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Comunicazione cervello-corpo: il ruolo delle piastrine

Secondo lo studio coordinato dalla Sapienza e pubblicato sulla rivista Cell Reports, questi frammenti di cellule presenti nel sangue condizionano l’apprendimento e la memoria della paura.

Accanto al ruolo cardine che le piastrine svolgono nella coagulazione del sangue e nel processo di emostasi, recenti studi hanno dimostrato che questi piccoli frammenti di cellule presenti nel sangue assolvono ad altre importanti funzioni. Se il ruolo delle piastrine nel sistema immunitario è noto, come esse agiscano nella modulazione delle interazioni neurologiche è un aspetto ancora poco indagato.

Le piastrine influenzano in qualche misura il comportamento? È questa la domanda di partenza dello studio, coordinato da Cristina Limatola del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia della Sapienza e recentemente pubblicato sulla rivista Cell Reports. La risposta sembra essere positiva: la ricerca, infatti, identifica le piastrine come un elemento chiave nella comunicazione cervello-corpo, in grado di attivare meccanismi che influenzano la memoria e il comportamento.

Questa funzione deriva dal fatto che le piastrine immagazzinano serotonina, un neurotrasmettitore prodotto principalmente nel sistema nervoso e nell’apparato gastrointestinale. Come è ben noto, la serotonina regola l’umore, influenza alcune funzioni biologiche quali il sonno e l’appetito, e ha un effetto anche nei processi di apprendimento e di memorizzazione. Se si considera che le piastrine contengono la maggior parte della serotonina presente nel nostro corpo, appare chiaro come esse siano coinvolte nella regolazione delle risposte neuro immunitarie.

Lo studio ha dimostrato che, riducendo o alterando il numero delle piastrine in modelli murini, si riduceva anche la quantità di serotonina presente nel cervello, con effetti su comportamenti legati alla paura nei topi. Generalmente sia il cervello umano che quello animale tendono a modulare il comportamento in base alle esperienze pregresse. Se per esempio in passato un evento è stato associato a un pericolo, la sua ricomparsa determinerà immediatamente risposte di fuga o di difesa. Al contrario stimoli nuovi molto diversi da quelli percepiti come pericolosi non indurranno comportamenti dettati dalla paura. Questo avviene perché, a seconda delle circostanze, si attivano nell’ippocampo – l’area del cervello che controlla la memoria –neuroni inibitori, cioè neuroni che rallentano il processo di memorizzazione.

I ricercatori hanno identificato nella minore presenza di serotonina nel cervello un fattore in grado di bloccare l’attività dei neuroni inibitori, causando un’alterata formazione della memoria e l’insorgenza delle risposte di paura anche in presenza di stimoli innocui. Lo studio ha dimostrato inoltre che la riduzione di serotonina nel cervello deriva da un meccanismo che viene regolato da cellule specifiche, le Natural Killer. Si tratta delle cellule che inducono la produzione di serotonina nel tratto gastrointestinale determinando quindi il carico trasportato dalle piastrine in tutto il corpo. Diminuendo sperimentalmente le cellule Natural Killer o le piastrine si riduce la quantità di serotonina nel cervello e viene innescato il processo che modula i comportamenti di paura attraverso il controllo della neurotrasmissione inibitoria e della plasticità nell’ippocampo.

“Il nostro studio – spiega Cristina Limatola della Sapienza – aggiunge un nuovo elemento alla comprensione dei meccanismi con cui il cervello comunica e riceve informazioni dal corpo, definendo un nuovo meccanismo di comunicazione tra le cellule del sistema immunitario, le piastrine e l’asse intestino-cervello per il mantenimento dell’omeostasi cerebrale”

Riferimenti bibliografici:

Garofalo S, Mormino A, Mazzarella L, Cocozza G, Rinaldi A, Di Pietro E, Di Castro MA, De Felice E, Maggi L, Chece G, Andolina D, Ventura R, Ielpo D, Piacentini R, Catalano M, Stefanini L, Limatola C. “Platelets tune fear memory in mice”. Cell Rep. 2025 Feb 25;44(2):115261. doi: 10.1016/j.celrep.2025.115261

sangue emofilia A in forma grave
Immagine di allinonemovie

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

LA PRIMA MAPPA TERMICA DELLA SUPERFICIE DI UN GLOBULO ROSSO

Ricercatori delle università di Barcellona e Padova hanno sviluppato una nuova metodologia di misurazione dell’entropia su dimensioni un milione di volte più piccole di un centimetro

Nel nostro immaginario, l’entropia è spesso associata al disordine e al caos. Eppure, in biologia, essa è strettamente legata all’efficienza energetica e al metabolismo, l’insieme di reazioni chimiche che sostengono la vita.

Ricercatori delle università di Barcellona e Padova – con la partecipazione degli atenei Complutense, Francisco de Vitoria di Madrid e di Göttingen –  hanno sviluppato una nuova rivoluzionaria metodologia per la misurazione della produzione di entropia su dimensioni un milione di volte più piccole di un centimetro: i risultati del lavoro scientifico sono stati pubblicati sulla rivista Science con il titolo “Variance sum rule for entropy production.

Questa produzione è direttamente collegata al flusso di calore attraverso la superficie dei globuli rossi che dissipa energia nel fluido in cui sono immersi. Il risultato ottenuto è naturalmente minuscolo, un milione di miliardi più piccolo di una caloria per secondo – un piatto di pasta equivale a circa 250 calorie-, ma è stato misurato con assoluta precisione.

Dal punto di vista operativo i ricercatori hanno rilevato il flusso di calore derivante dalle forze metaboliche attive all’interno dei globuli rossi osservando lo sfarfallio emergente sulla loro membrana cellulare. Tale sfarfallio è il risultato dell’incessante movimento dei motori molecolari, le molecole che consumano zucchero per ristrutturare le cellule.

«Caratterizzare la produzione di entropia nei sistemi viventi è fondamentale per comprendere l’efficienza dei processi di conversione dell’energia e la salute dei tessuti»,

afferma Felix Ritort, corresponding author dello studio dell’Istituto di Nanoscienza e Nanotecnologia dell’Università di Barcellona.

«Vi è un grandissimo interesse nel quantificare il consumo energetico per capire il funzionamento dei più svariati sistemi fisici, dalla scala planetaria a quella microscopica, o dei sistemi biologici di ogni dimensione, incluse le cellule viventi»,

afferma Marco Baiesi del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, tra gli autori della ricerca.

Marco Baiesi
Marco Baiesi

Un contributo cruciale alla base teorica e all’analisi dei dati è stato dato da Ivan Di Terlizzi durante il suo dottorato in Fisica a Padova e, successivamente, all’Istituto Max Planck di Dresda.

Gli autori hanno utilizzato approcci sperimentali basati sulla manipolazione ottica, sul rilevamento ottico e sulla microscopia con immagini ultraveloci. Le misure sono state effettuate allo Small Biosystems Lab dell’Università di Barcellona, all’Università di Göttingen, Complutense de Madrid e all’Instituto de Investigación Sanitaria Hospital 12 de Octubre.

Immagine generata dall'intelligenza artificiale con l'evocazione di un globulo rosso che dissipa calore nell'ambiente
La prima mappa termica della superficie di un globulo rosso: una nuova metodologia di misurazione dell’entropia su dimensioni un milione di volte più piccole di un centimetro. Immagine generata dall’intelligenza artificiale con l’evocazione di un globulo rosso che dissipa calore nell’ambiente

Link alla ricerca: https://www.science.org/doi/10.1126/science.adh1823

Titolo: Variance sum rule for entropy production – «Science» – 2024

Autori: I. Di Terlizzi, M. Gironella, D. Herraez-Aguilar, T. Betz, F. Monroy, M. Baiesi, e F. Ritort.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Cardiopatia ischemica: il ruolo degli ormoni sessuali
Uno studio italiano, a cui partecipano i ricercatori della Sapienza, ha valutato l’impatto dei livelli di testosterone e di estradiolo sull’attivazione delle piastrine del sangue, processo direttamente collegato al rischio di eventi coronarici acuti. I risultati del lavoro, condotto su un campione di oltre 400 pazienti di entrambi i sessi, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Endocrinological Investigation.

arterie coronariche cardiopatia ischemica ormoni sessuali
Arterie coronariche. Immagine di BruceBlaus, CC BY 3.0

La prevenzione della cardiopatia ischemica, patologia a carico delle arterie coronariche che portano sangue al cuore, ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni, permettendo una notevole riduzione dei tassi di eventi acuti, che vanno dall’infarto alla morte. Tuttavia, l’incidenza mondiale di cardiopatia ischemica è ancora molto elevata.

La malattia colpisce entrambi i sessi, ma spesso con una fisiopatologia, sintomatologia e risposta alle terapie molto diversa: per tale ragione gli attributi biologici sono stati rivendicati come i principali fattori di queste differenze, canalizzando l’attenzione sul possibile ruolo degli ormoni sessuali.

Lo studio italiano EVA (Endocrine Vascular Disease Approach) coordinato da un team di ricercatori della Sapienza e condotto su 434 soggetti con cardiopatia ischemica, ospedalizzati e sottoposti a coronarografia e/o a intervento di angioplastica, ha valutato l’impatto degli ormoni sessuali maschili (testosterone) e femminili (estradiolo) sulla fisiopatologia e sulla gravità della patologia coronarica e in particolare sull’attivazione delle piastrine del sangue, direttamente associate al rischio di eventi coronarici acuti.

Lo studio, iniziato nel 2015 con un finanziamento del Ministero dell’Università e ricerca – MUR nell’ambito dei progetti per i giovani ricercatori (SIR), vinto da Valeria Raparelli del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza e ora afferente all’Università di Ferrara, ha coinvolto oltre all’Ateneo romano altre università italiane (Ferrara e Milano), inglesi (Liverpool) e canadesi (Alberta e McGill).

I risultati dello studio EVA, pubblicati sulla rivista Journal of Endocrinological Investigation, hanno messo in evidenza come un basso rapporto tra testosterone ed estradiolo si associ in entrambi i sessi a un aumentato rischio di mortalità nei due anni successivi la valutazione. Inoltre è stato visto come da tale relazione dipenda una maggiore attività delle piastrine.

Alla luce del ruolo chiave dell’attivazione piastrinica sul rischio di eventi acuti coronarici, la correlazione con il rapporto tra testosterone ed estradiolo apre nuovi orizzonti di ricerca: questi risultati suggeriscono l’utilità di valutare gli ormoni sessuali in entrambi i sessi per la pianificazione di nuove strategie terapeutiche che tengano anche conto dell’equilibrio ormonale di ciascun individuo affetto da cardiopatia ischemica.

 

Riferimenti:

Testosterone-to-estradiol ratio and platelet thromboxane release in ischemic heart disease: the EVA project – V. Raparelli, C. Nocella, M. Proietti, G. F. Romiti, B. Corica, S. Bartimoccia, L. Stefanini, A. Lenzi, N. Viceconte, G. Tanzilli, V. Cammisotto, L. Pilote, R. Cangemi, S. Basili, R. Carnevale, EVA Collaborators.

J Endocrinol Invest. 2022  doi: 10.1007/s40618-022-01771-0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Biomarcatori nel sangue e nel liquido cerebrospinale per individuare nuove terapie delle malattie del sistema nervoso centrale

Lo studio, realizzato dal gruppo coordinato dalla Professoressa Lucilla Parnetti e pubblicato su Trends in Pharmacological Sciencesriguarda la possibilità di utilizzare biomarcatori misurabili nel liquido cerebrospinale e nel sangue per la ricerca su nuove terapie delle principali malattie del sistema nervoso centrale, quali sclerosi multipla, malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson.

biomarcatori malattie sistema nervoso centrale
Il Team della professoressa Parnetti

Il gruppo di ricerca diretto dalla Professoressa Lucilla Parnetti, responsabile della Sezione di Neurologia, Laboratorio di Neurochimica Clinica dell’Università degli Studi di Perugia, ha realizzato un innovativo studio sull’utilizzo di biomarcatori misurabili nel liquido cerebrospinale e nel sangue per ottimizzare l’individuazione di nuove terapie per le principali malattie del sistema nervoso centrale. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista internazionale Trends in Pharmacological Sciences (Impact Factor: 12).

“Malattie neurologiche croniche e altamente disabilitanti, come la sclerosi multipla, la malattia di Alzheimer e la malattia di Parkinson, sono sostenute dall’interazione di complessi meccanismi biologici che possono essere misurati in maniera affidabile nel liquido cerebrospinale e nel sangue – spiega la Professoressa Parnetti, docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia -. Nell’ultimo decennio la ricerca sui biomarcatori nelle malattie neurologiche, ambito nel quale il Laboratorio di Neurochimica Clinica dell’Università degli Studi di Perugia è particolarmente attivo e parte di una rete di collaborazione a livello europeo, ha portato a rivoluzionare il modo di porre la diagnosi di queste malattie, rendendola più precoce e accurata”.

“La ricerca pubblicata da Trends in Pharmacological Sciences analizza in dettaglio il ruolo che diversi biomarcatori misurabili su liquido cerebrospinale e su sangue possono avere nella ricerca sulle terapie per le malattie neurologiche – continua la Professoressa Parnetti -. Questi test permettono di identificare i pazienti con le caratteristiche ideali per poter avere beneficio dal trattamento con i nuovi farmaci che bloccano i meccanismi delle diverse patologie neurologiche. Ad esempio, se si vuole testare l’efficacia di un nuovo trattamento rivolto a bloccare uno specifico meccanismo alla base di una malattia neurologica, si possono utilizzare questi marcatori per identificare i soggetti in cui quel dato meccanismo è particolarmente alterato. Inoltre, la misurazione delle variazioni di questi marcatori nel tempo può aiutare a capire se quel trattamento ha raggiunto l’effetto atteso. Questa visione innovativa avrà, sperabilmente, delle ripercussioni in futuro anche nella pratica clinica, migliorando sia la nostra possibilità di porre una diagnosi precoce, che di verificare con maggiore precisione ed oggettività la risposta alle terapie”, conclude la Professoressa Parnetti.

La pubblicazione di tali concetti innovativi su Trends in Pharmacological Sciences testimonia la rilevanza degli studi condotti presso l’Università degli Studi di Perugia e sottolinea la necessità di attenzione alla ricerca su biomarcatori liquorali ed ematici nelle malattie neurologiche.

 

Gaetani L, Paolini Paoletti F, Bellomo G, Mancini A, Simoni S, Di Filippo M, Parnetti L. “CSF and Blood Biomarkers in Neuroinflammatory and Neurodegenerative Diseases: Implications for Treatment.” Trends Pharmacol Sci. 2020 Oct 27:S0165-6147(20)30218-2. doi: 10.1016/j.tips.2020.09.011. Online ahead of print. PMID: 33127098. Link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165614720302182?via%3Dihub

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Perugia