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PFAS E DANNI NEURONALI POSSONO ESSERE COINVOLTI NELL’INSORGERE DELLE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E NEL PARKINSON 

Studio Università di Padova-VIMM pubblicato sulla prestigiosa rivista «Environment International». I PFAS si integrano con le membrane neuronali e il sistema nervoso è a rischio durante la fase dello sviluppo embrionale. I dati preliminari suggeriscono anche un coinvolgimento delle cellule implicate nel processo degenerativo del Parkinson.

Carlo Foresta PFAS danni neuronali Parkinson sistema nervoso centrlae
Il professor Carlo Foresta

Un gruppo di ricerca guidato dal professor Carlo Foresta dell’Università di Padova ha recentemente pubblicato sulla rivista «Environment International» – con il titolo “Impairment of human dopaminergic neurons at different developmental stages by perfluoro-octanoic acid (PFOA) and differential human brain areas accumulation of perfluoroalkyl chemicals” – l’ultimo studio sugli gli effetti dei PFAS sul sistema nervoso.

Lo studio, iniziato dalle relazioni tra inquinamento da PFAS e anomalie congenite del sistema nervoso o disturbi comportamentali e neurologici come l’Alzheimer, l’autismo e i disturbi dell’attenzione e iperattività, è stato sviluppato per indagare se in cellule neuronali di specifiche aree del cervello si riscontrasse un accumulo di PFAS.

In collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova – nell’ambito del “Programma di donazione del corpo alla scienza” coordinato dal professor Raffaele De Caro e dal professor Andrea Porzionato – sono stati effettuati prelievi di diverse aree del tessuto cerebrale. In presenza di significative concentrazioni plasmatiche di PFOA, PFOS e PFHxS sono stati riscontrati importanti segni di accumulo di queste sostanze soprattutto in aree costituite da particolari neuroni detti dopaminergici, come l’ipotalamo.

I risultati dello studio sono giunti da uno studio impegnativo e metodico, che ha coinvolto diversi Dipartimenti dell’Università di Padova e del Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM) per verificare gli effetti biologici di queste sostanze sui neuroni dopaminergici attraverso la coltivazione in laboratorio di cellule staminali neuronali a diversi stadi di differenziamento, fino al neurone dopaminergico maturo.

In particolare, è stato osservato che i PFAS a concentrazioni simili a quelle ritrovate nelle aree cerebrali si integrano con le membrane neuronali, modificandone la struttura e la stabilità. L’effetto dei PFAS è più evidente quanto più precoce è lo stadio di maturazione.

Sono ora in corso studi per determinare quali sono le conseguenze funzionali di queste osservazioni.

«Per la prima volta si è dimostrato che nell’uomo queste sostanze chimiche possono modificare la funzione delle cellule nervose – commenta il professor Carlo Foresta – Ulteriori studi sono necessari per quantificare le conseguenze sulla salute delle persone. Le osservazioni che dimostrano una maggior sensibilità delle cellule neuronali non ancora mature fanno pensare che gli effetti dei PFAS possano essere più evidenti durante le fasi più sensibili dello sviluppo del sistema nervoso come nell’embrione».

«I dati preliminari suggeriscono un coinvolgimento delle cellule implicate nel processo degenerativo del Parkinson – dice il Professor Angelo Antonini, Responsabile dell’Unità Parkinson e Malattie Rare Neurologiche della Clinica Neurologica dell’Università di Padova – Ancora non sappiamo se i PFAS possono poi determinare un’alterazione nei processi di degradazione della proteina alfa-sinucleina alla base di questa malattia. Tuttavia confermano una vulnerabilità di questi nuclei cerebrali e che i fattori ambientali insieme al profilo genetico giocano un ruolo importante probabilmente come fattore scatenante nel processo degenerativo».

«Si tratta di una collaborazione fra più gruppi universitari e team di ricerca, tra cui il mio gruppo al VIMM, che ha messo a punto la coltura di cellule staminali umane differenziate in neuroni dopaminergici che sono stati utilizzati nello studio per dimostrare l’effetto nocivo dei PFAS – conclude il Principal Investigator del VIMM Mario Bortolozzi-. La nostra expertise biofisica ed elettrofisiologica ci ha permesso di verificare che tali colture fossero funzionali, cioè in grado di “sparare” i cosiddetti potenziali d’azione, una sorta di firma autografa del neurone».

Link alla ricerca: https://doi.org/10.1016/j.envint.2021.106982

Autori: Andrea Di Nisio, Micaela Pannella, Stefania Vogatisi, Stefania Sut, Stefano Dall’Acqua, Maria Santa Rocca, Angelo Antonini, Andrea Porzionato, Raffaele De Caro, Mario Bortolozzi, Luca De Toni, Carlo Foresta

TitoloImpairment of human dopaminergic neurons at different developmental stages by perfluoro-octanoic acid (PFOA) and differential human brain areas accumulation of perfluoroalkyl chemicals – «Environment International» 2021 

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova, circa lo studio pubblicato su Environment International che spiega come PFAS e danni neuronali possano essere coinvolti nell’insorgere di anomalie del sistema nervoso centrale e Parkinson

Mentire o dire la verità: il ruolo della dopamina nelle scelte di persone colpite da malattia di Parkinson
Un’analisi della rassegna scientifica pubblicata da NPJ Parkinson’s Disease, parte del gruppo Nature, ha valutato il ruolo della dopamina nella modulazione delle scelte morali di pazienti colpiti da malattia di Parkinson, in particolare sul mentire o dire la verità.

Parkinson dopamina
Foto di Pete Linforth

La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo progressivo caratterizzato dalla perdita di neuroni dopaminergici nei gangli della base e nel circuito talamo-corticale, che provocano alterazioni nel controllo motorio. Una mole crescente di evidenze indica inoltre come i gangli della base sottendano anche funzioni di alto livello, come la cognizione, l’emozione e la motivazione.

Un gruppo di ricercatori coordinati da Salvatore Maria Aglioti, e che ha visto il coinvolgimento di Sapienza Università di Roma, Istituto Italiano di Tecnologia, Fondazione Santa Lucia IRCCS, ha pubblicato una rassegna della letteratura volta ad indagare la cognizione morale, e in particolare i processi decisionali di tipo morale, come il mentire o il dire la verità, in pazienti colpiti da malattia di Parkinson.

L’analisi della letteratura scientifica ha evidenziato la presenza di due diverse tendenze comportamentali: l’iper-onestà, ossia la minor propensione a mentire rispetto ai gruppi di controllo, anche quando la menzogna comportava un guadagno economico, e l’ipo-onestà, quindi la maggior propensione a mentire rispetto ai gruppi di controllo. In particolare, la tendenza a mentire si è rivelata essere spesso associata alle ulteriori diagnosi di disturbo del controllo degli impulsi e di sindrome da dis-regolazione dopaminergica.

“I pazienti che oltre alla malattia di Parkinson presentano un disturbo del controllo degli impulsi” spiega la dott.ssa Giorgia Ponsi, psicologa,  e prima autrice dello studio, “Mostrano una ridotta quantità di trasportatore della dopamina nello striato dorsale, che è la regione del cervello coinvolta negli aspetti motori e cognitivi delle decisioni. A questo si associa un maggior rilascio presinaptico di dopamina nello striato ventrale, ossia quella regione del cervello che fa parte del circuito della ricompensa ed è coinvolta negli aspetti motivazionali della decisione in risposta a ricompense esterne. Questo implica che, ad esempio, la prospettiva di una vincita economica abbia un valore motivazionale più elevato per una persona con malattia di Parkinson e disturbo del controllo degli impulsi.”

“Lo studio di questi comportamenti in persone con malattia di Parkinson, permette di comprendere attraverso le neuroscienze quella complessa catena di eventi che ci guidano nelle nostre scelte quotidiane” ha commentato Salvatore Maria Aglioti, “L’obiettivo ultimo è quello di riuscire ad individuare strategie terapeutiche che, attraverso l’utilizzo di farmaci o la neuroriabilitazione, possano aiutare a ripristinare l’equilibrio interrotto dalla patologia”.

Secondo gli autori dello studio, la principale ipotesi derivata da questa analisi, è che le disfunzioni a carico del sistema motivazionale, in particolare lo squilibrio dopaminergico tra striato dorsale e striato ventrale, possano aumentare o diminuire la salienza delle ricompense esterne(ad esempio, denaro o cibo) e spiegare, di conseguenza, entrambe le tendenze comportamentali (iper-onestà e ipo-onestà) riportate in letteratura.

Riferimenti:

Ponsi, G., Scattolin, M., Villa, R., Aglioti, S. M. Human moral decision-making through the lens of Parkinson’s disease. npj Parkinsons Dis. 7, 18 (2021). https://doi.org/10.1038/s41531-021-00167-w

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma.

Biomarcatori nel sangue e nel liquido cerebrospinale per individuare nuove terapie delle malattie del sistema nervoso centrale

Lo studio, realizzato dal gruppo coordinato dalla Professoressa Lucilla Parnetti e pubblicato su Trends in Pharmacological Sciencesriguarda la possibilità di utilizzare biomarcatori misurabili nel liquido cerebrospinale e nel sangue per la ricerca su nuove terapie delle principali malattie del sistema nervoso centrale, quali sclerosi multipla, malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson.

biomarcatori malattie sistema nervoso centrale
Il Team della professoressa Parnetti

Il gruppo di ricerca diretto dalla Professoressa Lucilla Parnetti, responsabile della Sezione di Neurologia, Laboratorio di Neurochimica Clinica dell’Università degli Studi di Perugia, ha realizzato un innovativo studio sull’utilizzo di biomarcatori misurabili nel liquido cerebrospinale e nel sangue per ottimizzare l’individuazione di nuove terapie per le principali malattie del sistema nervoso centrale. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista internazionale Trends in Pharmacological Sciences (Impact Factor: 12).

“Malattie neurologiche croniche e altamente disabilitanti, come la sclerosi multipla, la malattia di Alzheimer e la malattia di Parkinson, sono sostenute dall’interazione di complessi meccanismi biologici che possono essere misurati in maniera affidabile nel liquido cerebrospinale e nel sangue – spiega la Professoressa Parnetti, docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia -. Nell’ultimo decennio la ricerca sui biomarcatori nelle malattie neurologiche, ambito nel quale il Laboratorio di Neurochimica Clinica dell’Università degli Studi di Perugia è particolarmente attivo e parte di una rete di collaborazione a livello europeo, ha portato a rivoluzionare il modo di porre la diagnosi di queste malattie, rendendola più precoce e accurata”.

“La ricerca pubblicata da Trends in Pharmacological Sciences analizza in dettaglio il ruolo che diversi biomarcatori misurabili su liquido cerebrospinale e su sangue possono avere nella ricerca sulle terapie per le malattie neurologiche – continua la Professoressa Parnetti -. Questi test permettono di identificare i pazienti con le caratteristiche ideali per poter avere beneficio dal trattamento con i nuovi farmaci che bloccano i meccanismi delle diverse patologie neurologiche. Ad esempio, se si vuole testare l’efficacia di un nuovo trattamento rivolto a bloccare uno specifico meccanismo alla base di una malattia neurologica, si possono utilizzare questi marcatori per identificare i soggetti in cui quel dato meccanismo è particolarmente alterato. Inoltre, la misurazione delle variazioni di questi marcatori nel tempo può aiutare a capire se quel trattamento ha raggiunto l’effetto atteso. Questa visione innovativa avrà, sperabilmente, delle ripercussioni in futuro anche nella pratica clinica, migliorando sia la nostra possibilità di porre una diagnosi precoce, che di verificare con maggiore precisione ed oggettività la risposta alle terapie”, conclude la Professoressa Parnetti.

La pubblicazione di tali concetti innovativi su Trends in Pharmacological Sciences testimonia la rilevanza degli studi condotti presso l’Università degli Studi di Perugia e sottolinea la necessità di attenzione alla ricerca su biomarcatori liquorali ed ematici nelle malattie neurologiche.

 

Gaetani L, Paolini Paoletti F, Bellomo G, Mancini A, Simoni S, Di Filippo M, Parnetti L. “CSF and Blood Biomarkers in Neuroinflammatory and Neurodegenerative Diseases: Implications for Treatment.” Trends Pharmacol Sci. 2020 Oct 27:S0165-6147(20)30218-2. doi: 10.1016/j.tips.2020.09.011. Online ahead of print. PMID: 33127098. Link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165614720302182?via%3Dihub

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Perugia

SLA: dai prelievi di saliva un nuovo metodo per la diagnosi precoce

La scoperta grazie a una tecnica innovativa messa a punto in uno studio di Fondazione Don Gnocchi, Istituto Auxologico e Università Statale di Milano.

Una delle patologie più invalidanti e ancora non comprese a fondo è la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), che colpisce in Italia più di sei mila persone, con un’incidenza di due mila nuovi casi ogni anno (dati EURALS Consortium). Tra le principali difficoltà nella presa in carico di questi pazienti ci sono certamente i tempi della diagnosi, che a volte, ancora oggi, possono sfiorare l’anno.

Un importante passo in avanti in questa direzione arriva dalla collaborazione tra l’IRCCS Fondazione Don Gnocchi, l’IRCCS Istituto Auxologico e Università Statale di Milano i cui ricercatori hanno individuato nella saliva – grazie a una tecnica innovativa – un biomarcatore utile alla diagnosi precoce della malattia.

Il progetto – portato avanti nell’ambito della rete IRCCS delle Neuroscienze e Neuroriabilitazione (RIN) – è stato ideato e coordinato dal Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica (LABION) dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi di Milano, guidato dalla dottoressa Marzia Bedoni, in collaborazione con l’Unità di Riabilitazione Intensiva Polmonare dello stesso IRCCS, diretta dal dottor Paolo Banfi.

Primo autore e responsabile dello studio – finanziato dal Ministero della Salute e pubblicato su Scientific Reports – è il dottor Cristiano Carlomagno, ricercatore di IRCCS Fondazione Don Gnocchi di Milano.

La SLA è una malattia degenerativa che porta alla progressiva e inesorabile paralisi della muscolatura. Ad oggi non esistono esami di laboratorio da eseguire sul sangue o su altri fluidi corporei capaci di garantire una diagnosi veloce e certa, o in grado di monitorarne la velocità di progressione.

Da qui l’idea di ricorrere alla spettroscopia Raman – spiega Marzia Bedoni  una tecnica innovativa in ambito bioclinico, presente da tempo nel LABION, basata sull’utilizzo della luce laser per studiare la composizione chimica di campioni complessi come la saliva. Si tratta di una tecnica non distruttiva, che dà risposte in tempi brevi, non richiede particolari condizioni per l’esecuzione della misura e può essere effettuata con una minima preparazione del campione”.

“Il ritardo nella diagnosi – aggiunge Paolo Banfi – causa spesso nel paziente un senso di impotenza, penalizzandolo poi nell’accesso ai trial clinici. L’individuazione di un nuovo metodo per accelerare la procedura diagnostica avrà importanti ricadute e costituisce un capitolo importante nello studio e nella battaglia contro questa patologia gravemente invalidante”.

“La possibilità di utilizzare un semplice prelievo non traumatico di saliva per definire un biomarcatore diagnostico per la SLA – commenta Vincenzo Silani, docente di Neurologia presso l’Università degli Studi di Milano e direttore della Unità Operativa di Neurologia e Laboratorio di Neuroscienze dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano – rappresenta un’opportunità di rilevanza storica. La metodologia utilizzata ha richiesto un’attenta messa a punto iniziale, ma poi è stata dirimente nel definire uno spettro diversificato nella SLA rispetto ai controlli sani e rispetto ad altre patologie egualmente invalidanti come le malattie di Alzheimer e Parkinson”.

“Siamo orgogliosi di questi risultati – conclude Cristiano Carlomagno – perché lo sviluppo e la validazione di questa innovativa metodologia permetterà di mettere a disposizione di medici e pazienti uno strumento in grado sia di accelerare la procedura diagnostica, che di personalizzare il trattamento terapeutico in base alle caratteristiche di ogni singolo paziente, con l’obiettivo a lungo termine di migliorarne la prognosi e la qualità della vita”.

Testo sul nuovo metodo per la diagnosi precoce della SLA a partire dai prelievi di saliva dall’Università Statale di Milano