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Mentire o dire la verità: il ruolo della dopamina nelle scelte di persone colpite da malattia di Parkinson
Un’analisi della rassegna scientifica pubblicata da NPJ Parkinson’s Disease, parte del gruppo Nature, ha valutato il ruolo della dopamina nella modulazione delle scelte morali di pazienti colpiti da malattia di Parkinson, in particolare sul mentire o dire la verità.

Parkinson dopamina
Foto di Pete Linforth

La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo progressivo caratterizzato dalla perdita di neuroni dopaminergici nei gangli della base e nel circuito talamo-corticale, che provocano alterazioni nel controllo motorio. Una mole crescente di evidenze indica inoltre come i gangli della base sottendano anche funzioni di alto livello, come la cognizione, l’emozione e la motivazione.

Un gruppo di ricercatori coordinati da Salvatore Maria Aglioti, e che ha visto il coinvolgimento di Sapienza Università di Roma, Istituto Italiano di Tecnologia, Fondazione Santa Lucia IRCCS, ha pubblicato una rassegna della letteratura volta ad indagare la cognizione morale, e in particolare i processi decisionali di tipo morale, come il mentire o il dire la verità, in pazienti colpiti da malattia di Parkinson.

L’analisi della letteratura scientifica ha evidenziato la presenza di due diverse tendenze comportamentali: l’iper-onestà, ossia la minor propensione a mentire rispetto ai gruppi di controllo, anche quando la menzogna comportava un guadagno economico, e l’ipo-onestà, quindi la maggior propensione a mentire rispetto ai gruppi di controllo. In particolare, la tendenza a mentire si è rivelata essere spesso associata alle ulteriori diagnosi di disturbo del controllo degli impulsi e di sindrome da dis-regolazione dopaminergica.

“I pazienti che oltre alla malattia di Parkinson presentano un disturbo del controllo degli impulsi” spiega la dott.ssa Giorgia Ponsi, psicologa,  e prima autrice dello studio, “Mostrano una ridotta quantità di trasportatore della dopamina nello striato dorsale, che è la regione del cervello coinvolta negli aspetti motori e cognitivi delle decisioni. A questo si associa un maggior rilascio presinaptico di dopamina nello striato ventrale, ossia quella regione del cervello che fa parte del circuito della ricompensa ed è coinvolta negli aspetti motivazionali della decisione in risposta a ricompense esterne. Questo implica che, ad esempio, la prospettiva di una vincita economica abbia un valore motivazionale più elevato per una persona con malattia di Parkinson e disturbo del controllo degli impulsi.”

“Lo studio di questi comportamenti in persone con malattia di Parkinson, permette di comprendere attraverso le neuroscienze quella complessa catena di eventi che ci guidano nelle nostre scelte quotidiane” ha commentato Salvatore Maria Aglioti, “L’obiettivo ultimo è quello di riuscire ad individuare strategie terapeutiche che, attraverso l’utilizzo di farmaci o la neuroriabilitazione, possano aiutare a ripristinare l’equilibrio interrotto dalla patologia”.

Secondo gli autori dello studio, la principale ipotesi derivata da questa analisi, è che le disfunzioni a carico del sistema motivazionale, in particolare lo squilibrio dopaminergico tra striato dorsale e striato ventrale, possano aumentare o diminuire la salienza delle ricompense esterne(ad esempio, denaro o cibo) e spiegare, di conseguenza, entrambe le tendenze comportamentali (iper-onestà e ipo-onestà) riportate in letteratura.

Riferimenti:

Ponsi, G., Scattolin, M., Villa, R., Aglioti, S. M. Human moral decision-making through the lens of Parkinson’s disease. npj Parkinsons Dis. 7, 18 (2021). https://doi.org/10.1038/s41531-021-00167-w

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma.

Quando le linci pardine popolavano l’Europa: dal Gargano nuove testimonianze sull’evoluzione di questi felini oggi a rischio di estinzione  

Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza e dall’Università di Perugia, con il contributo di altri enti e atenei internazionali, ha dimostrato per la prima volta che durante il Pleistocene la specie più diffusa nel nostro continente era la lince pardina. Questo singolare felino, dalla coda corta ma dalla lunga storia, oggi popola solo la penisola iberica ed è ad alto rischio di scomparsa. I risultati del lavoro sono stati pubblicati su Quaternary Science Reviews

La lince pardina (Lynx pardinus), che per sotto molti aspetti ricorda i suoi simili europei dalla coda corta, si distingue da questi ultimi per i caratteristici pennacchi sulle orecchie, i ciuffi sotto il mento e le macchie ben definite che spiccano sul pelo bruno-giallastro. Questo felino oggi vive soltanto in ristrette aree della penisola iberica ed è oggetto di numerosi progetti di conservazione e salvaguardia.

Un team di studiosi e paleontologi della Sapienza e dell’Università di Perugia, con il contributo di altri enti e università internazionali, ha ricostruito la storia evolutiva di questo predatore in nuovo studio pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews. I risultati del lavoro hanno dimostrato come le linci pardine abbiano avuto una storia evolutiva distinta rispetto a quelle eurasiatiche, diffuse nella penisola italiana solo in tempi molto più recenti.

L’analisi dei numerosi fossili rinvenuti nel Gargano, in Puglia, ha permesso infatti ai ricercatori di comprendere come migliaia di anni fa, nel corso del Pleistocene, la lince pardina fosse diffusa in gran parte dell’Europa mediterranea, mentre l’attuale lince eurasiatica, Lynx lynx, fosse meno diffusa di quanto comunemente creduto finora.

Cranio della lince da Ingarano

“I fossili studiati, conservati presso il Dipartimento di Scienze della Terra del nostro Ateneo, rappresentano il più ricco campione di resti di crani, mandibole e denti attribuibili a linci pleistoceniche – spiega Raffaele Sardella della Sapienza. “Sebbene precedentemente attribuiti alla lince eurasiatica, rappresentano in realtà esemplari di lince pardina. Le nuove analisi hanno dimostrato infatti che questo felino era molto più diffuso migliaia di anni fa di quanto si sapesse, con una distribuzione geografica che includeva tutta l’Europa mediterranea”.

linci pardine
Cranio ricostruito digitalmente della lince da Ingarano

Un ruolo di primo piano nello studio lo hanno avuto le analisi tomografiche, eseguite da Dawid A. Iurino, dell’Università di Perugia e coordinatore dello studio, che hanno permesso ai ricercatori di restaurare, virtualmente e senza comprometterne lo stato, i crani garganici e di studiarne l’anatomia in dettaglio.

“La ricostruzione della massa corporea – aggiunge Beniamino Mecozzi della Sapienza – rivela come le linci pardine del passato fossero comunque in generale più grandi rispetto a quelle che oggi sopravvivono nella penisola iberica. La forte contrazione dell’areale e la drastica riduzione del numero di individui, oggi solo poche decine di esemplari, è una condizione raggiunta all’inizio del Novecento”.

Le attuali popolazioni iberiche quindi rappresentano gli ultimi eredi di una linea evolutiva di linci molto antiche. Lo studio aggiunge un ulteriore elemento a sostegno della protezione di un felino dalla coda corta, ma dalla lunga storia.

linci pardine
Ricostruzione delle linci pardine da Ingarano

Riferimenti:

The tale of a short-tailed cat: new outstanding Late Pleistocene fossil Lynx pardinus from southern Italy – Mecozzi B., Sardella R., Boscaini A., Cherin M., Costeur L., Madurell-Malapeira J., Pavia M., Profico A., Iurino D.A. (2021). Quaternary Science Reviews. DOI: 10.1016/j.quascirev.2021.106840

Testo, video e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili

Un nuovo studio Sapienza, frutto della collaborazione tra due gruppi sperimentali del Dipartimento di Fisica, dimostra come, attraverso l’impiego di un nuovo tipo di emettitori di fotoni, i quantum dots, sia possibile garantire un ulteriore livello di sicurezza per i dati trasmessi in un canale di comunicazione, sia che si tratti di una conversazione telefonica che una transazione bancaria. La ricerca, pubblicata su Science Advances, ha previsto lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici all’interno del campus Sapienza.

Comunicare a distanza è diventata la regola nella vita di tutti i giorni sia per contattare privatamente amici o conoscenti, che per inviare dati sensibili, come ad esempio nelle transazioni bancarie.

Diventa quindi di fondamentale importanza creare un apparato di protezione che renda sicuro lo scambio di dati, salvaguardandoli da potenziali intrusi. Infatti gli attuali mezzi di comunicazione sono intrinsecamente vulnerabili e il loro livello di sicurezza dipende esclusivamente dalle capacità tecnologiche dell’intruso.

conversazioni crittografate fisica quantistica dati sensibili
Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

Una soluzione a questo problema è stata individuata nella meccanica quantistica, che fornisce sistemi oggi conosciuti con la denominazione di “distribuzione a chiave quantistica”, in cui la sicurezza della comunicazione è garantita dalle leggi della fisica stessa: in una comunicazione crittografata, due utenti usano una chiave segreta per codificare un qualsiasi messaggio che diventa incomprensibile all’esterno. Questa chiave viene trasmessa, come suggerisce il nome, utilizzando segnali quantistici.

La sicurezza di tali protocolli è garantita dalla impossibilità di duplicare esattamente uno stato quantistico sconosciuto, una peculiare proprietà che rende visibile la presenza di un eventuale intruso nel canale di comunicazione. Nonostante questo tipo di soluzione sia già stata studiata e implementata sperimentalmente negli ultimi anni grazie all’aiuto delle tecnologie ottiche, una delle sfide più difficili da affrontare è quella di ottimizzare la generazione dei portatori di informazione quantistica per tale scopo, ovvero i singoli fotoni, e la loro peculiare proprietà di correlazione a distanza, l’entanglement quantistico.

Foto del gruppo Nanophotonics

Oggi un nuovo studio della Sapienza Università di Roma, frutto della collaborazione sinergica tra due gruppi sperimentali del Dipartimento di Fisica, il gruppo Nanophotonics coordinato da Rinaldo Trotta e il gruppo Quantum Lab coordinato da Fabio Sciarrino, dimostra come sia possibile garantire un ulteriore livello di sicurezza per i dati trasmessi in un canale di comunicazione attraverso l’impiego di un nuovo tipo di emettitori di fotoni, i quantum dots.

Foto del gruppo Quantum Lab

I quantum dots, o punti quantici, sono nanostrutture le cui dimensioni sono migliaia di volte più piccole di un capello umano ed è stato dimostrato che, sotto opportune condizioni, sono in grado di generare coppie di fotoni entangled di altissima qualità.

conversazioni crittografate fisica quantistica dati sensibili
Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

Per raggiungere i risultati pubblicati sulla rivista Science Advances, i giovani ricercatori hanno realizzato il primo canale di comunicazione quantistica sviluppato all’interno del campus della Sapienza, un’infrastruttura per la distribuzione in aria di una chiave crittografata tra due strutture del Dipartimento di Fisica, l’edificio Marconi e l’edificio Fermi, distanti oltre 250 metri: il “mittente Marconi”, con un dispositivo a quantum dot, produce coppie di fotoni entangled, usate per creare a distanza due copie uniche di una chiave segreta e il “destinatario Fermi” che riceve una sequenza di fotoni singoli da cui estrae la sua copia della chiave segreta. Questa può essere utilizzata per inviare messaggi privati, come avviene nelle comuni conversazioni sul sistema di messaggistica WhatsApp.

Schema di network quantistico

La realizzazione di un tale canale in aria ha comportato la necessità di contrastare gli effetti ambientali di disallineamento. Difficoltà risolta con successo attraverso l’applicazione di un metodo di stabilizzazione attiva della luce.

“Uno degli aspetti più affascinanti di questo esperimento – commenta Francesco Basso Basset, assegnista di ricerca del gruppo Nanophotonics – è stata la realizzazione del sistema trasmissione-ricezione in aria tra i due edifici, cosa nuova per noi, abituati a portare avanti la ricerca solitamente nella stessa stanza di laboratorio”.

Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

Durante l’esperimento, una coppia di singoli fotoni entangled è stata infatti separata e mandata alle due estremità del canale, permettendo così la condivisione di una chiave segreta grazie alla correlazione quantistica.

“In questo protocollo, è possibile condividere una stringa di bit, che forma la chiave segreta, sfruttando l’entanglement quantistico che è presente nei due singoli fotoni – spiega Mauro Valeri, dottorando del gruppo QuantumLab. “Un altro aspetto rilevante sta nel fatto che la meccanica quantistica ci fornisce gli strumenti per capire se ci sono eventuali intrusi nel canale: se un intruso vuole appropriarsi dei segnali inviati, possiamo immediatamente identificarlo misurando nei nostri laboratori l’avvenuta perdita dell’entanglement”.

conversazioni crittografate fisica quantistica dati sensibili
Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

“La novità di questo studio – aggiunge Fabio Sciarrino – è costituita dall’introduzione dei punti quantici nel campo della comunicazione quantistica; infatti, a differenza delle soluzioni del passato, questi dispositivi non si basano su un processo fisico probabilistico e possono ambire a fornire fotoni “on demand”, fattore di rilevanza fondamentale per la realizzazione sperimentale di molti protocolli di comunicazione quantistica a distanza.”

conversazioni crittografate fisica quantistica dati sensibili
Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

“Il quantum dot – conclude Rinaldo Trotta – ha tutti i requisiti per essere tra i più promettenti emettitori di segnali ottici nel campo della comunicazione quantistica, e questo esperimento dimostra che un suo utilizzo nei network quantistici del futuro è possibile. Siamo convinti che questa sia solamente la punta dell’iceberg e molte altre scoperte verranno fatte partendo da questo studio; il prossimo passo da fare sarà l’aumento della velocità di trasmissione, realizzando quantum dot con una efficienza di emissione sempre più alta. L’obiettivo è di condurre questa tecnologia ad una implementazione su scala globale.”

Conversazioni crittografate: quando le leggi della fisica proteggono i dati sensibili, con lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici

Riferimenti:

Quantum key distribution with entangled photons generated on-demand by a quantum dot – Francesco Basso Basset, Mauro Valeri, Emanuele Roccia, Valerio Muredda, Davide Poderini, Julia Neuwirth, Nicolò Spagnolo, Michele B. Rota, Gonzalo Carvacho, Fabio Sciarrino and Rinaldo Trotta – Science Advances (2021) DOI: 10.1126/sciadv.abe6379

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Uno studio della Sapienza mostra la capacità della realtà virtuale di suscitare, in zone del corpo cosiddette “proibite”, reazioni reali a tocchi virtuali

La ricerca, coordinata da Salvatore Maria Aglioti, è stata condotta su due gruppi di uomini e di donne con diverso orientamento sessuale valutando le reazioni indotte da una carezza virtuale da parte dei differenti gruppi

realtà virtuale reazioni
Foto di Gerd Altmann

 I ricercatori, coordinati da Salvatore Maria Aglioti (Sapienza Università di Roma, Istituto Italiano di Tecnologia, IRCCS Fondazione Santa Lucia) hanno utilizzato la realtà virtuale immersiva inducendo nei partecipanti la sensazione che il corpo virtuale che essi stavano osservando in prima persona fosse il proprio corpo. Una volta indotta questa sensazione, i partecipanti osservavano un avatar uomo e un avatar donna toccare il loro corpo virtuale in diversi punti, comprese le parti più intime, come la zona genitale (il tocco non veniva erogato sul corpo reale).

Dopo ogni carezza, il partecipante doveva valutare se il tocco fosse stato piacevole o spiacevole, quanto fosse stato erogeno, opportuno o attivante. In aggiunta alle sensazioni soggettive, veniva registrata la reattività fisiologica alla carezza virtuale, indice implicito e non controllabile di quanto il corpo reagisce a quello che sta esperendo.

Martina Fusaro e Matteo Lisi, autori principali dello studio affermano che: “I partecipanti riportavano l’illusione di incorporare l’avatar osservato in prima persona e quanto il tocco virtuale evocasse sensazioni simili a quelle suscitate da stimolazioni tattili nella vita reale.”

È emerso, infatti, che tutti i partecipanti riportavano come erogeno il tocco virtuale sulle zone intime, rispetto ai tocchi ricevuti sulle altre aree del corpo (zone più sociali, come la mano e zone più neutre, come il ginocchio). L’erogeneità veniva modulata in base al sesso dell’avatar che stava toccando: partecipanti eterosessuali trovavano più erogeno il tocco dell’avatar di sesso opposto, mentre i partecipanti gay e lesbiche quello dell’avatar dello stesso sesso.

Il tocco, inoltre, veniva considerato più appropriato per gli uomini eterosessuali quando proveniente dall’avatar donna, mentre per le donne eterosessuali non vi era differenza rispetto all’appropriatezza se proveniente da avatar donna o uomo. In modo speculare, gli uomini gay consideravano ugualmente appropriato il tocco di uomo e di donna, mentre per le donne lesbiche il tocco nelle zone intime era più appropriato quando proveniente da donna (mentre nelle aree più sociali e neutre non vi era differenza se a toccare era un uomo o una donna).

I risultati della reattività fisiologica (nello specifico, la conduttanza cutanea), indicavano che i tocchi sul corpo dei partecipanti inducevano sensazioni diverse: in particolare, il tocco proveniente dall’avatar donna induceva un innalzamento della reattività quando erogato sulle zone intime.

Matteo Lisi aggiunge: “Mentre la maggioranza degli studi presenti in letteratura si è focalizzata sulle differenze di sesso nelle reazioni ai tocchi, abbiamo voluto evidenziare che l’orientamento sessuale svolge un ruolo altrettanto rilevante e dovrebbe essere sempre preso in considerazione”.

 “I risultati di questo studio” conclude Fusaro “sono importanti poiché evidenziano come sia possibile, mediante la realtà virtuale immersiva, indurre sensazioni vicarie molto simili a quelle in indotte da situazioni della vita reale. Il paradigma sviluppato, e applicato per la prima volta in questo studio, potrebbe essere utile per indagare la sfera intima in alcune persone che per diversi motivi preferiscono non essere toccate (per esempio, alcune persone con disturbo dello spettro dell’autismo o persone che hanno subito violenze fisiche o sessuali)”.

Riferimenti:

Fusaro, M., Lisi, M.P., Tieri, G., Aglioti, S.M. Heterosexual, gay, and lesbian people’s reactivity to virtual caresses on their embodied avatars’ taboo zones. Sci Rep 11, 2221 (2021). https://www.nature.com/articles/s41598-021-81168-w

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sullo studio relativo alle reazioni reali determinate da tocchi nella realtà virtuale.

NeuroDante: un approccio innovativo e integrato allo studio della Divina Commedia
Uno studio neuroscientifico analizza il coinvolgimento emotivo e cognitivo nella lettura della Divina Commedia. La ricerca è il risultato della collaborazione interdisciplinare tra il Dipartimento di Medicina molecolare e il Dipartimento di Studi europei, americani e interculturali della Sapienza Università di Roma, assieme alla start-up BrainSigns dell’Ateneo

Dante, affresco (1499-1502) ad opera di Luca Signorelli, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto. Foto di Georges Jansoone (JoJan), CC BY-SA 3.0

Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Brain Sciences, ha analizzato attraverso specifiche modalità di indagine, l’attività cerebrale durante la lettura di passi della Divina Commedia.

Il lavoro è frutto della collaborazione scientifica tra i gruppi di ricerca dei dipartimenti di Medicina molecolare e di Studi europei, americani ed interculturali della Sapienza Università di Roma, guidati rispettivamente da Fabio Babiloni e Paolo Canettieri e in sinergia con la start-up BrainSigns dell’Ateneo.

Lo scopo peculiare dello studio è stato quello di valutare se soggetti esperti, ovvero studenti universitari di corsi umanistici, e non esperti, ovvero studenti universitari di materie scientifiche, mostrassero reazioni differenti in termini neurometrici in campo letterario. I risultati di questo studio interdisciplinare hanno mostrato un coinvolgimento cerebrale maggiore all’interno della popolazione di esperti e un coinvolgimento emozionale maggiore in quella di non esperti.

Inoltre i ricercatori hanno osservato una tendenza inconscia all’approccio della Divina Commedia, che risulta direttamente proporzionale allo sforzo cognitivo impiegato nell’ascolto e nella comprensione. I risultati hanno esteso le precedenti evidenze relative all’arte figurativa anche agli stimoli di poesia uditiva, suggerendo che nei lettori esperti si verifica, sia una attenuazione nella risposta emozionale specifica per competenza, sia un aumento dell’elaborazione cognitiva in risposta agli stimoli.

Il progetto, la cui realizzazione è durata diversi anni, ha previsto che i gruppi di ricerca svolgessero un periodo di attività presso la Biblioteca dell’Accademia dei Lincei. In questa occasione i risultati preliminari dello studio sono stati presentanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e all’allora Presidentessa della Camera Laura Boldrini.

Contestualmente alla pubblicazione dei primi risultati, il team di ricercatori ha già avviato i lavori per un progetto di ricerca denominato Neurodante 2.0, condotto da Giulia Cartocci e Simone Palmieri, ricercatori afferenti rispettivamente ai gruppi di Fabio Babiloni e Paolo Canettieri.

Il progetto, che ha l’obiettivo di valutare la risposta emozionale all’ascolto dei brani letti da voce femminile o maschile, si è avvalso della collaborazione dell’attrice Lucilla Giagnoni, attualmente presente sul piccolo schermo fino al 25 marzo su Rai5 con lettura e interpretazione dei 100 canti della Commedia.

Riferimenti:

NeuroDante: Poetry Mentally Engages More Experts but Moves More Non-Experts, and for Both the Cerebral Approach Tendency Goes Hand in Hand with the Cerebral Effort – Giulia Cartocci, Dario Rossi, Enrica Modica, Anton Giulio Maglione, Ana C. Martinez Levy, Patrizia Cherubino, Paolo Canettieri, Mariella Combi, Roberto Rea, Luca Gatti and Fabio Babiloni – Brain Sci. 2021 https://doi.org/10.3390/brainsci11030281

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

 

Testosterone e forme gravi di Covid-19: uno studio coordinato dall’Università di Siena pubblicato su EBiomedicine

Foto di PublicDomainPictures

Uno studio internazionale coordinato dall’Università di Siena e che ha coinvolto, in Italia, tra gli altri centri, anche la Sapienza Università di Roma, dimostra che alcune varianti genetiche rendono il recettore del testosterone meno funzionante, predisponendo gli individui di sesso maschile a sviluppare una malattia da COVID-19 molto più grave.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista EBiomedicine, del gruppo Lancet, e condotto in una casistica di più di 600 maschi infetti dal virus SARS-CoV-2, pone le basi per futuri trials clinici sull’uso del testosterone in pazienti portatori di queste varianti.

“Che il testosterone fosse un importante modulatore del sistema immunitario e potenzialmente implicato nell’associazione tra COVID-19 e diabete, era noto – spiega Andrea Isidori, professore ordinario di Endocrinologia dell’Università Sapienza Roma – ma gli studi precedenti mostravano dati contrastanti”.

Il lavoro multicentrico, coordinato dalla professoressa Francesca Mari dell’Università di Siena, spiega che è la funzionalità del recettore androgenico, legata alle sue varianti genetiche, la nuova chiave di lettura per comprendere queste discrepanze e l’evoluzione clinica dell’infezione nel maschio.

“Questi risultati sono stati possibili – spiega la professoressa Alessandra Renieri, docente del dipartimento di Biotecnologie mediche dell’Ateneo senese, responsabile della U.O.C. Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese e coordinatrice del consorzio nazionale GEN-COVID – grazie alla partecipazione di numerosi centri clinici oltre all’AOUS, che hanno reclutato pazienti in tutta Italia, e alla collaborazione interdisciplinare del gruppo di Bioingegneria dell’Università di Siena e di esperti di intelligenza artificiale del dipartimento di Ingegneria dell’informazione e Scienze matematiche dell’Ateneo, insieme ai gruppi di Endocrinologia di Siena e della Sapienza, utilizzando la piattaforma di sequenziamento recentemente implementata dal nostro Ateneo”.

 

Lo studio:  “Shorter androgen receptor polyQ alleles protect against life-threatening COVID-19 disease in European males” https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2352396421000396

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Il segnale UV e ottico che sfida i modelli delle pulsar

Osservati, per la prima volta da una pulsar al millisecondo in fase “esplosiva”, lampi in banda ottica e ultravioletta oltre alle pulsazioni nei raggi X tipiche di questi corpi celesti. La scoperta, guidata da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e basata anche su osservazioni effettuate con il Telescopio Nazionale Galileo, mette alla prova i modelli teorici che descrivono il comportamento delle pulsar in sistemi binari

Illustrazione di una pulsar in un sistema binario. Crediti: ESA

Si chiama SAX J1808.4-3658 ed è una pulsar, ovvero una stella di neutroni – quel che resta di stelle più massicce del Sole – che emette radiazione attraverso due coni di luce e ruota molto rapidamente, facendo sì che l’emissione appaia pulsante, come quella un faro. Ma non finisce qui. È una pulsar “al millisecondo”, cioè ruota ancora più veloce della maggior parte delle pulsar, completando ben 401 giri su sé stessa in un solo secondo, e per di più si trova in un sistema binario, orbitando insieme a un’altra stella alla quale sottrae regolarmente materia. Ma è anche un oggetto celeste decisamente incostante. Alterna infatti fasi di “quiescenza” a periodi più attivi o “esplosivi” ogni 3–4 anni: l’esplosione più recente, la nona dalla sua scoperta nel 1996, è stata registrata tra agosto e settembre 2019.

Durante la fase esplosiva, la luminosità di SAX J1808.4-3658 – ad oggi si conoscono una ventina di sistemi simili ad essa – aumenta significativamente sia in banda ottica e ultravioletta (UV) che nei raggi X, e inizia l’accrescimento: l’altra stella trasferisce materia e momento angolare alla pulsar attraverso un disco che si estende fino a pochi chilometri dalla sua superficie. Questo processo accelera la rotazione della pulsar e convoglia la materia in accrescimento sui suoi poli, dando origine a un segnale pulsato nei raggi X.

“Quando è stato annunciato l’inizio della nuova esplosione di SAX J1808.4-3658, ad agosto 2019, ci siamo chiesti se, oltre alle pulsazioni in banda X, il sistema potesse mostrare anche pulsazioni in banda ottica e ultravioletta”, spiega Arianna Miraval Zanon, dottoranda presso l’Università dell’Insubria e associata all’INAF di Milano, co-prima autrice insieme a Filippo Ambrosino, ricercatore all’INAF di Roma, dell’articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy. E la curiosità è stata premiata. “Per la prima volta abbiamo osservato nello stesso sistema, durante la fase esplosiva, pulsazioni con lo stesso periodo di rotazione della pulsar in tre bande diverse: X, UV e ottica”, aggiunge Ambrosino.

Fino ad allora, non erano mai state osservate pulsazioni in banda UV da pulsar in sistemi binari. In banda ottica, invece, le pulsazioni erano state viste soltanto in 5 pulsar isolate e in un solo sistema binario, PSR J1023+0038, quest’ultimo in un lavoro firmato dallo stesso Ambrosino e diversi co-autori del nuovo studio; si tratta però di un sistema diverso, che si trova in una fase intermedia, e che quindi somiglia a SAX J1808.4-3658 solo in parte.

UV ottico pulsar SAX J1808.4-3658
Lo strumento SiFAP2 installato al Telescopio Nazionale Galileo. Crediti: A. Ghedina

Lo studio si basa su osservazioni in banda UV effettuate con il telescopio spaziale Hubble e in banda ottica con il Telescopio Nazionale Galileo (TNG) dell’INAF a La Palma (Isole Canarie), equipaggiato con il fotometro ottico ad altissima risoluzione temporale e accuratezza assoluta SiFAP2, cruciale per la scoperta delle pulsazioni ottiche da questo sistema. Il primo prototipo dello strumento, SiFAP, era stato ideato e sviluppato da Franco Meddi insieme a Filippo Ambrosino, con l’ausilio di Paolo Cretaro al Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, e già nel 2017 aveva permesso di rivelare le pulsazioni ottiche dall’altra pulsar menzionata, PSR J1023+0038. Grazie a successive collaborazioni con INAF, con lo stesso TNG e con l’Università di Catania (in particolare con Francesco Leone), lo strumento è stato migliorato prendendo il nome di SiFAP2, una nuova versione che consentirà di effettuare anche studi polarimetrici grazie ad un nuovo sistema di cubi polarizzatori.

Ma le nuove osservazioni pongono un dilemma: la luminosità delle pulsazioni misurate in banda ottica e UV è troppo elevata per essere spiegata, usando i modelli teorici esistenti, dall’accrescimento di materia sulla pulsar. “Il segnale ottico e UV pulsato potrebbe quindi essere prodotto nella magnetosfera della pulsar, o poco lontano da essa, ed essere alimentato dalla rotazione del dipolo magnetico della pulsar”, dice Miraval Zanon. “Se così fosse, potrebbero convivere o alternarsi molto rapidamente due meccanismi fisici diversi: da una parte l’accrescimento produrrebbe gli impulsi in banda X; dall’altra la pulsar, alimentata dalla sua stessa rotazione, riuscirebbe a generare impulsi in banda ottica e UV. Questo scenario sfida gli attuali modelli teorici secondo cui un meccanismo esclude l’altro”.

Un altro aspetto interessante sollevato dal nuovo studio è uno sfasamento significativo – pari a poco più di mezzo periodo di rotazione – osservato tra la pulsazione X e quella ottica. “Questo ha dato adito a diverse interpretazioni”, sottolinea Ambrosino, “la più suggestiva delle quali è senza dubbio la possibilità che l’emissione X pulsata provenga da uno dei due poli magnetici della pulsar, mentre la pulsazione ottica sia generata nel polo opposto. Questa è solo un’ipotesi, non possiamo dire nulla di veramente definitivo prima di avere una statistica più ampia sull’emissione ottica di queste sorgenti”.

In futuro, il gruppo ha in programma nuove osservazioni di questo sistema durante la fase quiescente con lo strumento SiFAP2, per indagare l’eventuale presenza di pulsazioni ottiche una volta diminuita la luminosità: questo aiuterà a comprendere meglio il meccanismo che le genera durante la fase esplosiva. Un piano sul più lungo termine, già approvato, prevede lo studio della prossima sorgente, tra le venti simili a questa, che entrerà in fase esplosiva, effettuando osservazioni simultanee nei raggi X con l’osservatorio dell’ESA XMM-Newton, in UV con Hubble e in ottico con il TNG.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy nell’articolo Optical and ultraviolet pulsed emission from an accreting millisecond pulsar di F. Ambrosino, A. Miraval Zanon, A. Papitto, F. Coti Zelati, S. Campana, P. D’Avanzo, L. Stella, T. Di Salvo, L. Burderi, P. Casella, A. Sanna, D. de Martino, M. Cadelano, A. Ghedina, F. Leone, F. Meddi, P. Cretaro, M. C. Baglio, E. Poretti, R. P. Mignani, D. F. Torres, G. L. Israel, M. Cecconi, D. M. Russell, M. D. Gonzalez Gomez, A. L. Riverol Rodriguez, H. Perez Ventura, M. Hernandez Diaz, J. J. San Juan, D. M. Bramich, F. Lewis

https://doi.org/10.1038/s41550-021-01308-0

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Sapienza: al via lo studio sulla vaccinazione anti COVID-19. Che succede dopo il vaccino?

La Sapienza Università di Roma e l’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Umberto I da oggi sono impegnati insieme nel monitoraggio clinico e immunologico di tutti i soggetti sottoposti a vaccinazione anti-Sars-CoV-2

vaccinazione anti COVID-19
Foto Chairman of the Joint Chiefs of Staff from Washington D.C, United States – 201221-D-WD757-1126, CC BY 2.0

Lo studio, promosso e incentivato direttamente dalla Magnifica Rettrice della Sapienza Università di Roma, Antonella Polimeni, e dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I, Fabrizio d’Alba, comprenderà circa 10.000 soggetti e avrà lo scopo di valutare la risposta anticorpale nei soggetti vaccinati e di analizzare le associazioni del tipo di riposta con variabili importanti come l’età, il sesso, la presenza di comorbidità e le condizioni socioeconomiche.

Tutte le unità assistenziali e i docenti universitari verranno coinvolti con lo scopo di sviluppare una rete di ricerca che includa tutte le strutture del più grande Policlinico d’Europa.  

In tutti i soggetti verranno anche registrati gli eventi avversi dopo la vaccinazione. Ci si propone di valutare in tutti i soggetti la quantità e qualità della risposta immunitaria anti-Spike indotta dalla vaccinazione e di seguire contemporaneamente la dinamica dell’eventuale infezione e l’efficacia protettiva del vaccino, tramite la misurazione del titolo di anticorpi contro la nucleoproteina (N), specifici dell’infezione naturale.  

Tutti i 10.000 soggetti verranno valutati anche a distanza di 6 e 12 mesi dall’inizio della vaccinazione. L’Istituto Superiore di Sanità, che collaborerà allo studio, si occuperà, nel caso di infezione dopo vaccinazione, della ricerca delle possibili varianti virali.

Attualmente, sono stati vaccinati 5.000 operatori, da ausiliari a specializzandi, che rappresenteranno la popolazione immediatamente oggetto dello studio.  A breve inizierà il secondo ciclo di vaccinazioni che prevedrà anche una analisi pre vaccinazione.

Per la Sapienza e per il Policlinico Umberto I questo studio rappresenta un modello virtuoso di come le eccellenze della sanità e della ricerca si possano fondere in un progetto comune che ha come scopo quello di essere garante di una azione volta non solo a contrastare la pandemia, come dimostrato in questo lungo periodo, ma anche a sviluppare strategie comuni di ricerca.

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sul monitoraggio clinico e immunologico di soggetti sottoposti a vaccinazione anti COVID-19.

L’effetto Michelangelo: le opere d’arte e la realtà virtuale potenziano l’efficacia delle terapie di neuroriabilitazione

Le opere artistiche aiutano i pazienti con una lesione del sistema nervoso causata da un ictus ad eseguire esercizi di neuroriabilitazione in un ambiente virtuale. Lo studio della Fondazione Santa Lucia IRCCS in collaborazione con la Sapienza Università di Roma e Unitelma Sapienza

Effetto Michelangelo neuroriabilitazione

Uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology e condotto presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS, in collaborazione con ricercatori dei dipartimenti di Psicologia e di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza e di Unitelma Sapienza, ha unito i grandi capolavori dell’arte alla tecnologia della realtà virtuale per potenziare l’efficacia della neuroriabilitazione a favore di persone che, a seguito di un ictus, hanno subito danni neurologici gravi che comportano la riduzione o la perdita dell’utilizzo di un braccio o di un lato del corpo (emiplegia).

All’interno di un ambiente di realtà virtuale è stato chiesto ai pazienti di muovere un cursore su una tela virtuale di fronte a loro utilizzando la mano del lato del corpo paralizzato a causa della lesione al cervello. I movimenti sulla tela scoprivano l’immagine di un capolavoro artistico, ad esempio la Creazione di Adamo di Michelangelo, la Venere di Botticelli o i Tre Musicisti di Picasso, restituendo, al termine dell’esercizio quando il cursore aveva percorso l’intera tela, l’opera completa.

Rispetto ad un gruppo di pazienti che invece ha effettuato lo stesso esercizio semplicemente colorando la tela bianca, i pazienti che hanno dipinto virtualmente un’opera, hanno riscontrato migliori risultati e un recupero più rapido nel tempo, oltre ad un minore affaticamento al termine della terapia.

“Questo risultato si inserisce in un filone di studi che, a partire dalle ricerche sui neuroni specchio, hanno affrontato il tema della risposta all’arte da parte del cervello” ha commentato, il co-autore dello studio Marco Iosa, ricercatore presso l’IRCCS Santa Lucia e professore di Psicometria alla Sapienza Università di Roma. “L’intenzione del nostro studio è stata di verificare se questi effetti positivi potessero essere sfruttati per incrementare il coinvolgimento del paziente nel percorso di neuroriabilitazione e abbiamo scoperto che, analogamente all’Effetto Mozart della musico-terapia, esiste in neuroriabilitazione quello che abbiamo chiamato l’Effetto Michelangelo”.

L’interfaccia di realtà virtuale, adattata dal neuroscienziato e psicologo, Gaetano Tieri del Santa Lucia IRCCS in collaborazione con l’Unitelma Sapienza, ha offerto la possibilità di controllare tutti i parametri dell’esercizio, monitorando nel dettaglio i movimenti e misurando i progressi del paziente. “La realtà virtuale è uno strumento sempre più utilizzato per sfruttare la plasticità del cervello” spiega il dott. Tieri. “Attraverso stimoli visivi o anche tattili, esiste infatti la possibilità di incentivare comportamenti positivi, ad esempio un movimento fluido e controllato di una mano su una tela, e di riconoscere movimenti patologici, permettendo al cervello di ripristinare, dove possibile, la corretta funzionalità del movimento”.

Riferimenti:
The Michelangelo effect: art improves the performance in a virtual reality task developed for upper limb neurorehabilitation – Iosa M., Aydin M., Candelise C., Coda N., Morone G., Antonucci G., Marinozzi F., Bini F., Paolucci S., Tieri G. – Frontiers in Psychology  https://doi.org/10.3389/fpsyg.2020.611956

 

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa – Fondazione Santa Lucia IRCCS e dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

 

A GIORGIO PARISI IL PRESTIGIOSO WOLF PRIZE PER LA FISICA 2021

Il fisico teorico Giorgio Parisi, ricercatore dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, professore alla Sapienza Università di Roma e Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, è stato insignito del prestigioso Wolf Prize per la fisica 2021 “per le sue scoperte pionieristiche nella teoria quantistica dei campi, in meccanica statistica e nei sistemi complessi”.

Giorgio Parisi Wolf Prize 2021
Giorgio Parisi, vincitore del Wolf Prize per la Fisica 2021

“Sono estremamente contento e onorato per aver ricevuto questo premio prestigioso, – commenta Giorgio Parisi – non solo per essere stato inserito in una compagnia molto prestigiosa, nella quale ritrovo molti amici, ma anche per essere stato messo in relazione diretta con Riccardo Wolf, persona che ammiro moltissimo per le sue capacità scientifiche e il grande impegno civile”. “Il merito di questo premio va anche a tantissimi collaboratori che ho avuto, con i quali ci siamo divertiti nel cercare di svelare quelli che una volta si chiamavano i ‘misteri della natura’”. Conclude Parisi.

“Il premio assegnato a Giorgio Parisi è motivo di orgoglio per tutta la Comunità della Sapienza – dichiara la rettrice Antonella Polimeni – e sono lieta di esprimere le mie più fervide congratulazioni  per questo ulteriore prestigioso tassello nel percorso di un’eccellenza della ricerca italiana”.

Il Wolf Prize è stato istituito dalla Fondazione Wolf di Israele nel 1978 come riconoscimento per gli scienziati e gli artisti che hanno prodotto “risultati nell’interesse dell’umanità e relazioni amichevoli tra le persone, indipendentemente dalla nazionalità, razza, colore, religione, sesso o opinioni politiche”. Tra coloro che hanno vinto il Wolf Prize in fisica vi sono Giuseppe Occhialini, Bruno Rossi, Riccardo Giacconi, Leon Lederman, Roger Penrose, Stephen Hawking, Peter Higgs, per citare solo alcuni degli scienziati più noti.

Giorgio Parisi Wolf Prize 2021
Giorgio Parisi, vincitore del Wolf Prize per la Fisica 2021

Giorgio Parisi è professore ordinario di Fisica Teorica alla Sapienza Università di Roma, ricercatore associato all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dal 2018 Presidente dell’Accademia dei Lincei. Nato a Roma nel 1948, Parisi ha completato i suoi studi alla Sapienza Università di Roma dove si è laureato in fisica nel 1970 sotto la guida di Nicola Cabibbo. Ha iniziato la sua carriera scientifica ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, prima come membro del CNR (1971-1973) e successivamente come ricercatore dell’INFN (1973-1981). Durante questo periodo ha trascorso lunghi soggiorni all’estero, prima alla Columbia University di New York (1973-1974), all’Institut des Hautes Etudes Scientifiques a Bures-sur-Yvettes (1976-1977), all’Ecole Normale Superieure di Parigi (1977-1978). Nella sua carriera scientifica, Giorgio Parisi ha dato molti contributi determinanti e ampiamente riconosciuti in diverse aree della fisica: in fisica delle particelle, meccanica statistica, fluidodinamica, materia condensata, supercomputer. Ha, inoltre, scritto articoli su reti neurali, sistema immunitario e movimento di gruppi di animali. È stato vincitore di due advanced grant dell’ERC European Reasearch Council, nel 2010 e nel 2016, ed è autore di oltre seicento articoli e contributi a conferenze scientifiche e di quattro libri. Le sue opere sono molto conosciute.

Riconoscimenti. Nel 1992 gli è stata conferita la Medaglia Boltzmann (assegnata ogni tre anni dalla IUPAP International Union of Pure and Applied Physics per nuovi risultati in termodinamica e meccanica statistica) per i suoi contributi alla teoria dei sistemi disordinati, e la Medaglia Max Planck nel 2011, dalla società tedesca di fisica Deutsche Physikalische Gesellschaft. Ha ricevuto i premi Feltrinelli per la Fisica nel 1987, Italgas nel 1993, la Medaglia Dirac per la fisica teorica nel 1999, il premio del Primo Ministro italiano nel 2002, Enrico Fermi nel 2003, Dannie Heineman nel 2005, Nonino nel 2005, Galileo nel 2006, Microsoft nel 2007, Lagrange nel 2009, Vittorio De Sica nel 2011, Prix des Trois Physiciens nel 2012, il Nature Award Mentoring in Science nel 2013, High Energy and Particle Physics dell’EPS European Physical Society nel 2015, Lars Onsager dell’APS American Physical Society nel 2016. È membro dell’Accademia dei Quaranta, dell’Académie des Sciences, dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, dell’Accademia Europea, dell’Academia Europea e dell’American Philosophical Society.

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma