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Tra i risultati presentati all’ultima conferenza ICHEP (40th ICHEP conference), spicca l’annuncio di due esperimenti del CERN, ATLASCMS di nuove misure che mostrano il decadimento del bosone di Higgs in due muoni. Il muone è una copia più  pesante dell’elettrone, una delle particelle elementari che costituiscono la materia dell’Universo. Gli elettroni sono classificati come particelle di prima generazione mentre i muoni appartengono alla seconda generazione.

decadimento bosone di Higgs CERN CMS ATLAS Roberto Carlin
Il decadimento del bosone di Higgs in due muoni, così come registrato dai due esperimenti CERN, CMS (a sinistra) e ATLAS (destra). Immagine: CERN

Il processo di decadimento del bosone di Higgs in muoni, secondo la teoria del Modello Standard, è molto raro (un bosone di Higgs su 5000 decade in muoni). Questi risultati sono molto importanti dal momento che indicano per la prima volta che il bosone di Higgs interagisce con particelle elementari della seconda generazione.

Abbiamo intervistato Roberto Carlin, ricercatore dell’INFN e professore dell’Università di Padova che attualmente è il portavoce dell’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) e gli abbiamo posto alcune domande su questo annuncio e sul prossimo futuro dell’esperimento CMS.

 

Un decadimento molto raro del bosone di Higgs al CERN

Recentemente la collaborazione CMS ha annunciato i rilevamenti di un decadimento molto raro del bosone di H –> mumu. Per quale motivo è così importante questa misura?

La materia di cui siamo fatti è formata da elettroni e quark di tipo “up” e “down”, i costituenti dei protoni e dei neutroni. Queste sono le particelle della cosiddetta “prima generazione”. Esistono particelle con massa più grande che compaiono nelle interazioni ad alte energie, e sono instabili, decadendo alla fine nelle particelle più leggere: il muone appunto, una specie di elettrone duecento volte più pesante, che con i quark “strange” e “charm” costituiscono la seconda generazione.

Ne esiste una terza, ancora più pesante, con il tau ed i due quark bottom e top. Sappiamo che è così ma non sappiamo perché. Non sappiamo perché ci siano tre famiglie e perché abbiano masse così diverse. Il quark top, la particella più pesante che conosciamo, ha una massa poco più di 170 volte quella di un atomo di idrogeno e circa 350 mila volte quella di un elettrone.

Però sappiamo che nel Modello Standard, l’attuale teoria che descrive le particelle elementari e le loro interazioni, la massa delle particelle è generata dalla loro interazione con il campo di Higgs. Quindi studiare l’accoppiamento delle particelle con il bosone di Higgs significa studiare il meccanismo che fornisce loro la massa, e potrebbe gettare luce sulle ragioni di tanta diversità.

Dalla terza generazione alla seconda

Finora, dopo la scoperta del bosone di Higgs che data al 2012, si sono studiati i suoi accoppiamenti con le particelle pesanti, di terza generazione: tau, top, bottom (oltre che quelli con i bosoni vettori più pesanti, W e Z, particelle che mediano la forza elettro-debole). E il motivo è chiaro, più pesante la particella, più grande è l’accoppiamento con il bosone di Higgs, e quindi più facile misurarlo. Con questa nuova misura per la prima volta abbiamo avuto indicazioni sull’accoppiamento con i muoni, particelle della seconda generazione, più leggere, ottenendo risultati in accordo, entro le incertezze sperimentali, con le previsioni del Modello Standard.

Una misura molto difficile, solo un bosone di Higgs su 5000 decade in una coppia di muoni, mentre più della metà delle volte decade in una coppia di quark bottom. Il risultato è molto importante e niente affatto scontato: a priori il meccanismo che fornisce massa alle particelle di diversa generazione potrebbe essere più complesso coinvolgendo, per esempio, diversi bosoni di Higgs.

Peter Ware Higgs, insignito del Nobel della Fisica nel 2013, predisse negli anni ’60 l’esistenza del bosone che oggi ne porta il nome. Oggi con l’esperimento CMS del CERN, si rileva un raro decadimento del bosone di Higgs in due muoni. Foto Flickr di Bengt Nyman, CC BY 2.0

Evidenza o Scoperta?

Nell’annuncio si sottolinea che la significatività è di “soli” 3 sigma. Ci potrebbe spiegare per quale motivo 3 sigma non sono sufficienti e quando si pensa di raggiungere la soglia dei 5 sigma?

Intanto direi “già” 3 sigma, non “soli”. Perché una misura di questa significatività non era attesa così presto, ci si aspettava di arrivarci utilizzando anche i dati del “Run 3”, previsto tra il 2022 ed il 2024. Invece la gran mole dei dati forniti negli anni passati da LHC, la grande efficienza e qualità della rivelazione e ricostruzione di muoni in CMS, e l’impiego di strumenti di deep learning, ovvero le tecniche sviluppate nel campo dell’intelligenza artificiale, hanno permesso questo eccellente risultato. Il problema di questa misura è che non solo il segnale è molto raro, abbiamo detto che solo un bosone di Higgs su 5000 decade in due muoni, ma anche che esistono processi diversi che possono imitare il segnale cercato (eventi di fondo), e questi sono migliaia di volte più frequenti del segnale.

Una significatività di 3 sigma viene chiamata “evidenza” e significa che, in assenza di segnale, fluttuazioni degli eventi di fondo potrebbero generare un contributo simile a quanto osservato (e quindi un falso segnale) una volta su 700. Una probabilità piccola ma non piccolissima. Lo standard che ci siamo dati per una “osservazione”, al di là di ogni ragionevole dubbio, è di 5 sigma, che rappresenta una probabilità di una volta su qualche milione.

Per arrivare ciò serviranno circa il triplo dei dati attualmente disponibili. Speriamo che il Run 3 ci darà tanto, contiamo almeno di raddoppiare i dati, anche se siamo abituati a risultati migliori dell’atteso. In ogni caso una combinazione dei risultati di ATLAS e CMS alla fine Run 3 dovrebbe permetterci di arrivare a questa nuova soglia.

Una conferma del Modello Standard

Ci sono stati casi di misure a 3 sigma che poi, con l’aumentare del campione di indagine, si sono rivelate semplici fluttuazioni statistiche?

Certamente. Abbiamo detto che con 3 sigma si parla di probabilità pari una volta su 700. Poiché in questi esperimenti facciamo molte misure diverse (CMS ha recentemente celebrato i 1000 articoli scientifici), simili fluttuazioni accadono. Nel caso una fluttuazione di 3 sigma punti a un fenomeno nuovo, inaspettato, siamo perciò molto cauti. Qui si tratta di una misura, molto importante, che conferma entro le incertezze sperimentali quanto previsto dal Modello standard, il risultato inaspettato sarebbe stato la mancanza del segnale, non la sua presenza.

Muon Collider

Se questa scoperta venisse confermata, avremmo una conferma sperimentale dell’accoppiamento del bosone H con leptoni della seconda famiglia. Questa potrebbe avere influenza per lo sviluppo di un acceleratore basato sullo scontro di muoni invece che elettroni?

Queste prime misure indicano che l’accoppiamento del bosone di Higgs con i muoni è compatibile con quello atteso. In questo caso, assumendo valido il Modello Standard, la probabilità di produrre direttamente (in modo risonante) bosoni di Higgs in un collisore di muoni sarebbe circa 40 mila volte maggiore di quella, troppo piccola, che si avrebbe in un collisore di elettroni, e questo renderebbe possibile misurare alcune quantità, come la massa del bosone di Higgs, con altissima precisione.

Aggiornamento del rivelatore CMS

L’acceleratore LHC (Large Hadron Collider) dovrebbe ripartire tra qualche mese, dopo un anno di riposo. Che miglioramenti sono stati apportati al rivelatore CMS in questo periodo?

Il numero di miglioramenti è molto grande. Tra questi, l’elettronica del rivelatore di vertice, il più preciso e vicino al punto di interazione, sta ricevendo vari aggiornamenti approfittando della necessità programmata di rimpiazzarne lo strato interno, il più soggetto a danneggiamenti da radiazioni. Anche l’elettronica del calorimetro per adroni è stata completamente sostituita, aumentandone significativamente le prestazioni.

Inoltre, abbiamo cominciato a installare rivelatori che sono previsti nel piano di aggiornamento per il futuro “High-Luminosity LHC”. In particolare due dischi di rivelatori di muoni basati sulla nuova tecnologia GEM (Gas Electron Multiplier). Avremo quindi un rivelatore ancora migliore, adatto a gestire in maniera ottimale l’alta intensità di collisioni tra protoni che LHC si prepara a fornire (anche lo stesso LHC ha significativi aggiornamenti in questo periodo).

L’impatto del COVID-19

L’emergenza COVID-19 ha costretto università ed enti di ricerca a nuove forme di lavoro a distanza. Vi sono state conseguenze, come ritardi nella programmazione della ripartenza di LHC o negli aggiornamenti al rivelatore?

CMS è una grande collaborazione internazionale, con istituti da 55 paesi di tutto il mondo, e siamo quindi già abituati a lavorare in rete. Praticamente tutti i nostri meeting sono da anni in videoconferenza per facilitare l’accesso remoto. Quindi la transizione a una modalità di telelavoro per alcune  attività, in particolare l’analisi dei dati, è stata forse più facile che in altri contesti. Anche se con difficoltà innegabili, per esempio per persone che hanno dovuto gestire figli a casa. Naturalmente altre attività di aggiornamento dei rivelatori, previste in questo periodo, hanno subito dei ritardi a causa della chiusura del CERN.

Alla fine del lockdown il management degli esperimenti, degli acceleratori e del CERN si è riunito e abbiamo deciso un nuovo programma, che vede la ripresa di LHC ad inizio 2022 invece che a metà 2021. Siamo tuttavia riusciti a ottimizzare i periodi seguenti cosicché la quantità di dati prevista nel prossimo periodo prima della nuova chiusura nel 2025, prevista per installare il grande aggiornamento di “high lumi LHC”, non ne risentirà e ci consentirà di continuare il nostro vastissimo programma di studi, ottenendo sicuramente nuovi importanti risultati.

 

La psicologia delle regole: il caso COVID-19

Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza Università di Roma, ha indagato i processi psicologici e i condizionamenti sociali che hanno portato le persone a rispettare le regole di quarantena e di distanziamento sociale imposte dal Governo in risposta all’emergenza da Coronavirus. La ricerca, condotta su un campione di 1.520 soggetti provenienti da tutta Italia, è stata pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology

psicologia regole COVID-19
Foto di Engin Akyurt

Fin dai primi giorni in cui in Italia sono state introdotte le misure di lockdown, è stato chiaro come, nonostante la preoccupazione generata dall’espandersi della pandemia e gli imperativi morali diffusi dai diversi esperti, le persone abbiano avuto difficoltà a rispettare la quarantena, a mantenere il distanziamento sociale e in generale ad adottare le precauzioni imposte dal Governo.
Eppure, il fatto che in molti abbiano trasgredito le regole, le abbiano adottate parzialmente o aggirate in nome di motivazioni di volta in volta convenienti e contingenti, non è del tutto sorprendente. Decine di studi psicologici hanno infatti da tempo dimostrato quanto sia difficile per le persone conformarsi alle regole, soprattutto quando queste vengono imposte dall’esterno e si basano su principi morali non sempre facili da comprendere.

Oggi, in un nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, il team di ricerca coordinato da Guido Alessandri della Sapienza Università di Roma, ha indagato le caratteristiche psicologiche e i determinanti psicosociali alla base del rispetto delle regole durante l’esplosione della pandemia di COVID-19. Lo studio, svolto in collaborazione con le università di Trento e Bologna e l’Università Pontificia Salesiana, ha permesso di identificare il disimpegno morale e la fiducia generalizzata negli altri come fattori cruciali, mediatori e moderatori di un comportamento più o meno ligio.
Durante la prima fase di lockdown, tra il 22 marzo e il 6 aprile 2020, i ricercatori hanno sottoposto le persone a dei questionari in cui gli veniva chiesto di indicare la frequenza con cui erano usciti da casa dall’inizio delle restrizioni e a che livello, a loro avviso, si erano attenuti alle regole imposte dal Governo. In questo modo è stato possibile tracciare il profilo psicologico di coloro che, più di altri, hanno riportato di aver trasgredito, ignorato o comunque avuto difficoltà nel conformarsi alle regole.

“Un ruolo fondamentale – spiega Guido Alessandri – è giocato dalle disposizioni di base delle persone. Abbiamo visto che i tratti di personalità possono determinare le scelte comportamentali andando a influenzare la tendenza degli individui stessi a disimpegnarsi moralmente, ovvero a ignorare per propria convenienza la dimensione etica del comportamento e a trasgredire le regole imposte senza mostrare alcun disagio, vergogna o rimorso, arrivando addirittura a trovare una piena giustificazione per le proprie azioni”.

Stando ai risultati dello studio, le persone che riportavano più alti livelli di disimpegno morale, riferivano all’interno dei questionari di aver violato più frequentemente le regole di isolamento domiciliare o di distanziamento sociale.
Oltre al disimpegno morale, le disposizioni di base degli individui apparivano correlate al loro livello di fiducia sociale generalizzata: la percezione che anche gli altri intorno a noi si stanno impegnando per rispettare le regole imposte, è risultata un ulteriore elemento cruciale nel favorire il rispetto delle regole tanto da arrivare, in talune circostanze, ad attenuare l’influenza del disimpegno morale sul non rispetto delle regole.

“A fronte delle disposizioni di base della personalità di ognuno, il disimpegno morale e la fiducia negli altri e soprattutto nel Governo, costituiscono dei potenti incentivi (o disincentivi) al rispetto delle regole” – conclude Alessandri. “Rappresentano delle leve psicologiche fondamentali per promuovere il rispetto delle regole nelle fasi avanzate della gestione della pandemia, che sempre più fanno affidamento sulle capacità di autoregolamentazione degli individui e sempre meno sulla stretta regolamentazione dei loro comportamenti”.

Riferimenti:
Alessandri, G., Filosa, L., Tisak, M. S., Crocetti, E., Crea, G., & Avanzi, L. (2020). Moral Disengagement and Generalized Social Trust as Mediators and Moderators of Rule-Respecting Behaviors During the COVID-19 Outbreak. Frontiers in Psychology, 11:2102. doi: 10.3389/fpsyg.2020.02102

 

Testo sulla psicologia delle regole col COVID-19 dall’Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma.

Riaperture scolastiche: in un documento congiunto le indicazioni

agli istituti perla gestione di casi e focolai di Covid-19

Identificare un referente scolastico per il Covid-19 adeguatamente formato, tenere un registro degli eventuali contatti tra alunni e/o personale di classi diverse, richiedere la collaborazione dei genitori per misurare ogni giorno la temperatura del bambino e segnalare eventuali assenze per motivi di salute riconducibili al Covid-19.

Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel rapporto “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” messo a punto da ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Veneto e Regione Emilia-Romagna, che contiene anche i comportamenti da seguire e le precauzioni da adottare nel momento in cui un alunno o un operatore risultino casi sospetti o positivi.

Questo documento è il frutto di un impegno condiviso tra molte istituzioni nazionali e Regioni e Province Autonome. La necessità di riprendere le attività scolastiche è indicata da tutte le agenzie internazionali, tra le quali l’Oms, come una priorità ed è tale anche per il nostro Paese.– commenta il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro –. Pertanto, in una prospettiva di possibile circolazione del virus a settembre e nei prossimi mesi, è stato necessario sviluppare una strategia nazionale di risposta a eventuali casi sospetti e confermati in ambito scolastico o che abbiano ripercussioni su di esso, per affrontare le riaperture con la massima sicurezza possibile e con piani definiti per garantire la continuità”.

Il documento, di taglio operativo, descrive le azioni da intraprendere nel caso un alunno o un operatore scolastico abbia dei sintomi compatibili con il Covid-19, sia a scuola che a casa. Ad essere attivati saranno il referente scolastico, i genitori, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale e il dipartimento di Prevenzione. Se ad esempio un alunno manifesta la sintomatologia a scuola, le raccomandazioni prevedono che questo vada isolato in un’area apposita assistito da un adulto che indossi una mascherina chirurgica e che i genitori vengano immediatamente allertati ed attivati. Una volta riportato a casa i genitori devono contattare il pediatra di libera scelta o medico di famiglia, che dopo avere valutato la situazione, deciderà se è necessario contattare il Dipartimento di prevenzione (DdP) per l’esecuzione del tampone. Se il test è positivo il DdP competente condurrà le consuete indagini sull’identificazione dei contatti e valuterà le misure più appropriate da adottare tra le quali, quando necessario, l’implementazione della quarantena per i compagni di classe, gli insegnanti e gli altri soggetti che rientrano nella definizione di contatto stretto. La scuola in ogni caso deve effettuare una sanificazione straordinaria. Fra i compiti degli istituti il documento prevede anche il monitoraggio delle assenze, per individuare ad esempio casi di classi con molti alunni mancanti che potrebbero essere indice di una diffusione del virus e che potrebbero necessitare di una indagine mirata da parte del DdP.

Il documento sottolinea che è difficile stimare al momento quanto la riapertura delle scuole possa incidere su una ripresa della circolazione del virus in Italia. “In primo luogo – scrivono gli esperti –, non è nota la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle scuole. Più in generale, non è noto quanto i bambini, prevalentemente asintomatici, trasmettano SARS-COV-2 rispetto agli adulti, anche se la carica virale di sintomatici e asintomatici, e quindi il potenziale di trasmissione, non è statisticamente differente. Questo non permette una realistica valutazione della trasmissione di SARS-COV-2 all’interno delle scuole nel contesto italiano. Non è inoltre predicibile il livello di trasmissione (Rt) al momento della riapertura delle scuole a settembre”. È previsto che il documento venga aggiornato per rispondere alle esigenze della situazione e alle conoscenze scientifiche man mano acquisite.

riaperture scolastiche COVID-19
Con le riaperture scolastiche, grande attenzione al COVID-19. Foto di Alexandra Koch

Testo dall’Ufficio Stampa Istituto Superiore di Sanità (www.iss.it) sul documento relativo alla gestione di casi e focolai di COVID-19 dopo le riaperture scolastiche.

Il rapporto “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” è sul sito del Ministero della Salute.

 

L’IMPATTO PSICOLOGICO DEL COVID-19 SULLA POPOLAZIONE ITALIANA E SUGLI OPERATORI SANITARI

Due studi coordinati dall’Università di Torino hanno indagato i sintomi depressivi e da stress post-traumatico in seguito alla diffusione del Covid-19 in Italia e i loro possibili fattori di rischio

Due studi, condotti durante la pandemia, tra il 19 marzo e il 5 Aprile 2020, e recentemente pubblicati su riviste scientifiche internazionali, hanno indagato i livelli di ansia, depressione e di sintomi da stress post-traumatico (PTSS) nella popolazione generale e negli operatori sanitari (medici e infermieri). I due studi sono stati condotti dal gruppo di ricerca “ReMind the Body” coordinato dal Prof. Lorys Castelli del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

Il primo studio, pubblicato sulla rivista The Canadian Journal of Psychiatry, è stato condotto su 1321 partecipanti provenienti da diverse zone d’Italia. Ai partecipanti è stato richiesto di compilare una serie di questionari, attraverso una survey online anonima.

I risultati hanno messo in luce non solo un’elevata percentuale di individui che presentano sintomi di ansia e depressione clinicamente rilevanti, rispettivamente 69% e 31%, ma anche un’elevata prevalenza di sintomi da stress post-traumatico. Il 20 % del campione riferisce infatti la presenza di significativi PTSS che, come evidenzia la letteratura scientifica, tendono ad aggravarsi nel tempo e che possono sfociare in veri e propri disturbi da stress post-traumatico. Dalla analisi effettuate emerge che i soggetti più a rischio per lo sviluppo di PTSS sono le donne, i soggetti con bassi livelli di scolarità e coloro che sono entrati in contatto con pazienti Covid-19 positivi.

Il secondo studio, condotto sugli operatori sanitari e pubblicato sul Journal of Evaluation in Clinical Practice, è stato condotto su 145 operatori sanitari (72 medici e 73 infermieri), confrontando i sintomi psicopatologici (ansia, depressione e PTSS) tra gli operatori sanitari che stavano lavorando nei reparti Covid-19 (63), vale a dire con pazienti Covid positivi, e quelli che lavoravano in altre unità ospedaliere (82) e non erano quindi a contatto con pazienti Covid positivi. I risultati hanno messo in luce che i primi riportano livelli significativamente più elevati sia di depressione sia di PTSS rispetto ai secondi. Inoltre, tra i professionisti sanitari impegnati nei reparti Covid-19, l’essere donna e l’essere single rappresentano fattori di rischio per i sintomi depressivi mentre l’essere donna e avere un’età più avanzata sono associati a maggiori livelli di PTSS.

Questi risultati, oltre a evidenziare l’impatto drammatico dell’epidemia in atto sulla salute mentale della popolazione italiana e in particolare sugli operatori sanitari impegnati in prima linea nella lotta al Covid-19, evidenziano la necessità di mettere in atto tempestivi programmi di screening, volti a identificare le persone con livelli di psicopatologia clinicamente rilevanti.

È infatti noto che i disturbi psicologici/psichiatrici, come la depressione, possano avere un peso importante anche sulla salute fisica. Le persone che sviluppano depressione, ad esempio, hanno maggiori probabilità di andare incontro a determinate patologie mediche, come l’infarto del miocardio. La presenza di sintomi psicopatologici clinicamente rilevanti non rappresenta quindi solamente un problema di per sé ma ha ampie ricadute a lungo termine sulla salute psico-fisica dell’individuo.

Gli strumenti di screening psicologico permettono di identificare i soggetti che presentano una sintomatologia clinicamente rilevante e, attraverso successive valutazioni, di monitorarne l’andamento nel tempo. Tale procedura, qualora venisse applicata su larga scala, renderebbe possibile proporre degli interventi psicologici mirati (sportelli di ascolto, sostegno psicologico, psicoterapia) che si tradurrebbero in un beneficio per i soggetti che presentano disagio psicologico e in un risparmio economico per il sistema sanitario sul lungo periodo, in termini di minori ricadute psicofisiche e minor richiesta di cure.

Il celebre “motto” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “There is no health without mental health”, “non c’è salute senza salute mentale”, ben fotografa la necessità di prendersi carico oggi di questo disagio, affinché non si cronicizzi e non si traduca nel tempo in un più generale peggioramento della salute psicofisica, con i costi umani, sociali ed economici che ne conseguirebbero. Lo Spazio di Ascolto dell’Ateneo torinese, promosso e coordinato dal dipartimento di Psicologia, rappresenta un utile esempio di questo modello, che andrebbe valorizzato ed esteso.

 


Testo dall’Università degli Studi di Torino sui due studi relativi all’impatto psicologico sulla popolazione e sugli operatori sanitari a seguito della diffusione del Covid-19 in Italia.

IL NUOVO MONDO POST-COVID DALLA FINANZA AL CALCIO

DA EDIZIONI CA’ FOSCARI INSTANT-BOOK FIRMATO DA 53 ECONOMISTI

Investire sulla resilienza per affrontare crisi future tra i messaggi chiave del volume che analizza esperienze e scenari internazionali

economia post-COVID instant-book Edizioni Ca' Foscari
La copertina dell’instant-book A New World post COVID-19. Lessons for Business, the Finance Industry and Policy Makers, edited by Monica Billio and Simone Varotto, Edizioni Ca’ Foscari. Un team di 53 studiosi di economia sul mondo post-COVID

VENEZIA – Gli spettri del protezionismo o dell’austerity, il delicato ruolo della Banca centrale europea, l’incertezza dei mercati attenti alla curva epidemica, la prudenza nel ritorno al turismo. Ma anche l’immobiliare orientato verso case più grandi in cui lavorare, le criptovalute per diversificare, investimenti sulla scia del Green Deal e il calcio che si dovrà reinventare.

Un team di 53 economisti ha esplorato esperienze del passato e scenari di possibile ripresa in vari campi dell’economia, del business e della finanza, realizzando in poche settimane il primo libro sul mondo post-COVIDedito da Edizioni Ca’ Foscari e scaricabile gratuitamente online.

Uno dei capitoli firmati da ricercatori cafoscarini riguarda il nesso tra pandemia, clima e finanza pubblica. Secondo gli studiosi, non sarebbe lungimirante uno sforzo per tornare alla situazione pre-epidemica, ma piuttosto andrebbero favorite politiche che puntino sulla resilienza socio-economica in vista di future pandemie o crisi di simile portata, allineandole a iniziative europee come il Green Deal. Sarebbero scelte egualmente costose rispetto a politiche di più corto respiro, ma metterebbero l’Europa nelle condizioni di affrontare meglio futuri shock, concludono gli autori Stefano Battiston, Monica Billio e Irene Monasterolo, i quali hanno condotto queste analisi nell’ambito di un progetto in collaborazione con la Banca Mondiale che ha riguardato finora paesi in via di sviluppo e proseguirà nei prossimi mesi.

Il volume, curato da Monica Billio, direttrice del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia, e da Simone Varotto, professore associato alla Henley Business School della University of Reading, inaugura una collana su Innovation in Business, Economics & Finance, diretta da Carlo Bagnoli, professore di Innovazione Strategica a Ca’ Foscari.

“Le pandemie sono eventi dirompenti che hanno conseguenze profonde per la società e l’economia – afferma Simone Varotto, cafoscarino oggi docente a Reading e curatore del libro – il volume intende presentare un’analisi degli impatti economici del COVID-19 e le probabili conseguenze future. Abbiamo chiesto agli studiosi che hanno contribuito di scrivere per lettori non esperti, in modo da diffondere un messaggio che vada oltre l’accademia e gli economisti, per raggiungere i decisori e la società”.

“I contenuti del libro derivano dalle più recenti ricerche e forniscono una quantità di spunti per ulteriori approfondimenti e riflessioni – aggiunge Monica Billio, professoressa a Ca’ Foscari – Questo rende la pubblicazione uno strumento ideale anche per gli studenti di economia e finanza che vogliano capire meglio come la pandemia influenzi le loro discipline”.

E il calcio? Il tema, tanto caro agli appassionati inglesi come agli italiani, ha implicazioni economiche che non vanno sottovalutate. Secondo J. James Reade e Carl Singleton della University of Reading il futuro dipenderà dalle scelte di proprietari e manager dei principali club: punteranno su diversità e inclusione o continueranno a dominare gli interessi finanziari? L’analisi tocca anche il vantaggio, eroso dalle porte chiuse, del giocare “in casa”. Inoltre, paventa un possibile contagio, ma questa volta finanziario, in caso di bancarotta di club molto dipendenti dagli incassi dei biglietti: la maggior parte dei loro debiti sono detenuti da altre società sottoforma di pagamenti dilazionati dei trasferimenti di giocatori. Vie d’uscita? Secondo i ricercatori diversificare su un asset in crescita come il calcio femminile e tagliare spese improduttive come le provvigioni degli agenti sarebbero tra le migliori politiche per garantire un futuro all’industria del pallone.

Link al libro:  http://doi.org/10.30687/978-88-6969-442-4

A New World Post COVID-19 

Lessons for Business, the Finance Industry and Policy Makers

 

Testo e immagine dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia sull’instant-book Edizioni Ca’ Foscari, realizzato da 53 studiosi di economia sul mondo post-COVID.

Effetti del lockdown: sintomi depressivi o ansiosi per un italiano su quattro, oltre il 40% ha avuto disturbi del sonno

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Foto di Jeyaratnam Caniceus

Sono stati pubblicati sull’International Journal of Environmental Research and Public Health i risultati del progetto COCOS (Covid Collateral ImpactS), ideato e condotto dalla Prof.ssa Maria Rosaria Gualano e dal Dr. Gianluca VoglinoIl Gruppo di Ricerca – guidato dalla Prof.ssa Roberta Siliquini – della Sezione di Igiene del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, si occupa da anni di approfondire il tema del benessere mentale in un’ottica di sanità pubblica. Lo studio è stato realizzato nelle ultime due settimane della Fase 1 (19 aprile – 3 maggio 2020), valutando l’impatto del lockdown sui comportamenti e sul benessere degli italiani.

Dalle interviste condotte su un campione di oltre 1500 soggetti, tutti maggiori di 18 anni d’età, la salute mentale sembra essere un problema significativo.  Si possono evidenziare profili di fragilità tra le donne, i più giovani e tra coloro i quali hanno subito difficoltà economiche legate al lockdown. I dati mostrano che il 23,2% degli intervistati ha avuto disturbi di tipo ansioso, il 24,7% sintomi depressivi, il 42,4% disturbi del sonno e, per quest’ultima patologia, la probabilità di essere colpiti risulta doppia tra le donne. Ulteriori dati circa l’accesso alle cure, l’uso della mascherina e la paura di uscire e svolgere attività indotta dalle pressioni sociali saranno pubblicati dai ricercatori nelle prossime settimane e presentati al Congresso Mondiale di Sanità Pubblica che si terrà ad ottobre 2020.

“Bisogna mettere al centro dell’agenda di sanità pubblica la cura della salute mentale del cittadino – dichiara la Prof.ssa Maria Rosaria Gualano – in quanto la sofferenza mentale potrebbe rappresentare un’ennesima pandemia di cui occuparsi a livello globale, soprattutto per i soggetti più a rischio come i giovani, le persone sole e chi ha perso o rischia di perdere il lavoro”“L’alto interesse che lo studio ha suscitato tra gli intervistati – prosegue il Dr. Gianluca Voglino – testimonia la necessità di ascoltare i bisogni dei cittadini. Serve farsi carico delle persone in modo globale, ancor di più in momenti difficili come quello che stiamo vivendo”.

 

 

Testo sui sintomi depressivi e ansiosi legati al lockdown dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo

Un nuovo studio del team di ricercatori del dipartimento di Scienze biomediche della Statale evidenzia la prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1.
COVID COVID-19 ceppo Italia coronavirus
COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo. Foto di Tumisu

Nuovo studio sul COVID-19 dell’equipe guidata dalla ricercatrice Alessia Lai e dai docenti dell’Università Statale di Milano, Massimo Galli, Claudia Balotta e Gianguglielmo Zehender del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” e del Centro di Ricerca Coordinata Epidemiologia e Sorveglianza Molecolare delle Infezioni dell’Università Statale di Milano (EpiSoMI). Dalla caratterizzazione di 59 nuovi genomi virali italiani, emerge la schiacciante prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1 nella nostra epidemia (arrivato in Germania da Shanghai). Un solo genoma deriva invece dalla linea evolutiva di diretta importazione da Wuhan.
I nuovi dati incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia finora.

La nuova ricerca, frutto di un’estesa collaborazione tra il Laboratorio di Malattie Infettive dell’Università Statale di Milano e più di 10 tra Centri Clinici e Università del Centro e Nord Italia (tra cui Bergamo, Brescia, Cremona, Milano, Padova, Ancona, Siena) definisce con un numero maggiore di sequenze, su un’area geografica non limitata alla Lombardia e una temporizzazione più ampia, la dinamica evolutiva e le caratteristiche epidemiologico molecolari del virus SARS-CoV-2 in Italia.

Nel corso dello studio è stato possibile effettuare la caratterizzazione molecolare di 59 nuovi genomi virali ottenuti da pazienti Italiani dai primi giorni dalla manifestazione dell’epidemia fino alla seconda metà di aprile, quando la curva epidemica ha iniziato a declinare. I nuovi genomi virali studiati, che vengono messi a disposizione della comunità scientifica nelle banche dati pubbliche, incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia da infezioni autoctone disponibili ad oggi.

Dall’indagine emerge la netta prevalenza in Italia di un singolo lignaggio virale (e di suoi lignaggi discendenti) ascrivibile, secondo uno dei sistemi di classificazione più largamente impiegati, al lignaggio B.1 e correlabile al primo cluster Europeo, che ha avuto luogo in Germania attorno al 20 gennaio ed è stato causato dalla documentata importazione di un ceppo circolante a Shanghai.

Un po’ misteriosamente, un solo isolato, ottenuto da un paziente italiano residente in Veneto, che non ha riferito viaggi recenti o contatti con persone provenienti dalla Cinasi è rivelato appartenere invece al lignaggio ancestrale B, simile quindi all’isolato giunto in Italia alla fine di gennaio per diretta importazione dalla città di Wuhan con i due turisti cinesi poi assistiti allo Spallanzani.

La divergenza tra gli isolati B.1 è risultata relativamente modesta, con differenza nucleotidica media di soli 6 nucleotidi, con alcune eccezioni.

Tutti i genomi ‘italiani’ mostrano la mutazione 614G nella proteina Spike, che caratterizza ormai la gran parte dei genomi virali isolati in Europa e al mondo, non solo quelli del ceppo B1 ma anche l’unico appartenente al ceppo B. La mutazione di Spike del lignaggio B era peraltro stata rintracciata in alcuni isolati in Thailandia, Turchia, Romania, Olanda ed Israele.

L’approccio filodinamico, che attraverso l’analisi della forma dell’albero filogenetico consente di stimare il tasso di crescita esponenziale o il numero riproduttivo effettivo (Re), ha mostrato che il virus era già presente in Italia i primi di febbraio, anche se la crescita esponenziale si è verificata tra la fine di febbraio e la metà di marzo, quando l’Re è passato da un valore iniziale prossimo a 1 a più di 2.3 e il tempo di raddoppiamento dell’epidemia si è ridotto da 5 a 3 giorni.

Solo nella seconda metà di marzo, l’analisi ha potuto evidenziare una lieve flessione dei valori di Re, probabilmente in relazione alla adozione delle misure di distanziamento sociale.

Lo studio dei ricercatori della Statale estende le osservazioni preliminari attuate nelle primissime fasi dell’epidemia ad un numero di sequenze e ad un periodo più ampio e permette di ipotizzare la diffusione largamente prevalente in Italia di un ceppo di SARS-CoV-2 originato verosimilmente da un’unica fonte iniziale di contagio e la sua successiva ulteriore differenziazione in sotto-lignaggi attualmente largamente diffusi in tutto il mondo. Il ruolo, anche se probabilmente minoritario o marginale, sostenuto da ceppi diversi dal prevalente merita tuttavia una più approfondita indagine su un più ampio campione, anche al fine di comprenderne l’origine e la reale diffusione in Italia.

 

 Testo sulla prevalenza in Italia del ceppo “Europeo” di COVID-19 dall’Università Statale di Milano

COVID-19: non solo polmoni, il virus interessa anche il cervello

Su “European Journal of Neurology”, uno studio europeo, con il contributo della Statale, rileva la presenza di sintomi neurologici nei pazienti affetti da Covid-19.

Uno studio apparso su European Journal of Neurology pochi giorni fa, condotto dalla Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo – ASST Santi Paolo e Carlo – e dal Centro di ricerca Aldo Ravelli dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i principali centri neurologici dei paesi europei ha dimostrato che il COVID-19 non si limita ai sintomi polmonari ma può dare manifestazioni neurologiche.

La ricerca si è basata su una indagine condotta attraverso questionari online, composti da 17 domande, distribuiti ai medici europei impegnati nel fronteggiare la pandemia.  Sono stati raccolti più di 2.300 questionari che riportavano la presenza di sintomi neurologici in circa ¾ dei pazienti. I principali disturbi riscontrati andavano da cefalea e mialgie all’encefalopatia.

Alberto Priori, direttore della Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo e Professore del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano, fra gli autori dello studio, sostiene che “i meccanismi responsabili dell’interessamento neurologico sono molteplici. Essi possono essere diretti per effetto della diffusione del virus nel tessuto nervoso, come dimostrato proprio qui al Polo Universitario San Paolo dove per la prima volta è stato identificato col microscopio elettronico il virus e i danni tissutali correlati all’infezione. Ci sono anche meccanismi indiretti, come per esempio l’importante attivazione della coagulazione del sangue, che possono portare ad ictus. L’importanza dello studio è che a livello europeo si è dimostrato che i sintomi neurologici sono frequentemente riscontrabili”.

Saranno inoltre da valutare le complicanze neurologiche tardive dell’infezione poiché in molti dei pazienti più gravi poi guariti si riscontrano alterazioni neurologiche che richiedono uno stretto monitoraggio e la collaborazione tra molti specialisti con un percorso riabilitativo complesso che può essere anche molto lungo. In conclusione, lo studio suggerisce che si sta aprendo un nuovo capitolo nei libri di neurologia e che i neurologi potranno avere un ruolo importante nella gestione della pandemia e nei suoi esiti.

 

Testo sullo studio che rileva come il COVID-19 interessi anche il cervello dall’Università Statale di Milano

Dalla mula Tuona e dall’asino Lampo è nato Quarantena, un caso rarissimo, scienziati dell’Ateneo di Perugia al lavoro per dare una spiegazione dell’evento

Quarantena

Una mula fecondata da un asino Amiatino ha dato alla luce un puledro maschio nella zona rurale di Tuscania in provincia di Viterbo: i ricercatori Stefano Capomaccio, genetista del Centro di Ricerca del Cavallo Sportivo, e Maurizio Monaci, ginecologo del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Perugia, hanno avviato uno studio per comprendere come sia stato possibile.

 “Si tratta infatti di un fenomeno molto raro – sottolinea il professor Monaci – : il mulo è la prole ibrida tra una cavalla e un asino e dovrebbe essere sterile, ma non in questo caso”.

 Il lieto e straordinario evento è avvenuto lo scorso 17 aprile, durante l’emergenza Coronavirus, a Tuscania, nella Fattoria di Redelmo e Luca Mattioli, appassionati allevatori di cavalli e muli da più generazioni.

Redelmo Mattioli e Quarantena

La mula Tuona e il suo puledro Quarantena (è nato durante l’emergenza COVID-19, da qui la scelta del nome) insieme al padre Lampo sono diventati un’attrazione locale e sono stati tanti i curiosi che hanno voluto rendere omaggio alla nascita della rara creatura.

 “Un cavallo ha 64 cromosomi e un asino ne ha 62, quindi un mulo rimane con 63, un numero irregolare che non può essere diviso in coppie: ciò dovrebbe impedire a un mulo di riprodursi  – aggiunge il professor Capomaccio -.  Stiamo dunque indagando, con tecnologie all’avanguardia, le cause della inusuale gravidanza a livello molecolare. Forse la scienza riuscirà a spiegarci il perché Quarantena somiglia un po’ a un asino e un po’ a un mulo, ma non esattamente ad uno di essi”.

 “L’evento è così raro che i latini avevano coniato un proverbio Cum mula peperit, che significa appunto quando una mula potrà partorire – ha spiegato dottoressa Alessia Ciaramelli, ippiatra e specialista in neonatologia che ha assistito madre e figlio nelle fasi del post partum – . Quando accadde in Marocco, le popolazioni locali temevano che segnasse l’inizio della fine del mondo o, come in un villaggio dell’Albania, che l’evento fosse la progenie del diavolo”.

mula asino
Tuona e Quarantena

La nascita è stata dunque un piccolo ‘miracolo’, un fenomeno molto raro notato per la prima volta dal filosofo e scienziato Aristotele.

Ci sono stati pochissimi casi comprovati di un mulo che ha partorito negli ultimi quaranta anni: in Marocco nel 1984 e nel 2002, in Cina nel 1988, in Albania nel 1994 e in Colorado nel 2007. Dal 1527, per nostra conoscenza, ci sono stati solo un totale di 60 casi di mule che hanno partorito.

mula asino
Quarantena

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Perugia

Redelmo Mattioli e Quarantena

Nuovo modello epidemico da economisti di Ca’ Foscari e Cambridge 

COVID-19: MISURE ‘SOFT’ POSSONO EVITARE SECONDO PICCO

CONFERMA DA STUDIO CHE CONSIDERA I CASI ‘SOMMERSI’

In Lombardia e a Londra censita solo una minima parte dei casi.

Mascherine, distanze, igiene e isolamento degli infetti possono prevenire una nuova ondata di decessi

VENEZIA – Mascherine e distanziamento fisico possono sostituire il lockdown in modo efficace, scongiurando una seconda ondata dell’epidemia, in Lombardia come a Londra. Due economisti italiani sono giunti a questa conclusione considerando sia i dati ufficiali di contagi, guarigioni e decessi, sia i numeri, più difficili da stimare, dei casi non osservati (almeno il doppio di quelli censiti) e delle morti per Covid-19 non rilevate (il 35% in più del dato ufficiale in Lombardia, il 17% in più a Londra). Lo studio è stato pubblicato nei giorni scorsi su Covid Economics, una pubblicazione speciale del Centre for Economic Policy Research.

“Il modello epidemico che proponiamo è stimato in Lombardia e a Londra, due regioni particolarmente colpite dal virus – spiega Dario Palumbo, “Carlo Giannini” Fellow al Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e coautore dello studio con Salvatore Lattanzio dell’Università di Cambridge – tiene conto anche degli stati non osservati e delle politiche sulla mobilità e prevede l’evoluzione della malattia in base a diverse politiche. Mostriamo come mitigare la probabilità di contagio con misure ‘soft’, riducendola fino al 20/40% rispetto a uno scenario senza misure, abbia effetti positivi paragonabili a quelli di un prolungamento del lockdown”.

Per i ricercatori, è evidente come le statistiche ufficiali abbiano sottostimato casi e decessi. Per questo, hanno elaborato un modello matematico che prevede quattro possibili stati delle persone rispetto all’epidemia (suscettibile, esposto, infetto e deceduto), ma introducendo per infetti, guariti e deceduti due tipologie: osservati e non osservati.

Alla fine del periodo su cui è stato testato il modello (9 aprile in Lombardia e 15 aprile per Londra), stimano che fossero stati contagiati il 5,7% dei lombardi e il 2% dei londinesi. Significa che i ‘non osservati’ sarebbero stati il doppio dei casi riportati dalle statistiche, che i guariti sarebbero stati tra le 20 e le 26 volte in più rispetto a quelli censiti e che il numero di decessi per Covid-19 sia stato sottovalutato del 35% in Lombardia e del 17% a Londra.

Grazie al modello, poi, gli economisti hanno calcolato scenari di progressivo riavvio della mobilità, ipotizzando una ripresa della circolazione delle persone fino al 75% del livello pre-pandemia.

Senza alcuna misura di contenimento, vediamo inevitabile un secondo picco dell’epidemia e una ripresa dei decessi – afferma Palumbo – tuttavia, agendo sulla probabilità di contagio il secondo picco diventa meno probabile. In particolare, riducendo tale probabilità del 40% in Lombardia e tra il 20 e il 30% a Londra, il bilancio delle vittime torna in linea con quello di un lockdown permanente”.

La rimozione delle restrizioni del lockdown, dimostra la ricerca, non implica una ripresa della curva epidemica in presenza di politiche attive che promuovono la riduzione della probabilità di infezione come distanziamento fisico, mascherine, migliore igiene e isolamento dei casi infetti.

“Non adottare queste misure di mitigazione – conclude Palumbo – significa rischiare un secondo picco anche in scenari in cui il lockdown viene allentato in modo molto graduale, come avvenuto in Italia”.

Il metodo

La novità dello studio sta anche nella metodologia sviluppata dai due economisti, che a un modello epidemiologico di tipo SEIRD (Susceptible-Infected-Exposed-Recovered-Dead) applica una tecnica statistica chiamata Kalman Filtering, che in modo dinamico adatta le stime correggendole per ogni punto nel tempo anche per i casi non osservati. L’alternativa, più comune, è assumere che i casi ‘sommersi’ siano una certa proporzione fissa degli osservati. Aggiustare questo calcolo nel tempo riduce l’incertezza dei risultati.

Lo studio: https://cepr.org/sites/default/files/news/CovidEconomics18.pdf#Paper1

COVID-19 soft mascherine distanziamento sociale
Foto di Mohamed Hassan

 

Testo dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia