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L’ORSO BRUNO IN LETARGO CONSERVA LA MASSA MUSCOLARE

Questi animali non sviluppano l’atrofia muscolare tipicamente associata al disuso prolungato. Pubblicato su «Nature Communications» lo studio del team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare guidati da Bert Blaauw sulla riduzione dell’attività ATPasica della miosina nel muscolo scheletrico a riposo.

 

“Reduced ATP turnover during hibernation in relaxed skeletal muscle” è il titolo dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Communications dal team di ricercatori guidato da Bert Blaauw, professore ordinario al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova oltre che Principal investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM).

Lo studio ha rivelato un fenomeno sorprendente negli orsi bruni durante il letargo: nonostante una drastica riduzione dell’attività, questi animali non sviluppano l’atrofia muscolare tipicamente associata al disuso prolungato. La ricerca ha messo in luce un meccanismo chiave di questo adattamento: l’attività ATPasica della miosina nel muscolo scheletrico a riposo che subisce modifiche significative. Questa alterazione dell’attività enzimatica contribuisce in modo sostanziale al risparmio energetico, permettendo agli orsi di preservare la massa muscolare durante i lunghi mesi di inattività invernale.

L’analisi di singole fibre muscolari, prelevate agli orsi sia durante il letargo che in estate, ha rivelato importanti cambiamenti durante il periodo di svernamento. Le fibre degli orsi in letargo mostrano un lieve calo nella produzione di forza, accompagnato da una significativa riduzione dell’attività ATPasica della miosina a riposo. La miosina, che funge da motore molecolare del muscolo scheletrico, presenta quindi una marcata diminuzione della sua attività enzimatica quando il muscolo è in stato di quiescenza durante il letargo. Questi risultati evidenziano un adattamento fisiologico che potrebbe contribuire al risparmio energetico durante lo svernamento.

«I risultati che emergono dallo studio dimostrano che il muscolo scheletrico limita la perdita di energia riducendo l’attività dell’ATPasi della miosina, indicandone un possibile ruolo in molteplici condizioni di atrofia muscolare – sottolinea Bert Blaauw –. Questa ricerca apre quindi nuove prospettive terapeutiche, suggerendo potenziali strategie per contrastare la perdita di massa e forza muscolare associata a periodi di inattività prolungata o al processo di invecchiamento nell’uomo. Le scoperte sui meccanismi di adattamento degli orsi in letargo potrebbero fornire preziose indicazioni per lo sviluppo di interventi mirati a preservare la funzionalità muscolare in condizioni di disuso o senescenza”.

La proteomica condotta sulle singole fibre e le analisi immunoistochimiche hanno rivelato un importante rimodellamento del proteoma mitocondriale durante il letargo. Utilizzando approcci bioinformatici e biochimici, i ricercatori hanno scoperto che la catena leggera della miosina fosforilata, noto stimolatore dell’attività ATPasica della miosina nel muscolo a riposo, diminuisce nei muscoli in letargo. Questa scoperta fornisce ulteriori dettagli sul meccanismo molecolare alla base del risparmio energetico e della preservazione muscolare durante l’inattività invernale degli orsi bruni.

Lo studio è stato finanziato dal programma STARS Grants per la ricerca individuale dell’Università di Padova e da AFM Telethon.

Bert Blaauw ha avviato il suo laboratorio indipendente nel 2012 e attualmente ricopre il ruolo di Professore Ordinario al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova ed è Principal investigator all’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM). Nel corso della sua carriera, Blaauw ha dato un contributo significativo al campo della ricerca sulla fisiologia muscolare. Ha pubblicato numerosi articoli di ricerca peer-reviewed, collaborato come autore senior in pubblicazioni dove membri del suo team figuravano come primi autori, e partecipato complessivamente a oltre 100 articoli scientifici incentrati sulla fisiologia muscolare, il signaling e l’approfondimento delle conoscenze sul muscolo scheletrico. Negli ultimi dieci anni, il team guidato dal professor Blaauw ha ottenuto notevoli riconoscimenti a livello internazionale per i suoi studi innovativi sulla determinazione della funzione muscolare adulta, sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Questi successi testimoniano l’importanza e l’impatto del lavoro svolto dal suo gruppo di ricerca nel campo della biologia muscolare.

Bert Blaauw
Bert Blaauw

Riferimenti bibliografici:

Autori: Cosimo De Napoli, Luisa Schmidt, Mauro Montesel, Laura Cussonneau, Samuele Sanniti, Lorenzo Marcucci,Elena Germinario, Jonas Kindberg, Alina Lynn Evans, Guillemette Gauquelin-Koch, Marco Narici, Fabrice Bertile, Etienne Lefai, Marcus Krüger, Leonardo Nogara, Bert Blaauw*,  “Reduced ATP turnover during hibernation in relaxed skeletal muscle”  «Nature Communications» 2025, DOI: https://doi.org/10.1038/s41467-024-55565-4

L’orso bruno in letargo conserva la massa muscolare: questi animali non sviluppano l’atrofia muscolare tipicamente associata al disuso prolungato. Un orso bruno (Ursus arctos), da Viiksimo, nella regione finlandese di Kainuu. Foto Flickr di , CC BY 2.0

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Pericolosamente vicini, un documentario di Andreas Pichler

AL CINEMA CON WANTED IL 26, 27 E 28 AGOSTO 2024

Pericolosamente vicini, un documentario di Andreas Pichler
il poster del documentario

LE SALE: https://www.wantedcinema.eu/it/article/pericolosamente-vicini

Wanted Cinema è lieta di presentare Pericolosamente vicini, in arrivo nelle sale italiane come uscita evento il 26, 27 e 28 agosto 2024. Diretto da Andreas Pichler (The Milk SystemTeorema Venezia), Pericolosamente vicini è un documentario che tratta il rapporto tra l’uomo e la popolazione di orsi che vive in Trentino e nelle Alpi.

La notizia della morte di Andrea Papi, il runner ucciso dall’orsa JJ4 nei boschi del Trentino nella primavera del 2023, è immediatamente circolata non solo in Italia, ma in tutti i paesi dell’arco alpino e oltre. L’episodio ha scatenato un certo clamore mediatico, tornando a mettere tragicamente in luce il complesso rapporto degli abitanti delle zone alpine con gli orsi. Reintrodotti in Trentino nel 1999 grazie al progetto Life Ursus, gli esemplari ora presenti sul territorio sono un centinaio; alcuni di essi, definiti “problematici”, sono inclini anche a contatti ravvicinati con i centri abitati e le persone, arrivando a danneggiare greggi e mandrie e, in alcuni casi, ad attaccare gli uomini.

Pericolosamente vicini parte proprio dalla tragica scomparsa di Andrea Papi per ricostruire ciò che i trentini pensano della presenza degli orsi nei boschi: la rabbia per una tragedia che poteva essere evitata si mescola alla paura e alla diffidenza. Non tutti, però, la pensano allo stesso modo: le associazioni animaliste si battono da anni per una convivenza pacifica tra l’animale e l’uomo, mentre si sta facendo sempre più strada la convinzione che sia necessaria una maggiore informazione sul comportamento da tenere in caso di incontro con gli orsi.

Il problema della convivenza dell’essere umano con gli orsi assume così anche rilevanza politica, diventando di interesse nazionale ed europeo, e si amplia toccando il tema universale del rapporto tra la natura e l’uomo.

Pericolosamente vicini arriva nelle sale italiane il 26, 27 e 28 agosto 2024 come uscita evento con Wanted Cinema.

SINOSSI: In nessun altro luogo al mondo orsi e uomini vivono così vicini come in Trentino. Ma con l’aumento degli orsi, aumentano anche gli incontri pericolosi tra umani e animali. Un team di 20 persone, tra forestali e veterinari, è incaricato di proteggere sia gli esseri umani che gli orsi, un compito cruciale e delicato.

Durante la Pasqua del 2023 il corpo senza vita del ventiseienne Andrea Papi viene ritrovato nella foresta. Subito si fa strada un triste sospetto: Papi è stato ucciso dall’orso JJ4. È la prima morte causata da un animale selvatico in Europa Centrale nella storia recente. Mentre i forestali cercano di catturare l’orso “problematico” JJ4, il conflitto tra attivisti per i diritti degli animali e oppositori degli orsi esplode. Questo evento drammatico solleva domande cruciali: JJ4 dovrebbe essere abbattuto? Come gestire il ritorno dei grandi predatori nelle nostre foreste? Quando un orso diventa un animale problematico”? E, infine, a chi appartengono realmente la foresta e la natura?

NOTE DI REGIA

Vivo vicino al Trentino e passo spesso del tempo in montagna. Mi sono occupato degli orsi e della loro situazione prima della morte di Andrea Papi, ed ero già in contatto con molti dei protagonisti quando è avvenuta.

Data la natura emotiva e conflittuale di questo tema, è stato fondamentale per me ascoltare le diverse prospettive delle varie persone e gruppi coinvolti, navigando tra i punti di vista contrastanti con una mente aperta. Il film presenta persone che sono al centro della storia, il che è stato molto importante per me. L’obiettivo del film è trasmettere le intense emozioni di coloro che sono coinvolti e creare uno spazio cinematografico che provochi una riflessione. L’obiettivo è far capire che le risposte non sono semplici e che trovare una soluzione al rapporto tra uomini e orsi in Europa centrale è complesso.

Per me, il fulcro del film era e continua a essere i ranger, profondamente coinvolti nella re-introduzione degli orsi sul territorio e con nobili obiettivi. Lavorano con grande professionalità e ora si trovano tragicamente in mezzo a tutte le fazioni. Sono gli eroi non celebrati di questa storia, una storia che alla fine non ha eroi.

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa del Film, Echo Group, e Wanted Cinema. Aggiornato il 19 luglio e il 23 agosto 2024.

Uomo e orso: una convivenza possibile?
Un nuovo studio coordinato dalla Sapienza sull’orso bruno marsicano svela le caratteristiche che rendono possibile la coesistenza e le riflessioni per migliorare le azioni future.

 

Orso bruno marsicano - Angelina Iannarelli - PNALM
Uomo e orso: una convivenza possibile? L’esempio positivo dell’orso bruno marsicano nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. Angelina Iannarelli – PNALM

Le comunità locali dell’Appennino centrale coabitano da millenni con una preziosissima quanto unica popolazione di orso bruno marsicano.

Studi precedenti avevano già messo in luce come i residenti del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM), la storica roccaforte di questa particolare specie di orso, mostrino un atteggiamento molto positivo nei confronti del plantigrado e una tolleranza nei suoi confronti che non ha pari, né in Italia né altrove in Europa.

Una nuova ricerca condotta da Sapienza Università di Roma in collaborazione con l’Istituto spagnolo di studi sociali avanzati e con il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM) e pubblicata sulla rivista scientifica Journal for Nature Conservation, ha analizzato gli elementi che rendono possibile la coesistenza funzionale di uomini e orsi per la realizzazione sostenibile delle necessità di entrambe le parti.

L’orso bruno marsicano soffre di scarsissima variabilità genetica ed è soggetto a elevato rischio di estinzione. Per questo motivo è fondamentale ridurre al minimo qualsiasi fonte di impatto con l’uomo, a partire dai livelli di mortalità accidentale e illegale, che sono incompatibili per una così esigua popolazione di orso.

Dall’altra parte ci sono gli interessi dei principali attori sociali come forestali, guardia parco, allevatori e cacciatori e altre categorie che insistono sul territorio.

“La divergenza di vedute – spiega Jenny Anne Glikman, ricercatrice presso dell’Istituto spagnolo di studi sociali svanzati, prima autrice dello studio – aumenta in relazione alla percezione di come i costi e i benefici della coesistenza con l’orso siano distribuiti tra categorie sociali, nonostante tutte sostengono la causa della sua conservazione”.

È proprio su questo fronte, suggeriscono gli autori, che bisogna focalizzare la futura attenzione gestionale.

“Nonostante il Parco abbia una lunga storia alle spalle di interventi per la conservazione dell’orso bruno marsicano – sottolinea Daniela D’Amico, responsabile dell’Ufficio Promozione e Comunicazione del PNALM e coautrice dello studio – quello che ci interessava in modo particolare era capire come migliorare ulteriormente le condizioni di coesistenza tra uomo e orso, alla luce dei cambiamenti sociali ed economici in atto e tenendo conto dei diversi punti di vista delle persone che condividono quotidianamente il territorio con l’orso”.

Tra le implicazioni pratiche dello studio gli autori sottolineano la necessità di ricorrere a forme di collaborazione, pianificazione e condivisione gestionale più strette con i vari portatori di interesse, al fine di promuovere maggiore coinvolgimento e senso di responsabilità sociale.

“In virtù del lunghissimo periodo di coabitazione, dell’elevata tolleranza e dell’atteggiamento positivo nei confronti dell’orso, i tempi sono maturi per promuovere un senso di responsabilità collettiva nei confronti della specie che non può più essere vista come una prerogativa esclusivamente istituzionale e un vincolo per le comunità locali – sottolinea  Paolo Ciucci della Sapienza, coordinatore dello studio – Attraverso i suoi rappresentanti, l’intera comunità deve poter essere coinvolta nella gestione e condividere l’orgoglio e la soddisfazione di una conservazione di successo di una specie localmente considerata di elevato valore. Solo attraverso una responsabilità socialmente condivisa i comportamenti individuali che mettono a rischio l’incolumità dell’orso (velocità eccessive sulle strade, pratiche zootecniche incompatibili, l’uso illegale del veleno) verrebbero considerati moralmente inaccettabili”.

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Sky Nature

IL MARSICANO. L’ULTIMO ORSO

IL DOCUMENTARIO SKY ORIGINAL

SU UNA DELLE 15 SPECIE AL MONDO A RISCHIO ESTINZIONE

SU SKY NATURE SABATO 24 SETTEMBRE ALLE 21.15

DISPONIBILE ANCHE IN STREAMING SU NOW E ON DEMAND

 

Con la sua programmazione spettacolare, Sky Nature ha aperto una finestra sul mondo della natura, cercando di sensibilizzare il pubblico su tematiche ambientali e continuando a valorizzare il territorio del nostro Paese attraverso produzioni originali.

Dopo La Via Incantata, il documentario alla scoperta della Val Grande in Lombardia, Sky Nature ci porta nel cuore verde dell’Italia, nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, per puntare i riflettori su una delle 15 specie animali del pianeta a rischio estinzione.

IL MARSICANO. L’ULTIMO ORSO

Il Marsicano. L’ultimo Orso è un documentario Sky Original – da sabato 24 settembre su Sky Nature e disponibile in streaming su NOW e on demand – su un tesoro naturalistico d’importanza mondiale che viene protetto ogni giorno, da 100 anni, dagli uomini e dalle donne del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM), uno dei parchi più antichi del nostro Paese e considerato lo Yellowstone italiano. In Abruzzo vive l’Orso Bruno Marsicano, tra le 15 specie animali del pianeta a rischio estinzione e di cui sono rimasti solo 60 esemplari. Una gestione incredibilmente complessa, che deve fare i conti con la scarsità di risorse, umane e finanziarie, e l’antropizzazione del territorio. Tecnici, guardiaparco, scienziati e forestali sono infatti chiamati a confrontarsi costantemente con i cittadini di questo lembo d’appennino, che hanno atteggiamenti contrastanti nei confronti dell’orso e degli altri animali selvatici che abitano questi luoghi da secoli. Alcuni sono abituati a convivere con questi grandi mammiferi – cervi, lupi, volpi, camosci e per l’appunto orsi. Per altri, invece, sono solo una minaccia o un disturbo.

Da tempo l’Orso Marsicano è inserito dall’UICN – l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – nella categoria “pericolo critico di estinzione”. A tutti gli effetti può essere considerato come la tigre in India e l’elefante in Africa. La missione, quindi, è di toglierlo definitivamente dall’elenco delle specie minacciate.

IL MARSICANO. L’ULTIMO ORSO
Amarena coi cuccioli

A fare da sfondo a Il Marsicano. L’ultimo orso è l’incredibile vicenda di Juan Carrito, l’orsetto nato assieme ad altri 3 cuccioli da mamma Amarena in pieno lockdown.  Una storia eccezionale che ha tenuto, per oltre un anno, Parco e cittadini impegnati nella sua salvaguardia. E che ha messo in luce tutte le contraddizioni legate alla convivenza.

Il racconto segue per un anno la vita del Parco e delle specie che protegge da un secolo con immagini sul campo, le attività di monitoraggio e controllo dei biologi, attraverso censimenti e il controllo GPS di alcuni esemplari, le interviste alle guide del PNALM, gli incontri dei tecnici del parco con le comunità interessate dalla presenza dell’orso e i racconti dei cittadini che quotidianamente si trovano a tu per tu con l’orso e che testimoniano l’unicità dello Yellowstone Italiano.

L’Orso Marsicano è davvero una minaccia per l’uomo o è l’uomo a essere una minaccia per questa specie?

Il Presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, Giovanni Cannata, ha raccontato: “Juan Carrito è stata una sfida incredibile che ha messo a dura prova il personale del Parco, nelle sue molteplici professionalità, tutte impegnate ad assicurare la conservazione dell’orso. Ma è stata anche la messa a sistema di tutte le istituzioni impegnate per assicurare che territori potenzialmente idonei alla vita dell’orso marsicano siano effettivamente a misura d’orso”.

Un film che svela i retroscena della vicenda dell’Orso Juan Carrito, il cucciolo che ha tenuto col fiato sospeso un’intera regione. Un anno di riprese – ha spiegato il regista Massimiliano Sbrolla – per raccontare il complesso lavoro che ogni giorno tiene impegnate decine di persone nella salvaguardia di una specie unica e affascinante. Patrimonio di tutti noi”.

Così Dino Vannini, Head of Documentary & Factual Channels di Sky, ha concluso: “Ci fa particolarmente piacere poter presentare Il Marsicano. L’ultimo Orso in un contesto così adatto, cioè proprio all’interno del territorio del Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Il progetto è nato infatti a braccetto con questa Istituzione alla nascita, un anno fa, di Sky Nature, un canale che ha fatto dell’attenzione all’ambiente e all’ecologia una missione dichiarata. Poter affrontare una tematica così complessa come la storia di Juan Carrito, in una chiave così inedita e con accessi tanto privilegiati, ci rende davvero fieri di questo contenuto”.

Il Marsicano. L’ultimo orso è un documentario Sky Original diretto da Massimiliano Sbrolla e realizzato da Zoofactory, in collaborazione con il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.

 

Testo, video e foto dall’Ufficio Stampa Sky.

Convergenza evolutiva: la dieta come fattore determinante? Sì, ma solo in alcune specie

Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza ha pubblicato sulla rivista Evolution uno studio sulla convergenza evolutiva tra le specie. La ricerca si interroga su quanto sia comune la convergenza morfologica nei carnivori e sulle possibili cause, con il risultato, inatteso, che essa derivi da interazioni complesse tra morfologia, ecologia e biomeccanica.

convergenza evolutiva dieta specie
Convergenza evolutiva: la dieta come fattore determinante? Sì, ma solo in alcune specie. Panda rosso (Ailurus fulgens), Aachen. Foto di Brunswyk, CC BY-SA 3.0

La convergenza evolutiva è un fenomeno per cui specie diverse, che vivono e si sono adattate ad ambienti simili, evolvono caratteristiche morfologiche e funzionali analoghe che li portano a somigliarsi moltissimo pur non avendo parentela in comune.

Una delle questioni più dibattute tra gli studiosi è quella di determinare in maniera affidabile quali siano i tratti maggiormente predisposti a convergere tra le specie, e quali le cause. Numerose le ipotesi ancora inesplorate, non solo ecologiche, ma anche comportamentali e filogenetiche. Il fattore ecologico che più frequentemente si presume abbia prodotto convergenza morfologica nei carnivori, e più specificamente nel loro complesso cranio-mandibolare, è la dieta.

Perché è importante fare chiarezza su questo aspetto? Perché se diete simili producessero morfologie dentali convergenti, i paleoecologi potrebbero arrivare a definire le condizioni ecologiche di una specifica area geografica del passato.

Se finora il numero di casi documentati di convergenza evolutiva è stato più basso di quanto ci si aspettasse, numerosi invece i casi basati su considerazioni unicamente qualitative che però non hanno consentito di comprendere la frequenza del fenomeno, rendendo difficile individuare delle tendenze evolutive ricorrenti, sia tra i vari gruppi tassonomici che al loro interno.

Oggi un nuovo studio pubblicato sulla rivista Evolution e coordinato da Luigi Maiorano del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, in collaborazione con il Museo di Zoologia dell’Ateneo, l’Università John Moores di Liverpool e l’Università di Napoli Federico II presenta la più vasta valutazione quantitativa mai realizzata, riguardante la convergenza evolutiva cranio-mandibolare nell’ordine Carnivora dei mammiferi.

“Questo studio – spiega Davide Tamagnini del Dipartimento di Biologia ambientale, primo nome dello studio – si inserisce in un trend crescente di ricerca, che impiega metodi innovativi (phylogenetic comparative method) per indagare fenomeni tradizionalmente descritti solo in maniera qualitativa. Nel lavoro si impiegano anche semplici dati morfologici, estratti da un gran numero di taxa dell’ordine Carnivora, per chiarire se la dieta causi convergenza nel loro complesso cranio-mandibolare”.

Le evidenze ottenute sostengono la rarità della convergenza evolutiva all’interno di vaste categorie ecologiche, ma mostrano invece una maggior frequenza di questo fenomeno evolutivo in casi isolati di specie che, pur non essendo imparentate tra loro, hanno lo stesso ruolo nell’ambiente in cui vivono.

È il caso del panda gigante e del panda rosso che appartengono a due famiglie diverse: il primo a quella degli ursidi (come gli orsi), mentre il secondo alla famiglia ailuridae (come i procioni) accomunati dall’alimentazione a base di bambù, dalle tipiche macchie nere intorno agli occhi e dal cosiddetto “falso pollice”.

Se per i panda, dunque, la convergenza si trova in due specie che vivono nello stesso habitat e nella stessa regione, tra i carnivori, invece, si trovano frequenti esempi di adattamenti morfologici convergenti anche in specie evolute in continenti diversi. Queste coppie di specie sono comunemente ritenute “ecologicamente equivalenti”, perché vivono in diverse regioni geografiche ma occupano nicchie ecologiche simili.

“In questa ricerca abbiamo studiato la convergenza morfologica, raggruppando le specie in base al tipo di cibo prevalente nella loro dieta. Poi, abbiamo considerato diversi casi di potenziale convergenza morfologica concentrandoci su specie ecologicamente equivalenti di dimensioni corporee simili, oppure taxa molto affini rispetto a dieta e habitat, ma con grandi differenze di taglia”.

“I nostri risultati – dichiara Luigi Maiorano, coordinatore del lavoro – non supportano quasi mai il verificarsi di un’evoluzione convergente nelle categorie alimentari dei carnivori viventi: l’evoluzione convergente in questo clade sembra essere un fenomeno raro”.

Il fenomeno della convergenza, dunque, è meno frequente di quanto atteso e tale risultato è probabilmente dovuto a interazioni complesse tra morfologia, ecologia e biomeccanica.

Questa ricerca sottolinea inoltre l’importanza della scala tassonomica considerata negli studi macroevolutivi.

Riferimenti:

Testing the occurrence of convergence in the craniomandibular shape evolution of living carnivorans – Davide Tamagnini, Carlo Meloro, Pasquale Raia, Luigi Maiorano – Evolution, 75(7): 1738-1752. DOI: https://doi.org/10.1111/evo.14229

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulla dieta come fattore determinante di convergenza evolutiva.

I grandi carnivori riconquistano il territorio

In un nuovo studio, frutto della collaborazione fra la Sapienza Università di Roma e il Consiglio nazionale delle ricerche, è stato indagato il fenomeno di ricolonizzazione da parte di linci, lupi e orsi che sta interessando diverse aree in Europa. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Diversity and Distributions, identificano come fattori determinanti i cambiamenti della copertura del suolo, della densità della popolazione umana e l’incremento di politiche di tutela delle specie.

lupo grigio appenninico (Canis lupus italicus).Foto Flickr di Gilles PRETET, CC BY 2.0

Imbattersi in una lince, sentire l’ululato di un lupo, osservare un orso. Forse potrebbe non essere più tanto difficile e insolito in alcune aree, non ora che queste specie stanno ricolonizzando gran parte della loro storica area di distribuzione in Europa.

Dopo essere stati spinti sull’orlo dell’estinzione nel secolo scorso, negli ultimi decenni linci, lupi e orsi stanno ricolonizzando l’Europa, complici il cambiamento nell’uso del suolo e la diversa densità di popolazione, ma non la graduale espansione delle aree protette. È quanto emerge dal recente studio condotto da un gruppo internazionale di 11 Paesi coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie della Sapienza Università di Roma e del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Questi fattori sembravano aver influenzato il ritorno dei grandi carnivori in Europa negli ultimi 24 anni, ma fino a oggi l’effettivo ruolo svolto era stato poco chiaro. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Diversity and Distributions, indicano che tra il 1992 e il 2015 la combinazione di questi elementi abbia contribuito all’aumento della presenza di queste tre specie nell’Europa orientale, nei Balcani, nella penisola iberica nord-occidentale e nella Scandinavia settentrionale, mentre tendenze contrastanti sono emerse per l’Europa occidentale e meridionale.

“È molto probabile che la coesistenza dei grandi carnivori con gli esseri umani in Europa non sia legata solo alla disponibilità di un habitat idoneo, ma anche a fattori come la tolleranza da parte dell’uomo e le politiche per diminuire la caccia di queste specie” – spiega Marta Cimatti della Sapienza, primo autore del lavoro − “e questo permette di avere nuove opportunità per riconciliare la conservazione e la gestione di queste specie con lo sviluppo socioeconomico nelle aree rurali”.

Luca Santini, ricercatore della Sapienza e del Cnr e senior author dello studio, sottolinea “sfruttare i cambiamenti socioeconomici e paesaggistici per creare nuove opportunità di recupero per le specie sarà una sfida per l’Europa, cui si dovranno affiancare una corretta educazione ambientale, norme legislative e una gestione mirata a mitigare i conflitti fra uomo e fauna selvatica nelle aree recentemente ricolonizzate dai questi grandi carnivori”.

“L’associazione tra il diverso uso del suolo, l’abbandono delle aree rurali, l’aumento delle aree protette e l’espansione dei grandi carnivori in Europa sarà importante anche nei prossimi decenni” − conclude Luigi Boitani della Sapienza, coautore e presidente della Large Carnivore Initiative for Europe − “e suggerisce che la ricolonizzazione di vaste aree europee continuerà e che dunque saranno necessari maggiori sforzi per far coesistere l’uomo e questi grandi carnivori”.

Riferimenti:

Large carnivore expansion in Europe is associated with human population density and land cover changes – Cimatti M., Ranc N., Benítez-López A., Maiorano L., Boitani L., Cagnacci F., Čengić M., Ciucci P., Huijbregts M.A.J., Krofel M., López Bao J., Selva N., Andren H., Bautista C., Cirovic D., Hemmingmoore H., Reinhardt I., Marenče M., Mertzanis Y., Pedrotti L., Trbojević I., Zetterberg A., Zwijacz-Kozica T., Santini L – Diversity and Distributions, 2021. DOI 10.1111/ddi.13219

 

Testo dalla Sapienza Università di Roma