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Progetto CO-TRANS-NET: farmaci sintetici personalizzati a base di RNA, giovane ricercatrice vince l’ERC Starting Grant

Sempre più vicina la possibilità di creare farmaci su misura del paziente oncologico e della sua malattia e garantire diagnosi ad personam, anche via smartphone

Progetto CO-TRANS-NET farmaci molecola RNA funzionale - crediti per l'immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata
molecola RNA funzionale – crediti per l’immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata

Roma, 5 settembre 2024 – Simona Ranallo, 37 anni, romana, attualmente ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata, si aggiudica – unica vincitrice Starting Grant nell’Ateneo – l’ERC Starting Grant 2024, il finanziamento di 1.5 milioni di euro che l’Europa elargisce alle migliori linee di ricerca ogni anno, per il progetto CO-TRANS-NET “Synthetic nucleic acid co-transcriptional networks as diagnostic and therapeutic tools”.

I suoi studi per la ricerca sul cancro l’hanno portata a interessarsi delle interazioni molecolari che avvengono all’interno della cellula e nel corpo umano.

“Ciò che maggiormente ha stimolato la mia curiosità – spiega Simona Ranallo – è sempre stato cercare di migliorare la diagnosi e il trattamento di diverse malattie, incluso il cancro, partendo dallo studio di come funziona la vita. Attraverso processi altamente controllati la cellula è in grado di leggere l’informazione contenuta nel nostro DNA e tradurla in molecole funzionali, quali RNA e proteine, che giocano ruoli chiave nella regolazione delle funzioni vitali e della salute”.

“Ed è proprio da questo concetto – sottolinea la ricercatrice – che nasce l’idea di CO-TRANS-NET (acronimo di Cotranscriptional networks): sviluppare sistemi basati su geni sintetici che, in risposta a specifici biomarcatori tumorali, sono in grado di produrre molecole di RNA funzionali che possono generare un segnale diagnostico o avere funzioni terapeutiche. In questo modo CO-TRANS-NET si pone l’obiettivo di generare una nuova classe di strumenti teranostici, che attraverso l’utilizzo delle nanotecnologie, integrano la diagnosi e la terapia in modo tale che possano essere ottenute simultaneamente”.

L’innovazione del progetto CO-TRANS-NET risiede quindi in una importante scoperta.

“La possibilità di produrre un farmaco a base di RNA in risposta alla presenza di specifici biomarcatori tumorali rappresenta la vera innovazione di CO-TRANS-NET. In questo modo si potrebbe pensare di produrre un farmaco “on demand” quando il livello di un biomarcatore supera il suo specifico range fisiologico, diventando quindi una sorta di allarme e rappresentando una possibilità di trattamento precoce. Si riuscirebbe così ad amministrare la dose di farmaco da somministrare in base alla necessità specifica di ogni singolo paziente, correlata allo stadio della sua malattia”.

La dottoressa Ranallo sottolinea anche le caratteristiche peculiari e la versatilità del progetto:

“CO-TRANS-NET oltre a garantire un monitoraggio costante e un trattamento terapeutico personalizzato rappresenta un innovativo strumento diagnostico in cui in tempi rapidi e senza necessità di apparecchiature di laboratorio ma utilizzando solamente uno smartphone si potrà misurare il livello di biomarcatori tumorali nel sangue dei pazienti con elevata precisione, proprio come il glucometro utilizzato dai pazienti diabetici. Le innovazioni proposte da CO-TRANS-NET in campo diagnostico e terapeutico rappresentano importanti progressi verso la medicina personalizzata e di precisione”.

Il progetto CO-TRANS-NET ha una durata di cinque anni e rientra nel 44% di Starting Grant 2024 vinti da ricercatrici, percentuale in costante aumento negli ultimi anni secondo quanto rivela lo European Research Council. Lo ERC Starting Grant, che per l’anno in corso ha potuto contare su un finanziamento di circa 780 milioni di euro complessivi, supporta giovani ricercatori e ricercatrici all’inizio della loro carriera nelle loro ricerche all’avanguardia.

Simona Ranallo
Simona Ranallo

Biografia

Simona Ranallo si laurea in chimica all’università di Roma Tor Vergata e qui ottiene il dottorato in Scienze chimiche portando avanti la sua ricerca nel Laboratorio di Chimica analitica del dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche. Durante il PhD è stata Visiting Researcher presso la University of California Santa Barbara e l’Université de Montréal.

Ha ottenuto finanziamenti post doc dalla Fondazione Umberto Veronesi per continuare la sua ricerca sul cancro e nel 2018 è risultata vincitrice di una Marie Skłodowska-Curie Post Doctoral Global Fellowship, finanziata dalla Comunità Europea. Grazie a questo finanziamento ha svolto due anni di ricerca presso la University of California Santa Barbara per poi tornare nell’ultimo anno di ricerca del finanziamento presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche di Roma Tor Vergata, dove attualmente lavora come ricercatrice nel gruppo di ricerca coordinato dal professor Francesco Ricci.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Roma Tor Vergata

DISTROFIE MUSCOLARI DEI CINGOLI: RISULTATI POSITIVI DI UNA PICCOLA MOLECOLA TERAPEUTICA IN UN NUOVO MODELLO DI STUDIO

Il team di ricerca della Professoressa Dorianna Sandonà, dell’Università di Padova, propone su «Human Molecular Genetics» un nuovo modello murino per lo studio della malattia, più vicino alla realtà rispetto alle cellule in coltura. I risultati emersi utilizzando questo nuovo modello indicano che il correttore CFTR C17 consente un recupero completo della forza degli animali trattati, senza effetti tossici.

Distrofie muscolari dei cingoli molecola terapeutica modello di studio
Distrofie muscolari dei cingoli: risultati positivi di una molecola terapeutica in un nuovo modello di studio. La professoressa Dorianna Sandonà in prima fila al centro.

Una piccola molecola individuata per il trattamento della fibrosi cistica potrebbe essere utile anche per le sarcoglicanopatie, malattie genetiche rare appartenenti al gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli per le quali non è al momento disponibile alcuna terapia specifica. Lo suggeriscono i risultati ottenuti in un nuovo modello animale della malattia dal gruppo di ricerca della Professoressa Dorianna Sandonà del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova appena pubblicati sulla rivista scientifica «Human Molecular Genetics»* .

«Una delle grosse difficoltà nello studio delle sarcoglicanopatie è la mancanza di modelli animali adatti, che tuttavia sono fondamentali per valutare l’effetto di potenziali nuovi farmaci – dice Dorianna Sandonà -. Una parte fondamentale di questo lavoro è stata proprio quella di sviluppare un nuovo modello di una di queste malattie, la distrofia dei cingoli indicata come LGMD3, più vicino alla realtà rispetto alle tradizionali colture di cellule. Grazie a questo nuovo modello animale – un topo geneticamente modificato – abbiamo potuto testare per la prima volta in un organismo vivente una piccola molecola già sperimentata con successo nel caso della fibrosi cistica: il correttore CFTR C17».

I risultati ottenuti sono decisamente promettenti: i ricercatori hanno infatti osservato il recupero completo della forza muscolare negli animali malati trattati con il correttore.

Il nuovo modello

Il modello è costituito da topi privi del gene corrispondente a quello che, nell’essere umano, codifica la proteina coinvolta nelle distrofie LGMDR3. In questi animali viene introdotto alla nascita il gene umano, con la mutazione responsabile della malattia. Una volta cresciuti, i topi mostrano effetti analoghi a quelli della distrofia nell’essere umano, come per esempio l’assenza dalla localizzazione sulla membrana delle cellule muscolari di una particolare proteina chiamata sarcoglicano, fondamentale per il corretto funzionamento dei muscoli e, a livello di sintomi, un’evidente riduzione della forza muscolare.

«In molti casi di LGMDR3, la proteina mutata viene prodotta, ma con una forma diversa da quella fisiologica. Per questo motivo, anche se potrebbe comunque svolgere la sua funzione, viene riconosciuta come difettosa dai sistemi di controllo di qualità della cellula ed eliminata prima ancora che possa raggiungere la sua collocazione – spiega Dorianna Sandonà –. Qualcosa di analogo succede nella fibrosi cistica, dove il correttore CFTR C17 si è mostrato in grado di recuperare le proteine dalla forma “sbagliata”, permettendo loro di arrivare al sito di destinazione e ripristinando una situazione simile a quella fisiologica. Da qui l’idea di valutare l’effetto anche nel caso delle sarcoglicanopatie. Il dato più promettente di questo studio – sottolinea Sandonà – è che il trattamento con il correttore dei topi modello di malattia che abbiamo sviluppato permette il recupero completo della forza muscolare, che torna ad essere uguale a quella degli animali sani».

Grazie alla preziosa collaborazione di altri ricercatori dell’Università di Padova, è stata misurata accuratamente la forza muscolare degli animali testati e, parallelamente, non sono stati rilevati effetti tossici causati della sostanza somministrata.

«Questi dati – conclude Dorianna Sandonà – rafforzano l’idea che i correttori CFTR C17 possano rappresentare una valida opzione terapeutica per diverse malattie genetiche, muovendo così un altro importante passo verso la sperimentazione clinica».

Il lavoro di questo piccolo ma intraprendente gruppo, formato da cinque persone coordinate da Dorianna Sandonà, che da anni si occupa di malattie genetiche rare – in particolare delle sarcoglicanopatie – è stato reso possibile grazie al supporto di AFM (Association Française contre les Myopathies), MDA (Muscular Dystrophy Association) e Fondazione Telethon. Con un nuovo finanziamento della Fondazione Telethon, la Professoressa Sandonà guida dal primo ottobre di quest’anno un nuovo progetto per lo sviluppo di piattaforme in cui creare muscoli artificiali utilizzando direttamente le cellule dei pazienti.

Proprio in questi giorni è in corso sulle reti RAI la trentaduesima edizione della Maratona televisiva di Fondazione Telethon per sostenere la ricerca sulle malattie genetiche rare. Grazie al sostegno degli italiani è possibile raggiungere anche risultati come questo. Fino al 31 dicembre sarà possibile donare chiamando da rete fissa o inviando un sms al numero solidale 45510.

*Link alla ricerca, https://academic.oup.com/hmg/advance-article/doi/10.1093/hmg/ddab260/6367978

Titolo: “CFTR corrector C17 is effective in muscular dystrophy, in vivo proof of concept in LGMDR3” – «Human Molecular Genetics» – 2021

Autori: Martina Scano, Alberto Benetollo, Leonardo Nogara, Michela Bondì, Francesco Dalla Barba, Michela Soardi, Sandra Furlan, Eylem Emek Akyurek, Paola Caccin, Marcello Carotti, Roberta Sacchetto, Bert Blaauw and Dorianna Sandonà*.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova

Lesioni del legamento crociato anteriore, un algoritmo aiuta a decidere il trattamento terapeutico migliore nei pazienti più giovani

 

I risultati dello studio saranno presentati nel corso del terzo congresso del Transalpine Center of Pediatric Sports Medicine and Surgery in programma a Monza.

legamento crociato anteriore algoritmo trattamento ginocchio
Ginocchio destro. Immagine vettoriale di Mysid, derivata da [1], in pubblico dominio
 

Milano, 30 novembre 2021 – Un algoritmo aiuta gli specialisti ad individuare il trattamento migliore delle rotture del legamento crociato anteriore nei pazienti più giovani. Negli ultimi venti anni l’incidenza di queste lesioni è aumentata notevolmente nei bambini e nei ragazzini per via di un incremento della pratica sportiva. Nonostante i casi si ripropongano sempre più di frequente, non esiste un percorso terapeutico univoco. L’individuazione del trattamento ottimale tra le tante opzioni possibili è strettamente correlata a circostanze legate al paziente e al tipo di lesione. L’algoritmo messo a punto non esclude l’esperienza clinica, ma la valorizza dal momento che proprio su essa è basato.
I ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Ospedale San Gerardo di Monza, della Grenoble Alpes University e del Transalpine Center of Pediatric Sports Medicine and Surgery – in collaborazione con i colleghi di Tolosa (Francia), Rochester (USA) e Thunder Bay (Canada) – hanno effettuato una revisione di tutta la letteratura scientifica in materia e della casistica dei rispettivi centri. Un lavoro che ha portato alla elaborazione di un algoritmo di selezione del trattamento basato su tre condizioni: lo sviluppo scheletrico; la posizione, il tipo e la qualità della lesione; le aspettative di paziente e genitori riguardo le attività future. I risultati dello studio sono confluiti in un articolo (“Management of anterior cruciate ligament tears in Tanner stage 1 and 2 children: a narrative review and treatment algorithm guided by ACL tear location” – DOI: 10.23736/S0022-4707.21.12783-5) pubblicato su “The Journal of Sports Medicine and Physical Fitness”.

 

L’algoritmo elaborato dai ricercatori e i progressi nel trattamento delle rotture del legamento crociato anteriore nei pazienti giovanissimi saranno il tema del terzo congresso del Transalpine Center of Pediatric Sports Medicine and Surgery, in programma il 3 dicembre prossimo presso il centro congressi dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Nelle quattro sessioni in cui si articola la giornata, gli specialisti affronteranno anche tematiche legate alla prevenzione e ai percorsi riabilitativi. Il Transalpine Center of Pediatric Sports Medicine and Surgery nasce dalla collaborazione tra l’Università di Milano-Bicocca e la Grenoble Alpes University con l’obiettivo di creare una sinergia per la presa in carico dei giovani sportivi, sopperendo in questo modo alla mancanza di un centro di riferimento altamente specializzato.

 

Nelle rotture del legamento crociato anteriore la decisione sul migliore trattamento terapeutico per lo specifico caso può essere presa, a volte, soltanto in sede di intervento operatorio. Proprio per questo un momento importante è il rapporto che gli specialisti instaurano con i genitori del paziente, affinché questi ultimi siano messi nelle condizioni di poter prestare il consenso informato per la tipologia di intervento che verrà scelta.

 

«Nei soggetti scheletricamente immaturi, che presentano un alto potenziale rigenerativo, per alcune lesioni del crociato è possibile un trattamento di tipo riparativo e non ricostruttivo» spiega Marco Turati, ricercatore del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, dirigente medico del reparto di Ortopedia dell’Ospedale San Gerardo di Monza e presidente del congresso del Transalpine Center of Pediatric Sports Medicine and Surgery.
Poi aggiunge: «Questo tipo di trattamento permette la preservazione del tessuto legamentoso nativo. In altri casi è invece raccomandata la ricostruzione del crociato poiché è stato evidenziato che rimandare il trattamento a quando il soggetto presenterà caratteristiche di maturità scheletrica lo espone ad un alto rischio di lesioni associate. L’algoritmo che abbiamo presentato evidenzia, infine, come il trattamento ottimale non comporti solamente scelte chirurgiche specifiche sul singolo paziente, ma anche adattati percorsi riabilitativi che permettano un recupero funzionale il più adeguato possibile».
Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

TERAPIA DI STIMOLAZIONE COGNITIVA PER LA PERSONA CON DEMENZA

Uno studio clinico durato cinque anni dimostra che contrasta i disturbi comportamentali e supporta il funzionamento cognitivo ed emotivo anche a lungo termine 

Pubblicato sulla rivista «The Journals of Gerontology – Psychological Sciences» con il titolo “Cognitive Stimulation Therapy for Older Adults With Mild-to-Moderate Dementia in Italy: Effects on Cognitive Functioning, and on Emotional and Neuropsychiatric Symptoms” il lavoro di ricerca coordinato dalla Professoressa Erika Borella del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova in cui si dimostra l’efficacia dell’adattamento italiano del protocollo di Terapia di Stimolazione Cognitiva per persone con demenza lieve-moderata.

Con l’obiettivo di verificare l’efficacia dell’adattamento italiano del protocollo di Terapia di Stimolazione Cognitiva sul funzionamento cognitivo ed emotivo e sulla qualità di vita delle persone con demenza, Erika Borella, con Elena Carbone e Margherita Vincenzi del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università degli Studi di Padova, ha coordinato uno studio multicentrico nazionale che è durato più di 5 anni e che ha visto coinvolte 225 persone con demenza lieve-moderata afferenti a 16 tra Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e Centri Servizi del nord e centro-sud Italia.

Più di cinque milioni di persone nel mondo sono oggi affette da demenza, un disturbo neurocognitivo caratterizzato da un progressivo declino cognitivo, disturbi dell’umore, del comportamento e della personalità che compromettono la funzionalità quotidiana della persona. Non solo, la demenza comporta elevati costi socio-assistenziali, così come gravosi carichi fisici e psicologici sia per la rete di supporto informale (famiglia) che per diverse figure professionali, se la persona è istituzionalizzata.

La Terapia di Stimolazione Cognitiva

Oltre le cure farmacologiche, sono stati sviluppati interventi psicosociali (non farmacologici) che sembrano essere molto promettenti nel rallentare il decorso del disturbo, o quantomeno nel non favorirne la progressione. La Terapia di Stimolazione Cognitiva, sviluppata da ricercatori inglesi e il cui protocollo è stato adattato in più di 29 Paesi al mondo tra cui l’Italia, è a oggi tra gli interventi di stimolazione cognitiva più efficaci per persone con demenza lieve-moderata. Questo programma seleziona e combina gli elementi di maggior efficacia di altri interventi psicosociali basati sulla stimolazione cognitiva e sensoriale – come la Reality Orientation Therapy, la terapia della reminiscenza, principi dell’apprendimento implicito, approcci di stimolazione multisensoriale – con un approccio “centrato sulla persona”, che permette di riconoscere il valore e le risorse dell’individuo, al di là dei sintomi con cui il suo disturbo si manifesta. Le attività proposte hanno anche l’obiettivo di valorizzare le risorse cognitive residue della persona, così come le sue competenze emotive, sociali e relazionali. Durante le quattordici sessioni di gruppo che compongono l’intervento vengono proposte diverse attività pratiche, coinvolgenti e piacevoli per stimolare le abilità cognitive (memoria, funzioni esecutive, orientamento spazio-temporale, linguaggio e competenze verbali), in un contesto (il gruppo) che promuove anche la socializzazione. In questo modo, non solo è possibile stimolare il funzionamento cognitivo, ma si può agire anche su altri sintomi che caratterizzano la demenza, come i disturbi d’umore (depressione) e comportamentali (ed esempio deliri e allucinazioni, aggressività, apatia, etc.), promuovendo, più in generale, un maggior benessere e una miglior qualità di vita.

La ricerca

Lo studio multicentrico è durato più di 5 anni, ha coinvolto 225 persone con demenza lieve-moderata afferenti a 16 tra Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e Centri Servizi del nord e centro-sud Italia.

Tutti i partecipanti hanno preso parte ad un totale di 20 incontri nell’arco di 23 settimane. Sono stati presentati test cognitivi (relativi al funzionamento cognitivo generale, linguaggio e competenze verbali) e questionari (tono dell’umore, frequenza e gravità dei disturbi comportamentali e psicologici, qualità di vita, funzionalità quotidiana) per la valutazione dell’efficacia dell’intervento, non solo a breve termine (post-test dopo 9 settimane) ma anche a lungo termine (a 3 mesi dalla conclusione dell’intervento, quindi a 23 settimane dall’inizio delle sessioni). Durante 14 sessioni, che si svolgevano in gruppo e a cadenza bisettimanale, i partecipanti assegnati al gruppo sperimentale (123) hanno preso parte alla Terapia di Stimolazione Cognitiva, mentre i partecipanti assegnati al gruppo di controllo (102) hanno continuato a svolgere usuali attività proposte dal proprio centro di afferenza.

I risultati

I risultati hanno confermato l’efficacia del protocollo di Terapia di Stimolazione Cognitiva nel supportare il funzionamento cognitivo generale, oltre che, più nello specifico, le competenze verbali e comunicative.

terapia di stimolazione cognitiva demenza Erika Borella
Erika Borella

«Il gruppo sperimentale coinvolto nelle sessioni di terapia di stimolazione cognitiva – dice Erika Borella del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – non ha mostrato un peggioramento a livello del funzionamento cognitivo (ad esempio memoria, orientamento spazio-temporale), come ci si aspetterebbe da questo disturbo, bensì un mantenimento grazie alle attività di stimolazione proposte con questo protocollo. Questi benefici non sono emersi invece per il gruppo di controllo che è peggiorato a livello del funzionamento cognitivo nel tempo. I partecipanti del gruppo sperimentale, a differenza del gruppo di controllo, hanno anche ottenuto migliori prestazioni in una prova che valuta le competenze linguistiche e comunicative ed in particolare la capacità di organizzare i contenuti di un discorso in modo efficace e informativo. Questi risultati – continua Borella – sono molto importanti e suggeriscono come questa Terapia di Stimolazione Cognitiva sostenga non solo il funzionamento cognitivo, contrastandone il declino, ma stimoli tra l’altro un’abilità, il linguaggio, che favorisce le interazioni con l’ambiente, un ambiente che diventa quindi sempre più “arricchito” di stimoli e stimolazioni a cui la persona con demenza re-agisce. Non solo, questo intervento è risultato efficace anche nel supportare il tono dell’umore e contenere i disturbi comportamentali. I partecipanti del gruppo sperimentale, nelle 23 settimane, non hanno mostrato peggioramenti nella sintomatologia depressiva, così come nella frequenza e gravità dei disturbi comportamentali che caratterizzano il disturbo neurodegenerativo, come ad esempio la presenza di deliri e allucinazioni, l’apatia, l’aggressività, cosa che invece è avvenuta per i partecipanti del gruppo di controllo. La terapia, anche grazie all’approccio di valorizzazione della persona e il contesto di gruppo che stimola tra l’altro la socializzazione, – sottolinea Erika Borella – sembra quindi efficace anche nel sostenerne il tono dell’umore e contenere o contrastare l’aggravarsi dei disturbi comportamentali molto frequenti in questo disturbo».

I benefici, per il gruppo che ha preso parte al protocollo di stimolazione cognitiva, sono emersi a breve termine, ovvero non appena si è concluso l’intervento (dopo 9 settimane).

«Non solo, per il gruppo sperimentale i benefici della terapia nel funzionamento cognitivo e per le abilità comunicative, nel tono dell’umore e per i disturbi comportamentali si sono mantenuti – spiega Elena Carbone – anche a lungo termine (3 mesi dopo la conclusione dell’intervento, più di 5 mesi dall’inizio della terapia). Questo è il primo studio che ha valutato a lungo termine l’efficacia di questo intervento, riscontrandone, l’efficacia».

La Terapia di Stimolazione Cognitiva rappresenta quindi, ad oggi anche nel contesto italiano, uno dei più efficaci programmi per contrastare e rallentare, sia a livello del funzionamento cognitivo che emotivo e dei disturbi comportamentali, la progressione di questo disturbo neurocognitivo in persone con demenza lieve-moderata, garantendo loro una migliore qualità di vita.

terapia di stimolazione cognitiva demenza Elena Carbone
Elena Carbone

«Viste le implicazioni che questo protocollo di stimolazione cognitiva ha per la pratica clinica come Servizio di Psicologia dell’Invecchiamento del Centro di Ateneo dei Servizi Clinici Psicologici Universitari (SCUP) proponiamo questo tipo di percorso alle persone con demenza e formiamo non solo professionisti perché utilizzino questo protocollo, ma anche familiari, affinché possano stimolare a domicilio i loro cari. Inoltre per assicurare cura e assistenza a persone con demenza che vivono a domicilio, è in corso un ulteriore adattamento di questo protocollo per poterlo erogare a distanza attraverso piattaforme di videoconferenza. La necessità di adattare il protocollo – conclude Erika Borella –  ad una modalità di erogazione “virtuale” è nata in risposta alla pandemia da COVID-19, tuttavia, poter proporre percorsi di stimolazione sfruttando le nuove tecnologie permetterebbe di assicurare assistenza non solo in situazioni straordinarie che impongono distanziamento fisico, ma anche per tutte quelle persone che, a causa di vari impedimenti (ridotta mobilità, mancanza di trasporti), non possono beneficiare di servizi e attività, tra cui gli incontri di stimolazione cognitiva, svolti in presenza presso Centri Diurni o Centri Servizi».

Link alla ricerca: https://academic.oup.com/psychsocgerontology/article/76/9/1700/6092427?login=true

Titolo: “Cognitive Stimulation Therapy for Older Adults With Mild-to-Moderate Dementia in Italy: Effects on Cognitive Functioning, and on Emotional and Neuropsychiatric Symptoms” – «The Journals of Gerontology – Psychological Sciences» – 2021-

Autori: Elena Carbone, Simona Gardini, Massimiliano Pastore, Federica Piras, Margherita Vincenzi ed Erika Borella

Foto di Jackson David

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova, ove non indicato diversamente.