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I DELFINI SI “SORRIDONO” A VICENDA DURANTE IL GIOCO

La scoperta dei ricercatori delle Università di Pisa e Torino che hanno studiato le interazioni tra tursiopi (una specie diffusa nel Mediterraneo) durante le sessioni di gioco

I delfini sono estremamente “giocosi”, ma poco si sa su come comunicano durante il gioco. Una nuova ricerca pubblicata il 2 ottobre sulla rivista iScience (Cell Press), realizzata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Rennes, dimostra che i tursiopi, delfini diffusi anche nel Mar Mediterraneo, utilizzano un’espressione facciale “a bocca aperta”, analoga al sorriso, per interagire durante il gioco sociale. I delfini usano quasi sempre questa espressione facciale quando si trovano nel campo visivo dei loro compagni di gioco e, quando questi ultimi percepiscono un “sorriso”, rispondono a loro volta aprendo la bocca il 33% delle volte.

“Abbiamo scoperto la presenza di un’espressione facciale distinta, la bocca aperta, nei tursiopi e abbiamo dimostrato che questi sono anche in grado di rispondere rapidamente alle espressioni facciali degli altri”, spiega l’autrice senior ed etologa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa. “I segnali a bocca aperta e la mimica rapida appaiono ripetutamente in tutto l’albero genealogico dei mammiferi, il che suggerisce che la comunicazione visiva abbia svolto un ruolo cruciale nel dare forma a interazioni sociali complesse, non solo nei delfini ma in molti altri mammiferi nel corso del tempo”.

Il gioco tra delfini può includere salti acrobatici, interazioni con oggetti, inseguimenti e contatti fisici, che però è importante non vengano interpretati come vere aggressioni. Molti mammiferi usano le espressioni facciali per mediare le interazioni di gioco, ma se questo comportamento fosse presente anche nei mammiferi marini non era mai stato indagato in precedenza.

“Il gesto della bocca aperta si è probabilmente evoluto dall’azione del mordere, interrompendo la sequenza del morso per lasciare solo la sua intenzione, senza contatto”, prosegue Palagi. “La bocca aperta rilassata, che si vede nei carnivori sociali, nelle facce da gioco delle scimmie e persino nelle risate umane, è un segno universale di giocosità, che aiuta gli animali a segnalare il divertimento e a evitare i conflitti”.

Per verificare se i delfini utilizzassero l’apertura della bocca come espressione facciale, i ricercatori hanno studiato diversi gruppi sociali di tursiopi in ambiente controllato, mentre interagivano in coppia e mentre giocavano liberamente con i loro addestratori umani. È stato dimostrato che questi animali usano l’espressione della bocca aperta quando giocano con altri delfini, ma non sembrano usarla quando giocano con gli umani o quando giocano da soli con degli oggetti.

I ricercatori hanno registrato un totale di 1288 eventi di bocca aperta durante le sessioni di gioco sociale e il 92% di questi eventi si è verificato durante le sessioni di gioco tra delfini. I delfini erano anche più propensi ad assumere l’espressione della bocca aperta quando il loro volto era nel campo visivo del compagno di gioco – l’89% delle espressioni a bocca aperta registrate sono state emesse in questo contesto – e quando questo “sorriso” è stato percepito, il compagno di gioco ha ricambiato il sorriso il 33% delle volte.

“Qualcuno potrebbe obiettare che i delfini imitano le espressioni a bocca aperta degli altri per puro caso, dato che sono spesso coinvolti nella stessa attività o nello stesso contesto, ma questo non spiega perché la probabilità di imitare la bocca aperta di un altro delfino entro un secondo sia 13 volte più alta quando il ricevente vede effettivamente l’espressione originale”, continua Palagi. “Le percentuali di risposta osservate nei delfini sono coerenti con quanto osservato in alcuni carnivori, come i suricati e gli orsi”.

I ricercatori non hanno registrato i segnali acustici dei delfini durante il gioco, ma affermano che gli studi futuri dovrebbero indagare sul possibile ruolo delle vocalizzazioni e dei segnali tattili durante le interazioni ludiche.

“I delfini possiedono uno dei repertori vocali più vasti e complessi del regno animale e la funzione di molte vocalizzazioni emesse da questi animali è ancora sconosciuta” dichiara lo zoologo Livio Favaro, docente di Biologia Marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino. “Le nostre future ricerche si concentreranno sull’utilizzo dei segnali acustici da parte dei tursiopi durante le sessioni di gioco e su come questi complementino i segnali visivi, in quello che ci aspettiamo essere un complesso sistema di comunicazione multimodale.”

Riferimenti bibliografici:
Maglieri et al., “Smiling underwater: exploring playful signals and rapid mimicry in bottlenose dolphins”, iScience, DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.isci.2024.110966
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

LA SICUREZZA SUL LAVORO IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA

Un convegno nazionale a cura di Università di Torino, Sezione di Sociologia della Salute e della Malattia dell’Associazione Italiana di Sociologia e Job Film Days

Giovedì 26 settembre 2023, in occasione della quinta edizione di Job Film Days (1-6 ottobre 2024), presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino (via Verdi 10, Torino), si terrà il Convegno nazionale “La sicurezza sul lavoro in Italia: un problema di salute pubblica”, organizzato da Associazione Italiana di SociologiaSezione di Sociologia della Salute e della MedicinaAssociazione Job Film Days ETSUniversità di Torino e dal suo Dipartimento di Psicologia. Il convegno sarà l’occasione per discutere di un fenomeno sociale complesso che chiede di essere trattato in modo integrato secondo differenti prospettive di osservazione.

A gennaio 2024, secondo INAIL, le denunce di infortunio sul lavoro sono state 42.166 (+6,8% rispetto al gennaio 2023), 45 delle quali con esito mortale (+4,7%). In aumento anche le patologie di origine professionale denunciate (6.218+30,7%). Sono dati che, uniti al Rapporto INAIL 2023, raccontano un fenomeno che non conosce consistenti flessioni nonostante una delle normative più avanzate in termini di prevenzione, oltre allo sforzo economico-finanziario dello Stato sul tema, che va quindi trattato in maniera multiforme.

Il convegno ha l’obiettivo di promuovere un dialogo tra differenti ambiti disciplinari per concepire la sicurezza e gli infortuni sul lavoro come tema di salute pubblica intorno al quale creare pensiero innovativo – di carattere sanitario, assistenziale, amministrativo, giudiziario, economico-organizzativo – da cui far derivare pratiche e comportamenti idonei per garantire una effettiva ed efficace prevenzione e protezione dei rischi durante il lavoro in Italia.

I lavori saranno divisi in due sessioni: al mattino parleranno esperti di sociologia, economia, epidemiologia, psicologia e ambito giuridico, mentre al pomeriggio interverranno istituzioni ed enti impegnati nella prevenzione e nel contrasto al fenomeno. Anche il cinema può stimolare la riflessione e il coinvolgimento su questa importante problematica sociale. Durante la giornata, infatti, saranno presentati alcuni filmati sugli argomenti trattati e la settimana successiva, durante i giorni del Festival cinematografico Job Film Days sarà proiettato, a chiusura del convegnoun lungometraggio sul tema. Si tratta di Morire di lavoro di Daniele Segre, in programma il 2 ottobre alle ore 21 al Cinema Massimo. Il documentario indaga la realtà del settore delle costruzioni in Italia. Protagonisti sono i lavoratori e i familiari dei lavoratori morti sul lavoro che si raccontano ripresi in primo piano guardando verso la macchina da presa. La narrazione si snoda attraverso i racconti e le testimonianze dei protagonisti.

“È necessario – dichiara la Prof.ssa Anna Rosa Favretto, responsabile scientifica del Convegno e docente al Dipartimento di Psicologia di UniTo – un cambiamento collettivo di rotta, possibile soltanto se si realizzerà uno sforzo comune che porti le organizzazioni produttive e i singoli individui a ritenere che la salute e la sicurezza sul lavoro siano parte del gruppo dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione, con riferimento particolare al dovere di proteggere, e al diritto di vedere protetta, la salute individuale e collettiva. Se questo mutamento culturale non inizierà a svilupparsi e a mettere radici, se non si realizzerà questo sforzo collettivo, le disposizioni normative e gli interventi premiali e punitivi saranno armi spuntate, soltanto parzialmente efficaci. Un danno inferto a una parte della società è un danno che fa entrare in sofferenza molte altre parti della società stessa. Questo avviene anche con gli incidenti sul lavoro”.

“Ci fa molto piacere – aggiunge Annalisa Lantermo, direttrice di Job Film Days – avere organizzato con l’Associazione Italiana di sociologia e l’Università di Torino il convegno sulla sicurezza nei luoghi di lavoro all’interno del Festival di quest’anno. Riteniamo essenziale oggi mettere a confronto le varie discipline che si occupano della materia e fare il punto sulle attività che gli organi istituzionali deputati ai controlli svolgono, al fine di definire una strategia comune per ridurre questo fenomeno ormai veramente drammatico e inaccettabile. Riteniamo inoltre che il cinema possa aiutare a diffondere la sensibilità giusta per prevenire questi rischi, perché smuove l’emotività e lascia il segno nelle persone. Per questo lavoriamo molto anche con le scuole e i centri di formazione professionale, sia durante il Festival che con progetti di formazione durante l’anno”.


CONVEGNO: LA SICUREZZA SUL LAVORO IN ITALIA: UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA

26 settembre 2024 

Dipartimento di Psicologia – Università degli Studi di Torino, Via Verdi, 10 – Torino

h 9,00 – Accoglienza partecipanti

 

h 9,30 

Saluti delle Autorità accademiche

Prof.ssa Alessandra Quarta

Delegata del Rettore per le Relazioni Sindacali 

avv. Sabrina Gambino

Direttrice Direzione Sicurezza, Patrimonio e Facility Management, Università degli Studi di Torino

 

Saluti delle Amministrazioni Regionale e Locale

 

Dott. Federico Riboldi

Assessore alla Sanità, Livelli essenziali di assistenza, Prevenzione e sicurezza sanitaria, Edilizia sanitaria

Regione Piemonte

 

Dott.ssa Michela Favaro

Vicesindaca

Comune di Torino

 

10,00 Introduzione ai lavori

 

Prof.ssa Anna Rosa Favretto, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino 

Coordinatrice scientifica della Sezione di Sociologia della Salute e della Medicina

Associazione Italiana di Sociologia 

 

Dott.ssa Annalisa Lantermo 

Presidente Associazione Job Film Days ETS, direttrice Festival

 

I Sessione: Leggere un fenomeno sociale complesso: i differenti sguardi disciplinari 

 

Coordinamento: Stefano Corradino, giornalista inviato Rainews24

 

10,30

Sicurezza del lavoro e politiche sanitarie in Italia

Prof.ssa Maria Giovanna Vicarelli

Direttore Scientifico Centro di Ricerca e Servizio sull’Integrazione Socio-Sanitaria – CRISS

Università Politecnica delle Marche

 

10,50

L’epidemiologia delle disuguaglianze di infortunio 

Prof. Giuseppe Costa

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino; Centro interdipartimentale di ricerca Health Equity Italy

 

11,10

Cultura della sicurezza e clima di sicurezza

Prof.ssa Daniela Converso 

Direttrice Dipartimento di Psicologia, Università di Torino 

 

11,30

Il mondo della sicurezza oggi: drammi ed equivoci

Dott. Raffaele Guariniello

Già Magistrato

 

11,50

Estrazione del valore e modelli produttivi: per un’economia morale della sicurezza sul lavoro

Prof. Filippo Barbera

Dipartimento di Culture, Politiche e Società, Università degli Studi di Torino, membro del direttivo della società italiana di sociologia economica (Sisec)

 

12,10

Valore e impatto economico degli infortuni sul lavoro sulla società

Dott.ssa Gabriella Viberti

Economista Sanitaria

 

12,30

Discussione

 

13,00 – 14,00 Lunch

Il lunch verrà offerto nei locali del Dipartimento di Psicologia

 

II Sezione: Costruire la sicurezza, contrastare gli infortuni, proteggere la salute: lo stato dell’arte delle Istituzioni 

 

Coordinamento: Massimiliano Quirico, giornalista, Associazione Sicurezza e Lavoro

 

14,00

Sen. Tino Magni  

Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali 

 

14,20

Dott.ssa Nicoletta Cornaggia 

Coordinatrice del Coordinamento tecnico interregionale della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro 

 

14,40

Dott. Angelo Serina

Ispettorato Nazionale del Lavoro – Direttore dell’Ispettorato di Area Metropolitana di Torino – Aosta 

 

15,00

Dott. Fabio Lo Faro 

Direttore INAIL Piemonte 

 

15,20

Dott. Sebastiano Calleri 

Responsabile Nazionale Salute e Sicurezza sul lavoro della Cgil

 

15,40

Avv. Fabio Pontrandolfi 

Responsabile di salute e sicurezza sul lavoro di Confindustria nazionale

 

16,00

Dott.ssa Marinella De Maffutiis 

Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati Invalidi del Lavoro (ANMIL)

 

16.20

Discussione

 

17,00

Conclusioni 

Prof. Stefano Tomelleri,

 Università di Bergamo 

Presidente Associazione Italiana di Sociologia

 

Durante la giornata saranno presentati brevi filmati sul tema del convegno e la settimana successiva, durante il Festival cinematografico Job Film Days, il 2 ottobre alle ore 21, presso il Cinema Massimo (via Giuseppe Verdi 18) sarà proiettato il documentario Morire di lavoro di Daniele Segre (Italia, 2008, 88′).

Foto di Laurent Schmidt

Testi dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

I PESTICIDI UTILIZZATI IN DEROGA PER L’EMERGENZA AGRICOLA SONO ALTAMENTE TOSSICI PER API, AMBIENTE E SALUTE UMANA, CON GRAVI EFFETTI COLLATERALI

Una ricerca pubblicata su Science of the Total Environment e coordinata da Simone Tosi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, dimostra che pesticidi non approvati a causa del loro impatto sulla salute umana e sull’ambiente vengono frequentemente autorizzati in via “emergenziale”, causando alti rischi.

Una studio appena pubblicato su Science of the Total Environment, condotto dal BeeLab, il Laboratorio sulla Salute e sul Comportamento degli Impollinatori coordinato dal Prof. Simone Tosi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, ha investigato sull’utilizzo di autorizzazioni emergenziali “in deroga” dei pesticidi e sui conseguenti effetti collaterali per la salute umana, degli impollinatori e dell’ambiente intero.

I pesticidi autorizzati in deroga possono essere utilizzati indipendentemente dal risultato negativo del processo di Valutazione del Rischio, che include una serie di test sperimentali necessari a stimare la contaminazione ambientale e gli effetti collaterali di questi prodotti, valutandone infine l’impatto per l’uomo e l’ambiente. Tali autorizzazioni in deroga dei pesticidi permettono quindi di controllare emergenze agricole sorvolando sui danni collaterali causati. Vi sono perciò dei limiti: tali deroghe possono solo essere concesse per emergenze circoscritte nel tempo e nello spazio.

L’Unione Europea regola l’autorizzazione dei pesticidi attraverso il processo di Valutazione del Rischio con lo scopo inderogabile di salvaguardare la salute dell’uomo e dell’ambiente” racconta il Prof. Simone Tosi, coordinatore della ricerca. Luca Carisio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta e primo autore dello studio, continua: “Tuttavia, gli Stati Membri possono agire in deroga a questo processo e concedere l’Autorizzazione d’Emergenza di pesticidi non autorizzati tramite la Valutazione del Rischio. Per gli elevati rischi connessi, queste Autorizzazioni d’Emergenza sono permesse solo in circostanze eccezionali di emergenza agricola. Il loro uso deve però essere limitato: le deroghe non possono essere più lunghe di 120 giorni, e devono essere svolte ricerche simultanee sulle strategie alternative e più sostenibili.”

Questa prima valutazione scientifica approfondita dei processi di Autorizzazione d’Emergenza dimostra come siano ampiamente utilizzati dai Paesi Membri dell’Unione Europea. Tuttavia, molte di queste autorizzazioni emergenziali risultano sorprendentemente non conformi alle normative UE, poiché concesse per periodi più lunghi di quanto prescritto dalla legge e rinnovate in modo ricorrente per gestire la stessa emergenza nel tempo. Inoltre, il 21% di queste autorizzazioni ha permesso l’uso di pesticidi altamente tossici, che non sono approvati dai processi regolari di Valutazione del Rischio.

Il nostro studio dimostra che l’ampio uso delle Autorizzazioni d’Emergenza nel tempo e nello spazio porta alla contaminazione ambientale da parte di numerose sostanze attive non approvate e altamente tossiche” dichiara il Prof. Simone Tosi. “Viviamo in uno stato di stabile emergenza agricola che agisce in deroga al Regolamento Europeo, con profonde implicazioni per gli esseri umani, gli altri animali e l’ambiente. Questa ricerca ha l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di un ambiente e di un’agricoltura più sostenibili e sicuri per gli esseri umani e gli altri animali”.

L’uso prolungato delle Autorizzazioni d’Emergenza e il limitato sviluppo di alternative sollevano preoccupazioni sulla sostenibilità delle pratiche agricole ed i relativi impatti sulla salute a lungo termine. “La nostra ricerca intende facilitare l’implementazione di strategie di controllo sostenibili perché il nostro ambiente diventi più sano e sicuro; infatti, abbiamo descritto le emergenze agricole più frequenti e quindi le ricerche da prioritizzare” spiega Luca Carisio.

Link all’articolo https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2024.174217

 

ape girasole GLI EFFETTI NASCOSTI DEI PESTICIDI UTILIZZATI NEI CAMPI
Foto di Alexas_Fotos

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

NUOVO ERC ALLA PROF.SSA CHIARA AMBROGIO; OBIETTIVO: SVILUPPARE UN TRATTAMENTO PERSONALIZZATO CONTRO I TUMORI CON MUTAZIONI KRAS

Dopo il Consolidator Grant del 2020 la Commissione Europea premia la docente di biologia molecolare UniTo con il Proof of Concept: 150mila euro per studiare le mutazioni KRAS, fra le più frequenti alterazioni nei tumori umani.

 

Nuovo riconoscimento per Chiara Ambrogio, docente del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell’Università di Torino. Dopo il Consolidator Grant del 2020 la Prof.ssa Ambrogio si è aggiudicata un secondo ERC: il Proof of Concept (PoC). Il premio è dedicato a ricercatori e ricercatrici già vincitori di una delle sovvenzioni principali della ricerca di frontiera (Starting, Consolidator, Advanced o Synergy) per esplorare il potenziale di innovazione commerciale e sociale dei progetti di ricerca, grazie a un finanziamento di 150.000 euro per 18 mesi.

Chiara Ambrogio gene KRAS consolidator grant ERC 2020
La professoressa Chiara Ambrogio, che si è aggiudicata il Proof of Concept PoC per lo studio di trattamenti personalizzati dei tumori con mutazioni KRAS

Con questo ERC la Commissione europea ha finanziato PREDICT, il progetto che mira a sviluppare un piano di trattamento personalizzato per i tumori con mutazioni KRAS, fra le più frequenti alterazioni riscontrate nei tumori umani. Il nuovo studio, basato su modelli predittivi di risposta a trattamenti sequenziali con inibitori di RAS, sarà possibile grazie alle conoscenze e agli strumenti genetici sviluppati con il precedente progetto (KARMA), finanziato dall’ERC Consolidator Grant del 2020 e incentrato sulla comprensione di meccanismi di funzionamento di KRAS a livello di biologia molecolare.

“Le mutazioni del gene KRAS – dichiara Chiara Ambrogio – possono innescare una crescita cellulare anomala che, a sua volta, può causare il cancro ai polmoni, al pancreas e al colon. Sebbene tali mutazioni siano state scoperte oltre 40 anni fa, una comprensione dettagliata delle proprietà biologiche dei tumori causati da questo gene mutato è ancora lontana. Nei prossimi mesi, insieme al gruppo di ricerca dell’Università di Torino e RASgenix, lavoreremo a stretto contatto con il business team di Day One per esplorare appieno il potenziale con l’obiettivo di raggiungere un reale impatto traslazionale per i pazienti”.

La carriera della Prof.ssa Ambrogio ha un interessante profilo internazionale. Dopo una laurea in Biotecnologie Mediche e un dottorato in Immunologia e Biologia cellulare all’Università di Torino, si è trasferita a Madrid nel 2009 per lavorare al Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO). Nel 2016 si è spostata al Dana Farber Cancer Institute di Boston per completare la sua formazione traslazionale. Nel 2020, grazie alla vittoria del grant Career Development Award della Fondazione Giovanni Armenise Harvard, ha creato un gruppo di ricerca presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino, tornando a svolgere la sua attività scientifica nel nostro Paese.


Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

APPROCCIO INTERDISCIPLINARE NELL’AFFRONTARE LE ATTUALI SFIDE ECOLOGICHE: È NECESSARIO CAMBIARE IL NOSTRO APPROCCIO ALLA RICERCA

Un gruppo di 20 ricercatori, di cui 5 dell’Università di Torino, ha esplorato la “fertilizzazione incrociata”, un’innovativa pratica interdisciplinare sul nesso chimica-energia così cruciale nell’antropocene

 

Un gruppo di 20 ricercatori, provenienti dall’area delle Scienze Chimiche e delle Scienze Sociali (di cui 5 dell’Università di Torino), dopo aver condiviso una settimana di studio e approfondimento in occasione di una scuola invernale (http://catenerchem.cpe.fr), ha esplorato un’innovativa pratica interdisciplinare volta a costruire una scienza diversa da quella esistente, per affrontare alcune delle principali sfide ecologiche del XXI secolo. Da questa interazione è nato l’articolo An anthropocene-framed transdisciplinary dialog at the chemistry-energy nexus, pubblicato su Chemical Science, la rivista di riferimento della Royal Society of Chemistry (RSC).

Gli autori hanno fatto una valutazione dettagliata del ciclo di vita di cinque entità chimiche particolarmente critiche per la transizione energetica – anidride carbonica, idrogeno, metano, ammoniaca e materiali plastici – basata su un esame approfondito dei dati disponibili, delle direzioni strategiche di ricerca proposte da alcuni importanti attori pubblici e privati, in termini di conseguenze sia ecologiche che sociali. Ciò ha consentito di identificare esistenti tensioni reali e persino contraddizioni inconciliabili in alcune aree di ricerca.

Sulla base di un’analisi interdisciplinare alcune opzioni tecnologiche, seppur auspicabili dal punto di vista di un’analisi mono-disciplinare, si rivelano invece dannose dal punto di vista ecologico, sociale o economico. Gli autori hanno dimostrato che solo un dialogo profondo e radicale tra le discipline può rivelare queste tensioni e quindi portare a una ricerca più consapevole e informata delle sfide da fronteggiare.

Con un’analisi di tipo storico è stato possibile comprendere meglio le interconnessioni tra le molecole oggetto di studio e, più in generale, tra le diverse opzioni tecnologiche che più da vicino le riguardano. L’avvalersi della teoria dei giochi e dell’economia mette in luce i rischi associati ad un eccessivo ottimismo sulla capacità di alcuni percorsi di ricerca di essere finanziati e diffusi su scala nazionale o internazionale.

Attingere agli studi culturali contribuisce ad accrescere la consapevolezza delle implicazioni Nord-Sud di alcune innovazioni, dando maggiore rilievo a visioni del mondo e del progresso diverse da quelle specifiche delle società del Nord globale. L’interesse per le scienze sociali permette inoltre di rimuovere potenziali conflitti d’utilizzo e di potere, legati alla disponibilità e al controllo dei materiali critici necessari per la produzione di alcune specie chimiche. Questi, riportati in dettaglio nello studio sono solo alcuni esempi della “fertilizzazione incrociata” che può avvenire attraverso un dialogo interdisciplinare.

“Di fronte alla crisi ecologica e alle sue molteplici sfaccettature, – dichiara Silvia Bordiga, docente del Dipartimento di Chimica UniTo – l’attuale approccio scientifico, dipendente ancora troppo da divisioni disciplinari e sub-disciplinari, e spesso non lascia spazio ad una completa condivisione degli strumenti e delle conoscenze delle Scienze Naturali (Biologia, Chimica e Fisica) e delle Scienze Sociali. Non riuscendo a stabilire stabili legami tra le discipline, la ricerca sta abdicando alla capacità di formulare soluzioni sostenibili. Questo studio è un invito ben documentato a sfruttare appieno la ricchezza delle varie discipline per costruire una scienza diversa da quella esistente, che sia in grado di offrire potenziali soluzioni alla crisi ecologica ed energetica”.

A proposito delle implicanze energia-chimica-mondo globale, cinque sostanze (l’anidride carbonica (CO2), l’idrogeno (H2), il metano (CH4), l’ammoniaca (NH3) ed i biopolimeri sono state analizzate in modo incrociato con il quadro di riferimento planetario e come parte di cinque “roadmaps” delineate da associazioni internazionali, considerate il riferimento per la definizione delle strategie politiche per la transizione energetica. Gli autori hanno inoltre considerato i punti di vista che emergono da altre discipline inerenti alla sfera umanistica (storia, economia, scienze politiche, etica etc.) per sottolineare che spesso si incontrano degli elementi di frattura rispetto a quanto emerso dalle aree più tecniche.

“In questo contesto – conclude Bordiga – riteniamo che gli elementi interdisciplinari della storia, dell’economia e dell’antropologia siano rilevanti per qualsiasi tentativo di analisi incrociata. Le intuizioni distintive e cruciali tratte da elementi delle scienze umane e sociali ci hanno portato a riconsiderare questioni aperte e possibili punti senza sbocco presenti nelle principali roadmap, sviluppate per guidare la ricerca chimica verso la transizione energetica. Riteniamo che queste questioni aperte non siano sufficientemente affrontate nell’arena delle Scienze Naturali, malgrado siano rilevanti per una piena comprensione dell’attuale crisi planetaria e per la nostra capacità di valutare correttamente il potenziale e i limiti dei risultati e delle proposte avanzate dalla ricerca scientifica”.

Silvia Bordiga. Fotografia di Elisa Giuliano
Silvia Bordiga. Fotografia di Elisa Giuliano

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

DIMOSTRATO PER LA PRIMA VOLTA UN LEGAME DIRETTO TRA MICROBIOTA INTESTINALE E SISTEMA NERVOSO PERIFERICO

Lo studio apre nuove prospettive terapeutiche per le lesioni dei nervi ed è il risultato di una collaborazione internazionale tra le ricercatrici di NICO – Università di Torino, Università di Padova e Università di Hannover.

Il microbiota intestinale, costituito da un insieme di microorganismi tra cui batteri, virus e funghi, colonizza il tratto gastrointestinale umano e influisce in modo decisivo sulla salute. Negli ultimi decenni sono stati dimostrati gli effetti del microbiota su altri organi e le alterazioni di questo complesso ecosistema – note come disbiosi – sono state collegate all’insorgenza di diverse patologie.

Ora, per la prima volta, c’è la conferma di un legame diretto tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico. In particolare, lo studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Gut Microbes dimostra come la totale o parziale assenza del microbiota intestinale interferisca negativamente sullo sviluppo dei nervi periferici e del loro bersaglio, il muscolo scheletrico.

La ricerca è frutto di una collaborazione internazionale tra l’Università di Torino – con le professoresse Giulia Ronchi, Giovanna Gambarotta e Stefania Raimondo del NICO – Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi e del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, insieme al prof. Salvatore Oliviero del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi UniTo ­- unitamente alla prof.ssa Matilde Cescon del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova e nella persona della prof.ssa Kirsten Haastert-Talini per l’Università di Hannover in Germania.

Stefania Raimondo - Giulia Ronchi - Giovanna Gambarotta (NICO-UNITO)
Stefania Raimondo – Giulia Ronchi – Giovanna Gambarotta (NICO-UNITO)

Lesioni dei nervi periferici: cause, incidenza e strategie terapeutiche

Incidenti stradali, sportivi, domestici o sul lavoro e (non ultimi) anche interventi chirurgici. Sono queste le cause più frequenti delle lesioni dei nervi periferici che in Italia raggiungono un’incidenza di 400.000 casi all’anno.

legame tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico Immagini acquisite al microscopio elettronico che mostrano due fibre mieliniche a confronto. A parità di diametro dell’assone (A), i nervi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota mostrano una guaina mielinica più spessa (M) rispetto ai nervi che si sono sviluppati in presenza di un normale microbiota
Immagini acquisite al microscopio elettronico che mostrano due fibre mieliniche a confronto. A parità di diametro dell’assone (A), i nervi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota mostrano una guaina mielinica più spessa (M) rispetto ai nervi che si sono sviluppati in presenza di un normale microbiota

«Malgrado i notevoli progressi della ricerca e della microchirurgia ricostruttiva – che oggi puntano su ingegneria tissutale e nuovi biomateriali – il recupero delle funzioni nervose e muscolari dopo una lesione è spesso solo parziale, influendo negativamente sulla qualità della vita dei pazienti. È quindi necessario – sottolineano Matilde Cescon dell’Università di Padova e Giulia Ronchi del NICO – Università di Torino – approfondire la conoscenza dei complessi meccanismi neurobiologici che regolano la rigenerazione dei nervi. Indagare il ruolo del microbiota intestinale in condizioni patologiche o di lesioni va proprio in questa direzione: aprire strade inesplorate che offrano nuove prospettive terapeutiche, con importanti ricadute cliniche».

Questo studio, che dimostra per la prima volta l’esistenza di un asse intestino – sistema nervoso periferico, è il punto di partenza per il progetto Gut-NeuroMuscle, finanziato dal programma PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale con cui il Ministero della Ricerca sostiene la ricerca di base, che ha l’obiettivo di esplorare l’interazione tra microbiota e rigenerazione nervosa.

legame tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico Grafico “a vulcano” ottenuto in seguito a sequenziamento dell’RNA messaggero, nel quale ogni puntino rappresenta un gene la cui espressione è deregolata nei neuroni sensitivi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota (in rosso quelli espressi di più, in blu quelli espressi di meno)
Grafico “a vulcano” ottenuto in seguito a sequenziamento dell’RNA messaggero, nel quale ogni puntino rappresenta un gene la cui espressione è deregolata nei neuroni sensitivi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota (in rosso quelli espressi di più, in blu quelli espressi di meno)

Gut-NeuroMuscle (Intestino e sistema neuromuscolare: studio dell’impatto del microbiota sulla rigenerazione nervosa e reinnervazione muscolare dopo lesione del nervo periferico) vede coinvolti due gruppi di ricerca composti dalle prof.sse Giulia Ronchi e Giovanna Gambarotta (NICO – Università di Torino) e dalla prof.ssa Matilde Cescon (Università di Padova) e la dott.ssa Sonia Calabrò (Università di Padova).

Giulia Ronchi - Giovanna Gambarotta - Stefania Raimondo (NICO-UNITO)
Giulia Ronchi – Giovanna Gambarotta – Stefania Raimondo (NICO-UNITO)

Link alla ricerca: www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/19490976.2024.2363015

Titolo: “Gut microbiota depletion delays somatic peripheral nerve development and impairs neuromuscular junction maturation – «Gut Microbes»- 2024

Autori: Matilde Cescon, Giovanna Gambarotta, Sonia Calabrò, Chiara Cicconetti, Francesca Anselmi, Svenja Kankowski, Luisa Lang, Marijana Basic, Andre Bleich, Silvia Bolsega, Matthias Steglich, Salvatore Oliviero, Stefania Raimondo, Dario Bizzotto, Kirsten Haastert-Talini & Giulia Ronchi

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

PASSI IN AVANTI NELLA VALUTAZIONE DEL POTENZIALE TERAPEUTICO DELLA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS): IDENTIFICATA UNA NUOVA REGIONE CEREBRALE COINVOLTA NELL’INIBIZIONE DELLE REAZIONI DI PAURA E DI ANSIA

In un recente studio ricercatori e ricercatrici dell’Università di Torino hanno fatto un passo avanti nell’impiego della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) per modulare le risposte di paura e ansia. Questa scoperta apre nuove strade nel trattamento di disturbi legati all’ansia e alla risposta allo stress, evidenziando il potenziale della TMS come strumento terapeutico innovativo e efficace.

Una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica eLife ha testato con successo una procedura di neurostimolazione per disinnescare le reazioni corporee di allarme associate alla memoria traumatica. La sperimentazione è stata condotta dal ricercatore Eugenio Manassero insieme al team di ricerca coordinato dal Prof. Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e dalla Prof.ssa Raffaella Ricci del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

In seguito a un’esperienza traumatica, nel cervello si forma un ricordo dell’evento che racchiude due principali componenti: la rappresentazione consapevole di ciò che è accaduto e la valenza emotiva associata all’episodio. Quest’ultima si manifesta attraverso modificazioni delle risposte corporee (come l’aumento del battito cardiaco e della sudorazione). Queste modificazioni degli stati corporei sono percepite come spiacevoli dalla persona, provocando sentimenti di paura o di panico, e possono talvolta evolversi in veri e propri sintomi di patologie, quali il disturbo post-traumatico o il disturbo d’ansia.

I ricercatori e le ricercatrici hanno applicato una sessione di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) focalizzata sulla corteccia prefrontale anteriore (aPFC) una settimana dopo che i partecipanti allo studio avevano appreso la valenza avversiva di uno stimolo. La tecnica di TMS è una tecnica di stimolazione cerebrale in grado di modulare l’attività di specifiche aree del cervello in maniera non dolorosa e non invasiva. In questo studio, per la prima volta, la TMS è stata applicata alla parte mediale della corteccia prefrontale anteriore (aPFC), un’area presente quasi esclusivamente nella specie umana e nei primati non-umani. Quando, dopo la neurostimolazione, veniva ripresentato ai partecipanti lo stimolo minaccioso, il gruppo stimolato nella aPFC mostrava risposte corporee di allarme nettamente inferiori rispetto al gruppo di controllo sottoposto ad una stimolazione placebo. Sorprendentemente, l’attenuazione delle risposte emotive persisteva in modo duraturo anche nel lungo termine, senza più dover ricorrere alla neurostimolazione. Questo effetto di attenuazione si verificava nonostante il ricordo consapevole degli stimoli minacciosi non venisse in alcun modo danneggiato. Infine, un confronto tra i risultati ottenuti stimolando la aPFC e quelli derivanti dalla stimolazione della corteccia prefrontale dorsolaterale, una regione studiata precedentemente, ha rivelato che la aPFC appare essere un candidato decisamente più promettente per regolare le iper-reazioni di allarme verso stimoli minacciosi.

“Questa ricerca – spiega Eugenio Manassero – riveste un’importanza significativa dal punto di vista clinico, poiché mette in luce un nuovo strumento che potrebbe in futuro affiancarsi in modo complementare e sinergico ad altre strategie terapeutiche per aiutare tutte le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche o che soffrono di un disturbo d’ansia. Tenendo conto di quanto sia fondamentale migliorare la qualità dei trattamenti in un’ottica di promozione della salute e del benessere della collettività, questa ricerca potrebbe aprire una nuova frontiera in questa direzione”.

Simulazione degli effetti della TMS sul tessuto neurale della corteccia prefrontale anteriore
Simulazione degli effetti della Stimolazione Magnetica Transcranica – TMS sul tessuto neurale della corteccia prefrontale anteriore: un nuovo studio indica il potenziale terapeutico dello strumento per ansia e stress

Riferimenti bibliografici:

Eugenio Manassero, Giulia Concina, Maria Clarissa Chantal Caraig, Pietro Sarasso, Adriana Salatino, Raffaella Ricci, Benedetto Sacchetti, Medial anterior prefrontal cortex stimulation downregulates implicit reactions to threats and prevents the return of fear, eLife (2024) 13:e85951, DOI: https://doi.org/10.7554/eLife.85951

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

COMPRENDERE LO SVILUPPO RITMICO DEGLI UMANI GRAZIE AI LEMURI DEL MADAGASCAR

Un nuovo studio dell’Università di Torino evidenzia come gli elementi fondamentali della musica umana possano essere ricondotti ai primi sistemi di comunicazione dei primati

Un lemure che comunica con i suoi vicini grazie ad un canto ritmico dimostra come gli esseri umani si siano evoluti per creare musica. È quanto emerge dall’articolo Isochrony as ancestral condition to call and song in a primate, pubblicato sulla rivista Annals of the New York Academy of Sciences da un team di ricercatori dell’Università di Torino, in collaborazione con i colleghi delle università di Warwick e Roma La Sapienza.

Gli studiosi hanno analizzato i comportamenti degli Indri, una specie di lemure che vive in piccoli gruppi familiari nella foresta pluviale del Madagascar e comunica utilizzando canti, come fanno gli uccelli e gli esseri umani. Le loro vocalizzazioni ritmiche, registrate in diverse aree forestali dal 2005 al 2020, vengono utilizzate anche come richiami di allarme per avvisare i membri della famiglia riguardo la presenza di predatori.

I ricercatori hanno studiato gli indri grazie al centro di ricerca che l’Università di Torino ha creato nella foresta di Maromizaha, scoprendo che la comunicazione di questa specie è caratterizzata da isocronia, cioè da tempi uguali tra un suono e l’altro o tra una nota e l’altra. Questi suoni creano una successione costante di eventi a intervalli regolari, dando vita a un ritmo costante, proprio come accade nella musica.

La dott.ssa Chiara De Gregorio, già Dottoranda dell’Università di Torino e ora ricercatrice all’Università di Warwick, ha dichiarato:

“Isolando le note e gli intervalli tra le note in 820 canti e richiami di allarme di 51 lemuri, abbiamo calcolato i rapporti ritmici per ogni coppia di intervalli consecutivi. Un rapporto di 0,5 significa isocronia”.

L’analisi ha rivelato che l’isocronia è presente in tutti i canti e i richiami di allarme, stabilendo che è un aspetto fondamentale della comunicazione degli indri. Inoltre, un tipo di canto presentava tre ritmi vocali distinti. La dott.ssa Daria Valente, corresponding author dello studio, ha proseguito:

“Questa scoperta posiziona gli indri come animali con il maggior numero di ritmi vocali condivisi con il repertorio musicale umano, superando gli uccelli canori e altri mammiferi”.

Questi risultati suggeriscono che gli elementi degli attributi musicali umani si sono evoluti precocemente nella stirpe dei primati. Dato che i richiami di allarme probabilmente esistevano prima di vocalizzazioni più complesse come i canti, l’isocronia potrebbe essere un ritmo ancestrale da cui si sono evoluti altri modelli ritmici. La dott.ssa De Gregorio ha aggiunto:

“Il nostro studio amplia il lavoro precedente che ha identificato due ritmi condivisi con la musica umana. In questa nuova ricerca abbiamo identificato un terzo ritmo e abbiamo esteso la nostra analisi al di là dei canti, includendo altri richiami”.

La Professoressa Cristina Giacoma, fondatrice del progetto in Madagascar, ha concluso:

“I risultati evidenziano le radici evolutive del ritmo musicale, dimostrando che gli elementi fondamentali della musica umana possono essere ricondotti ai primi sistemi di comunicazione dei primati”.

Lemure indri
Comprendere lo sviluppo ritmico degli umani grazie ai lemuri del Madagascar; lo studio sulla rivista Annals of the New York Academy of Sciences

Link a video: https://www.youtube.com/watch?v=NI5bIYbRgTU

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Il senso del ritmo dei “lemuri cantanti” del Madagascar, simili agli umani

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

DIGITAL NEWS REPORT ITALIA 2024: FIDUCIA E INTERESSE NELLE NEWS IN CALO, MA QUASI DUE TERZI DEGLI ITALIANI CONSULTANO LE NOTIZIE PIÙ VOLTE AL GIORNO

Prima assoluta per l’Italia: il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino lancia il Digital News Report Italia 2024, che approfondisce i dati italiani del Reuters Institute Digital News Report 2024. Il rapporto è stato presentato a Torino presso il Museo RAI della radio e della televisione.

Italiane ed italiani si allineano alla sfiducia ormai prevalente verso i media nella maggioranza dei Paesi occidentali, confessano un interesse verso l’informazione che non va oltre il 40% e raramente sono disponibili a pagare per le notizie online, soprattutto gli adulti. Ma, poi, nei comportamenti reali, si informano piuttosto di frequente (il 63% lo fa più volte al giorno), si fidano di più delle testate meno schierate e cercano, oltre all’aggiornamento, approfondimento e contesto, anche su tematiche difficili.

Sono solo alcune delle linee di tendenza che emergono dal Digital News Report Italia 2024, il primo studio che rende disponibile, elabora e analizza i dati sul nostro Paese che il principale studio globale sull’informazione, il Digital News Report 2024 dell’Istituto Reuters per lo Studio del Giornalismo dell’Università di Oxford, pubblica ogni anno ma che avevano, finora, uno spazio necessariamente limitato. Lo studio è stato presentato in una conferenza a Torino, presso il Museo della radio e della televisione RAI, in via Verdi 16, questa mattina alle ore 10.30.

Qui il link alla diretta dell’evento https://www.youtube.com/watch?v=CP-qNJGhm54

Digital News Report
Foto di Engin Akyurt

Una prima assoluta per l’Italia

Il Digital News Report Italia 2024 segue l’esempio di quanto avviene già in altri Paesi – dalla Spagna all’Australia, dai Paesi Bassi all’Irlanda – ed è stato reso possibile dall’impegno congiunto del prof. Alessio Cornia (Dublin City University), autore per l’Italia del Reuters Institute Digital News Report, e del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università degli Studi di Torino, che ha voluto e pubblicato lo studio affiancando Cornia con tre autori – Marco Ferrando, Paolo Piacenza e Celeste Satta – e con la cura redazionale, editoriale e grafica, nonché con una rete di sostenitori, patrocinatori e partner. La Fondazione Compagnia di San Paolo ha, infatti, sostenuto con un importante contributo la realizzazione del rapporto; RAI, Ordine dei Giornalisti, Ordine dei Giornalisti del Piemonte e Università degli Studi di Torino hanno concesso il loro patrocinio; la Associazione Nazionale della Stampa Online (ANSO) e il Festival Glocal di Varese sono partner del progetto.

“Il Digital News Report del Reuters Institute – spiega la prof. Laura Scomparin, direttrice scientifica del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino – ha da sempre il merito di monitorare di anno in anno, in chiave unitaria, trasformazioni e tendenze del mondo dell’informazione. In ogni contesto nazionale i cambiamenti si manifestano tuttavia con specificità tali da rendere particolarmente utile un “supplemento di inchiesta”. Da qui nasce l’idea di realizzare la prima edizione del Digital News Report Italia: posizionare, con ampiezza di indagine, l’Italia all’interno del grande cambiamento dell’informazione a livello globale permette infatti di cogliere tracce e riflessi importanti. Questa ricerca riflette pienamente l’approccio che il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino ha sviluppato e consolidato nel corso dei suoi primi 20 anni di vita: una doppia attenzione ai processi innovativi di contesto e della professione giornalistica e alle loro reciproche contaminazioni”.

La fotografia: molte ombre ma anche qualche luce

Il rapporto è sintetizzato nell’Executive Summary, elaborato dal prof. Alessio Cornia (in allegato). I dati sono chiari, quanto ambivalenti: l’interesse per le notizie è diminuito, così come la fiducia, ma la maggior parte degli italiani continua a fruirne frequentemente.

“La televisione – sottolinea Cornia – rimane la principale fonte di informazione, ma possiamo aspettarci presto un sorpasso dell’online, come già avvenuto in altri paesi. Gli italiani accedono alle notizie online principalmente tramite la mediazione di motori di ricerca, social media, e aggregatori, mentre diminuisce l’accesso diretto ai siti di informazione. La sfiducia rimane alta, ma le testate meno schierate e capaci di parlare ad un pubblico ampio godono di maggior fiducia”.

Il nodo della disinformazione resta un elemento di preoccupazione per molti italiani, ma è soprattutto la sovrabbondanza e la negatività delle informazioni in circolazione oggi a pesare su un comportamento di esplicito e intenzionale “allontanamento” dalle notizie. Quanto alla propensione a pagare per le notizie online, questa è in leggera diminuzione, ma molti sarebbero disposti ad abbonarsi a un costo inferiore, soprattutto i più giovani.

Come affrontare, allora, questa situazione?

“È necessario – sottolinea Cornia – andare oltre l’informazione di base, aiutando il pubblico a comprendere meglio la complessità degli eventi e ad accedere a prospettive diverse, nuove e originali sui temi di attualità”. E Marco Ferrando, coautore dello studio e direttore delle testate e dei laboratori del Master in giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino, aggiunge: “Alcune variabili (propensione a pagare per abbonamenti e membership, interesse, fiducia) inducono a pensare che il migliore giornalismo debba farsi riconoscere come bene comune essenziale per la democrazia e la conoscenza, piuttosto che come mero prodotto commerciale. Inoltre, quanto emerge dall’analisi dei bisogni degli utenti secondo il paradigma degli user needs suggerisce di scommettere su una informazione di qualità, che, oltre ad aggiornare, spieghi, fornisca il contesto e offra prospettive non scontate e non schierate secondo le abituali linee di tensione politica. Al giornalismo anche gli italiani chiedono di raccontare fatti e suggerire domande, anche severe, ben più che rilanciare slogan e sposare battaglie politiche altrui”.

Il rapporto si articola in otto capitoli sulle diverse tematiche: Interesse e interazione; Fiducia e disinformazione; News avoidance; Performance delle testate e abbonamenti; Intelligenza artificiale e notizie; Social media; Video e podcast; User needs. A quanto emerge dall’analisi dei dati nei singoli capitoli si è scelto di affiancare sei Focus, dedicati a questioni caratteristiche del mercato italiano dell’informazione e affidati a otto esperte ed esperti: Marianna Bruschi e Mario Tedeschini Lalli; Karina Laterza e Monica Maggioni; Pasquale Quaranta; Pier Luca Santoro; Marco Giovannelli; Paola Molino.

Un dibattito che parte da Torino e riguarda tutto il Paese

Il lancio del Digital News Report Italia 2024 è stato a Torino, presso il Museo della radio e della televisione Rai di via Verdi 16, alle 10.30, in concomitanza con il lancio, nelle stesse ore, del Reuters Institute Digital News Report 2024 a Londra e New York. Introdotta dagli interventi di Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, di Laura Scomparin, direttrice scientifica Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino e di Alberto Anfossi, segretario generale Compagnia di San Paolo, la ricerca è stata presentata da Alessio Cornia, assistant professor presso Dublin City University.

Ne hanno discusso insieme Marianna Bruschi, head of digital Sky Tg24, Ferruccio De Bortoli, presidente Fondazione RCS, Marco Ferrando, direttore delle testate del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” e vicedirettore di Avvenire, Gianni Armand-Pilon, vicedirettore de La Stampa, Karina Laterza, vicedirettrice Direzione editoriale per l’Offerta informativa Rai e Riccardo Terzi, Google head of news & publishers partnerships, Italy & CEE.

“Siamo felici – sottolinea ancora Marco Ferrando – di dare l’avvio a un dibattito che speriamo si ampli e rafforzi: i dati che emergono dal rapporto crediamo possano illuminare e aiutare uno sforzo di trasformazione e rilancio di tutto il sistema dell’informazione in Italia, per il quale serve, ovviamente, coraggio, volontà e intelligenza”.

Foto di vco24

Il report integrale può essere scaricato al link https://mastergiornalismotorino.it/progetti/digital-news-report-italia/

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO: SCOPERTI NUOVI MATERIALI CAPACI DI CATTURARE L’ANIDRIDE CARBONICA CON LA TECNOLOGIA DAC 

Uno studio internazionale apre nuove prospettive sulla riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, rimuovendo direttamente l’anidride carbonica già presente nell’aria.

 

Mercoledì 5 giugno è stato pubblicato sulla rivista Nature l’articolo Capturing carbon dioxide from air with charged-sorbents, frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università di Torino e i ricercatori dell’Università di Cambridge (UK), dell’Università di Hong Kong (Cina) e dell’Università Cornell (US). Lo studio si è focalizzato su una delle nuove tecnologie più promettenti nella lotta contro il cambiamento climatico: la DAC (Direct Air Capture), la cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria. Si tratta di una tecnica innovativa che, anziché concentrarsi solo sulla riduzione delle emissioni alla fonte, mira a rimuovere direttamente l’anidride carbonica già presente nell’aria, indipendentemente dalla sua origine.

Il concetto alla base della DAC è relativamente semplice ma, allo stesso tempo, la sua implementazione tecnologica richiede un notevole investimento in ricerca e sviluppo. La tecnologia si basa su sistemi che aspirano l’aria, la filtrano attraverso sostanze chimiche o materiali specializzati che catturano l’anidride carbonica e rilasciano aria pulita. L’anidride carbonica catturata viene poi concentrata e stoccata in modo sicuro, o riutilizzata in processi industriali. Una tecnica in grado di rivoluzionare l’approccio alla gestione del carbonio nonostante i costi energetici ed economici siano ancora molto elevati.

Lo studio, condotto da Valentina Crocellà e Matteo Signorile, ricercatori del Dipartimento di Chimica UniTO nel gruppo di Chimica Fisica, mira a sviluppare una nuova classe di materiali efficienti e a basso costo, noti come “sorbenti-caricati”.

“Questi nuovi materiali – dichiara Valentina Crocellà – vengono preparati attraverso un processo di carica simile a quello di una batteria, accumulando ioni sulla superficie di carboni attivi a basso costo. Gli ioni inseriti hanno la capacità di catturare rapidamente l’anidride carbonica dall’aria, attraverso la formazione di specie chimiche, note come bi-carbonati. Ed è proprio questo uno dei punti di forza di questo nuovo materiale. Il rilascio dell’anidride carbonica può essere ottenuto a basse temperature (90-100°C) e la natura conduttiva del carbone stesso consente la rigenerazione diretta mediante un fenomeno noto come effetto Joule, utilizzando elettricità ottenuta da fonti rinnovabili”.

Uno degli aspetti cruciali per il successo della cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria è dunque l’ottimizzazione dei materiali utilizzati nei sistemi di cattura. Questi materiali devono essere altamente efficienti nella loro capacità di catturare e rilasciare anidride carbonica, energeticamente sostenibili ed economicamente convenienti. Nel caso specifico, l’utilizzo di tecniche sperimentali di caratterizzazione avanzata ha permesso di comprendere a fondo il meccanismo con cui l’anidride carbonica è catturata dal nuovo materiale, permettendo di porre le basi per lo sviluppo di altri “sorbenti-caricati”, con prestazioni ancora più elevate.

“Per ottenere le informazioni che ci eravamo prefissati – prosegue Matteo Signorile – abbiamo dovuto lavorare portando le strumentazioni presenti in laboratorio al loro limite, adattando la ricerca ai nuovi materiali che stavamo studiando. Una ricerca possibile anche grazie al supporto del progetto CH4.0 del Dipartimento di Chimica (MUR – Dipartimenti di Eccellenza 2023-2027) e del Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM). In un mondo che continua a fare i conti con livelli crescenti di emissioni di anidride carbonica, trovare soluzioni efficaci per ridurre la concentrazione di questo gas serra nell’atmosfera è diventato un imperativo. I nuovi materiali oggetto della pubblicazione su Nature potrebbero rappresentare una frontiera affascinante nella lotta contro il cambiamento climatico, offrendo speranza per un futuro in cui le emissioni di anidride carbonica potrebbero essere non solo ridotte, ma rimosse effettivamente dall’atmosfera”.

anidride carbonica
Foto di Gerd Altmann

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino