Colite ulcerosa e poliposi: stop alla rimozione di colon e retto grazie a innovativa biostampante colonoscopica che ricrea le mucose dell’intestino, grazie al progetto Tentacle
L’Università di Pisa partner del nuovo progetto europeo Tentacle che svilupperà il dispositivo
Una biostampante colonscopica, la prima mai realizzata, per ricreare la mucosa e la sottomucosa dell’intestino ed evitare la rimozione chirurgica del colon e del retto nei pazienti affetti da colite ulcerosa e poliposi adenomatosa familiare. Il rivoluzionario dispositivo sarà realizzato nei prossimi quattro anni grazie a Tentacle, un progetto europeo in partenza a gennaio 2025 che annovera fra i partner l’Università di Pisa.
Le malattie del colon-retto sono molto diffuse a livello globale ed attualmente in Europa ne sono affetti circa 2.2 milioni di individui. Tra queste ci sono la colite ulcerosa e la poliposi adenomatosa familiare. Chi è colpito da queste patologie spesso viene sottoposto a una proctocolectomia, un intervento chirurgico molto invasivo che prevede la rimozione della parte terminale del colon e del retto con gravi conseguenze sulla qualità della vita.
Per ovviare a questo scenario, il progetto TENTACLE mira a sviluppare una strategia innovativa e personalizzata in grado di sostituire la proctocolectomia attraverso la rigenerazione del tessuto mucoso e sottomucoso.
“La biostampante colonoscopica che vogliamo progettare e costruire – spiega il professore Giovanni Vozzi dell’Ateneo pisano – potrà operare direttamente nell’intestino attraverso una procedura minimamente invasiva. Il dispositivo sarà potenziato da un sistema di intelligenza artificiale per monitorare la qualità della stampa e personalizzare l’intervento sulle esigenze del singolo paziente. TENTACLE svilupperà inoltre dei biomateriali all’avanguardia con proprietà avanzate, come la capacità di cambiare forma nel tempo per mimare la morfologia intestinale e di rilasciare agenti antibiotici e antibatterici in maniera controllata e graduale”.
TENTACLE è finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma di ricerca e innovazione HORIZON Health 2024. Il finanziamento previsto è di poco meno di 8 milioni di euro, di cui circa un milione sono destinati al Centro di Ricerca E. Piaggio dell’Università di Pisa.
Il consorzio del progetto è costituito da dieci partner accademici e industriali. Insieme all’Ateneo pisano ci sono l’Università di Wurzburg (Germania) come coordinatrice del progetto, l’Università di Ghent (Belgio), l’Università di Torino e il Politecnico di Torino. Si aggiungono quattro partner industriali, affiancati dall’Istituto Superiore di Sanità italiano, che forniranno al consorzio l’esperienza e le competenze necessarie per tradurre i risultati in prodotti all’avanguardia, vicini al paziente e al mercato: ADBioink (Turchia), ThioMatrix (Austria), BeWarrant (Belgio), Scinus Cell Expansion Netherland B.V. (Olanda).
Progetto Tentacle: una biostampante colonscopica per ricreare la mucosa e la sottomucosa dell’intestino; stop alla rimozione di colon e retto. Il team UniPi
Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.
La chirurgia del futuro ripara le articolazioni con biomateriali e stampanti 3D: con lo strumento chirurgico EndoFLight sviluppato dal progetto LUMINATE, per riparare le articolazioni, lesioni alla cartilagine
Al via il progetto europeo LUMINATE coordinato dall’Università di Pisa
una infografica sulla tecnologia che verrà sviluppata
Si chiama EndoFLight, è un rivoluzionario strumento chirurgico avanzato per riparare le articolazioni con biomateriali e stampanti 3D. Il dispositivo sarà sviluppato grazie a LUMINATE, un progetto coordinato dall’Università di Pisa e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon Health 2024.
“EndoFLight utilizza una combinazione di tecniche di biostampa 3D, cellule del paziente e biomateriali avanzati, per riparare le cartilagini delle articolazioni in maniera personalizzata – spiega il professore Giovanni Vozzi del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e responsabile di LUMINATE – Il sistema ha una piccola telecamera che viene inserita nell’articolazione durante l’intervento per scansionare la lesione e determinare la dimensione e la forma dell’area danneggiata grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, quindi EndoFLight riempie la lesione con biomateriali avanzati studiati appositamente per integrarsi con i tessuti circostanti e promuovere la rigenerazione della cartilagine”.
LUMINATE mira così ad offrire una soluzione più efficace e meno invasiva per il trattamento delle lesioni alla cartilagine, migliorando la qualità della vita dei pazienti e riducendo la necessità di interventi chirurgici più complessi. La cartilagine articolare è infatti un tessuto fondamentale per la salute delle nostre articolazioni. Grazie alla sua funzione di ‘cuscinetto’ naturale, permette movimenti delle articolazioni fluidi e senza sforzo. Tuttavia, quando si danneggia, ad esempio a causa di un trauma, possono insorgere diversi problemi, tra cui dolore, infiammazione e limitazioni funzionali. Le statistiche mostrano un aumento significativo delle lesioni cartilaginee negli ultimi anni. L’incidenza annuale in alcuni paesi è passata da 22 a 61 casi per 100.000 persone tra il 1996 e il 2011. Un rischio particolarmente grave è lo sviluppo dell’artrosi post-traumatica: secondo recenti studi, fino al 50% dei pazienti che subiscono gravi traumi al ginocchio sviluppano questa condizione entro 10 anni. L’artrosi post-traumatica può portare a disabilità cronica, limitando significativamente la qualità della vita e richiedendo spesso interventi chirurgici.
“LUMINATE vuole fare la differenza in questo scenario – conclude Vozzi . il progetto durerà 4 anni a partire da gennaio 2025 e coinvolge un vasto consorzio con partner accademici e industriali provenienti da nove paesi. In particolare, oltre al coordinamento generale noi ci occuperemo dello sviluppo di EndoFLight insieme al Politecnico Federale di Zurigo”.
il gruppo di ricerca Unipi con al centro (quinto da destra con occhiali rossi) Giovanni Vozzi
Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.
RIPRODOTTA LA VERTEBRA DI GALILEO GALILEI CUSTODITA ALL’UNIVERSITÀ DI PADOVA
Il modello 3D della vertebra di Galileo risulta essere veicolo di informazioni morfologiche e morfometriche fondamentali per la riproduzione tangibile della stessa. È scheletro e struttura sui quali sviluppare il prototipo
È stata presentata ieri, lunedì 7 novembre, in Sala da Pranzo di Palazzo del Bo, sede dell’Università di Padova, la riproduzione della quinta vertebra lombare di Galileo Galilei alla presenza di Monica Salvadori, Prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale, Giuseppe Salemi, docente del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Ateneo oltre che autore dello studio del reperto per la sua riproduzione, e Giovanni Magno, curatore del Museo Morgagni di Anatomia dell’Università di Padova.
«La storia di questa vertebra è certamente molto interessante, ma – ha sottolineato Monica Salvadori, prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale dell’Ateneo patavino – realizzare una copia in 3D di questo prezioso reperto significa poterla utilizzare sia per la divulgazione scientifica che come oggetto di prestito senza dover manipolare l’originale. Inoltre la vertebra riprodotta non è una banale copia, ma ha un’altissima risoluzione che permette ai ricercatori di utilizzarla per i loro studi anche “leggendola” attraverso la consultazione in rete dei dati».
«Per la definizione tridimensionale delle caratteristiche morfologiche e morfometriche della vertebra di Galileo, è stato effettuato, mediante scanner a luce strutturata – già in dotazione presso il Dipartimento dei Beni Culturali – un rilievo 3D ad altissima densità di punti e a risoluzione micrometrica. La vertebra, utilizzando un piatto rotante sincronizzato via software con lo scanner, è stata rilevata da diverse prospettive in modo da ottenere un rilievo completo e continuo al di là della complessità morfologica del reperto dovuta alla presenza di sottosquadri, zone d’ombra e particolari traslucidi (come ad esempio il sigillo). In totale – hanno dettoil professore Giuseppe Salemi e la dottoressa Emanuela Faresin autori dello studio e della riproduzione 3D – sono state effettuate 70 scansioni per un totale di circa 10 milioni di punti. Nella fase di elaborazione dei dati le operazioni che si sono susseguite definendo la pipeline di post processing sono state: filtraggio dei dati per la rimozione dei punti outliers; l’allineamento delle scansioni in un unico e comune sistema di riferimento; il passaggio da nuvola di punti a mesh ovvero un reticolo di poligoni interconnessi la cui area descrive la superficie dell’oggetto; verifica ed editing della bontà del dato; esportazione del modello ad altissima risoluzione per la successiva fase di stampa 3D. Il modello 3D della vertebra di Galileo risulta quindi essere veicolo di informazioni morfologiche e morfometriche fondamentali per la riproduzione tangibile della stessa. È scheletro e struttura sui quali sviluppare il prototipo».
Il modello tridimensionale da scansione laser è stato ottimizzato e le informazioni contenute al suo interno convertite in istruzioni per il percorso macchina di stampa 3D.
La tecnologia utilizzata per garantire un elevatissimo dettaglio è stata la stampa 3D a fotopolimero, dove una resina fotopolimerizzante reagisce con il laser e, solidificando, genera così la copia fisica con una precisione di 25 microns. Il pezzo stampato è stato reso ancora più solido attraverso un secondo procedimento di fotopolimerizzazione che unisce calore e lampade UV; una volta indurito, siamo passati alla fase successiva di resa al vero.
Per ridurre al minimo l’errore è stata stampata una seconda copia che è stata utilizzata per le prove di colore e di resa al vero. Questa fase è stata possibile grazie alla campagna fotografica eseguita durante il rilievo, sia per replicare il colore originale del frammento di osso, sia per ripetere il complicato andamento che compone la legatura della vertebra originale.
Sono state usate vernici specifiche miscelando colori diversi, chiari e scuri, per risaltare le discromie proprie dell’originale.
I sigilli sono stati lavorati a mano in tutti i particolari e colorati in fase finale; partendo dal dato di scansione si sono stampate le basi, sempre con sistema a fotopolimero, su queste si è lavorato di bisturi e con l’aggiunta di resina guardando le foto ad alta risoluzione dei dettagli e facendo ricorso alla trentennale esperienza del nostro scenografo. In questo modo, aggiungendo piano piano i dettagli, il risultato è una copia perfetta dell’originale.
L’etichetta è stata replicata utilizzando carta ruvida da disegno di colore bianco, che è stata “scritta” con un vero pennino da inchiostro ricalcando una base a matita, successivamente è stata invecchiata con una fiamma viva per farla sembrare antica. Per raggiungere l’effetto voluto sono state necessari più di 20 tentativi.
Infine è stata riprodotta la complicata legatura con filo di cotone, che originariamente era di colore bianco e che è stato tinto con tempera per trovare la corretta cromia dell’originale, infine è stata inserita l’etichetta anticata.
La vertebra di Galileo Galilei
Riproduzione della colorazione
Immagine computerizzata della vertebra di Galileo Galilei
Galileo morì l’8 gennaio 1642 ad Arcetri, e il corpo fu temporaneamente sepolto nella Basilica di Santa Croce di Firenze. Circa un secolo dopo, il 12 marzo 1737, il corpo di Galileo fu riesumato e sepolto definitivamente nel Mausoleo, a lui dedicato, nella stessa Basilica. Il granduca Gian Gastone de’ Medici nominò una commissione per traslare il corpo di Galileo composta dai medici Antonio Cocchi e Giovanni Targioni Tozzetti, dal prelato Giovanni Vincenzo Capponi, dall’umanista ed erudito Anton Francesco Gori e dal notaio Giovanni Cammillo di Pasquale di Piero Piombanti. La commissione, alla vista dello scheletro di Galileo, non riuscì a resistere dal prendere qualche «reliquia» dello scienziato. Capponi si appropriò del dito indice della mano destra e di un pollice, Gori invece del dito indice della mano sinistra, un dente fu prelevato probabilmente da Tozzetti e Antonio Cocchi decise di prendere la quinta vertebra lombare.
La vertebra quindi fu prelevata dal medico Antonio Cocchi (1695-1758) e passò poi in eredità al figlio Raimondo (1735–1775). Fu poi venduta al patrizio veneto Angelo Querini (1721–1796) nel 1773, il quale la donò all’abate veneziano Agostino Vivorio (1743–1822). Infine, grazie all’intercessione della contessa Isabella Thiene, la vertebra arrivò al medico vicentino Domenico Thiene (1767–1844), nel 1820. Alcuni anni dopo Thiene donò la reliquia all’Università di Padova, il 2 agosto 1823, anno in cui era Rettore dell’ateneo patavino Antonio Meneghelli (1765-1844). Meneghelli decise di accettare e di finanziare la realizzazione d’un “reliquiario” con l’assistenza, nel progetto, del docente di Fisica dell’Ateneo Salvatore Dal Negro (1768-1839).
La vertebra porta con sé un cartiglio scritto da Antonio Cocchi, che recita: Vertebra V Lumborum e corpore Magni Galilaei detracta cum id effossum est anno quo tumulo reconditum.
(“Quinta vertebra lombare presa dal corpo del Grande Galilei nell’anno della sua riesumazione e definitiva sepoltura”).
Le misurazioni antropologiche della quinta vertebra lombare di Galileo mostrano come non siano presenti gravi processi patologici. Studi radiografici e TAC mostrano infatti solo lievi irregolarità artrosiche delle marginali dei processi articolari, con una minima osteofitosi dei profili del vertebrale.
Recenti studi storico medici hanno evidenziato come il famoso scienziato possa essere morto a causa di una artrite reattiva, innescata probabilmente da una infezione di Chlamydia pneumoniae, e poi complicata nel tempo con una uveite che portò Galileo ad una cecità bilaterale. L’assenza di tracce patologiche sulla vertebra non esclude la forma di artrite reattiva di cui soffriva Galileo.
* Da Alberto Zanatta – Gaetano Thiene “1823: DONO DELLA QUINTA VERTEBRA LOMBARE DI GALILEO ALL’UNIVERSITÀ DI PADOVA” – Comunicazione letta il 23 marzo 2017 nell’Odeo Olimpico.
Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova