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Distinguere i buchi neri: sarà più facile grazie a un nuovo metodo basato sull’intelligenza artificiale sviluppato dall’Università di Milano-Bicocca

Pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, lo studio rivoluziona i metodi tradizionali dell’astronomia delle onde gravitazionali.

Milano, 31 marzo 2025 – Un innovativo metodo basato sull’intelligenza artificiale che migliora la precisione nella classificazione di buchi neri e stelle di neutroni. È quello sviluppato da un team di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, guidato dal professor Davide Gerosa e supportato dallo European Research Council. Lo studio, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, mette in discussione un’ipotesi ritenuta valida per decenni e apre la strada a un’analisi più accurata dei segnali cosmici.

L’astronomia delle onde gravitazionali permette di osservare coppie di oggetti compatti quali stelle di neutroni e buchi neri: le onde gravitazionali sono infatti prodotte dallo spiraleggiamento e dalla fusione di questi sistemi binari. Le analisi tradizionali assumono a priori come distinguere i due oggetti in ciascuna binaria.

«Fino a oggi, il metodo più diffuso per l’identificazione degli oggetti prevedeva di etichettare il più massiccio come “1” e il meno massiccio come “2”. Tuttavia, questa scelta, apparentemente intuitiva, introduce ambiguità nelle misure, specialmente nei sistemi binari con masse simili. Ci siamo chiesti: è davvero la scelta migliore?», spiega Gerosa.

Il nuovo studio propone di superare questa limitazione utilizzando una tecnica di intelligenza artificiale chiamata spectral clustering che analizza l’insieme completo dei dati senza applicare etichette rigide a priori. Questo nuovo metodo consente di ridurre le incertezze nelle misure degli spin dei buchi neri, ovvero nella determinazione della velocità e della direzione di rotazione di questi oggetti. Una corretta misurazione dello spin è fondamentale per comprendere la formazione e l’evoluzione dei buchi neri. Il nuovo approccio migliora notevolmente la precisione di queste misure e rende più affidabile la distinzione tra buchi neri e stelle di neutroni.

«Questa pubblicazione mette in discussione un presupposto di lunga data che è alla base di tutte le analisi delle onde gravitazionali fino a oggi, e che è rimasto indiscusso per decenni», continua l’astrofisico. «I risultati sono sorprendenti: le misurazioni dello spin sono più precise e distinguere i buchi neri dalle stelle di neutroni diventa più affidabile».

Davide Gerosa, Università di Milano-Bicocca
Davide Gerosa, Università di Milano-Bicocca, alla guida del team di ricercatori che ha prodotto lo studio su Physical Review Letters, che impiega l’intelligenza artificiale per un nuovo metodo al fine di distinguere i buchi neri

Lo studio condotto ha immediate ricadute per l’analisi dei dati raccolti con gli attuali rivelatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo, nonché con quelli di futura costruzione quali LISA e l’Einstein Telescope. Questa ricerca apre la strada a una revisione delle tecniche di analisi delle onde gravitazionali e sottolinea, inoltre, il ruolo crescente dell’intelligenza artificiale nella ricerca astrofisica.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca.

Migliorare l’architettura dei computer con la biomimetica

Una ricerca, coordinata dal Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, ha sviluppato un nuovo dispositivo nanofluidico sul modello del funzionamento dei canali ionici cerebrali, essenziali per la propagazione ed elaborazione dei segnali elettrici, a basso consumo energetico. Il progetto, che ha ottenuto un finanziamento dal Consiglio europeo della ricerca (ERC), è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.

Rappresentazione schematica di un canale ionico: 1 - subunità proteiche (tipicamente 4 o 5 per canale), 2 - vestibolo esterno, 3 - filtro selettivo, 4 - diametro del filtro selettivo, 5 - sito di fosforilazione, 6 - membrana cellulare.
Rappresentazione schematica di un canale ionico: 1 – subunità proteiche (tipicamente 4 o 5 per canale), 2 – vestibolo esterno, 3 – filtro selettivo, 4 – diametro del filtro selettivo, 5 – sito di fosforilazione, 6 – membrana cellulare.
Immagine di Paweł Tokarz, in pubblico dominio

Il cervello è particolarmente efficiente dal punto di vista energetico, in quanto elabora le informazioni memorizzandole negli stessi elementi che le processano. Invece per i computer il modo in cui vengono eseguiti i calcoli richiede attualmente la memorizzazione e l’elaborazione delle informazioni in parti diverse del calcolatore, rendendo il processo poco efficiente energeticamente. La costruzione di dispositivi neuromorfici, ovvero ispirati alle componenti del cervello umano, può rappresentare un importante passo avanti nelle applicazioni di intelligenza artificiale.

Uno studio coordinato da Alberto Giacomello del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, in collaborazione con il Istituto di Scienze Biomolecolari e Biotecnologia di Groningen (Paesi Bassi), l’Università del Sichuan e Centro di Innovazione Collaborativa (Cina) e l’Università di Roma Tor Vergata, prende ispirazione dai canali ionici che controllano il passaggio degli ioni nel cervello e sono essenziali per la propagazione ed elaborazione dei segnali elettrici nel sistema nervoso. Questo lavoro fa parte del progetto HyGate sul gating idrofobo finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC).

Il lavoro, pubblicato sulla rivista Nature Communications, si è basato sull’ingegnerizzazione di un particolare canale transmembrana – un nanoporo – che, sfruttando l’idrofobicità e la formazione di nanobolle, riesce a riprodurre il comportamento elettrico dei canali ionici naturali, pur funzionando mediante processi più semplici.

Era già noto che i nanopori idrofobi, tipicamente non conduttivi, possono diventare conduttivi quando viene applicato un voltaggio (electrowetting). Questo nuovo studio sviluppa una teoria quantitativa per questo fenomeno, dimostrando, per la prima volta, che in particolari condizioni, può essere usato per memorizzare informazioni. La teoria è stata testata realizzando sperimentalmente il singolo dispositivo “memristivo” ed implementando questo elemento in applicazioni neuromorfiche dimostrative.

“Eravamo interessati – afferma Alberto Giacomello – a progettare un nano-interruttore controllato dal voltaggio, ovvero in cui il cambiamento delle proprietà di conduzione è dovuto al gating idrofobo, meccanismo mediante cui bolle di dimensioni nanometriche, dette nanobolle, bloccano il passaggio degli ioni attraverso i canali. Abbiamo poi sfruttato il fenomeno dell’elettrowetting per causare il riempimento del nanoporo idrofobo e renderlo quindi conduttivo in maniera controllata”.

Il singolo dispositivo è stato progettato a partire da un particolare nanoporo biologico che poteva essere modificato e bioingegnerizzato seguendo i criteri suggeriti dalla teoria e dalle simulazioni, portate avanti dallo studio in questione. Tale dispositivo è stato realizzato grazie alla collaborazione con i partner sperimentali che lavorano con questi canali e hanno potuto studiarne la risposta al voltaggio.

La ricerca ha così dimostrato un nuovo modo di costruire dispositivi memristivi iontronici, basato sul gating idrofobo, contribuendo a costruire basi più concrete per studiare l’effetto della tensione sulla conduzione in nanopori idrofobi.

Inoltre, nuove architetture neuromorfiche potrebbero potenziare gli attuali algoritmi e i sistemi di intelligenza artificiale, rendendoli energeticamente più efficienti e sostenibili. Fra queste la iontronica che utilizzando gli ioni al posto degli elettroni come elementi conduttori apre a nuove prospettive anche in campo medico.

Riferimenti bibliografici:

Hydrophobically gated memristive nanopores for neuromorphic applications – Gonçalo Paulo, Ke Sun, Giovanni di Muccio, Alberto Gubbiotti, Blasco Morozzo della Rocca, Jia Geng, Giovanni Maglia, Mauro Chinappi, Alberto Giacomello – Nature Communications (2023). DOI: 10.1038/s41467-023-44019-y

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

LA DANZA DELLE STELLE DA DUE MILIONI E MEZZO DI EURO: IL PROGETTO STARDANCE DELLA RICERCATRICE ELENA PANCINO SI AGGIUDICA L’ERC ADVANCED GRANT

 Elena Pancino, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica si aggiudica un finanziamento di 2,5 milioni di euro dal Consiglio Europeo delle Ricerche. Il progetto vincitore del grant Advanced si chiama StarDance e metterà alla prova delle osservazioni l’ipotesi innovativa secondo cui molte popolazioni esotiche – finora incomprese – negli ammassi stellari e nella Via Lattea, sono il risultato di scambio di massa e fusione tra coppie di stelle.

Elena Pancino
Elena Pancino. Crediti: INAF

Dal primo novembre prossimo e per i successivi cinque anni, Elena Pancino – ricercatrice INAF a Firenze – guiderà il progetto europeo StarDance che, con un budget di due milioni e mezzo di euro messo a disposizione dall’European Research Council (ERC), il Consiglio Europeo delle Ricerche, cercherà di dare risposta a una domanda fondamentale aperta da decenni: “Come si formano le stelle?
StarDance studierà le proprietà fisiche e chimiche delle popolazioni stellari esotiche negli ammassi stellari e nella popolazione di campo della Via Lattea, per comprovare la nuova ipotesi proposta da Elena Pancino basata sullo studio di un tipo di stelle “non-canoniche”, risultato di interazioni tra stelle binarie che si fonderebbero dando origine a un’unica stella più massiccia. Queste popolazioni di stelle verranno studiate soprattutto negli ammassi stellari, sia aperti che globulari, ovvero le “culle” entro cui la maggior parte delle stelle si forma, rendendoli quindi ambienti molto attivi dal punto di vista chimico e dinamico. Proprio di questi ammassi, a oggi non è ancora del tutto chiaro quale sia il meccanismo di formazione, soprattutto per i più antichi (i globulari), né se la formazione stellare nell’universo primordiale fosse diversa da quella che è possibile osservare oggi.

Alcune di queste stelle esotiche attendono da decenni una interpretazione certa della loro origine. La definizione deriva da alcune loro caratteristiche peculiari: per esempio una composizione chimica anomala, il tipo di rotazione o la loro estrema ricchezza di litio, oppure la perdita di una parte importante della loro atmosfera.

Il titolo accattivante del progetto StarDance richiama la danza delle stelle, un concetto spesso usato per descrivere il percorso di oggetti che gravitano l’uno attorno all’altro.

“Nel mio progetto, metterò assieme la danza delle stelle che da sole ruotano molto velocemente sul loro asse, delle stelle binarie che ruotano l’una attorno all’altra, e degli ammassi stellari in cui migliaia o addirittura milioni di stelle seguono i loro percorsi non-deterministici, solitarie o in coppie e multipli, sotto l’azione del comune campo gravitazionale” spiega Elena Pancino, che continua: “Con StarDance avrò la possibilità di mettere alla prova una mia nuova ipotesi, secondo cui le interazioni tra stelle molto vicine tra loro, con scambio di massa e anche con la fusione delle due stelle, possono spiegare tutte le osservazioni in maniera naturale e organica. L’ambizione sta nel fatto che il progetto richiede una batteria di test ad ampio spettro, con osservazioni che vanno dalla banda dei raggi X fino all’infrarosso, ottenute per di più con tecniche diversissime, dalle più classiche fino all’intelligenza artificiale, e richiede anche competenze astrofisiche molto variegate. In sostanza, per la prima volta si guarderà il problema da diversi angoli in maniera organica e spaziando tra diversi campi di ricerca che tradizionalmente non comunicano molto tra loro”.

Questa ricerca si inserisce in un contesto scientifico già in grande fermento nel campo della formazione e dell’evoluzione stellare, grazie anche al contributo della missione astrometrica europea Gaia e altre missioni spaziali e grandi survey da Terra, che stanno producendo una enorme mole di dati di altissima qualità ancora lontana, però, dall’essere interpretata in modo soddisfacente. In questo contesto, gli ammassi stellari si confermano come potenti laboratori astrofisici da utilizzare per testare i modelli teorici.

“Io e il mio gruppo potremo contare su una enorme mole di lavoro fatta dalla comunità a cui apparteniamo. Tuttavia, l’ERC finanzia progetti alla cui base c’è un elemento di novità o di rottura con il passato, soprattutto dove ci sono grandi problemi aperti da lungo tempo, a cui le tecniche tradizionali non hanno saputo dare finora una risposta, proprio come nel nostro caso” conclude Pancino.

Elena Pancino
Elena Pancino. Crediti: INAF

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

uno Starting Grant del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) aggiudicato al Progetto “OutOfSpace” del professor Luca Rinaldi: indagando sui meccanismi neurocognitivi alla base delle mappe mentali
1,5 milioni di euro alla ricerca dell’Università di Pavia


Il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) ha recentemente reso noti i vincitori dei programmi di ricerca scientifica per i giovani ricercatori europei (Starting Grant).
Si tratta di finanziamenti riservati a progetti innovativi, trasversali e di frontiera, grazie al quale il Consiglio Europeo ha erogato 628 milioni di euro a giovani ricercatori in un’ampia gamma di settori disciplinari.

Tra i vincitori del bando ERC Starting Grant, il professor Luca Rinaldi del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia ha ottenuto un finanziamento per il progetto “Structuring spatial knowledge through domain-general, non-spatial learning mechanisms” (acronimo: “OutOfSpace”), per un importo di circa 1,5 milioni di euro.

Il progetto è risultato “pionieristico”, capace cioè di aprire nuove frontiere nell’ambito della ricerca neuroscientifica, e indagherà i meccanismi neurocognitivi che stanno alla base delle mappe mentali.
In particolare, “OutOfSpace” si occuperà di studiare quanto tali meccanismi siano gli stessi che supportano il ragionamento spaziale. In altre parole: è vero che i nostri processi di pensiero sono strettamente legati alla nostra capacità di elaborare lo spazio che ci circonda?

Secondo alcune teorie neuroscientifiche recenti, infatti, il nostro cervello sfrutterebbe i circuiti neurali originariamente predisposti per la navigazione spaziale – circuiti condivisi con altre specie animali – per creare delle vere e proprie mappe mentali ed esplorare qualsiasi tipo di conoscenza, incluse quelle più concettuali e astratte. Gli stessi meccanismi neurali che supporterebbero il ragionamento spaziale (ad esempio, indicare quali tra due città si trova più a Nord) sarebbero dunque coinvolti anche in forme di ragionamento non spaziale (ad esempio, indicare quali tra due autovetture ha il motore più potente).

Il progetto “OutOfSpace” mette invece in discussione lo spazio come elemento fondante della nostra cognizione: la struttura delle mappe mentali che creiamo quotidianamente non sarebbe di natura spaziale, bensì associativa (non spaziale). L’obiettivo è dunque quello di chiarire la natura (spaziale o associativa) dei meccanismi mentali – e delle sottostanti strutture neurali – che consentono all’uomo di organizzare le proprie conoscenze in mappe concettuali. Per fare ciò, il progetto utilizzerà un approccio multistrumentale, combinando tecniche recenti di intelligenza artificiale (modelli di semantica distribuzionale) con metodiche comportamentali (eye-tracking), di neurostimolazione (TMS-EEG) e di neuroimmagine (fMRI e intracranial-EEG). Nei cinque anni di durata del progetto verranno quindi elaborati nuovi modelli neuroscientifici che chiariranno l’apporto del ragionamento spaziale e non spaziale nella formazione di mappe mentali.

cervello riserva cognitiva tumori cerebrali OutOfSpace Starting Grant Luca Rinaldi
Premiato con lo Starting Grant il progetto OutOfSpace del professor Luca Rinaldi. Immagine di ElisaRiva

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pavia.

LE PULSAR CI SVELANO IL RESPIRO DELLO SPAZIO-TEMPO: SI APRE UNA NUOVA FINESTRA NELL’OSSERVAZIONE DELLE ONDE GRAVITAZIONALI

Una collaborazione internazionale di astronomi europei, fra cui ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Milano-Bicocca, coadiuvata da colleghi indiani e giapponesi, ha pubblicato i risultati di oltre 25 anni di osservazioni effettuate da sei dei radiotelescopi più sensibili del mondo. Dall’analisi di questi dati e di quelli di altre collaborazioni in nord America, Australia e Cina, emergono i segni distintivi della presenza nel cosmo di onde gravitazionali di bassissima frequenza. Questi risultati rappresentano una pietra miliare per l’astrofisica contemporanea: da un lato aprono una nuova finestra osservativa nella scienza delle onde gravitazionali e dall’altro confermano l’esistenza di onde gravitazionali ultra lunghe che, secondo le teorie correnti, dovrebbero essere generate da coppie di buchi neri super-massicci formatisi nel corso del processo di fusione fra le galassie.

Le pulsar ci svelano il lento respiro dello spazio-tempo: si apre una nuova finestra nell’osservazione delle onde gravitazionali. Crediti: Danielle Futselaar / MPIfR

In una serie di articoli pubblicati oggi sulla rivista Astronomy and Astrophysics, gli scienziati dell’European Pulsar Timing Array (EPTA), in collaborazione con i colleghi indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (InPTA), riportano i risultati ottenuti analizzando dati raccolti in oltre 25 anni, che promettono di condurre a scoperte senza precedenti nello studio della formazione e dell’evoluzione del nostro Universo e delle galassie che lo popolano.

“I risultati presentati oggi dalla collaborazione EPTA sono straordinari per la loro importanza scientifica e per le prospettive future di ulteriore consolidamento dei risultati” commenta Marco Tavani, presidente dell’INAF. “L’Astrofisica italiana e l’INAF sono leader mondiali in una grande impresa finalizzata a esplorare il Cosmo con le onde gravitazionali, un filone di ricerca che vedrà l’Italia protagonista nei prossimi anni”.

Le pulsar ci svelano il lento respiro dello spazio-tempo: si apre una nuova finestra nell’osservazione delle onde gravitazionali. Crediti: Danielle Futselaar / MPIfR

L’EPTA è una collaborazione di scienziati di undici istituzioni in tutta Europa, fra cui due in Italia (l’INAF con la sua sede di Cagliari e l’Università di Milano-Bicocca), e riunisce astronomi e fisici teorici, al fine di utilizzare le osservazioni degli impulsi ultra regolari provenienti da stelle di neutroni chiamate “pulsar” per costruire un rilevatore di onde gravitazionali delle dimensioni della nostra Galassia.

«Le pulsar sono eccellenti orologi naturali e possiamo usare l’incredibile regolarità dei loro segnali per cercare minuscoli cambiamenti nel loro ticchettio causati da sottili dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocati da onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano»,

spiega Golam Shaifullah, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca nel gruppo di ricerca ‘B Massive’ diretto da Alberto Sesana, professore ordinario dell’Ateneo, e finanziato dall’European Research Council.

Infatti le pulsar si comportano come orologi naturali di alta precisione e dalla misura ripetuta di piccolissime variazioni (inferiori ad un milionesimo di secondo e correlate fra loro) nei tempi di arrivo dei loro impulsi è possibile misurare le minute dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocate dal passaggio di onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano.

Questo gigantesco rivelatore di onde gravitazionali – che dalla Terra si estende in direzione di 25 pulsar, selezionate all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce da noi – rende possibile sondare un tipo di onde gravitazionali aventi un ritmo lentissimo, corrispondente a lunghezze d’onda enormemente più lunghe di quelle osservate, a partire dal 2015, dai cosiddetti interferometri per onde gravitazionali, tra cui spiccano Virgo a Cascina (vicino a Pisa) e LIGO negli USA.

All’INAF di Cagliari, l’entusiasmo è palpabile:

“Grazie alle osservazioni di EPTA, stiamo aprendo una nuova finestra nell’universo delle onde gravitazionali ultra lunghe (corrispondenti a frequenze di oscillazione del miliardesimo di Hertz) che sono associate a sorgenti e fenomeni unici”,

afferma la ricercatrice Caterina Tiburzi. La collega Marta Burgay precisa

Queste onde gravitazionali ci permettono di studiare alcuni dei misteri finora irrisolti nell’evoluzione dell’Universo, fra cui, ad esempio, le proprietà della elusiva popolazione cosmica dei sistemi binari formati da due buchi neri supermassici, aventi masse miliardi di volte maggiori di quella del Sole”. 

Questi buchi neri si trovano ad orbitare al centro di galassie che stanno fondendosi l’una con l’altra, e durante il loro orbitare, la teoria della relatività generale di Albert Einstein prevede che emettano onde gravitazionali ultra lunghe.

Gli strumenti utilizzati per raccogliere i dati sono l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia, il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi, e il Sardinia Radio Telescope (SRT) in Italia.

“Questi risultati – aggiunge l’astronoma Delphine Perrodin, sempre dell’INAF di Cagliari – si basano su decenni di certosine e instancabili campagne di osservazione effettuate utilizzando i cinque più grandi radiotelescopi in Europa. Inoltre, una volta al mese i dati di questi telescopi vengono anche sommati fra loro, aumentando ulteriormente la sensibilità dell’esperimento”.

Queste osservazioni sono poi state ulteriormente integrate dai dati forniti dal Giant Metrewave Radio Telescope in India, con ciò rendendo l’insieme di dati ancora più accurato.

“È una grande soddisfazione per tutta l’astrofisica italiana che SRT, il grande radiotelescopio gestito da INAF, sia fra i  testimoni dell’emergere nei dati di questo lento respiro dello spazio-tempo”, spiega Andrea Possenti, Primo Ricercatore dell’INAF di Cagliari e fra i fondatori di EPTA, assieme all’ex presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Nichi D’Amico: “Si tratta di nuovo grande risultato scientifico, che conferma, a livello mondiale, il ruolo centrale dell’Italia, e vieppiù della Sardegna (con SRT e speriamo presto anche con l’Einstein Telescope), nello studio delle onde gravitazionali per molti decenni a venire “.

I risultati dell’EPTA si confrontano con una serie di pubblicazioni indipendenti oggi annunciate in parallelo da altre collaborazioni in tutto il mondo, facenti capo agli esperimenti di tipo PTA (pulsar timing array) australiano, cinese e nordamericano, noti rispettivamente come PPTA, CPTA e NANOGrav. I vari risultati sono consistenti fra tutte le collaborazioni, ciò che corrobora ulteriormente la presenza nei dati di un segnale dovuto ad onde gravitazionali. Il lavoro però non termina qui, in quanto la natura stessa del segnale osservato prevede che esso si manifesti in maniera progressivamente più chiara.

“Ho cominciato il mio dottorato al momento giusto – ricorda Francesco Iraci, dottorando dell’Università di Cagliari che da circa un anno svolge le sue ricerche presso l’INAF di Cagliari proprio nel contesto di EPTA – e non vedo l’ora di contribuire all’ulteriore affinamento dei dati!”

Spiegando l’importanza di questo risultato, il professor Alberto Sesana afferma: «L’insieme di dati dell’EPTA è straordinariamente lungo e denso ed ha permesso di ampliare la finestra di frequenza in cui possiamo osservare queste onde, permettendo una migliore comprensione della fisica delle galassie che si fondono e dei buchi neri supermassicci che esse ospitano».

La lunghezza del set di dati consente infatti di sondare onde gravitazionali che oscillano in maniera incredibilmente lenta consentendo di esplorare sistemi binari di buchi neri con periodi orbitali di decine di anni. D’altra parte, la cadenza dei dati consente anche di studiare onde che compiono molte oscillazioni al mese, dando accesso a sistemi di buchi neri con periodi orbitali molto più brevi, dell’ordine di pochi giorni.

I risultati dell’analisi dei dati EPTA presentati oggi sono in linea con quanto atteso dalle predizioni degli astrofisici. Nataliya Porayko, ‘visiting researcher’ all’Università di Milano-Bicocca tuttavia sottolinea che

«una regola d’oro in fisica per conclamare la scoperta di un nuovo fenomeno è che il risultato dell’esperimento abbia una probabilità di verificarsi casualmente meno di una volta su un milione».

Il risultato riportato da EPTA – così come dalle altre collaborazioni internazionali – non soddisfa ancora questo criterio, infatti c’è ancora circa una probabilità su mille che fonti di rumore casuali cospirino per generare il segnale.

«Ma i lavori sono già in corso –  come spiega Aurelien Chalumeau, assegnista del gruppo B Massive – gli scienziati delle quattro collaborazioni – EPTA, InPTA, PPTA e NANOGrav – stanno combinando i loro dati con il coordinamento dell’International Pulsar Timing Array».

L’obiettivo è quello di ampliare gli attuali insiemi di dati, sfruttando misure effettuate su oltre 100 pulsar, osservate con tredici radiotelescopi in tutto il mondo. L’accresciuta quantità e qualità dei dati dovrebbe consentire agli astronomi di raggiungere l’obiettivo nel prossimo futuro, fornendo la prova inconfutabile che una nuova era nell’esplorazione dell’Universo è iniziata.

Testo, video e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca

La Sapienza ottiene due nuovi Erc Starting Grant e adotta il Regolamento per sostenere i ricercatori di eccellenza

La Commissione europea ha approvato, nell’ambito della call Erc Starting Grant 2021, due progetti presentati da Principal Investigators della Sapienza. I due Erc, dal valore di circa 1,5 milioni di euro ciascuno, sono stati ottenuti dal progetto NANOWHYR presentato da Marta De Luca del Dipartimento di Fisica, e dal progetto HYQUAKE presentato da Marco Scuderi del Dipartimento di Scienze della Terra. Questo riconoscimento giunge a breve distanza dall’approvazione da parte dell’Ateneo del Regolamento che incentiva i ricercatori coordinatori di progetti di altissimo profilo finanziati dall’Unione Europea o dal Mur.

L’Erc – European Research Council, l’organismo dell’Unione Europea che finanzia i ricercatori di eccellenza, ha approvato, nell’ambito della call Starting Grant 2021, due progetti presentati da Principal Investigators della Sapienza nella categoria Physical Sciences and Engineering.

I due Starting Grant, riservati a ricercatori di eccellenza con esperienza compresa tra i due e i sette anni dopo il conseguimento del PhD e ciascuno dal valore di circa 1,5 milioni di euro, sono stati ottenuti dai progetti NANOWHYR presentato da Marta De Luca, docente del Dipartimento di Fisica, e HYQUAKE presentato da Marco Scuderi, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra, che vedono Sapienza come Hosting Institution.

Marta De Luca

Il progetto “NANOWHYR – Dots-in-NANOWires by near-field illumination: novel single-photon sources for HYbRid quantum photonic circuits” si propone superare il principale limite alla realizzazione pratica di tecnologie quantistiche, come la computazione e la comunicazione quantistica, con la creazione di nuove sorgenti di fotoni singoli in nanofili (nanowires) semiconduttori.  

Tali sorgenti potranno essere fabbricate su silicio o integrate su di esso dopo la crescita realizzando piattaforme ibride. In entrambi i casi, le sorgenti saranno inserite all’interno di cavità, che hanno il compito di assicurare elevata qualità ed efficienza delle sorgenti. Il progetto NANOWHYR mira ad aprire nuovi orizzonti scientifici e tecnologici nell’ambito della fotonica integrata su silicio.

Marco Scuderi

Il progetto “HYQUAKE – Hydromechanical coupling in tectonic faults and the origin of aseismis slip, quasi-dynamic transients and earthquake rupure” ha l’ambizione di sviluppare una struttura teorica basata su modelli fisici capaci di comprendere e predire in laboratorio i sismi indotti da sovrappressione di fluidi pressurizzati, la cui presenza nel sottosuolo gioca un ruolo fondamentale nella meccanica dei terremoti, come dimostrato recentemente dalla sismicità determinata da attività antropiche umane o dalla scoperta dei cosiddetti terremoti lenti. Il progetto si propone di superare il limite dello sviluppo di modelli fisici che possano descrivere l’accoppiamento idro-meccanico all’origine della genesi di un terremoto.

L’approccio di HYQUAKE è multidisciplinare e integra informazioni provenienti da inediti esperimenti di laboratorio con machine learning, sismologia e modelli numerici 3D. L’obiettivo è quello di produrre dei vincoli quantitativi ai processi fisici chiave, che permettano di combinare le leggi di attrito, la dinamica della localizzazione della deformazione e il flusso di fluidi che sono all’origine della nucleazione di terremoti.

Questo importante risultato conferma le linee d’azione del Regolamento recentemente approvato dalla Sapienza per incentivare professori e ricercatori che, in qualità di Principal Investigator (PI), siano risultati vincitori di specifici progetti nazionali e internazionali di eccellenza, finanziati dall’Unione europea o dal MUR, che abbiano l’Ateneo come Hosting Institution (progetti di ricerca ERC, Azioni Marie Skłodowska Curie-MSCA, borse Levi-Montalcini).

Il Regolamento prevede per i Principal Investigator un incentivo in termini di finanziamento ulteriore, ma anche spazi per le attività di laboratorio; sarà inoltre possibile attivare la chiamata diretta per la copertura di posti di professore e di ricercatore a tempo determinato e la riduzione del carico didattico.

“Il riconoscimento Erc Starting Grant – Principal Investigators – dichiara la rettrice Antonella Polimeni – rappresenta un’ulteriore conferma della qualità dei progetti di ricerca coordinati da giovani studiose e studiosi della Sapienza in diversi ambiti  disciplinari. Il Regolamento varato dall’Ateneo ha proprio lo scopo di supportare e incentivare queste iniziative di ricerca di alto profilo”.

Focus 

Lo European Research Council (ERC) è l’organismo dell’Unione Europea che finanzia progetti di eccellenza legati ad attività di ricerca di frontiera. Sostiene l’eccellenza della ricerca in tutti gli ambiti scientifici e disciplinari, rafforzando il dinamismo e la creatività nella ricerca europea e fornisce finanziamenti competitivi e a lungo termine a progetti di ricerca innovativi, ad alto rischio e ad alto impatto scientifico, condotti da Principal Investigators (PI) con curricula di rilievo a livello internazionale.

Nella call 2021, sono stati premiati 397 giovani ricercatori all’inizio della loro carriera, per un totale di 619 milioni di euro investiti in progetti eccellenti.

I finanziamenti, di circa di 1,5 milioni di euro ciascuno, aiuteranno i giovani ricercatori a lanciare i propri progetti, a formare degli adeguati team e a perseguire le loro idee migliori.

Le proposte selezionate coprono tutte le discipline di ricerca, dalle applicazioni mediche dell’intelligenza artificiale, alla scienza del controllo della materia mediante l’uso della luce.

Quest’anno le ricercatrici hanno vinto circa il 43% delle borse, registrando non solo un aumento del 37% rispetto al 2020, ma anche la quota di donne vincitrici di finanziamenti ERC più alta fino ad oggi.

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulla notizia dei due nuovi ERC Starting Grant 2021 a Marco Scuderi e Marta De Luca, e sul Regolamento per sostenere i ricercatori di eccellenza.

SLA: aggiunto un nuovo tassello nella comprensione degli aggregati molecolari nella malattia

Un gruppo di ricercatori della Sapienza e dell’Università degli Studi di Perugia, in collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia (IIT), ha pubblicato sulla rivista iScience uno studio che fa luce su una nuova forma di RNA e sul suo coinvolgimento in malattie neurodegenerative come la Sclerosi laterale amiotrofica. Il lavoro è stato supportato dall’European Research Council e da Fondazione AriSLA.

SLA aggregati molecolari
SLA: aggiunto un nuovo tassello nella comprensione degli aggregati molecolari nella malattia. Foto di Arek Socha

La Sclerosi laterale amiotrofica, nota come SLA, è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, le cellule neuronali responsabili dell’innervazione muscolare, la cui degenerazione porta alla paralisi progressiva, culminando in una incapacità motoria e respiratoria.

Nella SLA si identificano due forme, quella familiare dovuta a specifiche mutazioni genetiche, e quella sporadica, la cui patogenesi non è correlata a chiara familiarità congenita e le cui cause sono ancora per lo più sconosciute. Sebbene numerosi studi abbiano permesso di caratterizzare varie proteine coinvolte nella SLA, c’è ancora molto da scoprire sulla complessità dell’insorgenza e progressione della malattia e, soprattutto, sulla sua possibile cura.

Il team di ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin di Sapienza Università di Roma e del Centro for Life Nano- & Neuro-Science dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Roma, coordinati da Irene Bozzoni e in collaborazione con Mariangela Morlando dell’Università degli studi di Perugia, ha aggiunto un nuovo tassello nella comprensione di questa patologia, individuando un nuovo componente molecolare degli aggregati patologici caratteristici della SLA, l’RNA circolare circ-Hdgfrp3.

Gli RNA circolari sono così chiamati proprio per la loro forma peculiare che li rende particolarmente resistenti alla degradazione. Essi rappresentano una nuova classe di molecole espresse in tutte le cellule e in particolar modo nel sistema nervoso, dove il loro malfunzionamento è stato associato a diversi stati patologici.

Lo studio, pubblicato sulla rivista iScience, analizza la presenza di questo specifico RNA circolare in associazione alla SLA: più esattamente, esso è stato evidenziato negli aggregati patologici prodotti da mutazioni della proteina FUS associate a una grave forma della malattia. La proteina FUS, infatti, che normalmente è localizzata nel nucleo, a seguito di specifiche mutazioni viene a trovarsi nel citoplasma, dove può aggregarsi formando grosse inclusioni, tipiche della SLA, che sequestrano molti componenti cellulari impedendone la corretta localizzazione e funzione.

Il gruppo di ricerca, impiegando avanzate tecniche di imaging e studiando motoneuroni di modelli animali analizzati in vitro, ha studiato gli effetti delle mutazioni della proteina FUS sulla localizzazione di questo RNA circolare. Mentre in motoneuroni sani esso si muove lungo i prolungamenti dei neuroni, facendo quindi pensare a una importante funzione di spola da e verso la periferia della cellula, in condizioni patologiche questo RNA circolare rimane intrappolato negli aggregati della proteina FUS; ciò indica che la formazione di tali agglomerati patologici può avere un effetto deleterio nelle normali funzioni di spola di questo RNA circolare e contribuire, così, al malfunzionamento dei motoneuroni.

“In questo studio abbiamo definito le caratteristiche di questo RNA – dichiara Irene Bozzoni a capo del gruppo della Sapienza – e descritto le alterazioni che si verificano nei motoneuroni che portano mutazioni della proteina FUS associate alla SLA”.

Questa ricerca, finanziata dall’European Research Council (ERC) e da Fondazione AriSLA, apre nuove interessanti frontiere nella comprensione delle malattie neurodegenerative, rispetto al ruolo degli aggregati patologici e degli RNA in essi contenuti.

Riferimenti:

Circ-Hdgfrp3 shuttles along neurites and is trapped in aggregates formed by ALS-associated mutant FUS – Eleonora D’Ambra, Tiziana Santini, Erika Vitiello, Sara D’Uva, Valentina Silenzi, Mariangela Morlando e Irene Bozzoni – iScience 2021 https://doi.org/10.1016/j.isci.2021.103504

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un arcobaleno di luce per potenziare le telecomunicazioni
Una ricerca condotta dalla Sapienza, in collaborazione con l’Università di Brescia, con l’Istituto Xlim di Limoges in Francia e con la Southern Methodist University di Dallas negli Stati Uniti d’America, ha dimostrato un metodo semplice ed economico per generare fasci laser arcobaleno a spirale, applicabili in diversi ambiti, dalle telecomunicazioni, all’ottica quantistica. Lo studio è pubblicato su Scientific Reports.

arcobaleno laser spirale luce telecomunicazioni

Comprendere esattamente la forma della luce è sempre stata una sfida complessa, fin dai tempi di Newton, che immaginava che la luce solare fosse composta da particelle. Oggi sappiamo che la luce è un’onda elettromagnetica e attribuirle una forma risulta più facile: comunemente, infatti, entriamo in contatto con oggetti luminosi di una forma definita, come ologrammi o fasci laser, che possono essere considerati raggi di luce.

Ma è possibile intervenire su un raggio laser cambiandone la forma: questo accade quando si agisce sul fronte d’onda della radiazione elettromagnetica (ossia nei punti dove la fase dell’onda è costante) ottenendo la cosiddetta luce strutturata che può assumere le più svariate forme (o strutturazioni).

Tra le infinite strutturazioni che è possibile dare alla luce, particolarmente studiate sono quelle a forma di spirale. I fasci laser a spirale, infatti, per le loro caratteristiche uniche, trovano applicazione in campi di frontiera, come la biofisica e le tecnologie quantistiche.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports e coordinato da Stefan Wabnitz del Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, elettronica e telecomunicazioni di Sapienza, propone un metodo per realizzare fasci a forma di spirale a partire da piccoli segmenti di fibre ottiche: sfruttando la geometria cilindrica della fibra ottica per guidare la luce lungo un percorso elicoidale, il fronte d’onda che serve all’emissione di un fascio a spirale, finisce per prodursi spontaneamente. Un metodo economico e semplice, che non richiede alcuna nanofabbricazione: bastano infatti solo alcuni elementi facilmente reperibili, quali un laser, una lente convergente e pochi centimetri di fibra ottica standard.

Il lavoro, sviluppato con la collaborazione dell’Università di Brescia, l’istituto universitario XLIM di Limoges e la Southern Methodist University americana, rientra nel progetto STEMS di Horizon 2020 finanziato dall’European Research Council.

Comunemente la realizzazione di luce strutturata richiede l’uso di sistemi ottici dedicati: è necessario munire di volta in volta un fascio laser del corretto fronte d’onda al fine di generare la strutturazione desiderata. Ciò viene realizzato tramite maschere ad hoc che però hanno funzionalità ancora poco duttili. Esistono anche metodi più flessibili che utilizzano strumenti basati sui cristalli liquidi. Tuttavia, queste tecnologie risultano essere molto costose, oltre che ingombranti.

“Uno degli elementi chiave della nostra ricerca è la linearità del fenomeno – dichiara Stefan Wabnitz – ovvero il fatto che la generazione di fasci a spirale, con questo metodo, prescinda dalla potenza del laser impiegato. Basti pensare – aggiunge Wabnitz – che siamo riusciti a produrre in laboratorio un fascio a spirale utilizzando come sorgente un comune puntatore laser acquistabile nei negozi di elettronica”.

Se invece vengono utilizzati laser ad alta potenza, andando a generare effetti non lineari, è possibile osservare un fenomeno molto particolare sotto il profilo cromatico: la spirale, originariamente di un solo colore, acquista tutte le tonalità, dal rosso al violetto.

“Tali colori spontaneamente si organizzano per formare un arcobaleno di forma spirale – sottolinea Mario Ferraro, ricercatore della Sapienza – Questa peculiare forma multicolore non può essere realizzata con metodi convenzionali, e troverà certamente impiego in diversi campi applicativi, dall’ottica quantistica alle telecomunicazioni”.

Riferimenti:

Rainbow Archimedean spiral emission from optical fibres – Fabio Mangini, Mario Ferraro, Vladimir L Kalashnikov, Alioune Niang, Tigran Mansuryan, Fabrizio Frezza, Alessandro Tonello, Vincent Couderc, Alejandro Aceves, Stefan Wabnitz – Scientific Reports 2021. DOI: https://doi.org/10.1038/s41598-021-92313-w

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Una nuova frontiera per le telecomunicazioni ottiche

Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, elettronica e delle telecomunicazioni della Sapienza, in collaborazione con l’Università di Brescia e l’Università di Stato russa di Novosibirsk, ha scoperto nuove peculiari proprietà nei solitoni, un particolare tipo di onde luminose in grado di propagarsi indefinitamente nelle fibre ottiche. I risultati dello studio, presentati sulla rivista Communications Physics, aprono la strada a un nuovo tipo di propagazione ottica multimodo, applicabile nelle telecomunicazioni e nei laser a fibra.

telecomunicazioni solitoni
Una nuova frontiera per le telecomunicazioni ottiche; nell’immagine un solitone. Foto Christophe.Finot et Kamal HAMMANI – Laboratoire Interdisciplinaire CARNOT de Bourgogne, UMR 5209 CNRS-Université de Bourgogne, Dijon, Bourgogne, FRANCE Department of Physics of the University of Bourgogne Équipe Solitons, Lasers et Communications Optiques web site, CC BY-SA 2.5

Le fibre ottiche vengono utilizzate per trasmettere energia luminosa in modo guidato e senza interferenze elettromagnetiche. Tale propagazione può avvenire in maniera monomodale o multimodale: nelle fibre monomodali la propagazione del segnale luminoso avviene in un solo modo e rispetto alle fibre multimodali vi è una minore attenuazione e dispersione del segnale.

La ricerca sulla trasmissione di dati in fibre ottiche multimodo risale a circa 40 anni fa, quando venne prevista l’esistenza di impulsi luminosi particolari, detti solitoni spaziotemporali o multimodo, in grado di propagarsi indefinitamente lungo le fibre, grazie a un delicato meccanismo di compensazione tra gli effetti dispersivi e quelli non lineari.

Negli ultimi decenni i solitoni ottici, divenuti mattoni essenziali nel costruire sorgenti di luce laser a impulsi ultracorti, sono stati proposti anche come veicoli ideali per trasmettere dati nelle autostrade dell’informazione a fibra ottica che formano la spina dorsale di internet. Le teorie sviluppate negli anni passati attribuivano ai solitoni nelle fibre multimodo una evoluzione stabile e ripetitiva, man mano che si propagano lungo la fibra, eppure questa evoluzione periodica dell’impulso non è mai stata osservata sperimentalmente.

Oggi, gli studi del gruppo di ricerca coordinato da Stefan Wabnitz del Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, elettronica e delle telecomunicazioni (DIET) della Sapienza, sviluppati in seno a un progetto di ricerca avanzata finanziato dal programma europeo Horizon 2020 tramite lo European Research Council (ERC), infrangono le previsioni teoriche comunemente accettate. Nel lavoro, svolto in collaborazione con l’Università di Brescia e l’Università di Stato russa di Novosibirsk e pubblicato sulla rivista Communications Physics, è stato dimostrato per la prima volta a livello sperimentale che i solitoni multimodo non seguono il comportamento periodico, ma, al contrario, tali impulsi evolvono spontaneamente verso delle forme d’onda singolo modo, che cioè si propagano nel modo fondamentale della fibra.

È stato inoltre osservato, in maniera inaspettata, che i solitoni nel propagarsi acquistano una durata temporale fissa, che dipende unicamente dalla lunghezza d’onda della radiazione luminosa iniettata all’ingresso della fibra. La durata temporale caratteristica di questi impulsi luminosi, alle lunghezze d’onda tipiche delle telecomunicazioni, è risultata estremamente piccola (100-200 femtosecondi) e pressoché indipendente dalla durata temporale dell’impulso laser originale, che viene accoppiato all’ingresso della fibra.

Questa ricerca ha fornito anche un supporto teorico e numerico alle osservazioni sperimentali, individuando come condizione essenziale per la formazione di tali impulsi la coincidenza tra tre distinte scale di lunghezza: la lunghezza associata alla non linearità della fibra, quella associata all’allargamento temporale dovuto alla dispersione cromatica, e quella associata allo scorrimento temporale o “walk-off”, ovvero la distanza entro la quale i modi di una fibra si separano temporalmente per effetto della dispersione modale.

Finora, la trasmissione in fibre ottiche multimodo ha permesso di sfruttare la tecnica della multiplazione nel dominio dello spazio (Space Division Multiplexing – SDM) utilizzando ciascun modo della fibra come canale di informazione. Con questo meccanismo, più canali trasmissivi in ingresso condividono la stessa capacità trasmissiva disponibile in uscita, ovvero si combinano più segnali in uno (detto multiplato) trasmesso in uscita su uno stesso collegamento fisico.

“Questo studio – spiega Mario Zitelli della Sapienza, che ha condotto le verifiche sperimentali – apre la possibilità di realizzare un SDM solitonico, con canali realizzati da gruppi di modi con diverse velocità, dove ogni canale trasmette una quantità elementare di informazioni mediante la propagazione di un singolo solitone spaziotemporale, caratterizzato da alta potenza luminosa e forte robustezza.”

“L’impiego di solitoni spaziotemporali di durata fissa – aggiunge Zitelli – potrà permettere di realizzare laser in fibra multimodo particolarmente stabili, grazie alla naturale predisposizione dell’impulso luminoso ad assumere una precisa durata temporale”.

“Il nostro lavoro – conclude Stefan Wabnitz – chiarisce il ruolo dei solitoni spaziotemporali in una fibra multimodo e contribuisce agli sforzi della ricerca sullo sviluppo di nuove tecniche di trasmissione ottica e di nuovi laser, che porteranno a un incremento della capacità di trasmissione in fibra, e allo sviluppo di nuove sorgenti ottiche di impulsi ultracorti ad alta energia”.

Questi risultati aprono la strada a un nuovo tipo di propagazione ottica in fibra multimodo, applicabile nelle telecomunicazioni e nei laser a fibra.

Riferimenti: 

Conditions for walk-off soliton generation in a multimode fiber – Mario Zitelli, Fabio Mangini, Mario Ferraro, Oleg Sidelnikov, Stefan Wabnitz – Communications Physics 2021, 4:182. DOI: https://doi.org/10.1038/s42005-021-00687-0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Con un finanziamento di 2,5 milioni di euro una nuova strada nel campo dell’immunoterapia – AL PROF. ALBERTO BARDELLI DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO L’ERC ADVANCED GRANT 2020

 

Giovedì 22 aprile 2021European Research Council (ERC), organismo dell’Unione Europea che attraverso finanziamenti altamente competitivi sostiene l’eccellenza scientifica, ha pubblicato la lista dei progetti vincitori degli Advanced Grant. Tra le ricerche finanziate con gli ERC Advanced Grant 2020 compare quella del professor Alberto Bardelli, docente del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e Direttore del Laboratorio di Oncologia Molecolare all’Istituto di Candiolo IRCCS, che ha presentato il progetto intitolato “Targeting DNA repair Pathways, sparking anticancer immunity (TARGET). Il grant, riservato a scienziate e scienziati consiste in un finanziamento di circa 2,5 milioni di euro.

La competizione per gli ERC è estrema e solo l’8% dei progetti è stato finanziato. Il lavoro presentato dal Prof. Bardelli è uno dei 3 progetti italiani, su un totale di 746 proposte presentate in tutta Europa nella categoria Life Sciences. A livello globale l’Italia si si colloca all’ottavo posto per numero di progetti vinti.

Questo brillante risultato conferma che i ricercatori del nostro Ateneo sono altamente competitivi a livello internazionale. Il prof. Bardelli è impegnato da tempo nello sviluppo della medicina di precisione per i pazienti oncologici e il suo nuovo studio, su come sia possibile costringere le cellule dei tumori ad accendere ‘luci di posizione’ che le rendano visibili al sistema immunitario, può segnare un punto di svolta nella ricerca oncologica, da sempre considerata un’eccellenza di UniTo. L’attenzione della comunità scientifica mondiale al progetto, vincitore di un prestigioso Advanced Grant, conferma l’alto valore della nostra ricerca e i ritorni positivi per la società. Il nostro più sentito ringraziamento va a tutto il team guidato dal prof. Bardelli”, commenta Il Prof Stefano Geuna, Rettore dell’Università di Torino.

Grazie al finanziamento dell’ERC Advanced,” dichiara il Prof. Bardelli “valuteremo sistematicamente se e come l’inattivazione dei geni di riparazione del DNA sia in grado di indurre dei segnali simili a ’luci di posizione’ sulle cellule tumorali, aumentando le probabilità che il sistema immunitario le identifichiLa maggior parte dei tumori sono, infatti, equiparabili agli aerei da combattimento ‘Stealth’ che, essendo invisibili ai radar, non danno modo alla contraerea (il sistema immunitario) di rispondere.  In pratica, per la prima volta sarà possibile studiare come costringere le cellule tumorali ad accendere le ’luci di posizione’ e rendersi visibili alla contraerea del sistema immunitarioPiù in dettaglio, TARGET studierà se l’inattivazione dei meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule tumorali possa essere sfruttata a beneficio del paziente, risvegliando la risposta immunitaria antitumorale. Infatti, aggiunge Bardelli, tutto cambierebbe se una tecnologia costringesse i tumori Stealth a diventare visibili e, di conseguenza, aggredibili”.

 

La ricerca

Il progetto nasce dall’osservazione che i tumori in cui il sistema di riparazione del DNA Mismatch Repair (MMR) è alterato hanno tutte le luci di posizione accese e rispondono molto bene  all’immunoterapia. La base molecolare delle caratteristiche cliniche dei tumori con deficit di MMR è rimasta a lungo un mistero. Nel 2017 il Dott. Giovanni Germano, un ricercatore del gruppo guidato dal Prof. Bardelli, ha pubblicato sulla rivista Nature un articolo nel quale si evidenziava che nei casi in cui il MMR è compromesso, il sistema immunitario delle cavie di laboratorio riconosce e attacca il tumore.  Si è scoperto, cioè, che livelli elevati di mutazioni, che a loro volta scatenano l’immunità, innescano l’immunosorveglianza. In pratica, Germano e Bardelli hanno mostrato come sia possibile costringere le cellule dei tumori Stealth ad accendere le ‘luci di posizione’, rendendole visibili al sistema immunitario, che può aggredirle ed eliminarle.

Partendo da questa scoperta, TARGET si propone di utilizzare, tramite blocco farmacologico, le proteine coinvolte nella riparazione del DNA come innovativa terapia antitumorale. Secondo il gruppo di ricerca del Prof. Bardelli, il sistema immunitario può identificare e colpire selettivamente le cellule tumorali che portano alterazioni del DNA.  Questo perché le cellule dei tumori che mancano del meccanismo MMR hanno sulla loro superficie neo-antigeni, cioè ’luci di posizione’ proteiche diverse da quelle delle cellule sane.

L’identificazione dei meccanismi di riparazione del DNA, che quando disabilitati risvegliano il sistema immunitario, potrebbe portare allo sviluppo di una classe completamente nuova di farmaci antitumorali.

Alberto Bardelli ERC Advanced Grant 2020 UniTo
Il progetto del professor Alberto Bardelli, vincitore ERC Advanced Grant 2020

Biografia Alberto Bardelli

Alberto Bardelli è Professore Ordinario del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e svolge la propria attività di ricerca presso l’Istituto di Candiolo IRCCS, dove è Direttore del Laboratorio di Oncologia Molecolare. Il suo lavoro è incentrato sullo sviluppo della medicina di precisione per i pazienti oncologici.

Durante il postdoctoral training (1999-2004) presso la Johns Hopkins University (USA), nel gruppo diretto dal Prof. Bert Vogelstein, Bardelli ha sviluppato il primo profilo completo delle mutazioni delle proteine chinasi nel cancro del colon-retto. Bardelli coordina dal 2007 un gruppo di ricerca multidisciplinare composto da genetisti, ingegneri matematici, biologi molecolari, fisici, oncologi medici, patologi e bioinformatici. Il team ha identificato i meccanismi di risposta e resistenza alle terapie anti EGFR, HER2, BRAF e NTRK1 nei tumori del colon-retto.

Il gruppo di Bardelli continuamente trasferisce le proprie scoperte in nuove terapie attraverso innovativi clinical trial (es. HERACLES e ARETHUSA) che coinvolgono attivamente centinaia di pazienti in Italia. Le scoperte del suo gruppo di ricerca hanno inoltre definito una nuova metodologia diagnostica, chiamata biopsia liquida, che tramite un prelievo di sangue, utilizzando il DNA tumorale circolante, permette di monitorare la risposta alle terapie e l’efficacia della chirurgia nei pazienti affetti da tumori colorettali.

Dal 2018 al 2020 il Professor Bardelli è stato Presidente dell’European Association for Cancer Research (EACR). A partire dal 2014 è stato inserito da Web of Science nell’elenco dei ricercatori più citati al mondo. Nel 2016 ha vinto il Grant for Oncology Innovation e nel 2017 l’ESMO Translational Research Award. Nel 2020 è stato insignito del Premio Guido Venosta assegnato da AIRC e conferito dalla Presidenza della Repubblica Italiana per le ricerche volte allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici alle neoplasie. È autore di più di 200 articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali. Il suo H index, una misura delle citazioni ricevute dai suoi articoli, è pari a 98 e lo pone nella lista dei Top Italian Scientists.

 

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Torino sul progetto del professor Alberto Bardelli, vincitore ERC Advanced Grant 2020.