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Federico Lelli

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CINQUINA DI GALASSIE PER IL VST

Cinque straordinarie galassie nelle nuove, dettagliatissime immagini realizzate dal VST, il telescopio italiano gestito dall’Istituto Nazionale di Astrofisica presso l’Osservatorio ESO di Paranal, in Cile

L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) rilascia oggi le immagini di cinque galassie dell’universo locale, riprese con il telescopio italiano VST (VLT Survey Telescope) gestito da INAF in Cile. Le nuove immagini mostrano queste iconiche galassie nei minimi dettagli, immortalandone la forma, i colori e la distribuzione delle stelle fino a grandi distanze dal centro. Due di esse, la galassia irregolare NGC 3109 e la irregolare nana Sestante A, si trovano ai confini del cosiddetto Gruppo Locale, di cui fa parte anche la nostra galassia, la Via Lattea, e si trovano a circa quattro milioni di anni luce da noi. Altre due galassie, la splendida galassia a spirale nota come Girandola del Sud (ma anche NGC 5236 o M 83) e la irregolare NGC 5253, si trovano, rispettivamente, a circa quindici e undici milioni di anni luce dalla nostra, mentre la quinta e più lontana, la galassia a spirale IC 5332, dista circa trenta milioni di anni luce.

Le osservazioni sono state realizzate in tre filtri, o colori, nell’ambito della survey VST-SMASH (VST Survey of Mass Assembly and Structural Hierarchy), un progetto guidato da Crescenzo Tortora, ricercatore dell’INAF a Napoli, per comprendere i meccanismi che portano alla formazione delle tante e diverse galassie che popolano il cosmo. Le cinque galassie di cui oggi vengono diffuse le immagini sono parte di un campione di 27 galassie che il team sta studiando con il VST, telescopio dotato di uno specchio dal diametro di 2,6 metri, costruito in Italia e ospitato dal 2012 presso l’Osservatorio ESO di Cerro Paranal, in Cile. Queste galassie sono state selezionate accuratamente nella porzione di cielo che, nel corso dei prossimi anni, sarà osservata anche dal satellite Euclid dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per fornire una controparte ottica più dettagliata (fino a lunghezze d’onda corrispondenti al colore blu) ai dati spaziali raccolti dallo strumento VIS (a lunghezze d’onda corrispondenti al colore rosso) e dallo strumento NISP nel vicino infrarosso. Il gruppo ha presentato la survey in un articolo pubblicato sulla rivista The Messenger dell’ESO.

“Cerchiamo di capire come si formano le galassie, in funzione della loro massa e del loro tipo morfologico. Questo significa chiedersi come si formano le stelle in situ, all’interno delle galassie, ma anche come vengono accumulate (ex situ) attraverso processi di merging, cioè di fusione, con altre galassie” spiega Tortora, alla guida di un team internazionale che coinvolge molti ricercatori e ricercatrici di svariate sedi INAF. “Per fare questo, dobbiamo tracciare i colori di queste galassie fino alle regioni periferiche, per poter investigare la presenza di strutture molto deboli appartenenti a queste galassie, e popolazioni di galassie poco brillanti che vi orbitano attorno. Questo è utile per poter tracciare i residui delle interazioni galattiche, e quindi vincolare il processo gerarchico della formazione delle strutture cosmiche”.

L’analisi dei dati raccolti è ancora all’inizio, ma le osservazioni si sono già dimostrate efficaci, permettendo al team di esaminare le galassie fino a brillanze superficiali molto basse, che fino a qualche anno fa erano difficili da osservare. Il telescopio VST, grazie al suo grande campo di vista di un grado quadrato, pari a circa quattro volte l’area della luna piena nel cielo, è stato lo strumento fondamentale che ha permesso di realizzare queste immagini in un tempo relativamente breve – osservando il campo intorno a queste galassie, nei tre filtri, con 10 ore di osservazioni per grado quadrato. In confronto, realizzare una sola di queste immagini con il telescopio spaziale Hubble avrebbe richiesto molti puntamenti consecutivi.

“È la prima volta che tutte queste galassie vengono osservate in maniera così profonda e dettagliata, e con dati omogenei”, aggiunge Tortora. “Negli anni a venire, solo Euclid raggiungerà le nostre profondità ottiche, ma non potrà contare sulla vasta copertura nelle lunghezze ottiche del VST. Il Vera Rubin Observatory, invece, pur osservando in regioni spettrali simili alle nostre, raggiungerà profondità simili solo dopo molti anni di osservazione. Questo rende VST uno strumento che può ancora dire la sua, e dà speranze per interessanti risultati all’interno della nostra survey”, conclude.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “VST-SMASH: the VST survey of Mass Assembly and Structural Hierarchy”, di Crescenzo Tortora, Rossella Ragusa, Massimiliano Gatto, Marilena Spavone, Leslie Hunt, Vincenzo Ripepi, Massimo Dall’Ora, Abdurro’uf, Francesca Annibali, Maarten Baes, Francesco Michel Concetto Belfiore, Nicola Bellucco, Micol Bolzonella, Michele Cantiello, Paola Dimauro, Mathias Kluge, Federico Lelli, Nicola R. Napolitano, Achille Nucita, Mario Radovich, Roberto Scaramella, Eva Schinnerer, Vincenzo Testa e Aiswarya Unni, è stato pubblicato online sulla rivista The Messenger dell’ESO.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

AI CONFINI DELLA MATERIA OSCURA CON UNA LENTE GRAVITAZIONALE DEBOLE: LE VELOCITÀ DI ROTAZIONE DELLE GALASSIE RIMANGONO COSTANTI ANCHE A DISTANZE MOLTO GRANDI DAL LORO CENTRO

Lo studio pubblicato oggi su arXiv.org e in stampa su The Astrophysical Journal Letters aggiunge un tassello importante alla risoluzione dell’enigma della materia oscura – la cui natura è una delle grandi domande dell’astrofisica moderna tuttora senza risposta – mettendo potenzialmente in discussione i modelli cosmologici generalmente condivisi. Il gruppo di ricerca che ha firmato lo studio – di cui fa parte anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – ha dimostrato che le velocità di rotazione delle galassie rimangono inaspettatamente costanti anche a distanze molto grandi dal loro centro, confermando le previsioni della teoria della gravità modificata (Modified Newtonian Dynamics – MOND, ovvero dinamica newtoniana modificata) che non contempla la presenza di materia oscura nell’universo.

 Grafico che illustra le osservazioni riportate nell’articolo: i punti rossi mostrano la curva di rotazione della galassia UGC 6614 usando osservazioni "classiche" della cinematica del gas, mentre i punti celesti mostrano il nuovo risultato statistico usando la tecnica del weak lensing. Crediti: T. Mistele et al. (2024)
Grafico che illustra le osservazioni riportate nell’articolo: i punti rossi mostrano la curva di rotazione della galassia UGC 6614 usando osservazioni “classiche” della cinematica del gas, mentre i punti celesti mostrano il nuovo risultato statistico usando la tecnica del weak lensing. Crediti: T. Mistele et al. (2024)

In questo lavoro è stata sviluppata una nuova tecnica che consente di misurare le cosiddette curve di rotazione delle galassie – ovvero le velocità di rotazione delle galassie dal loro centro – fino a grandissime distanze, pari a circa due milioni e 500 mila anni luce. La tecnica utilizzata sfrutta il fenomeno della lente gravitazionale debole (weak gravitational lensing). Le implicazioni di questa scoperta potrebbero essere potenzialmente molto ampie, portando a ridefinire la nostra comprensione della materia oscura anche tramite teorie cosmologiche alternative.

Il fenomeno della lente gravitazionale è stato previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein e si verifica quando un oggetto massiccio, come un ammasso di galassie o anche una singola stella massiccia, devia il percorso della luce proveniente da una sorgente lontana con il suo campo gravitazionale. Questa curvatura della luce avviene perché la massa dell’oggetto deforma il tessuto dello spaziotempo che lo circonda.

Federico Lelli, primo ricercatore presso l’INAF di Arcetri, spiega i risultati dello studio:

“Abbiamo usato la tecnica del weak gravitational lensing per misurare in modo statistico la ‘curva di rotazione’ media di galassie di diversa massa, raggiungendo grandissime distanze dal centro. Troviamo che le curve di rotazione continuano a rimanere piatte per centinaia di migliaia di anni luce, possibilmente fino a qualche milione di anni luce: questo è sorprendente perché a tali distanze ci si aspetterebbe di aver raggiunto il ‘bordo’ dell’alone di materia oscura, quindi le curve di rotazione dovrebbero iniziare a mostrare una decrescita kepleriana, ma invece rimangono piatte”.

Federico Lelli (INAF), esperto di dinamica delle galassie e dei sistemi di galassie (gruppi e ammassi) come banchi di prova sia per teorie di materia oscura che per teorie gravitazionali alternative. Crediti: INAF
Federico Lelli (INAF), esperto di dinamica delle galassie e dei sistemi di galassie (gruppi e ammassi) come banchi di prova sia per teorie di materia oscura che per teorie gravitazionali alternative. Crediti: INAF

Le curve di rotazione misurano la velocità che un corpo celeste (come una stella o una nube di gas) a una certa distanza dal centro galattico deve avere per rimanere in un’orbita circolare attorno alla galassia. La presenza di materia oscura nelle galassie è stata dedotta studiando proprio le curve di rotazione, negli anni a cavallo tra il 1970 e 1980. Si ritiene le curve di rotazione delle galassie debbano diminuire con l’aumentare della distanza dal centro della galassia. Secondo la gravità newtoniana, le stelle che si trovano ai margini esterni della galassia dovrebbero essere più lente a causa di una minore attrazione gravitazionale. Poiché questa ipotesi non corrisponde alle osservazioni, gli scienziati hanno ipotizzato la presenza della cosiddetta materia oscura, che non emetterebbe radiazione elettromagnetica ma sarebbe rilevabile solo mediante gli effetti del suo campo gravitazionale. Anche supponendo l’esistenza della materia oscura però, a un certo punto il suo effetto dovrebbe affievolirsi con la distanza, e quindi le curve di rotazione delle galassie non dovrebbero rimanere costanti in modo indefinito.

Lo studio mette in dubbio questa ipotesi, fornendo una rivelazione sorprendente: l’influenza di quella che chiamiamo materia oscura si estende ben oltre le stime precedenti, ovvero per almeno un milione di anni luce dal centro galattico. Una forza così estesa potrebbe indicare paradossalmente che la materia oscura, come intesa finora, potrebbe non esistere affatto.

“Questa scoperta mette in discussione i modelli esistenti”, dichiara Tobias Mistele della Case Western Reserve University e primo autore dello studio, “suggerendo che esistono o aloni di materia oscura molto estesi o che dobbiamo rivedere radicalmente la nostra comprensione della teoria gravitazionale”.

Lelli aggiunge: “Abbiamo usato questi dati per studiare la relazione di Tully-Fisher –  una legge di scala tra la massa barionica (quella di cui sono fatte le stelle e il gas) e la velocità di rotazione delle galassie – trovando che la stessa legge persiste quando utilizziamo le velocità misurate a grandissime distanze. Tale risultato non è affatto ovvio poiché a tali distanze la velocità di rotazione è determinata interamente dalla materia oscura, non da quella barionica”. Le osservazioni “ci permettono di raggiungere distanze dal centro galattico enormemente grandi, circa venti volte maggiori rispetto a quelle raggiunte con le tecniche classiche. Con grande sorpresa, abbiamo troviamo che le curve di rotazione rimangono quasi perfettamente piatte – in altre parole, la velocità rimane costante – fino alle distanze più grandi che siamo in grado di raggiungere”.

Questo tipo di studio intende chiarire quale sia la natura della materia oscura, ovvero se questi fenomeni gravitazionali siano dovuti a un nuovo tipo di particella elementare “invisibile” ancora da scoprire, oppure se vi sia la necessità di rivedere le leggi gravitazionali di Newton ed Einstein.

Lelli prosegue: “Questo risultato non ha una spiegazione ovvia nel contesto cosmologico standard della Lambda Cold Dark Matter (LCDM) e potrebbe avere a che fare con l’ambiente della galassia, ovvero con la distribuzione degli aloni di materia oscura più piccoli che si ritiene orbitare attorno all’alone principale. Per limitare questo effetto, infatti, abbiamo selezionato le nostre galassie per essere il più isolate possibile”.

 Grafico che illustra le osservazioni riportate nell’articolo: i punti rossi mostrano la curva di rotazione della galassia UGC 6614 usando osservazioni "classiche" della cinematica del gas, mentre i punti celesti mostrano il nuovo risultato statistico usando la tecnica del weak lensing. Crediti: T. Mistele et al. (2024)
Ai confini della materia oscura vista con una lente gravitazionale debole: le velocità di rotazione delle galassie rimangono costanti. Grafico che illustra le osservazioni riportate nell’articolo: i punti rossi mostrano la curva di rotazione della galassia UGC 6614 usando osservazioni “classiche” della cinematica del gas, mentre i punti celesti mostrano il nuovo risultato statistico usando la tecnica del weak lensing. Crediti: T. Mistele et al. (2024)

Curve di rotazione piatte fino a grandi raggi erano già state predette dalla teoria della gravità modificata MOND, proposta dal fisico Mordehai Milgrom nel 1983 come alternativa alla materia oscura.

“Le nostre osservazioni sono in accordo con quanto predetto da MOND più di 40 anni fa”, conclude Lelli.

Sono ora necessari ulteriori studi per chiarire l’avvincente rompicapo cosmologico e scrivere una nuova pagina di storia dell’astrofisica moderna.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “Indefinitely Flat Circular Velocities and the Baryonic Tully-Fisher Relation from Weak Lensing”, di Tobias Mistele, Stacy McGaugh, Federico Lelli, James Schombert, e Pengfei Li, è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

Testo e immagine dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).