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Ricerca dell’Università di Pisa censisce per la prima volta i brevetti femminili in Italia tra il 1861 e il 1939: la prima fu una genovese
In tutto furono 1878, lo 0,7% del totale, e in ogni settore, dalla meccanica all’industria tessile, dai trasporti agli armamenti sino alle innovazioni per la casa, focus sulla Toscana con Pisa e Firenze. Con il Fascismo arrivò una battuta d’arresto, oggi in Europa solo il 16% dei brevetti è di una donna.
 
Si chiamava Rosa Predavalle ed era di Genova la prima donna in Italia a ottenere un brevetto. Era il 1861 e l’Armonitone, un “pianoforte con sordino” pensato per suonare in modo più controllato, è l’invenzione che porta la sua firma. Rosa è la prima donna a testimoniare una lunga storia di creatività femminile ancora poco conosciuta che emerge adesso grazie ad una ricerca di Marco Martinez, docente di Storia economica all’Università di Pisa, pubblicata sulla rivista internazionale Business History.
A partire dallo studio degli oltre 330.000 brevetti depositati in Italia tra l’Unità e la Seconda guerra mondiale, la ricerca è la prima a censire sistematicamente le invenzioni femminili fra il 1861 e il 1939. Il risultato sono 1.878 brevetti, che pur rappresentando solo lo 0,7% di quelli totali, mostra come le donne contribuirono in modo significativo allo sviluppo tecnologico del Paese. Almeno sino agli anni Venti la crescita dei brevetti femminili fu simile a quella maschile. La battuta d’arresto arrivò solamente con il Fascismo, quando la propaganda e le leggi riportarono le donne alla sfera domestica.
Per quanto riguarda la tipologia, le invenzioni firmate da donne spaziano dalla meccanica all’industria tessile, dai trasporti agli armamenti sino alle innovazioni per la casa. Francesca Giuseppa Sillani nel 1918 brevettò una tenda da campo per l’esercitoLina Holzer, nello stesso anno ideò un economizzatore di combustibile, un dispositivo pensato per migliorare l’efficienza dei fornelli e degli impianti di riscaldamento. Altre inventrici, come Eufrasia, Marcantonia, Ersilia e Melvenia, attive tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta, registrarono brevetti per meccanismi industriali e dispositivi domestici: strumenti per la filatura e la cucitura, utensili per la casa, apparecchi di riscaldamento e piccoli congegni meccanici per l’uso quotidiano.
Dal punto di vista geografico, le province più attive furono quelle del triangolo industriale, Milano, Torino e Genova, insieme alle grandi città di Roma e Napoli. Ma anche centri manifatturieri come Udine, Bergamo, Pisa, Firenze e Salerno si distinsero per un’elevata concentrazione di brevetti femminili, spesso legati alla lavorazione di tessuti e seta.
Per quanto riguarda la Toscana, l’archivio dei brevetti mette in luce una sorprendente vivacità inventiva. A Pisa ci fu Rosa Pelucchi, che nel 1869 registrò un sistema di tiratura dei bozzoli, testimonianza della centralità del settore serico nella produzione locale. Nel 1877 Carolina Cappelletto nata Pizzorni del fu Antonio, brevettò un sugo al magro, esempio di innovazione alimentare in un periodo in cui la conservazione dei cibi rappresentava una sfida tecnica importante. Nel 1890 Giovanna Bottari ottenne un brevetto per la Soda Champagne, gassosa, registrato come preparato sanitario. A Firenze e nel suo circondario emergono altre figure notevoli: Francesca Cremonesi, che brevettò un cuscinetto a rulli per veicoli ferroviari, un’invenzione di notevole complessità tecnica che dimostra come alcune donne sapessero muoversi con competenza anche nei settori meccanici tradizionalmente riservati agli uomini. Adelaide Marchi ideò invece un gioco della tombola per ciechi, un progetto che coniuga ingegno e sensibilità sociale, anticipando un’idea moderna di inclusione. Lina Spinetti, insieme a Italo Spinetti, registrò un francobollo da lutto e un francobollo per tassa pubblicitaria sulla corrispondenza, mentre Anna Alessandrini brevettò un sistema di materiale didattico per insegnare aritmetica a soggetti con disabilità cognitive, a testimonianza di un interesse crescente per l’educazione speciale e la pedagogia innovativa.
Queste donne furono vere e proprie imprenditrici della creatività – spiega Marco Martinez, docente di Storia economica all’Università di Pisa – capaci di trasformare idee in soluzioni tecniche e di sfidare barriere legali, culturali e sociali. La nostra ricerca mostra come le dinamiche di genere abbiano inciso profondamente nei processi di innovazione e come il legame tra industrializzazione, cultura e diritti sia stato decisivo nel determinare le opportunità delle donne. Ma le discriminazioni di ieri continuano a lasciare tracce nel presente: ancora oggi, in Europa, solo il 16% dei brevetti porta il nome di una donna”.
Marco Martinez, autore della nuova ricerca pubblicata sulla rivista Business History censisce per la prima volta i brevetti femminili in Italia tra il 1861 e il 1939: la prima fu una genovese
Marco Martinez, autore della nuova ricerca pubblicata sulla rivista Business History censisce per la prima volta i brevetti femminili in Italia tra il 1861 e il 1939: la prima fu una genovese
Riferimenti bibliografici:
Martinez, M., Women inventors in Italy, 1861–1939, Business History (2025), 1–22, DOI: https://doi.org/10.1080/00076791.2025.2462178
Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa.

DA GALILEO AL FUTURO DELL’ASTRONOMIA: UNA CELEBRAZIONE PER L’AVVIO DELL’OSSERVATORIO CTAO (CHERENKOV TELESCOPE ARRAY OBSERVATORY)

Padova, 06 ottobre 2025 – Oggi, presso la Sala dei Giganti dell’Università di Padova si è celebrato l’avvio delle attività del Cherenkov Telescope Array Observatory (CTAO) che, una volta completato, sarà il più grande e potente al mondo per l’osservazione dell’Universo nello spettro dei raggi gamma.  La cerimonia, voluta dal Ministero dell’Università e della Ricerca, ha visto la presenza del Ministro Anna Maria Bernini e la partecipazione di autorità e delegati dei Membri Fondatori del CTAO.

“Con l’avvio delle attività del Cherenkov Telescope Array Observatory – dichiara il Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini – celebriamo un momento di grande orgoglio per la ricerca e per l’Italia. Padova, la città dove Galileo trascorse gli anni più proficui per i suoi studi, segnando l’inizio di una nuova stagione per la scienza, oggi rafforza il suo ruolo di protagonista dell’innovazione grazie a questo progetto internazionale di straordinaria portata. Il CTAO conferma la capacità dell’Italia di essere centrale nella costruzione delle più avanzate infrastrutture di ricerca. Il nostro Paese non è soltanto tra i fondatori del CTAO ERIC, ma continua a offrire un contributo decisivo in termini di competenze e tecnologie. Il Veneto concorre così a rafforzare la competitività dell’intero sistema Paese, creando opportunità per i giovani ricercatori e aprendo nuove strade di collaborazione a livello globale. È così che onoriamo la nostra tradizione scientifica, da Galileo ad oggi, guardando al futuro con la fiducia di chi sa che la conoscenza è la chiave del progresso”.

Il CTAO ERIC (acronimo di Consorzio Europeo di Infrastrutture di Ricerca CTAO, forma giuridica di diritto comunitario) vede il supporto internazionale di 10 Paesi e di un’organizzazione intergovernativa. Tra essi l’Italia che, oltre a esserne tra i Membri Fondatori e anche il Paese che ha guidato e ospitato i negoziati per la sua costituzione, ospita la sede centrale del CTAO e contribuisce allo sviluppo tecnologico, alla costruzione e alle operazioni dell’Osservatorio.

“Il CTAO è diventato un ERIC, un’organizzazione europea con una portata e un sostegno che si estendono oltre il continente. Con questo passo, siamo stati in grado di avviare attività di costruzione su larga scala nel nostro sito meridionale e di aumentare il nostro supporto per le attività del sito settentrionale. Tutto ciò è stato possibile solo grazie al sostegno di un numero sempre crescente di membri da tutto il mondo, ai quali siamo grati”, spiega Stuart McMuldroch, Direttore Generale del CTAO. “È un piacere essere qui oggi per celebrare questo progresso internazionale che porterà a importanti scoperte scientifiche”.

L’ambizioso progetto scientifico e tecnologico del CTAO prevede la costruzione di una schiera di oltre 60 telescopi di tre differenti dimensioni distribuiti in due siti, presso l’isola di La Palma (arcipelago delle Canarie, Spagna) per l’emisfero boreale e in Cile per quello australe. Presso il sito CTAO-Nord è attualmente in fase di collaudo il prototipo dei telescopi più grandi, cosiddetti Large-Sized Telescope o LST, che hanno uno specchio principale di 23 metri di diametro, insieme ad altri tre LST in diversi stadi di costruzione. Nei prossimi anni saranno costruiti altri tre LST e un telescopio di dimensioni intermedie (Medium-Sized Telescope, MST), con uno specchio principale di circa 12 metri. Presso il sito CTAO-Sud, presto inizieranno i lavori di installazione dei primi cinque telescopi di piccola taglia, denominati Small-Sized Telescopes (SST) e due MST, la cui consegna è prevista il prossimo anno. L’Osservatorio potrà gestire configurazioni intermedie di telescopi già a partire dal 2027. Queste sottomatrici della configurazione finale saranno già più sensibili di qualsiasi analogo strumento oggi operativo, avvicinando l’Osservatorio ai suoi primi risultati scientifici.

Il CTAO studierà le sorgenti cosmiche più violente dell’Universo, come buchi neri, pulsar e supernove, per comprendere i fenomeni fisici ad altissime energie che li governano e fornire una visione senza precedenti dell’Universo. Obiettivi che saranno raggiunti grazie allo sviluppo e all’utilizzo di tecnologie all’avanguardia e sistemi informatici di raccolta, analisi e archiviazione di enormi quantità di dati di ultima generazione.

“L’Istituto Nazionale di Astrofisica anche in questo caso fa gioco di squadra, sia nella collaborazione internazionale, sia con la continua e proficua collaborazione con Enti ed Università italiane”, dice Roberto Ragazzoni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Di particolare menzione la collaborazione con l’INFN, coinvolgendo in maniera sinergica le diverse strutture dell’INAF, valorizzandone le specificità e le competenze guadagnate nel tempo. Questo nuovo osservatorio dedicato alla radiazione elettromagnetica di alta energia rappresenta un altro importante tassello nella creazione di infrastrutture con capacità multimessaggera”.

Il CTAO è anche un progetto che produrrà Big Data e genererà centinaia di petabyte di dati in un anno. Basandosi sul suo impegno verso l’Open Science, il CTAO sarà il primo osservatorio di raggi gamma del suo genere a operare come osservatorio aperto, guidato da proposte, fornendo accesso pubblico ai suoi dati scientifici di alto livello e ai prodotti software. Il trattamento dei dati sarà gestito presso il suo Centro di Gestione dei Dati Scientifici in Germania.

Il CTAO è stato riconosciuto come “Punto di Riferimento” nella Roadmap 2018 del Forum Europeo Strategico sulle Infrastrutture di Ricerca (ESFRI) ed è stato classificato come la principale priorità tra le nuove infrastrutture da terra nella Roadmap 2022-2035 di ASTRONET. I membri del CTAO ERIC sono Austria, Croazia, European Southern Observatory (ESO), Francia, Germania, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, e Svizzera. Altri Paesi (Australia, Brasile, Giappone, Stati Uniti e Sudafrica) sono attualmente impegnati nel processo di adesione al CTAO ERIC con lo status di Strategic Partner o Third Party.

rendering dei telescopi dell'osservatorio CTAO
Cherenkov Telescope Array Observatory – CTAO: avvio delle attività dell’osservatorio che sarà il più grande e potente al mondo per l’osservazione dell’Universo nello spettro dei raggi gamma. rendering dei telescopi CTAO

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

IL SAPORE DELLE ORIGINI: Team di ricerca italo-giapponese guidato dall’Università di Padova indaga il legame tra cibo e identità

 Il filosofo Ludwig Feuerbach scriveva che “L’uomo è ciò che mangia”. Ancora oggi questa celebre frase descrive bene quanto il cibo sia legato alla nostra identità e non serva solo a nutrirci, ma sia anche un simbolo di tradizioni, valori e cultura. Le nostre abitudini alimentari raccontano chi siamo, da dove veniamo e il modo in cui ci sentiamo parte di una comunità.

Un recente studio pubblicato sulla rivista «British Journal of Psychology» e condotto da un gruppo di ricerca italo-giapponese, coordinato da Mario Dalmaso del dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Waseda di Tokyo, ha indagato il legame tra cibo e identità personale.

Lo studio ha coinvolto partecipanti italiani e giapponesi, due culture con tradizioni culinarie ricche e molto diverse. Ai volontari sono state mostrate immagini di piatti tipici italiani e giapponesi, chiedendo loro di associarli nel modo più rapido e accurato possibile a un’etichetta verbale rappresentante sé stessi o un’ipotetica persona sconosciuta. I risultati hanno rivelato che, anche se i partecipanti riuscivano ad associare alla propria identità entrambi i tipi di cibo, tendevano a sentirsi più vicini e “identificati” con i piatti tipici della propria cultura.

«Questo dimostra che il cibo non è solo nutrimento ma anche un elemento fondamentale della nostra identità – spiega Mario Dalmaso, primo autore dello studio –. Naturalmente viviamo in un mondo globalizzato e negli ultimi anni i piatti di differenti culture, come il sushi, sono diventati molto popolari anche in Italia e viceversa, visto che la cucina italiana è amatissima all’estero. Ma nonostante questa apertura e la contaminazione tra culture, le persone continuano a sentirsi più legate ai sapori che appartengono alle proprie radici».

Mario Dalmaso, primo autore dello studio che ha indagato il legame tra cibo e identità, pubblicato sul British Journal of Psychology
Mario Dalmaso

È noto che stimoli legati alla nostra identità, come il volto o il nome, vengono elaborati in modo prioritario dal cervello: un discorso analogo si può fare per il cibo, che è ciò che va fisicamente a costituire il nostro corpo. Ma cosa succederebbe se a confrontarsi fossero cucine più vicine geograficamente (ad esempio italiani e francesi o giapponesi e coreani)? E, ancora, se al posto di Italia e Giappone (che hanno due identità e cucine molto forti) si mettessero a confronto paesi con una cucina meno “identitaria” (per es. Singapore o Stati Uniti), i risultati sarebbero gli stessi? Queste domande aprono scenari interessanti da esplorare in futuro, perché è ipotizzabile pensare che l’effetto osservato potrebbe risultare meno marcato.

 

Riferimenti bibliografici:

Mario Dalmaso, Michele Vicovaro, Toshiki Saito, Katsumi Watanabe, We are what we eat: Cross-cultural self-prioritization effects for food stimuli – «British Journal of Psychology» – 2025, DOI: https://doi.org/10.1111/bjop.70018

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

PISTE DA SCI E BIODIVERSITÀ: UNA RISORSA INATTESA PER GLI UCCELLI ALPINI

Uno studio del Bird Lab Torino scopre che, in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie. Ma gli impatti ambientali restano una minaccia

Le piste da sci delle Alpi italiane, spesso al centro del dibattito per il loro impatto ambientale, potrebbero offrire un’insolita risorsa ecologica in primavera: aree di alimentazione per diverse specie di uccelli. È quanto emerge dallo studio “Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes”, appena pubblicato sulla rivista Bird Conservation International, condotto dal Bird Lab Torino e guidato dal dott. Riccardo Alba.

La ricerca, svolta nel comprensorio sciistico della Via Lattea, nei pressi di Sestriere (Alpi Cozie), ha documentato la presenza attiva di 17 specie di avifauna lungo le piste innevate. Gli uccelli sembrano prediligere i margini delle piste dove la neve si alterna al fango, creando microhabitat ricchi di invertebrati, proprio in un periodo critico dell’anno in cui le specie devono recuperare energie in vista della stagione riproduttiva.

Alpi Cozie

Il fenomeno è legato allo scioglimento ritardato della neve sulle piste rispetto agli habitat circostanti, dovuto sia al compattamento del manto nevoso sia all’utilizzo di neve artificiale. Una dinamica simile a quella delle chiazze di neve residua in natura, che offre opportunità alimentari in ambienti altrimenti ancora inospitali a fine inverno.

Ma lo studio mette anche in guardia: il bilancio ecologico complessivo dell’attività sciistica resta negativo. La costruzione e la gestione delle piste comportano alterazioni significative dell’ambiente alpino, dalla rimozione della vegetazione alla compattazione del suolo, fino all’impiego sempre più massiccio di neve artificiale, con impatti idrici e biologici ancora poco noti.

Alla luce dei cambiamenti climatici e del previsto calo delle nevicate naturali, gli autori sottolineano l’urgenza di integrare le dinamiche ecologiche legate alla neve e alla fauna nelle strategie di gestione del territorio montano. Promuovere un turismo più sostenibile e una pianificazione attenta agli equilibri ecologici diventa fondamentale per tutelare la biodiversità alpina, oggi sempre più sotto pressione.

uno spioncello (Anthus spinoletta)
Piste da sci e biodiversità: in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie di uccelli sulle Alpi Cozie; lo studio pubblicato sulla rivista Bird Conservation International. In foto, uno spioncello (Anthus spinoletta)

Riferimenti bibliografici:

Alba R, Fragomeni A, Rosselli D, Chamberlain D, Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes, Bird Conservation International 2025;35:e23. doi:10.1017/S0959270925100130

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Malattie respiratorie e rischio infettivo: un nuovo studio evidenzia l’impatto del metapneumovirus umano sugli anziani italiani

I ricercatori della Sapienza sono tra gli autori di uno studio condotto su tutto il territorio nazionale. Pubblicata sulla rivista “The Journal of Infectious Diseases”, la ricerca offre un utile supporto per lo sviluppo di una futura campagna vaccinale.

Il metapneumovirus umano (hMPV) è un agente respiratorio che rappresenta una delle cause frequenti di malattie delle vie aeree con un grado di severità molto ampio e che colpisce tutte le fasce d’età, ma soprattutto i bambini piccoli e gli anziani.

Un ampio studio multicentrico condotto da Sapienza Università di Roma, dall’Università di Milano e quella di Pavia ha raccolto e analizzato i dati ottenuti tra il 2022 e il 2024 da diciassette centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, evidenziando la diffusione del virus e il suo impatto nei soggetti più anziani. La ricerca, finanziata dai fondi del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) nell’ambito delle iniziative sulle infezioni emergenti, è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista “The Journal of Infectious Diseases” in un numero interamente dedicato all’hMPV.

“Lo studio – spiega Guido Antonelli del Dipartimento di Medicina Molecolare della Sapienza, co-autore dello studio e responsabile della UOC “Microbiologia e Virologia” del Policlinico Umberto I di Roma – ha analizzato quasi 100.000 campioni respiratori provenienti da pazienti di tutte le età, ambulatoriali e ospedalizzati, rilevando un tasso di positività all’hMPV del 3,4%. Nella fascia di età superiore ai 50 anni, la positività si attestava al 2,6%, con un terzo dei casi riscontrati in soggetti con più di 80 anni”.

I risultati emersi hanno evidenziato due picchi stagionali del virus – a febbraio 2023 e ad aprile 2024 – che, seppur con alcune variazioni geografiche, hanno un’incidenza sovrapponibile tra la popolazione generale e quella anziana. In alcune aree del Nord-Ovest l’hMPV è stato riscontrato più frequentemente nei pazienti ambulatoriali piuttosto che nei ricoverati.

L’analisi genetica dei ceppi virali ha rilevato una distribuzione equilibrata tra i due principali sottotipi del virus (hMPV-A e hMPV-B), con la predominanza di varianti emergenti e la scomparsa di alcuni ceppi precedentemente circolanti.

“I risultati emersi indicano chiaramente che l’hMPV è un patogeno respiratorio rilevante soprattutto degli adulti più anziani – continua Alessandra Pierangeli, docente di Virologia e co-autrice dello studio – Ciò evidenza l’importanza dello sviluppo di strategia preventive mirate, inclusi eventuali strumenti vaccinali, per proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione”.

La ricerca rappresenta il primo rapporto di tale ampiezza in Italia e un passo fondamentale per migliorare la comprensione dell’epidemiologia dell’hMPV, fornendo un’utile fonte di riferimento per valutare il rapporto costo-beneficio in vista di una futura campagna vaccinale e proponendosi come supporto per le autorità nello sviluppo di interventi mirati di sanità pubblica.

Riferimenti bibliografici:

Mancon, L. Pellegrinelli, G. Romano, E. Vian, V. Biscaro, G. Piccirilli, T. Lazzarotto, S. Uceda Renteria, A. Callegaro, E. Pagani, E. Masi, G. Ferrari, C. Galli, F. Centrone, M. Chironna, C. Tiberio, E. Falco, V. Micheli, F. Novazzi, N. Mancini, T.G. Allice, F. Cerutti, E. Pomari, C. Castilletti, E. Lalle, F. Maggi, M. Fracella, P. Ravanini, G. Faolotto, R. Schiavo, G. Lo Cascio, C. Acciarri, S. Menzo, F. Baldanti, G. Antonelli, A. Pierangeli, E. Pariani, A. Piralla, AMCLI-GLIViRe Working Group, on behalf, Multicenter Cross-sectional Study on the Epidemiology of Human Metapneumovirus in Italy, 2022–2024, With a Focus on Adults Over 50 Years of Age, The Journal of Infectious Diseases, Volume 232, Issue Supplement_1, 15 July 2025, Pages S109–S120, DOI: https://doi.org/10.1093/infdis/jiaf111

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un pipistrello africano tra i vicoli di Lampedusa: scoperta nuova specie per l’Europa, il miniottero del Maghreb

In un articolo pubblicato sulla rivista “Mammalian Biology”, un team di ricerca del CNR e NBFC ha documentato, per la prima volta in Europa, la presenza del “miniottero del Maghreb”, una specie di pipistrello finora considerata esclusiva del Nord Africa

Costa dell’isola di Lampedusa caratterizzata da bunker. Crediti per la foto: Fabrizio Gili
Costa dell’isola di Lampedusa caratterizzata da bunker. Crediti per la foto: Fabrizio Gili

Un team di ricerca che ha riunito due Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche – l’Istituto per la ricerca sulle acque di Verbania (CNR-IRSA) e l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri di Firenze (CNR-IRET) – e il Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC) ha documentato, per la prima volta in Europa, la presenza del miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis), una specie di pipistrello finora considerata esclusiva del Nord Africa.

La scoperta è descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Mammalian Biology: lo studio è stato condotto sull’isola di Lampedusa, situata nello Stretto di Sicilia tra Europa e Africa, avamposto strategico per lo studio delle dinamiche biogeografiche. Proprio qui, il team ha condotto un’indagine approfondita sulla chirotterofauna locale (pipistrelli), combinando tecniche non invasive come il monitoraggio acustico automatico, l’ispezione di potenziali rifugi sotterranei e l’analisi genetica da campioni di guano. L’obiettivo era quello di chiarire la composizione faunistica di un’area finora poco studiata, ma potenzialmente di grande valore conservazionistico.

Le piccole isole, per loro natura, ospitano ecosistemi delicatissimi e vulnerabili a perturbazioni ambientali e climatiche anche minime. Inoltre, la crescente scarsità di risorse idriche legata ai cambiamenti climatici può rappresentare un fattore critico per la sopravvivenza dei chirotteri, che necessitano della presenza di fonti d’acqua per l’idratazione e la termoregolazione”, spiega Fabrizio Gili, ricercatore del CNR-IRSA che ha fatto parte del team di ricerca. “Per quanto attiene in particolare ai chirotteri, storicamente Lampedusa aveva restituito segnalazioni frammentarie di diverse specie, suggerendo una comunità potenzialmente ricca ma mai studiata in modo sistematico e approfondito. Tuttavia, l’aumento della pressione antropica, il turismo e i cambiamenti climatici in atto sollevavano dubbi sulla persistenza attuale di molte di queste specie, alcune delle quali oggi riconosciute come parte di complessi criptici o soggette a drastici declini su scala regionale”.

Nell’ottobre 2024, i ricercatori hanno esplorato l’isola, ispezionando cavità naturali e artificiali, tra cui molti bunker della Seconda guerra mondiale, spesso utilizzati dai pipistrelli come rifugi. L’indagine si è concentrata non solo sulla ricerca di animali, ma anche di tracce indirette della loro presenza, come guano e resti alimentari. E proprio da queste tracce è emersa la scoperta più significativa dello studio.

Bunker di Lampedusa. Crediti per la foto: Fabrizio Gili
Bunker di Lampedusa. Crediti per la foto: Fabrizio Gili

Le analisi genetiche, condotte nei laboratori del CNR-IRET di Firenze su escrementi raccolti presso il vecchio cimitero dell’isola, hanno confermato, per la prima volta in Europa, la presenza del miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis), specie finora nota solo in Marocco, Algeria e Tunisia. Un risultato che amplia i confini geografici della specie e presenta importanti implicazioni di conservazione.

Non si tratta solamente di aggiungere un nome ad un elenco”, precisa il ricercatore. “L’inclusione del miniottero del Maghreb tra le specie presenti in territorio europeo implica, infatti, l’estensione automatica delle misure di tutela previste, come quelle sancite dal Bat Agreement, trattato internazionale nato sotto la Convenzione di Bonn per promuovere la conservazione dei chirotteri e dei loro habitat. Il riconoscimento ufficiale del miniottero del Maghreb tra le specie europee porterebbe a 56 il numero di specie incluse nell’Accordo”.

Il miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis). Crediti per la foto: Jaro Schacht
Il miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis). Crediti per la foto: Jaro Schacht

Oltre al miniottero del Maghreb, lo studio ha documentato almeno altre sette specie sull’isola. Tra queste figurano l’orecchione di Gaisler (Plecotus gaisleri), finora noto in Europa solo per Malta e Pantelleria, e il ferro di cavallo di Mehely (Rhinolophus mehelyi), specie a distribuzione discontinua ristretta alla zona del Mediterraneo. Per entrambe, le sequenze genetiche identificate corrispondono a nuovi aplotipi mitocondriali endemici di Lampedusa, suggerendo un isolamento genetico rispetto ad altre popolazioni insulari o continentali.

Questo dato sottolinea il valore unico delle popolazioni di pipistrelli delle piccole isole, che rappresentano veri scrigni di diversità genetica e che pertanto necessitano di particolare attenzione conservazionistica. Come spesso accade in questi contesti, alcune delle componenti più preziose della biodiversità rischiano di scomparire prima ancora di essere comprese appieno”, conclude Gili.

Lo studio dimostra quanto siano ancora frammentarie le conoscenze sulla distribuzione della chirotterofauna europea, ed evidenzia la necessità di intensificare le ricerche sulla fauna delle isole minori del Mediterraneo, veri laboratori naturali per lo studio della biodiversità, e oggi più che mai ecosistemi da proteggere

Roma, 12 giugno 2025

La scheda

Chi: Istituto per la ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa), Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Iret), Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC)

Che cosa: Non-invasive survey techniques uncover the coexistence of African and European bats on the island of Lampedusa (https://doi.org/10.1007/s42991-025-00503-0)

Testo e foto dagli Uffici Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR e del Centro Nazionale per la Biodiversità – NBFC, via Delos.

Pianura Padana: l’irrigazione intensiva contribuisce alla stabilità delle falde acquifere

Una collaborazione tra Consiglio nazionale delle ricerche, Università di Milano-Bicocca e Università di Berkeley ha inaspettatamente rivelato che aree soggette a irrigazione intensiva mostrano falde acquifere più stabili, anche in presenza di siccità estive ripetute. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Water, ha preso in esame zone della Pianura Padana utilizzate a scopo agricolo, analizzando lo stato delle falde sulla base di dati satellitari

 

Milano, 4 giugno 2025 – L’irrigazione agricola intensiva può contribuire in modo significativo alla resilienza delle falde acquifere nella Pianura Padana, anche in presenza di siccità estive intensificate dai cambiamenti climatici: è  quanto rivela uno studio frutto della collaborazione tra il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (CNR-IRPI), l’Istituto di ricerca sulle acque (CNR-IRSA), l’Università di Milano-Bicocca e l’Università di Berkeley, pubblicato sulla rivista Nature Water.

Lo studio ha preso in esame dati satellitari acquisiti tra il 2002 e il 2022 nell’ambito della missione GRACE della NASA  – oggi terminata, il cui scopo era migliorare la comprensione dei cambiamenti climatici attraverso la misurazione del movimento delle masse d’acqua a livello planetario -, e una rete di oltre 1.000 pozzi di monitoraggio.

Attraverso l’elaborazione di tali dati, il team di ricerca ha tracciato l’evoluzione delle risorse idriche sotterranee rivelando che – nonostante un generale calo dei livelli delle falde – le aree soggette ad irrigazione intensiva mostrano una maggiore stabilità grazie alla ricarica indotta dall’infiltrazione dell’acqua irrigua in eccesso. Questo perché l’irrigazione è generalmente sostenuta da acque superficiali, derivate da fiumi e laghi subalpini (es., Maggiore, Garda, ecc.), che a loro volta sono alimentati dalla fusione nivale.

Lo studio ha infatti dimostrato una correlazione positiva tra la quantità di acqua negli acquiferi di pianura e l’accumulo nivale sulle Alpi. Il risultato dimostra, pertanto, che l’irrigazione, pur essendo una pratica ad alto consumo, può favorire la ricarica delle falde attraverso la percolazione del surplus irriguo.

Il contributo degli Istituti CNR ha riguardato, in modo particolare, l’analisi  idrologica dei dati regionali:

«La ricerca mette in luce l’importanza di comprendere il bilancio idrico in ambito agricolo, soprattutto in una fase in cui  la copertura nevosa alpina diventa sempre meno prevedibile» commenta Christian Massari del CNR-IRPI.

Il contributo dell’Università di Milano-Bicocca ha invece riguardato la stima dei parametri idrogeologici e la costruzione del modello concettuale sul funzionamento del sistema di circolazione idrica:

«In questo quadro, l’elemento critico diventa una possibile siccità invernale, che non permetterebbe di alimentare adeguatamente i fiumi e i laghi e, a sua volta, di praticare un’irrigazione intensiva estiva, che ricarica le falde. Finché ci sarà un’adeguata copertura nivale in inverno, le falde saranno stabilizzate dall’irrigazione, anche in presenza di siccità estive.» chiarisce Marco Rotiroti dell’Università di Milano-Bicocca.

Il lavoro sottolinea l’urgenza di valutare la sostenibilità futura delle pratiche irrigue in un contesto di risorse idriche sempre più limitate, ma anche il potenziale ruolo positivo di alcune pratiche agricole sulla disponibilità idrica locale.

Riferimenti bibliografici:

Carlson, G., Massari, C., Rotiroti, M. et al., Intensive irrigation buffers groundwater declines in key European breadbasket, Nat Water (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s44221-025-00445-4

Via Argine Po, vicino Viadana, provincia di Mantova. Foto di Giorgio Galeotti, CC BY 4.0

Testo dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca.

Uno studio dell’Università di Pisa svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo

La ricerca pubblicata sulla rivista Animal Behaviour mostra come il carattere dei singoli individui influenzi la coesione dei gruppi di colombi durante il volo, anche quando minacciati da RobotFalcon, un predatore robotico usato per la simulazione, la sperimentazione nel laboratorio Arnino a San Piero a Grado (Pisa)

Fare fronte comune di fronte all’ignoto o al pericolo è tutta una questione di personalità, individuale. A rivelare i segreti del volo degli stormi è uno studio condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, appena pubblicato sulla rivista Animal Behaviour. La ricerca che ha analizzato il comportamento collettivo di gruppi di colombi viaggiatori esposti a sfide e mincce, come quella di RobotFalcon, un predatore robotico usato per la sperimentazione. I risultati hanno mostrato che i tratti caratteriali individuali – come la reattività e l’audacia – influenzano in modo decisivo la capacità di un gruppo di rimanere coeso durante il volo.

Uno studio, pubblicato su Animal Behaviour, svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo. Gallery

I ricercatori hanno formato stormi omogenei per “personalità”: alcuni composti da colombi più reattivi, altri da individui meno pronti alla risposta. Dotati di GPS, gli uccelli sono stati seguiti in tre situazioni: il primo volo collettivo lontano dal nido, il ritorno da un sito sconosciuto e l’attacco simulato di un predatore robotico. Nei primi voli, i gruppi più reattivi hanno mantenuto una formazione più compatta, dimostrando un coordinamento superiore. La minaccia del RobotFalcon”, un finto falco pellegrino, ha invece disgregato tutti i gruppi, ma quelli meno reattivi si sono frammentati prima e in modo più marcato.

“Questo studio dimostra che le differenze individuali non si annullano nel gruppo, ma ne modellano le risposte collettive – afferma la dottoressa Giulia Cerritelli dell’Università di Pisa, prima autrice della ricerca – Comprendere questi meccanismi può aiutarci a interpretare meglio i comportamenti sociali degli animali e a sviluppare modelli più realistici di movimento collettivo”.

“Oltre al valore teorico, la ricerca potrebbe avere applicazioni pratiche, ad esempio nella progettazione di strategie per ridurre il rischio incidenti, ad esempio la collisione tra uccelli e aerei, noto come “bird strike, conclude il dottor Dimitri Giunchi dell’Ateneo pisano.

L’esperimento è stato condotto presso la stazione di Arnino dell’Ateneo pisano a San Piero a Grado (Pisa) nell’ambito del progetto PRIN2020 coordinato dal professore Claudio Carere (Università della Tuscia) con il coinvolgimento dell’Università di Pisa e di Milano.

Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Lorenzo Vanni e Anna Gagliardo dell’Unità di Etologia del Dipartimento di Biologia dove da anni si studiano i meccanismi di orientamento  del colombo viaggiatore.

Riferimenti Bibliografici:

Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Robert Musters, Irene Vertua, Lorenzo Vanni, Diego Rubolini, Anna Gagliardo, Claudio Carere, Personality composition affects group cohesion of homing pigeons in response to novelty and predation threat, Animal Behaviour, Volume 223, 2025, 123122, ISSN 0003-3472, DOI: https://doi.org/10.1016/j.anbehav.2025.123122

 

Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Infezioni da RSV nei bambini: costi economici significativi anche fuori dall’ospedale

L’Università di Pisa partner della ricerca: 3400 bambini coinvolti in cinque paesi europei

Uno studio europeo pubblicato sulla rivista Eurosurveillance dimostra che le infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) nei bambini sotto i 5 anni generano un impatto economico rilevante anche quando non richiedono il ricovero. L’Università di Pisa è tra i protagonisti della ricerca.

La ricerca, condotta in cinque Paesi europei (Italia, Belgio, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna), ha evidenziato che le visite ripetute dal medico di base e l’assenteismo dal lavoro dei genitori rappresentano i principali costi sociali delle infezioni da RSV gestite dall’assistenza primaria.

“Si tratta di dati fondamentali per supportare decisioni su nuove strategie di immunizzazione contro l’RSV nei bambini. Finora ci si era concentrati quasi esclusivamente sui costi del ricovero ospedaliero. Questo studio mostra invece che anche le forme gestite a casa e dal pediatra comportano un impatto economico non trascurabile”,

spiega la professoressa Caterina Rizzo, docente di Igiene e medicina preventiva presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, tra le autrici dello studio.

Lo studio ha coinvolto oltre 3.400 bambini con infezioni respiratorie acute, di cui circa un terzo è risultato positivo all’RSV. I dati, raccolti tra il 2020 e il 2023, mostrano differenze significative nei costi tra i Paesi: le spese sanitarie per singolo caso variano da 97 euro nei Paesi Bassi a 300 euro in Spagna, mentre l’assenteismo da lavoro dei genitori comporta costi medi che vanno da 454 euro nel Regno Unito fino a 994 euro in Belgio.

In Italia, la partecipazione dell’Università di Pisa ha incluso la raccolta dei dati attraverso i pediatri di libera scelta in quattro regioni (Puglia, Lazio, Toscana, Liguria e Lombardia), il coordinamento locale dello studio, la supervisione scientifica e l’analisi dei risultati in collaborazione con gli altri partner europei.

“La pubblicazione arriva in un momento cruciale, con l’introduzione recente di nuovi strumenti di immunizzazione contro l’RSV, come anticorpi monoclonali e vaccinazione materna – conclude Rizzo – La disponibilità di dati affidabili sull’impatto economico della patologia a 360 gradi è essenziale per valutarne la sostenibilità e l’impatto sulle famiglie e sui sistemi sanitari”.

Caterina Rizzo
Le infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) nei bambini sotto i 5 anni portano costi economici significativi anche fuori dall’ospedale. In foto, Caterina Rizzo

Riferimenti bibliografici:

Sankatsing Valérie DV, Hak Sarah F, Wildenbeest Joanne G, Venekamp Roderick P, Pistello Mauro, Rizzo Caterina, Alfayate-Miguélez Santiago, Van Brusselen Daan, Carballal-Mariño Marta, Hoang Uy, Kramer Rolf, de Lusignan Simon, Martyn Oliver, Raes Marc, Meijer Adam, on behalf of the RSV ComNet Network, van Summeren Jojanneke. Economic impact of RSV infections in young children attending primary care: a prospective cohort study in five European countries, 2021 to 2023, Euro Surveill., 2025;30(20):pii=2400797, DOI: https://doi.org/10.2807/1560-7917.ES.2025.30.20.2400797

ospedale bambini
Foto di Mylene2401

Testo e foto (ove non indicato diversamente) dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

“Social History”: in esclusiva su RAIPlay la docu-serie che esplora l’evoluzione dei content creator in Italia, dalla nascita della viralità ai social media di oggi

Guida completa per comprendere un fenomeno che ha ridefinito la fama e la comunicazione, attraverso testimonianze, interviste e analisi

Social History, la docu-serie banner

Il link su RAIPlay: https://www.raiplay.it/programmi/socialhistory

È disponibile in esclusiva su RAIPlay “Social History”, la docu-serie prodotta da Bug s.r.l. in collaborazione con RAI Documentari, che esplora l’evoluzione dei content creator in Italia, dalla nascita della viralità ai social media di oggi.

Con un approccio avventuroso e ispirato alla “Guida Galattica per Autostoppisti”, la docu-serie nata dal soggetto e sceneggiatura di Mauri Valente con la regia di Gaetano Acunzo, racconta storie, dinamiche, l’impatto culturale e l’evoluzione della Creator Economy. Attraverso interviste e analisi, svela il dietro le quinte delle nuove professioni legate al mondo digital, offrendo una guida completa per comprendere un fenomeno che ha ridefinito i concetti di celebrità e comunicazione.

sei episodi della docu-serie tratteggiano un viaggio che parte dalla genesi degli influencer, o meglio, dei content creator, ripercorrendo l’evoluzione di queste figure da fenomeno di nicchia a pilastro del marketing contemporaneo. Dove tutto ebbe inizio, dunque.

Gli influencer possono essere più che semplici intrattenitori: con la loro esposizione mediatica possono essere motori di cambiamento, avere un ruolo importante nella sensibilizzazione su temi come sostenibilità, inclusione, diritti civili e salute mentale. In un panorama spesso ridotto a polemiche e fake news, esistono creator che usano la propria influenza per scopi positivi.

Nella docu-serie “Social History” si analizzeranno le abitudini digitali sia degli utenti comuni, che dei professionisti del settore, riuscendo a fornire un’idea chiara di come si sia trasformata negli anni recenti la percezione di questa professione, fino alla costruzione di veri e propri imperi digitali.

La docu-serie “Social History” racconta anche il dietro le quinte della quotidianità dei content creator, per scoprire le sfide, i ritmi serrati e le pressioni del mestiere. Un viaggio senza filtri per capire cosa significhi davvero “lavorare con il web”.

L’impatto economico degli influencer è ormai innegabile: generano ingenti fatturati, dettano mode, orientano il mercato. In “Social History” viene esplorato il loro rapporto con le aziende, dai casi di studio sulle collaborazioni di successo fino alle strategie di marketing che hanno rivoluzionato l’universo dei branded content.

Nel documentario ci si interroga se è davvero così facile guadagnare coi social, quali sono i rischi della notorietà improvvisa e cosa succede quando si prova a migrare dai social ai media più tradizionali, come radio e tv.

Nel corso del viaggio viene anche approfondito l’impatto psicologico del lavoro da influencer, con un focus su ansia, depressione, burnout e gestione della pressione sociale, attraverso interviste coi creator che hanno affrontato pubblicamente queste difficoltà e con esperti di salute mentale.

Il lavoro è stato realizzato con il supporto dell’Associazione Italiana Content & Digital Creators (AICDC), punto di riferimento per la rappresentanza degli operatori della creator economy. L’associazione si impegna nella tutela dei diritti dei creator, nella promozione di una normativa dedicata e nella diffusione di una cultura che riconosca il valore professionale e culturale di queste nuove figure nel panorama digitale.

Nutrito l’elenco dei creator che hanno prestato la loro esperienza al progetto: Alessandro Montesi, AlicelikeAudrey, Carmagheddon, Cooker Girl, Daniele Doesn’t Matter, IlvostrocaroDexter, diEFFE, Francesco Sole, Iris Di Domenico, KingAsh, LaSabri, Leonardo Decarli, Maurizio Merluzzo, Poldo, Samara Tramontana, Sespo, Willwoosh.

Il tutto valorizzato dalle voci autorevoli di Antonio Affinita, Direttore Generale MOIGE; Antonio Pone, Direttore generale INPS; Carlo Corazza, Rappresentante in Italia Parlamento Europeo; Francesca Mortari, Director YouTube Southern Europe at Google; Gabriele Fava, Presidente INPS Gabriele Gaibo (GaBBoDSQ); Helio di Nardo, CEO of Showreel Factory iPantellas;  Luca Leoni, CEO of Showreel Media Group Mark The Hammer; Massimiliano Capitanio, Commissario AGCOM; Mauri Valente, Creator e Vicepresidente AICDC; Paolo Cellamare, Founder TheBestBlend srl Pika Palindromo; Samantha Vitali, Psicologa e psicoterapeuta, Stefano Da Empoli, Presidente I-com.

 

Una produzione: Bug Srl
In collaborazione con: RAI Documentari
Scritto da: Maurizio Lorenzo Valente
Regia: Gaetano Acunzo
Anno: 2025
Episodi: 6

RAI Documentari è la direzione di riferimento all’interno dell’azienda per l’industria del documentario.

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Bug s.r.l., Savoia.