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Frontiers in Marine Science

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Dall’Istria alle isole e coste italiane fino alle Baleari: ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca

Grazie alla nuova tecnica basata sul DNA ambientale e a un monitoraggio durato due anni, i ricercatori dell’ateneo milanese, in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca e con il supporto di nove associazioni, hanno individuato sei “hot spot” di presenza della specie nel Mediterraneo centrale. I dati sono stati pubblicati sulla rivista “Scientific Reports”.

Milano, 15 Febbraio 2023 – Alto Adriatico tra Istria e la laguna di VeneziaSalento-Golfo di Taranto, le isole minori sicilianeSardegna orientale-Canyon di CapreraArcipelago Toscano e l’arcipelago delle Baleari. Sono i sei “hot spot” di presenza della foca monaca individuati dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, grazie alla tecnica basata sul DNA ambientale, in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca APS e con il supporto di nove associazioni ed enti di ricerca impegnati nelle operazioni di campionamento.

A rivelarlo è l’articolo “Playing hide and seek with the Mediterranean monk seal (trad.: “Giocando a nascondino con la foca monaca del Mediterraneo”), pubblicato sulla rivista Scientific Reports (DOI: http://doi.org/10.1038/s41598-023-27835-6) e nel quale sono raccolti i dati della vasta campagna di monitoraggio effettuata lungo le coste italiane e nei tratti di mari limitrofi tra il 2020 e 2021 per tracciare la presenza della foca monaca del Mediterraneo (Monachus monachus), una delle specie più rare al mondo.

Con un rivoluzionario sistema di rilevamento non invasivo, basato sulla ricerca di DNA ambientale in campioni di acqua di mare, i ricercatori hanno analizzato 135 campioni prelevati in 120 punti del Mar Mediterraneo centro-occidentale, alla ricerca di tracce molecolari della foca monaca: l’analisi ha rivelato così la presenza del raro pinnipede in aree dove mancano osservazioni dirette da decenni, come ad esempio in molti tratti di mare che circondano la nostra Penisola, dalle acque sovrastanti il canyon di Caprera all’Alto Adriatico fino alle isole Baleari.
Ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca
Ridisegnata la mappa di distribuzione della foca monaca dall’Università di Milano-Bicocca. Le linee continue blu delimitano le sei zone calde («hot-spot» ad alta incidenza di rilevamenti positivi) identificate nello studio, mentre le linee tratteggiate fucsia mostrano i tratti di mare monitorati ma che non hanno restituito dati molecolari suggestivi della presenza della foca monaca, almeno durante la campagna Spot the Monk 2021, a cui si riferisce l’articolo appena pubblicato. Le aree delimitate in arancione (arcipelago Toscano e delle Pelagie) segnalano le «zone calde» identificate precedentemente dagli stessi autori, utilizzando la stessa metodologia, e riportate nell’articolo su “Biodiversity and Conservation”

La ricerca ha fornito una nuova “visione” della distribuzione territoriale della foca monaca, individuando sei aree di grande interesse (“hot spot”) dove saranno concentrate da subito le attività di monitoraggio dei prossimi anni. Altro dato rilevante è la “positività” di alcuni siti storicamente noti per la presenza della specie e anche di aree vicine alle piccole isole e alle Aree Marine Protette.

Il metodo di rilevamento è stato messo a punto da Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, autrice principale dell’articolo e coordinatrice del gruppo di DNA ambientale marino (Marine eDna Group) dell’ateneo milanese, che da alcuni anni promuove il progetto “MeD for Med – Marine environmental DNA for the Mediterranean”, sistema di monitoraggio della biodiversità marina basato proprio sul prelievo di campioni d’acqua e sull’analisi del DNA ambientale in essi contenuto.

Nel 2020 il gruppo di ricerca milanese ha lanciato il progetto Spot the Monk” in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca, per lo studio “focalizzato” su questo pinnipede. Emanuele Coppola, presidente del Gruppo Foca Monaca APS e coautore della pubblicazione, si è occupato di individuare i siti di campionamento al fine di stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà alle singole aree. Siti costieri che, per esperienza diretta o valutazione geo-morfologica, costituivano i potenziali habitat di elezione della foca monaca.

Foto realizzate dall’equipaggio di One Ocean Foundation, una delle associazioni partner nella raccolta di campioni per Spot the Monk. Gallery

La campagna Spot the Monk” 2021, che ha portato alla individuazione dei sei “hot spot”, è stata realizzata anche grazie al coinvolgimento di diversi programmi di citizen science, facenti capo a nove tra associazioni ed enti di ricerca (in ordine alfabetico: Centro Ricerca Cetacei, Circolo Nautico Rimini, Filicudi Wildlife Conservation, Fondazione Cetacea, IMEDEA (CSIC-UIB), One Ocean Foundation, Progetto Mediterranea, Progetto Manaia e Sailing for Blue Life), che si sono adoperati a raccogliere i campioni, consentendo la raccolta simultanea in distretti marini differenti, strategia che ha consentito di delineare meglio la mappa di presenza o assenza del pinnipede.

«È importante che questi monitoraggi siano svolti in modo omogeneo e scientificamente certificato – dichiarano i team leader della ricerca, Elena Valsecchi e Emanuele Coppola –. Solo così potremo avere dati confrontabili che consentiranno di seguire nei prossimi anni il tanto sperato ritorno della specie nel Mediterraneo centrale. Un lieto evento atteso non solo dal nostro Paese, ma anche da Francia, Spagna, Marocco e Tunisia».

Foto realizzate dall’equipaggio di Progetto Mediterranea, una delle associazioni partner nella raccolta di campioni per Spot the Monk. Gallery

Questa ricerca integra i risultati, ottenuti con lo stesso approccio, pubblicati un anno fa dai ricercatori su“Biodiversity and Conservation” (DOI: https://doi.org/10.1007/s10531-022-02382-0). L’obiettivo finale è quello di stimare gli spostamenti stagionali e l’utilizzo che la specie fa dei vari habitat marini, grazie anche all’integrazione di altri campioni raccolti in alto mare, come quelli prelevati da traghetti in navigazione lungo le rotte commerciali (come descritto in un altro articolo a cura di Elena Valsecchi, pubblicato su “Frontiers in Marine Science” , DOI: https://doi.org/10.3389/fmars.2021.704786).

Infine, la collaborazione tra Università di Milano-Bicocca e il Gruppo Foca Monaca ha visto il coinvolgimento anche di realtà accademiche straniere: l’IMEDEA (Instituto Mediterráneo de Estudios Avanzados) con sede nell’isola di Maiorca e l’Università di Edimburgo, coinvolta nel più recente monitoraggio svolto lo scorso autunno tra il golfo di Taranto, Salento e le coste albanesi.
Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca sulla mappa di distribuzione della foca monaca.

Mediterraneo, Milano-Bicocca sulle tracce della foca monaca: mappare il suo ritorno grazie al DNA ambientale

Attraverso il prelievo e il rilevamento di campioni molecolari dal mare, i ricercatori dell’ateneo milanese rilevano il passaggio del pinnipede lungo le coste italiane e in alto mare. Il metodo, descritto in un articolo appena pubblicato su “Biodiversity and Conservation”, favorirà il monitoraggio e la salvaguardia della specie.

foca monaca DNA
Foca adulta nuota in superficie. È molto raro osservare una foca monaca perché questi animali trascorrono gran parte del tempo in immersione. In alcune specie affini alla foca monaca è stato calcolato che circa l’80% tempo è trascorso in immersione. Infatti in apnea le foche mangiano, si accoppiano e dormono profondamente. Foto: E. Coppola/GFM

Milano, 22 febbraio 2022 – Da decenni la foca monaca, tra i pinnipedi più rari al mondo e l’unico presente nel Mar Mediterraneo, era considerata estinta nelle acque dei mari italiani, fino ai recenti avvistamenti nel Mar Tirreno e Ionio, che hanno fatto ipotizzare un suo ritorno. Per mapparne la presenza, i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca hanno realizzato un metodo di rilevazione innovativo e non invasivo, basato sul recupero e analisi del DNA ambientale (eDNA) dai campioni di acqua prelevati nel Mare Nostrum. I primi test e i risultati delle azioni di monitoraggio hanno dato riscontro positivo, anticipando alcune delle recenti segnalazioni del mammifero marino al largo delle coste toscane e siciliane, in tratti di mare poco frequentati.

 

Il metodo è stato descritto in un articolo dal titolo “A species-specific qPCR assay provides novel insight into range expansion of the Mediterranean monk seal (Monachus monachus) by means of eDNA analysis”, appena pubblicato dalla rivista scientifica “Biodiversity and Conservation” (DOI: https://doi.org/10.1007/s10531-022-02382-0). Prima autrice Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca e docente di Marine Vertebrate Zoology.

foca monaca DNA
La foca nuota in immersione. Le foche hanno un corpo perfettamente adattato al nuoto, con le pinne posteriori utilizzate esattamente come la coda di un pesce e le pinne anteriori tenute aderenti al corpo o usate solo per migliorare l’assetto e per i rapidi spostamenti laterali. In foto, una foca monaca (Monachus monachus) del Mediterraneo, femmina adulta Riserva Naturale di Kamenjak, Istria meridionle, Croazia 12-2011. Foto: E. Coppola/GFM

Alla base del metodo, un assunto: ogni organismo vivente lascia una traccia del proprio passaggio e questa viene rivelata dal suo DNA rimasto nell’ambiente. Per esempio per la foca monaca, dal DNA che resta nella massa d’acqua in cui si muove. Elena Valsecchi coordina il gruppo di DNA ambientale marino (Marine eDna Group) dell’ateneo milanese, che da due anni ha promosso il progetto “MeD for Med – Marine environmental DNA for the Mediterranean”, sistema di monitoraggio della biodiversità marina basato proprio sull’analisi del DNA ambientale contenuto in campioni d’acqua raccolti da traghetti lungo le rotte commerciali. Un progetto nato grazie al cofinanziamento del programma Bicocca Università del Crowdfunding dell’Università di Milano-Bicocca e descritto in un articolo pubblicato lo scorso agosto su “Frontiers in Marine Science” (DOI: https://doi.org/10.3389/fmars.2021.704786).

Per mettere a punto una strategia molecolare in grado di intercettare, dall’analisi di semplici campioni d’acqua marina, la presenza della foca monaca, una volta diffusa in tutto il bacino centro-orientale del Mediterraneo ma oggi concentrata principalmente nel Mar Egeo, Elena Valsecchi ha identificato regioni “informative” del DNA mitocondriale del pinnipede, ovvero sequenze target che si trovano solo in questa specie. I ricercatori hanno così potuto sviluppare sonde specifiche per poter “pescare” all’interno di un miscuglio di milioni di molecole di DNA provenienti dagli animali più disparati – come quello presente all’interno di un campione di DNA ambientale prelevato dal mare – il DNA della foca monaca: una sorta di “calamita molecolare”.

 

Foche. La presenza delle foche viene immortalata dal sistema automatizzato di monitoraggio fotografico che scatta una foto ogni ora in punti frequentati dalle foto. Questa foto è stata scattata alla stessa data ed ora in cui un campione è stato prelevato in mare, a 70 metri dalla battigia

In collaborazione con Antonia Bruno, microbiologa del dipartimento di Biotecnologie e bioscienze, si è passati allo screening di “veri” campioni ambientali. Le sonde molecolari sono quindi state testate sul campo, attraverso il confronto con un ampio spettro di campioni, alcuni dei quali (campioni positivi) contenenti il DNA della foca monaca, come quelli prelevati nelle acque dell’Oceano Atlantico intorno dell’arcipelago portoghese di Madera, dove si trova una piccola popolazione stanziale di una trentina di esemplari di foca monaca, grazie alla collaborazione dell’Instituto das Florestas e Conservação da Natureza di Madera.

Campionamento. Mauricio Pereira, ranger del Instituto das Florestas e Conservação da Natureza di Madera, raccoglie un campione d’acqua in prossimità della Isola Grande Deserta (Madera) dove le foche monache hanno trovato riparo per dare alla luce i piccoli

I test hanno dimostrato l’efficienza delle sonde nell’intercettare la presenza del mammifero marino e hanno convinto i ricercatori a sperimentarle in campioni di DNA ambientale raccolti nel Mediterraneo, nell’ambito di altri progetti di ricerca portati avanti dal Marine eDna Group. Questi i risultati:

«Abbiamo rilevato la presenza della specie – afferma Elena Valsecchi – in circa il 50 per cento dei campioni prelevati al largo dell’isola di Lampedusa nell’estate 2020 e in alcuni campioni prelevati tra il 2018 e il 2019 da traghetto al largo dell’arcipelago Toscano nell’ambito del progetto Med for Med, lungo la rotta Livorno-Golfo Aranci (Corsica Sardinia Ferries)».

L’efficacia del test ha avuto una conferma nella realtà. «L’analisi di circa 50 campioni di acqua prelevati nei mari italiani sia sotto costa che in alto mare – prosegue l’ecologa molecolare – ha anticipato alcune delle più importanti segnalazioni e avvistamenti di foca monaca avvenute di recente in Toscana e in Sicilia e ne hanno svelato la presenza in tratti di Mediterraneo finora inesplorati».
da sinistra, Emanuele Coppola e Andrea Parmegiani, laureato all_Università di Milano-Bicocca (corso di laurea magistrale in Marine Sciences), in un campionamento. Foto: E. Coppola/GFM
Le applicazioni di questo sistema di rilevazione molecolare sono molteplici.
«Si potranno monitorare aree dove è già nota la presenza della foca monaca – osserva Emanuele Coppola, documentarista che si è occupato di foca monaca per decenni, nonché presidente del Gruppo Foca Monaca APS e coautore nella pubblicazione – al fine di stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà al sito, anche durante le stagioni invernali o in orari notturni, e tenere sotto osservazione, in modo assolutamente non invasivo, siti costieri che, per conformazione fisica, costituiscono i potenziali habitat di elezione per la foca monaca, quali grotte riparate dalla forza del mare e con spiagge interne ideali per il parto».
foca monaca DNA
Femmina adulta in grotta. Le foche partoriscono a terra e per questo scelgono ambienti molto riparati, come grotte marine con ingresso subacqueo. In foto, una foca monaca (Monachus monachus) del Mediterraneo, femmina adulta Riserva Naturale di Kamenjak, dopo la muta, animale in grotta, Colombarica, Istria meridionale, Croazia 05-2013. Foto: E. Coppola/GFM
Ciò favorirà lo studio e la ricerca sulla specie, la conservazione dei siti e la tutela della foca monaca. 

da sinistra, Emanuele Coppola, Elena Valsecchi, Antonia Bruno. Foto scattata alla mostra IllusiOcean ospitata all_Università di Milano-Bicocca. Foto: E. Coppola/GFM
In questo senso, Università di Milano-Bicocca, Gruppo Foca Monaca APS e numerosi altri partner sono ora impegnati nell’iniziativa “Spot the Monk”, un ambizioso piano di campionamento del Mediterraneo che vede coinvolti anche diversi programmi di citizen science, con diversi equipaggi e imbarcazioni coinvolti nella raccolta dei campioni.
da sinistra, Emanuele Coppola ed Elena Valsecchi. Foto scattata alla mostra IllusiOcean ospitata all_Università di Milano-Bicocca. Foto: E. Coppola/GFM
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca