della correttezza delle coordinate di ogni stazione digitalizzata e uno per la verifica della qualità dei dati recuperati.

Il progetto si è chiuso con un evento conclusivo aperto con i saluti del presidente AISAM, Dino Zardi, e del Direttore dell’Agenzia Nazionale per la Meteorologia e la Climatologia Italia Meteo, Carlo Cacciamani. Durante l’evento, alcuni ragazzi e ragazze hanno presentato i loro risultati e mostrato brevi video di loro realizzazione. Nella stessa occasione il gruppo di lavoro ha presentato alcuni risultati del progetto e gli esiti dei questionari di gradimento, rivolti sia ai docenti sia ai ragazzi.

Durante l’evento si sono anche discussi gli aspetti positivi e le potenziali criticità di questo primo anno di progetto, cercando di capire come migliorare per i prossimi anni, perché Cli-DaRe@School verrà riproposto anche nel prossimo anno scolastico con nuove proposte” conclude Maurizio Maugeri, climatologo e referente dell’Università Statale di Milano per il progetto.

Dolomiti Sud Tirolo recuperati antichi dati meteorologici italiani
Progetto Cli-DaRe@School: recuperati antichi dati meteorologici italiani. Dolomiti, Sud Tirolo, nella foto di 🌼Christel🌼(ChiemSeherin)

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università Statale di Milano sul Progetto Cli-DaRe@School di recupero di antichi dati meteorologici italiani

L’impatto della telepsichiatria in Lombardia durante la pandemia

 Uno studio epidemiologico coordinato dall’Università Statale di Milano evidenzia l’implementazione dei servizi di telepsichiatria durante la pandemia, distinguendo la tipologia di disturbi trattata con maggiore frequenza (disturbi alimentari ed ossessivo-compulsivo) e suggerisce lo sviluppo di nuove politiche sanitarie volte ad ottimizzare l’erogazione dei servizi di psichiatria. La pubblicazione su Nature Mental Health.

Milano, 12 luglio 2023. I ricercatori del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i dipartimenti di Salute Mentale e delle Dipendenze dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e dell’ASST di Lodi, e con la Struttura Salute Mentale, Dipendenze, Disabilità e Sanità Penitenziaria della Regione Lombardia, hanno pubblicato uno studio su Nature Mental Health sull’impatto di strumenti di telepsichiatria. Al progetto hanno collaborato anche docenti di psichiatria dell’Università di Oxford e dei tre poli didattici cittadini della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano.

È stata utilizzata la banca dati di Regione Lombardia dei servizi di salute mentale territoriali per descrivere la trasformazione degli interventi durante il primo anno pandemico, compresa la progressiva implementazione della telepsichiatria. Sebbene le implicazioni per la salute mentale della crisi pandemica siano oggetto di innumerevoli studi, non era infatti ad oggi disponibile una lettura epidemiologica integrata sulla risposta di un sistema sanitario pubblico esteso come quello lombardo, che copre un bacino di utenza di 10 milioni circa di persone mediante il lavoro di 36 dipartimenti, distribuiti su 12 province.

Rispetto all’anno precedente, nel primo semestre del 2020 si registrava una riduzione nel numero complessivo di prestazioni, e le province con un impatto precoce e maggiore della pandemia mostravano anche un maggior decremento del numero di interventi psichiatrici. Il numero di prestazioni tornava però rapidamente sovrapponibile a quello dell’anno precedente nel secondo semestre 2020, quando si osservava una progressiva integrazione della telepsichiatria nella pratica clinica (sino ad un intervento ogni quattro negli ultimi mesi dell’anno). Questi interventi erano relativamente più utilizzati con utenti donne per tutte le fasce d’età e le diagnosi; in generale, si evidenziava poi una progressiva diminuzione degli interventi effettuati da remoto all’aumentare dell’età, con un nuovo aumento oltre i 65 anni. La telepsichiatria era relativamente più utilizzata in gruppi di utenti con un impatto complessivo minore sulle risorse dei servizi, quali disturbi alimentari ed ossessivo-compulsivo, meno in quelli con maggiore impatto, quali ad esempio i disturbi dello spettro schizofrenico.

I dati internazionali disponibili ad oggi provenivano da singoli siti o da collaborazioni di piccoli gruppi nel contesto di reti assistenziali meno integrate. Oltre a fornire informazioni specifiche sulla risposta dei servizi di salute mentale all’emergenza pandemica, lo studio evidenzia i vantaggi in termini di ricerca dei registri italiani per la salute mentale, che riflettono l’attività di un sistema sanitario pubblico estesamente distribuito ed accessibile, con una rete di servizi ampiamente sovrapponibili tra i centri.

Sebbene le diseguaglianze regionali nell’organizzazione dei servizi e nelle risorse a disposizione limitino l’estensibilità delle osservazioni, i risultati potranno contribuire allo sviluppo di nuove politiche sanitarie volte ad ottimizzare l’erogazione dei servizi, a livello nazionale e in contesti internazionali simili al nostro” conclude Armando D’Agostino, psichiatra dell’Università degli Studi di Milano e dell’Ospedale San Paolo e coordinatore del lavoro di ricerca.

Nonostante l’emergenza relativa alla salute mentale catalizzata dalla pandemia, l’Italia continua infatti ad essere uno dei paesi G7 con minori risorse economiche destinate al settore. La mole di interventi annuali erogati evidenziata dallo studio (circa 1,5 milioni) sembra giustificare un congruo investimento sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei lavoratori e sulla ricerca epidemiologica su vasta scala relativa ad efficacia degli interventi e soddisfazione di operatori e utenti.

dottore telepsichiatria Lombardia pandemia
L’impatto della telepsichiatria in Lombardia durante la pandemia. Immagine di Mohamed Hassan

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università Statale di Milano.

Pubblicati su Nature nuovi indizi nella ricerca di una cura per la sclerosi multipla (SM)

I ricercatori identificano il primo marcatore genetico per la gravità della SM, aprendo nuovi orizzonti ai trattamenti per la disabilità a lungo termine.

28 giugno 2023. Uno studio multicentrico internazionale, a cui hanno collaborato in Italia l’Università del Piemonte Orientale, l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, condotto su oltre 22.000 persone con sclerosi multipla (SM) ha scoperto la prima variante genetica associata a una progressione più rapida della malattia, che nel tempo può privare i pazienti della loro mobilità e indipendenza.

La sclerosi multipla è il risultato dell’azione del sistema immunitario che attacca erroneamente il cervello e il midollo spinale provocando riacutizzazioni dei sintomi, note come ricadute, e degenerazione a lungo termine, nota come progressione, cioè un accumulo di disabilità. Nonostante lo sviluppo di trattamenti efficaci per le ricadute, nessuno può prevenire in modo affidabile l’accumulo di disabilità.

Nuovi indizi nella ricerca di una cura per la sclerosi multipla

I risultati di questo lavoro, pubblicati su Nature, puntano l’attenzione sull’identificazione di una variante genetica che aumenta la gravità della malattia, fornendo un’informazione fondamentale nella comprensione e quindi nella lotta a questo aspetto della SM.

«Ereditare questa variante genetica da entrambi i genitori accelera di quasi quattro anni il tempo per avere bisogno di un ausilio per la deambulazione», ha affermato Sergio Baranzini, PhD, professore di neurologia presso l’UCSF e co-autore senior dello studio.

Il lavoro è stato il risultato di un’ampia collaborazione internazionale di oltre 70 istituzioni di tutto il mondo, guidate da ricercatori dell’UCSF (USA) e dell’Università di Cambridge (Regno Unito).

«Capire come la variante esercita i suoi effetti sulla gravità della SM aprirà auspicabilmente la strada a una nuova generazione di trattamenti in grado di prevenire la progressione della malattia», ha affermato Stephen Sawcer, professore all’Università di Cambridge ed altro co-autore senior di lo studio.

Una rinnovata attenzione al sistema nervoso

Per affrontare il mistero della gravità della SM, due grandi consorzi di ricerca sulla SM hanno unito le loro forze: l’International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (IMSGC) e il MultipleMS Consortium. Ciò ha consentito ai ricercatori della SM di tutto il mondo di mettere in comune le risorse necessarie per iniziare a identificare i fattori genetici che influenzano l’andamento clinico della SM.

In Italia la ricerca è stata coordinata dalla professoressa Sandra D’Alfonso, docente di Genetica medica presso il Dipartimento di Scienze della salute dell’Università del Piemonte Orientale, a Novara (che insieme al dottor Maurizio Leone della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) coordina PROGEMUS, il network italiano di centri SM che ha partecipato allo studio e che comprende la Clinica Neurologica dell’AOU “Maggiore della Carità” di Novara), dal professor Filippo Martinelli Boneschi, docente di Neurologia del Dipartimento di Scienze della salute presso l’Università degli Studi di Milano e responsabile del centro Sclerosi Multipla presso l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, entrambi all’interno del gruppo strategico dell’IMSGC, e dalla dottoressa Federica Esposito, responsabile del laboratorio di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e membro dell’IMSGC con il professor Massimo Filippi, primario dell’Unità di Neurologia, Neuroriabilitazione e Neurofisiologia e del centro SM dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Precedenti studi avevano dimostrato che la suscettibilità o il rischio di SM deriva in gran parte da disfunzioni del sistema immunitario e alcune di queste disfunzioni possono essere trattate, rallentando la malattia. Ma

«questi fattori di rischio non spiegano perché, a dieci anni dalla diagnosi, alcune persone con la SM siano sulla sedia a rotelle mentre altri continuino a correre maratone», ha spiegato Baranzini.

I due consorzi hanno integrato i dati di oltre 12.000 persone con SM per completare uno studio di associazione su tutto il genoma (GWAS), che utilizza la statistica per associare accuratamente le varianti genetiche a tratti particolari. In questo caso, i tratti di interesse erano correlati alla gravità della SM, comprendendo, per esempio, gli anni necessari a ciascuna persona per passare dalla diagnosi a un certo livello di disabilità.

I ricercatori italiani, membri di entrambi i consorzi fin dalla loro istituzione, hanno contribuito attivamente a tutte le fasi dello studio, dal disegno originale alle fasi di analisi e di preparazione dell’articolo. Essi, inoltre, hanno contribuito con un’ampia casistica italiana di persone con SM caratterizzate accuratamente da un punto di vista clinico, che costituiscono circa il 20% dell’intera popolazione in studio. I centri di ricerca italiani hanno fornito allo studio dati di un’ampia componente di una popolazione del sud Europa, altrimenti non rappresentata nell’intera casistica, sottolineando il valore della variabilità genetica negli studi di malattie multifattoriali come la SM.

Dopo aver setacciato oltre sette milioni di varianti genetiche, i ricercatori ne hanno trovata una associata a una progressione più rapida della malattia. La variante si trova tra due geni senza precedente associazione alla SM, chiamati DYSF e ZNF638. Il primo è coinvolto nella riparazione delle cellule danneggiate, il secondo aiuta a controllare le infezioni virali. La vicinanza della variante a questi geni suggerisce che potrebbero essere coinvolti nella progressione della malattia.

«Questi geni sono normalmente attivi nel cervello e nel midollo spinale, e non nel sistema immunitario», ha affermato Adil Harroud, MD, primo autore dello studio. «I nostri risultati suggeriscono che la resilienza e la riparazione nel sistema nervoso determinano il corso della progressione della SM e che dovremmo concentrarci su queste parti della biologia umana per terapie più efficaci

I risultati di questo studio costituiscono i primi indizi per affrontare la componente del sistema nervoso della SM.

«Sebbene sembri ovvio che la resilienza del cervello alle lesioni determinerebbe la gravità di una malattia come la SM, questo nuovo studio ci ha indirizzato verso i processi chiave che sono alla base di questa resilienza», ha detto Sawcer.

Una coalizione in continua espansione per affrontare la gravità della SM

Per confermare le loro scoperte, i ricercatori hanno studiato la genetica di quasi 10.000 ulteriori persone affette da SM. Quelli con due copie della variante sviluppano disabilità più velocemente. Sarà necessario ulteriore lavoro per determinare esattamente come questa variante genetica influenzi DYSF, ZNF638 e il sistema nervoso più in generale. I ricercatori stanno anche raccogliendo una serie ancora più ampia di campioni di DNA da persone con SM, aspettandosi di trovare altre varianti che contribuiscono alla disabilità a lungo termine nella SM.

«Questo studio ci dà una nuova opportunità per sviluppare nuovi farmaci che possono aiutare a preservare la salute di tutti coloro che soffrono di SM», ha detto Harroud.

I ricercatori italiani coinvolti nello studio internazionale Sandra D’Alfonso, Filippo Martinelli Boneschi e Federica Esposito sottolineano come

«questo lavoro rappresenta un’importante svolta nell’ambito della medicina di precisione, in quanto potrebbe, per esempio, portare all’uso di terapie più aggressive sin dall’inizio in quei soggetti portatori di varianti genetiche sfavorevoli per la progressione. Inoltre, la conoscenza di questa variante e dei due geni in prossimità della variante potrebbe permettere di sviluppare nuovi farmaci che agiscano sul meccanismo d’azione di questi due geni e rallentino la progressione della malattia.»

Finanziamenti

Questo lavoro è stato sostenuto in parte dai finanziamenti del NIH/NINDS (R01NS099240), del programma di finanziamento della ricerca e dell’innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea e della Multiple Sclerosis Society of Canada. I ricercatori italiani hanno ricevuto finanziamenti che negli anni hanno permesso di poter contribuire a questo studio da parte di FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla) e Ministero della Salute (Ricerca finalizzata, RF-2016-02361294).

Altri collaboratori italiani allo Studio

Nadia Barizzone, Dipartimento Scienze della Salute UPO, Novara

Paola Cavalla: Dipartimento di Neuroscienze e salute Mentale AOU Citta della Salute e della Scienza di Torino

Ferdinando Clarelli, Elisabetta Mascia, Silvia Santoro, Melissa Sorosina IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Domenico Caputo: IRCCS Fondazione Don Gnocchi ONLUS, Milano

Giancarlo Comi: Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

Domizia Vecchio: Clinica Neurologica AOU Maggiore della Carità, Novara, UPO

Locus for severity implicates CNS resilience in progression of multiple sclerosis, Nature (2023), DOI: 10.1038/s41586-023-06250-x

 

Testo e foto dall’Ufficio Comunicazione e Attività Istituzionali Università del Piemonte Orientale

L’INQUINAMENTO MARINO DA PLASTICA AL CENTRO DEL REPORTAGE E MOSTRA FOTOGRAFICA ESPLORAZIONI NELLA PLATISFERA 

Domanigiovedì 25 maggio, alle ore 17.00, presso l’Orto della Scuola di Management ed Economia (C.so Unione Sovietica n. 218 bis) si terrà l’inaugurazione di “Esplorazioni nella plastisfera”, la nuova mostra fotografica promossa dal Dipartimento di Economia, Studi Sociali, Matematica Applicata e Statistica dell’Università di Torino.

Esplorazioni nella platisfera Locandina
la locandina del reportage e mostra fotografica Esplorazioni nella platisfera

Organizzata dal team di ricerca della Prof.ssa Chiara Certomà, la mostra propone una prospettiva non convenzionale su uno dei temi più cogenti del nostro tempo, ovvero l’inquinamento marino da plastica, indagando visivamente le nuove ecologie ibride che emergono sulla “plastisfera”, un insieme di organismi che colonizzano la plastica (biofilm, organismi che si attaccano tra loro e altre cose), inclusi batteri e funghi ed ecosistemi complessi, che si sono evoluti per vivere su microplastiche, e vari detriti antropici in ambienti marini (tra cui relitti, reti fantasma, infrastrutture e siti inquinati).

Esplorazioni nella platisfera

Durante una spedizione fotografica subacquea, il fotografo Giuseppe Lupinacci/Raw News, con il supporto tecnico del video-maker indipendente Federico Fornaro, direttore della Lega Navale Italiana-Anzio e dell’agenzia di stampa Raw-News, e Davide Rinaldi, direttore del diving center “Capo D’Anzio”, ha prodotto un reportage fotografico in 16 sorprendenti scatti che documenta le ecologie emergenti e le biologie ricombinanti della plastifera nel Mediterraneo, un bacino semichiuso circondato da sorgenti di plastica con concentrazioni di plastica e paragonabile alle più grandi zone di accumulo del mondo.

La documentazione visiva supporta il lavoro emergente dei geografi critici su come nuovi assemblaggi ibridi stiano rimodellando e risignificando i sistemi ecologici di supporto alla vita costruendo sulla semiotica materiale di assemblaggi più che umani.

Gli scatti di Lupinacci saranno esposti in sedi nazionali e internazionali, in concomitanza con la presentazione del lavoro di ricerca della Prof.ssa Certomà condotto presso l’Università di Torino.

La mostra infatti si trasferirà a Palma de Mallorca, Milano, Londra, Anzio per poi ritornare nel 2024 nella sede del Dipartimento di Economia, Studi Sociali, Matematica Applicata e Statistica di UniTo.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

TUMORE AL SENO: IDENTIFICATO UN NUOVO MECCANISMO MOLECOLARE ALLA BASE DELLE FORME PIÙ AGGRESSIVE

Pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications i risultati di una ricerca coordinata da Università di Torino, Università Statale di Milano, Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e sostenuta da Fondazione AIRC. Il meccanismo molecolare riguarda la proteina p140Cap che inibisce a monte l’attività della beta-Catenina, una potente proteina coinvolta nella crescita tumorale.

MilanoTorino, 11 maggio 2023. Una nuova chiave di lettura per comprendere i tumori della mammella più aggressivi nasce dagli studi condotti in collaborazione tra due gruppi di scienziati di Milano e Torino. Hanno coordinato la ricerca la professoressa Paola Defilippi, ordinario di Biologia applicata e Responsabile del Laboratorio di ricerca “Piattaforme di segnalazione nei tumori” presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, e il professor Salvatore Pece, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono appena stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

La ricerca ha portato alla scoperta di un meccanismo molecolare con cui i tumori mammari si arricchiscono in cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule, da un lato, funzionano da forza motrice della crescita della massa tumorale e, dall’altro lato, sopprimono la risposta immunitaria naturale che, a livello del microambiente circostante il tumore, dovrebbe invece contrastare la crescita del cancro.

All’origine dell’intero processo c’è verosimilmente p140Cap, una proteina in grado di inibire la crescita tumorale. La sua assenza, che caratterizza almeno il 40-50% di tutti i casi di tumori mammari umani, determina una cascata di eventi che portano all’attivazione incontrollata del gene responsabile della sintesi di beta-Catenina, una potente proteina coinvolta nella crescita tumorale. Una volta attivata, la beta-Catenina provoca l’espansione del compartimento delle cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule rilasciano citochine anti-infiammatorie, inibendo così direttamente la risposta immunitaria anti-tumorale e creando un ambiente favorevole all’ulteriore crescita del tumore.

“Dunque p140Cap – sottolinea la professoressa Paola Defilippi – si comporta come una specie di interruttore molecolare che, tramite l’inibizione di beta-Catenina e la conseguente riduzione del compartimento delle cellule staminali tumorali, esercita una duplice funzione anti-tumorale: inibisce l’espansione della massa tumorale e sostiene una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nel microambiente circostante”.

“Attraverso studi clinici retrospettivi in coorti di pazienti – continua il professor Salvatore Pece – abbiamo dimostrato una chiara correlazione tra bassi livelli della proteina p140Cap nei tumori mammari più aggressivi e ridotta presenza di cellule del sistema immunitario, in particolare linfociti, nelle aree circostanti il tumore. Questi dati suggeriscono che p140Cap potrebbe essere utilizzato come un utile biomarcatore nella pratica clinica, per identificare i tumori mammari con alterazioni della risposta immunitaria anti-tumorale”.

Spiega Vincenzo Salemme, ricercatore del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino e primo autore dell’articolo:

“Il meccanismo molecolare con cui p140Cap inibisce a monte l’attività della beta-Catenina dipende dal fatto che la prima proteina è parte di un complesso macchinario multi-proteico deputato a distruggere la stessa beta-Catenina, che così non si accumula eccessivamente all’interno della cellula. In assenza di p140Cap questa funzione è alterata, come accade in alcuni tumori mammari, dove aumentano di conseguenza sia i livelli di beta-Catenina, sia la sua azione capace di influire sull’espansione delle cellule staminali tumorali”.

Continua la professoressa Paola Defilippi“Nel corso degli ultimi anni è emerso in modo chiaro che tra i principali responsabili all’origine della formazione e della continua crescita dei tumori ci sono le cellule staminali tumorali. Si tratta di cellule dotate di capacità illimitata di auto-rinnovamento e in grado di sostenere nel tempo la crescita della massa tumorale. In nostri precedenti studi avevamo già messo in luce il ruolo inibitore di p140Cap sulla crescita tumorale e stabilito che la perdita di questa proteina è legata a una maggiore aggressività biologica e a un decorso clinico più sfavorevole di alcuni tipi di tumori mammari. Non avevamo però ancora una completa comprensione del meccanismo d’azione specifico e della varietà di conseguenze funzionali legate alla perdita di p140Cap sulla crescita tumorale. Ora, attraverso questi studi sappiamo che questa funzione dipende da un’azione diretta di p140Cap sull’attività di beta-Catenina. Inoltre, grazie ai risultati ottenuti sia in topi di laboratorio con tumore mammario, sia in campioni ottenuti da pazienti, abbiamo compreso che la presenza di p140Cap è fondamentale. Infatti questa proteina, inibendo le cellule staminali tumorali, da un lato blocca direttamente la crescita del tumore e dall’altro lato permette una efficiente risposta immune anti-tumorale nel microambiente circostante il tumore stesso”.

“Sappiamo inoltre – aggiunge la professoressa Defilippi – che possiamo inibire l’azione tumorigenica delle cellule staminali tumorali e, al contempo, ripristinare una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nei tessuti circostanti la neoplasia. Ciò è possibile simulando la funzione di p140Cap all’interno del macchinario di distruzione della beta-Catenina, attraverso l’utilizzo di farmaci al momento disponibili solo per uso sperimentale”.

“I risultati dei nostri studi – sottolinea il professor Pece – si collocano nella prospettiva di alcuni tra i più importanti concetti emersi nella ricerca oncologica degli ultimi anni, nel tentativo di spiegare l’aggressività biologica e clinica dei tumori, in particolare di quelli mammari. Sappiamo oggi che i tumori più aggressivi e con decorso clinico più sfavorevole sono quelli arricchiti in cellule staminali tumorali, oppure quelli in grado di sfuggire alla risposta immunitaria naturale, rendendo inefficienti i meccanismi di barriera anti-tumorale esercitati dalle cellule del sistema immunitario. La nostra scoperta, dell’esistenza di un nuovo circuito molecolare p140Cap/beta-Catenina, apre a una prospettiva concreta per la stratificazione a fini terapeutici delle pazienti con tumore mammario che hanno perduto p140Cap. Tale perdita è infatti alla base dell’acquisizione contemporanea di entrambe queste caratteristiche aggressive della biologia dei tumori mammari. Grazie a questi risultati le pazienti potrebbero beneficiare in futuro di nuove terapie per colpire le cellule staminali tumorali e ripristinare una efficiente risposta immunitaria contro il cancro. Terapie di questo tipo sono oggi l’obiettivo delle principali linee di ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci in oncologia”.

“Questo studio rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – conclude il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche perché dimostra l’importanza dello sforzo cooperativo tra gruppi di ricerca che fondono differenti competenze scientifiche e piattaforme tecnologiche per far avanzare la conoscenza della biologia dei tumori mammari e aprire nuove prospettive terapeutiche per le pazienti”.

tumore al seno meccanismo molecolare p140Cap beta-Catenina
Identificato nuovo meccanismo molecolare alla base delle forme più aggressive di tumore al seno. Foto di Pexels

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Tanti ospiti e personalità all’evento SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI per parlare di inclusione e diversità

Sky Inclusion Days con Figli ≠ Genitori

INTERVENTI E DIBATTITI

con rappresentanti delle Istituzioni tra cui il Ministro per le Disabilità ALESSANDRA LOCATELLI

 

Molti i volti del mondo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’intrattenimento e dello sport. Tra gli altri:

NICCOLÒ AGLIARDI, SALVATORE ARANZULLA, FRANCESCA BARRA, ELISABETTA DAMI, AMALIA ERCOLI FINZI, SARA GAMA, VERA GHENO, GIORGIO MINISINI, ALESSANDRO OSSOLA, AZZURRA RINALDI

 

Con le performance e gli interventi di artisti quali:

VINICIO MARCHIONI, OMAR HASSAN, MACIA DEL PRETE, DOMENICO CUOMO, PAOLA GIOIA KAZE FORMISANO, TOMMY KUTI

 

IL 14 E 15 MAGGIO 2023 A MILANO MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI

Sky Inclusion Days con Figli ≠ Genitori

Dalle performance artistiche e i contributi di Vinicio Marchioni, Omar Hassan, Macia del Prete, Domenico Cuomo, Paola Gioia Kaze Formisano Tommy Kuti agli interventi del Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e della scrittrice Elisabetta Dami; dalle testimonianze degli sportivi Sara Gama e Giorgio Minisini, ai contributi della scienziata Amalia Ercoli Finzi e dell’economista Azzurra Rinaldi, all’atleta paralimpico Alessandro Ossola: sono solo alcuni degli ospiti del programma di “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI”, il primo grande evento di Sky sui temi dell’inclusione e della diversità, organizzato in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice…

Due giorni di testimonianze, performance, workshop, incontri e dibattiti che si svolgeranno domenica 14 e lunedì 15 maggio 2023 a Milano, presso Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci.

Sky, da sempre impegnata sui temi dell’inclusione e della diversità, ha scelto di supportare Lidia Dice… e il progetto Figli  Genitori per realizzare insieme questa importante nuova iniziativa, un momento di confronto per sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche così importanti.

Il via ai lavori è previsto domenica 14 maggio alle 11.00 con le performances della coreografa Macia del Prete e dell’attore Domenico Cuomo. A seguire, spazio alla Festa della Mamma, all’arte con l’intervista a Omar Hassan e al racconto di storie di sport con campioni come Sara Gama e Giorgio Minisini con Daniele Cassioli, oltre a un dibattito che approfondirà il tema della parità di genere, e che vedrà coinvolte la giornalista e scrittrice Francesca Barra e l’economista Azzurra Rinaldi. La giornata prosegue con un confronto sulla libertà nell’era digitale con Padre Paolo Benanti e uno sulla paternità biologica, affidataria e adottiva con il cantautore Niccolò Agliardi e il comico Antonio Ornano. Non mancheranno un momento musicale affidato all’esibizione di Tommy Kuti e una performance dell’attore Vinicio Marchioni.

Lunedì 15 maggio, Giornata Internazionale delle Famiglie, si riparte alle 10.00 con Amalia Ercoli Finzi ed Elvina Finzi, un confronto mamma-figlia tra due generazioni di donne scienziate. Seguiranno altre storie di sport raccontate da giovani campioni e un approfondimento sul tema del razzismo e dell’antisemitismo con Michele Sarfatti. Focus sull’inclusione digitale e il progetto Sky Up che vede tra gli ospiti Salvatore Aranzulla e la tech influencer e imprenditrice digitale Fjona Cackalli. E ancora, un approfondimento sul linguaggio inclusivo con le linguiste Vera Gheno ed Elena Loewenthal e il comico Pierluca Mariti, oltre a un focus sul tema dell’autismo con Nico Acampora, fondatore di PizzAut. Non mancherà un confronto sull’inclusione nel mondo del lavoro con il Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e l’atleta paralimpico e Presidente di Bionic People Alessandro Ossola. Spazio anche alla musica con una performance di Paola Gioia Kaze Formisano.

Maggiori informazioni e il programma della due giorni sono disponibili sulla pagina: https://tg24.sky.it/stories/cronaca/sky-inclusion-days-programma-ospiti-e-iscrizioni/index.html

INFORMAZIONI E PROGRAMMA SKY INCLUSION DAYShttps://inclusiondays.sky.it

L’evento sarà disponibile in diretta sul canale 501 di Sky e in streaming su skytg24.itCollegamenti e aggiornamenti anche su Sky TG24 e su Sky Sport 24.

RTL 102.5 – radio ufficiale dell’evento – seguirà la due giorni con interviste e approfondimenti.

Per partecipare e seguire i dibattiti live è sufficiente registrarsi al seguente link https://www.eventbrite.it/e/616345354547

L’evento “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI ≠ GENITORI” si avvale del patrocinio di Camera di Commercio Americana, Camera di Commercio Britannica, Consolato Generale Americano.

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Fra inclusione e rappresentazione, l’artista afro-italiana KAZE agli Sky Inclusion Days:

“Grata a Lisa Nur Sultan per come ha scritto la mia Sofia in Call My Agent, per la prima volta non sono una checkbox”

 SONIA ROVAI: “Iniziano a breve le riprese della seconda stagione di Call My Agent – Italia

 FRANCESCA VECCHIONI di Diversity: “Tutte le produzioni devono essere inclusive, on-screen e off-screen”

 Milano, 15 maggio 2023 – “Sono estremamente grata a Lisa Nur Sultan per come ha scritto il mio personaggio – Sofia, la receptionist dell’agenzia al centro del racconto della serie Sky Original – in Call My Agent – Italia, per la prima volta non ero solo una checkbox”, ha dichiarato Kaze, poliedrica artista afro-italiana, ospite insieme alla fondatrice di Diversity Francesca Vecchioni e a Sonia Rovai, Senior Director Scripted Productions Sky Italia dell’incontro «Rappresento ergo sum? Essere inclusivi sullo schermo», moderato dal giornalista di Sky TG24 Luigi Casillo nel corso dell’evento “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI  GENITORI”, organizzato da Sky in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice. “La diversità del suo personaggio – spiega Sonia Rovai – è diventata portatrice di un racconto, non era solo un pretesto per spuntare una casella in fase di casting”.

Prima di Call My Agent – di cui, come annunciato da Sonia Rovai, iniziano fra poche settimane le riprese della seconda stagione – Kaze ha sostenuto decine di provini:

“Spesso andavano male e altre volte andavano bene, ma se mi prendevano è perché magari ero la spunta che andava bene, perché scartavano le ragazze con la pelle più scura della mia. Io magari avevo caratteristiche più simili all’eurocentrismo di altre, ero «diversa ma non troppo»”.

SKY INCLUSION DAYS con FIGLI ≠ GENITORI è una due giorni di testimonianze, performance, workshop, incontri e dibattiti che è iniziata ieri 14 maggio e proseguirà anche oggi 15 maggio a Milano, presso il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, per riflettere sul tema del rapporto con la diversità in tutte le sue declinazioni: dalla parità di genere ai diritti delle persone LGBTQ+, dalla disabilità alla body positivity, dal background etnico all’inclusione digitale e a quella del linguaggio, con uno sguardo sempre attento al confronto tra generazioni e al rapporto tra genitori e figli.

Fra rappresentazione sullo schermo, il rischio della stereotipizzazione e toni pietistici da evitare, nella industry

“la situazione è ancora in evoluzione”, ha spiegato Sonia Rovai, “ma si è iniziata a fare molta formazione e comunicazione”. “Noi e Diversity – ha raccontato – ci siamo sentiti molto in questi ultimi mesi, stiamo lavorando a un workshop per tutto il team di Sky Studios, per accedere in maniera chiara ai giusti metodi per evitare di incorrere  in una rappresentazione stereotipata”.

Di produzioni che devono essere quanto più inclusive possibile anche dietro le quinte, e non solo davanti alla macchina da presa, ha parlato Francesca Vecchioni:

“Abbattiamo i pregiudizi a partire non solo da chi appare sullo schermo, guardando quindi all’on-screen, ma soprattutto considerando tutta la parte di off-screen, chi lavora dietro le quinte,  da chi scrive a chi comunica a chi decide, a chi lavora in produzione. Se non si riesce ad aprire tutto il mondo del lavoro alla diversità, nella costruzione del prodotto non si potrà che cadere nello stereotipo”.

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Sky. Aggiornato l’11 Maggio 2023.