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PER PRODURRE L’ETILENE CI VUOLE… IL SOLE: un’alternativa sostenibile al processo utilizzato in industria per convertire l’acetilene in etilene attraverso la luce solare e idruri di cobalto

Studio dell’Università di Padova rivoluziona i processi chimici di produzione di etilene puro con la luce solare per un futuro più sostenibile

Un catalizzatore a base di cobalto (in centro) promuove la conversione di molecole di acetilene (a sinistra) in molecole di etilene (a destra) mediante l’impiego della luce come fonte energetica
Un catalizzatore a base di cobalto (in centro) promuove la conversione di molecole di acetilene (a sinistra) in molecole di etilene (a destra) mediante l’impiego della luce come fonte energetica

L’etilene è la sostanza chimica organica più importante dell’industria moderna: con una produzione annua che raggiunge 200 milioni di tonnellate, le sue applicazioni spaziano dalla produzione di circa il 60% di tutte le plastiche alla gestione agricola, fino alla sintesi di numerosi prodotti chimici e composti organici.

Oggigiorno l’etilene viene prodotto principalmente attraverso la pirolisi petrolchimica di idrocarburi, un processo industriale che introduce delle impurezze di acetilene che limitano il diretto utilizzo dell’etilene prodotto. Per questo motivo, in industria, l’etilene deve essere prima purificato dall’acetilene in un processo di trasformazione che attualmente presenta grandi problematiche in termini di sostenibilità poiché necessita di alte temperature e metalli nobili – costosi e difficili da reperire – come catalizzatori. Nonostante i progressi compiuti, queste strategie tradizionali per la conversione dell’acetilene in etilene possiedono ancora una selettività relativamente bassa (ossia l’acetilene non viene soltanto convertito nel desiderato etilene, ma una parte di esso viene anche convertito in prodotti non desiderati).

Miscele fotocatalitiche illuminate dalla luce visibile nei laboratori Unipd di Arcudi e Ðorđević. Una molecola agisce da fotosensibilizzatore mediante l’assorbimento della luce e, in tal modo, promuove la reazione chimica ad opera di un’altra molecola che agisce da catalizzatore
Miscele fotocatalitiche illuminate dalla luce visibile nei laboratori Unipd di Arcudi e Ðorđević. Una molecola agisce da fotosensibilizzatore mediante l’assorbimento della luce e, in tal modo, promuove la reazione chimica ad opera di un’altra molecola che agisce da catalizzatore

Nello studio dal titolo Photocatalytic Semi-Hydrogenation of Acetylene to Polymer-Grade Ethylene with Molecular and Metal–Organic Framework Cobaloximes e pubblicato sulla prestigiosa rivista «Advanced Materials», il team di ricerca internazionale coordinato da Francesca Arcudi e Luka Ðorđević del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova e da Joe Hupp della Northwestern University (Illinois, USA) ha riportato una strategia efficiente per convertire l’acetilene in etilene attraverso la luce solare, rappresentando un’alternativa sostenibile al processo utilizzato in industria.

«Abbiamo scoperto che una classe di molecole a base di cobalto, un metallo non nobile, è in grado di ridurre l’acetilene ad etilene impiegando la luce come fonte energetica. Con il nostro sistema, rispetto a quello utilizzato in industria, è possibile far avvenire questa importante trasformazione chimica a temperatura ambiente impiegando dei materiali poco costosi» spiega Francesca Arcudi, corresponding author dello studio e docente al dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova.

I ricercatori hanno scoperto che a essere responsabile delle elevate prestazioni dei loro sistemi è la formazione di una particolare specie di cobalto.

«Grazie all’impiego della luce abbiamo generato dei cobalto idruri altamente reattivi e selettivi per questa reazione. Inoltre, è importante sottolineare che siamo stati in grado di sviluppare dei materiali che possono anche essere riciclati» aggiunge Anna Fortunato, assegnista di ricerca del dipartimento di Scienze Chimiche e co-prima autrice dell’articolo.

Francesca Arcudi e Luka Ðorđević sono stati i primi, nel 2022, a dimostrare un’alternativa sostenibile a questa reazione industriale mediante l’utilizzo della luce e lo studio appena pubblicato rappresenta un significativo passo avanti in termini di efficienza e selettività verso la reale implementazione industriale di questo rivoluzionario processo guidato dalla luce. Il sistema riportato dal gruppo di giovani ricercatori patavini ha mostrato sorprendenti risultati: rispetto ai processi tradizionali che raggiungono una selettività di circa l’85% per l’etilene con una conversione di acetilene del 90%, questo nuovo sistema che utilizza la luce raggiunge una selettività superiore al 99,9% per l’etilene con una completa conversione di acetilene. Tali efficienze e selettività sono state raggiunte in meno di un’ora di irradiazione.

«Le alte efficienze riportate in questo studio, oltre a rendere il nostro sistema un’alternativa sostenibile all’attuale processo di purificazione dell’etilene, aprono anche nuove prospettive per produrre etilene puro direttamente dall’acetilene utilizzando la luce solare, fonte di energia pulita, inesauribile e rinnovabile» spiega Luka Ðorđević, corresponding author dello studio e docente al dipartimento di Scienze Chimiche dell’Ateneo patavino.

La ricerca di nuove molecole e materiali è cruciale per facilitare la transizione verso un’industria chimica più sostenibile. Lo studio apre la strada a una rivoluzionaria metodologia che sostituisce le alte temperature con la luce per purificare questa importante molecola chimica, oltre a rappresentare un’alternativa produzione di etilene che potrebbe del tutto eliminare la pirolisi petrolchimica di idrocarburi utilizzando un metodo più pulito ed efficiente.

Da sinistra: Luka Đorđević, Anna Fortunato, Edoardo Saggioro, Francesca Arcudi
Da sinistra: Luka Đorđević, Anna Fortunato, Edoardo Saggioro, Francesca Arcudi

Lo studio è stato svolto nell’ambito del progetto europeo ERC Starting Grant recentemente finanziato dall’Unione Europea del professor Luka Ðorđević, e dei progetti di ricerca della dottoressa Francesca Arcudi per il programma Rita Levi Montalcini del Ministero dell’Università e della Ricerca e per lo STARS consolidator grant che le è stato recentemente finanziato dall’Università di Padova.

Link: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/adma.202408658

Titolo: Photocatalytic Semi-Hydrogenation of Acetylene to Polymer-Grade Ethylene with Molecular and Metal–Organic Framework Cobaloximes – «Advanced Materials» – 2024

Autori: Aaron E.B.S. Stone, Anna Fortunato, Xijun Wang, Edoardo Saggioro, Randall Q. Snurr, Joseph T. Hupp, Francesca Arcudi, Luka Ðorđević

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Che cosa sono microplastiche e nanoplastiche e quale impatto hanno sulla salute umana e sull’ambiente circostante?

 

Che cosa sono le microplastiche?

Le plastiche sono componenti onnipresenti nella vita di tutti i giorni. Dal punto di vista chimico sono polimeri di idrocarburi, cioè un insieme di molecole contenenti solo carbonio, idrogeno e ossigeno. I motivi del loro successo sono principalmente la loro leggerezza, versatilità, resistenza ed economicità.

Un aspetto da considerare seriamente è la loro permanenza nell’ambiente: se non sono smaltite correttamente, le plastiche raggiungono i corsi d’acqua e i mari, ma non solo. Probabilmente, avrai sentito parlare dell’isola di plastica presente tra la California e le Hawaii, nell’Oceano Pacifico: una massa di detriti galleggianti. Le plastiche sono pericolose per gli animali marini, che possono cibarsene o rimanervi intrappolati. Eppure, non sono i rifiuti visibili il problema, ma quelli (quasi) invisibili.

Le cosiddette microplastiche (una presentazione del tema qui) hanno dimensioni inferiori ai 5mm e sono state rinvenute negli ecosistemi terrestri, marini e di acqua dolce, nonché negli alimenti e nell’acqua potabile. Le microplastiche si distinguono in primarie e secondarie, a seconda della loro origine. Le prime sono prodotte per uso domestico e industriale grazie alle loro proprietà abrasive (per esempio, nei cosmetici); le secondarie hanno origine da fenomeni di erosione e degradazione dei rifiuti plastici quando sono esposti, per esempio, alla luce solare.  

microplastiche nanoplastiche ambiente
Foto di Hans

Microplastiche nell’ambiente

La plastica si degrada continuamente nell’ambiente in particelle via via più piccole facilmente trasportate dall’aria. Anche i microrganismi possono contribuire alla degradazione delle plastiche (si parla di biodegradazione), dal cui processo, temperatura-dipendente, si ottengono anidride carbonica, metano e acqua. Ma le condizioni per una completa degradazione raramente si verificano nell’ambiente marino.

In più, i polimeri più comunemente utilizzati non sono facilmente biodegradabili: sono soggetti alla deformazione e alla frammentazione in micro e nanoplastiche. Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri). Entrambe permangono nell’ambiente per secoli e possono essere ingerite da invertebrati e piccoli pesci, entrando così nella catena alimentare, di cui fa parte anche l’uomo. Oltre alla plastica, bisogna considerare che si tratta di una complessa combinazione di sostanze chimiche, tra cui vi sono anche gli additivi per conferire resistenza e flessibilità alle materie plastiche.

Quante sono le specie di animali che subiscono l’inquinamento da plastica? Vi sono specie più esposte di altre? Per esempio, studi di laboratorio sulle ostriche, invertebrati marini filtratori, hanno riscontrato che le plastiche possono danneggiare, tra le altre cose, il loro sistema riproduttivo. I particolati agiscono negativamente anche sulle cellule del sistema immunitario, sulla composizione del microbiota e sulle funzionalità neuro-endocrine sia in specie acquatiche che in animali di laboratorio.  

Foto di Naja Bertolt Jensen 

Microplastiche nel corpo umano 

Nel rapporto ISTISAN 21|2 “Strategie di campionamento di microplastiche negli ambienti acquatici e metodi di pretrattamento” dell’Istituto Superiore di Sanità, si legge:

la tossicità e l’impatto sulla salute umana delle microplastiche non sono del tutto conosciute perché la loro caratterizzazione e classificazione non sono standardizzate.

Anche l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority, in sigla EFSA) ha esaminato la letteratura scientifica esistente sull’argomento, rilevando l’insufficienza dei dati relativi alla presenza, alla tossicità e al destino delle microplastiche e nanoplastiche negli alimenti ai fini di una valutazione completa del rischio. Tuttavia, l’EFSA riconosce che l’argomento richiede un’attenzione particolare.

Attraverso la catena alimentare, la plastica ingerita dagli animali può arrivare direttamente sulla nostra tavola. Le microplastiche sono state trovate nella birra, nel miele e nell’acqua del rubinetto.

Per cui, non sorprende se di recente sono state trovate tracce di plastica anche all’interno del corpo umano. Come riporta Margherita Ghiara nel suo articoloMicroplastiche ovunque, anche nel sangue”, è noto da tempo alla comunità scientifica come il tessuto polmonare o le deiezioni di adulti e bambini possano contenere tracce di microplastiche.

Inoltre, un gruppo di ricercatori della Vrije Universiteit Amsterdam e dell’Amsterdam University Medical Center ha confermato la presenza di tracce di microplastica nel sangue umano. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, è stata condotta dall’ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica analitica Marja Lamoree. Lo studio, eseguito su una popolazione di 22 donatori volontari, ha evidenziato la presenza di polimeri particolarmente utilizzati in prodotti di uso comune. In aggiunta a sangue, polmoni e feci, nel 2021 sono stati riscontrati frammenti microplastici anche nella placenta umana.

Tuttavia, stabilire se le microplastiche provochino danni o meno è molto difficile. Infatti, la natura del rischio dipende sia dalle caratteristiche fisiche e dalla composizione chimica delle microplastiche, sia dal tempo necessario per biodegradarsi. Studi precedentemente effettuati in vitro hanno dimostrato alcune possibili implicazioni derivanti dall’esposizione a microplastiche, ma i punti da chiarire sono ancora molti.

sangue emofilia A in forma grave
Immagine di Arek Socha

Microplastiche nel cervello  

All’elenco degli organi in cui sono state trovate microplastiche si aggiunge anche il cervello. Infatti, nei pesci sono state trovate tracce di plastica nel cervello e questo è stato collegato ad alterazioni fisiche e chimiche del sistema nervoso, nonché a variazioni comportamentali. Nel giugno 2020 i ricercatori del Neurotoxicology Research Group dell’Università di Utrecht riportarono in una review i principali effetti, fino ad allora noti, delle particelle di plastica sul sistema nervoso non-umano, avanzando l’ipotesi che esse potessero entrare nel circolo sanguigno e attraversare la barriera ematoencefalica (struttura che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche da e verso il cervello).

La dottoressa Verena Kopatz e altri ricercatori dell’Università di Vienna e i collaboratori da Stati Uniti, Ungheria e Olanda hanno scoperto particelle di plastica nel cervello di topo dopo due ore dall’ingestione di acqua contenente microplastiche. I risultati sono stati ottenuti mediante studi sui topi e simulazioni matematiche al computer. Lo studio prevedeva la somministrazione di acqua contenente polistirene, il tipo di plastica più comune degli imballaggi alimentari.
Le domande aperte sono ancora molte: il meccanismo osservato nel modello murino e simulato matematicamente al computer sarà lo stesso nell’essere umano? Quanta plastica è necessaria per causare un danno? Qual è il ruolo delle microparticelle di plastica negli stati infiammatori e patologici del cervello?
Nel mentre che la ricerca scientifica sul tema va avanti, bisognerebbe ridurre l’esposizione e l’uso della plastica allo stretto indispensabile.
 

Quali alternative o soluzioni?  

Per ridurre l’esposizione alle microplastiche, è importante limitare l’uso di prodotti di plastica monouso e utilizzare alternative come bottiglie riutilizzabili e contenitori per alimenti in vetro o acciaio inossidabile. 

Possibili soluzioni sono l’introduzione di un’alternativa alle microplastiche primarie con materiali diversi e la riduzione delle microplastiche secondarie, incrementando la raccolta e il riciclo dei materiali plastici. Motivati dalle preoccupazioni per l’ambiente e per la salute delle persone, diversi Stati membri dell’UE hanno già emanato o proposto divieti nazionali sugli usi intenzionali delle microplastiche nei prodotti di consumo. I divieti riguardano principalmente l’uso di microgranuli nei cosmetici che vengono lavati via dopo l’uso, in cui le microplastiche sono utilizzate come agenti abrasivi e leviganti.  L’Unione Europea vuole diventare pioniere nella lotta globale all’inquinamento ambientale, in particolare per quanto riguarda la plastica. Ricerca scientifica e politiche mirate potrebbero davvero ridurre il volume e l’impatto ambientale di alcuni prodotti di plastica. 

Per avere un quadro più ampio sulle plastiche si consiglia anche il recente libro “Quello che sai sulla plastica è sbagliato” di Ruggero Rollini, Simone Angioni e Stefano Bertacchi. Clicca qui per recensione del libro e intervista agli autori.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, pubblicato da Gribaudo (2023)

 

Per rispondere ad alcune domande sulle microplastiche, non perderti la mostra “Invisible – L’impronta nascosta delle microplastiche” al Festival della Scienza di Genova, visitabile dal 26 ottobre al 3 novembre. Mediante esperienze interattive sarà possibile esplorare le caratteristiche chimico-fisiche delle microplastiche e capire quali sono le principali fonti nascoste, imparare che cosa si intende con il termine plastisfera e cosa possiamo fare per migliorare la situazione come singole persone e come società.

 

Fonti 

  • L’educazione civica per l’Agenda 2030 (Link)  
  • Le microplastiche sono nel nostro corpo. Ma quanto sono dannose per la salute umana? (Link
  • Microplastiche: tutto quello che dovete sapere (Link)
  • Microplastiche ovunque, anche nel sangue (Link)
  • Microplastiche: origini, effetti e soluzioni (Link)
  • Strategie di campionamento di microplastiche negli ambienti acquatici e metodi di pretrattamento (Link)
  • Nanoplastic Ingestion Causes Neurological Deficits (Link)
  • Opinion: Plastic Pollution May Endanger Brains (Link)
  • Plastic is already in blood, breast milk, and placentas. Now it may be in our brains (Link)
  • Plastic Particles Found in The Brains of Mice Just Two Hours After They Ate (Link)
  • The plastic brain: the potential neurotoxicity of microplastics (Link)
  • Plastic waste and recycling in the EU: facts and figures (Link)
  • Microplastiche e nanoplastiche negli alimenti: una questione emergente (Link)