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Communications Earth and Environment

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Scoperta una cavità nascosta sotto i Campi Flegrei: nuova luce sulla dinamica dei flussi magmatici e sulla gestione dei rischi
Lo studio, pubblicato su Nature Communications Earth and Environment, rivela l’esistenza di una frattura profonda che risuona sotto la caldera napoletana. Il lavoro è frutto di una collaborazione tra Università di Pisa, INGV e GFZ-Potsdam.
 
Risuona nello stesso modo dal 2018, è così che un team internazionale guidato dall’Università di Pisa ha scoperto una cavità nascosta sotto i Campi Flegrei a 3,6 km di profondità, relativamente vicina alla superficie. La ricerca, pubblicata su Nature Communications Earth and Environment e frutto di una collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Centro GFZ Helmholtz per le Geoscienze di Potsdam (GFZ Helmholtz Centre for Geosciences, Potsdam, Germania), apre nuove prospettive per comprendere l’evoluzione del sistema vulcanico e valutare meglio i rischi associati.
La cavità individuata per la prima volta mette in comunicazione il serbatoio profondo responsabile del sollevamento del suolo con le fumarole superficiali di Solfatara e Pisciarelli. È lunga circa un chilometro, larga circa 650 metri con uno spessore medio di 35 centimetri e un volume complessivo intorno ai 220.000 metri cubi. Le analisi non ha rivelato con certezza il contenuto forse gas ad alta pressione o fluidi magmatici.
“Abbiamo individuato la cavità grazie all’analisi di segnali sismici di lunghissimo periodo (VLP) – spiega Giacomo Rapagnani, dottorando dell’Università di Pisa e e primo autore dello studio – Questa struttura risuona sempre alla stessa frequenza (0,114 Hz) da almeno sette anni, segno che le sue dimensioni e la sua composizione sono rimaste stabili nel tempo, si tratta di un indizio prezioso per comprendere come si evolvono i flussi di fluidi nel sottosuolo e individuare eventuali segnali di variazione strutturale che potrebbero indicare un aumento del rischio vulcanico”.
I Campi Flegrei, situati nel Golfo di Napoli, sono tra i complessi vulcanici più monitorati al mondo. Dal 2005 l’area è interessata da una nuova fase di sollevamento del suolo, nota come bradisisma, accompagnata da terremoti di intensità crescente. L’evento sismico più forte, di magnitudo Md 4.6, è avvenuto il 30 giugno 2025.
Abbiamo analizzato oltre cento terremoti avvenuti dal 2018 a oggi – continua Rapagnani – è così emerso che in coincidenza con i terremoti più intensi si attiva una “risonanza” a bassa frequenza che ha rilevato appunto l’esistenza della frattura. È un comportamento simile a quello osservato in altri vulcani attivi, ma mai documentato prima nei Campi Flegrei”.
“Questo studio evidenzia come lo sviluppo e l’applicazione di tecniche sofisticate per l’analisi dei dati sismologici siano fondamentali per comprendere a fondo processi geofisici complessi, come i terremoti e le eruzioni vulcaniche – aggiunge Francesco Grigoli coautore dell’articolo e professore di Geofisica dell’Università di Pisa – Solo spingendo al limite le nostre capacità di analizzare grandi quantità di dati eterogenei possiamo migliorare la comprensione di questi fenomeni e mitigare con maggiore efficacia i rischi a essi associati”.
Lo studio è frutto della collaborazione tra l’Università di Pisa, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Centro GFZ Helmholtz per le Geoscienze di Potsdam (GFZ Helmholtz Centre for Geosciences, Potsdam, Germania). Gli autori sono Giacomo Rapagnani, Simone Cesca, Gilberto Saccorotti, Gesa Petersen, Torsten Dahm, Francesca Bianco e Francesco Grigoli.
da sinistra, Giacomo Rapagnani, Anthony Salvatore Cappetta (Master student Unipi), Francesco Grigoli, Giulio Pascucci (dottorando Unipi), Emanuele Bozzi (Postdoc Unipi)
da sinistra, Giacomo Rapagnani, Anthony Salvatore Cappetta (Master student Unipi), Francesco Grigoli, Giulio Pascucci (dottorando Unipi), Emanuele Bozzi (Postdoc Unipi)
Riferimenti bibliografici:
Rapagnani, G., Cesca, S., Saccorotti, G., Petersen, G., Dahm, T., Bianco, F., Grigoli, F. (2025). Coupled earthquakes and resonance processes during the uplift of Campi Flegrei caldera, Communications Earth & Environment, 6, 607, DOI: https://doi.org/10.1038/s43247-025-02604-7
Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa.

L’Eruzione di Maddaloni: scoperta una delle eruzioni più potenti della storia dei Campi Flegrei

Risale a oltre centomila anni fa una delle eruzioni più significative in quest’area. A rivelarlo, uno studio congiunto CNR-IGAG, Sapienza Università di Roma, INGV e Università Aldo Moro di Bari, pubblicato sulla rivista scientifica Communications Earth and Environment di Nature. La conoscenza approfondita della storia eruttiva di questa regione potrà migliorare la valutazione dei rischi vulcanici associati alla zona.

I Campi Flegrei sono un complesso vulcanico attivo, circondato da aree urbane ad alto rischio. Tra i più studiati al mondo, la loro storia eruttiva è ben documentata solo negli ultimi 40.000 anni. Un nuovo studio rivela che, 109.000 anni fa, si verificò un’eruzione di magnitudo simile all’’Ignimbrite Campana’, la più grande eruzione dell’area mediterranea.

A ricostruire l’entità dell’eruzione, un team italiano di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IGAG), della Sapienza Università di Roma, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), e dell’Università di Bari Aldo Moro. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Communications Earth and Environment di Nature.

“Nell’area dei Campi Flegrei, le testimonianze geologiche dell’attività più antica sono difficilmente accessibili perché giacciono in profondità nel sottosuolo, sotto notevoli spessori di rocce vulcaniche più recenti”, spiegano Gianluca Sottili e Giada Fernandez, della Sapienza Università di Roma. “La ricostruzione dell’intera storia eruttiva di questo vulcano è tuttavia cruciale per evidenziare alcuni parametri fondamentali per la definizione della sua pericolosità, quali la frequenza e la magnitudo degli eventi eruttivi. A tal riguardo, le ceneri prodotte dalle grandi eruzioni depositate in aree remote rispetto al vulcano, offrono la possibilità di estendere molto indietro nel tempo lo studio della storia eruttiva di un vulcano, consentendone una ricostruzione più completa”.

“Come le impronte digitali o il DNA distinguono i singoli individui, alcune proprietà stratigrafiche, chimiche e cronologiche dei livelli di cenere rinvenuti nei sedimenti marini o lacustri, anche a migliaia di chilometri dal vulcano, possono consentire agli scienziati di identificare la sorgente vulcanica e, in alcuni casi, persino il singolo evento eruttivo che le ha prodotte”, aggiunge Biagio Giaccio, del CNR-IGAG. “Più precisamente, attraverso la datazione e l’analisi chimica dei micro-frammenti di pomice, di cui è costituito il materiale vulcanico trasportato dal vento in aree lontane, è possibile ricostruire l’area di dispersione della cenere di uno specifico evento eruttivo”.

“Con i dati già a nostra disposizione e tramite modelli di dispersione delle ceneri vulcaniche, abbiamo potuto ricostruire la dinamica e la magnitudo dell’eruzione”, prosegue Antonio Costa, dell’INGV. “Abbiamo così ottenuto le stime di alcuni parametri fondamentali come, ad esempio, il volume del magma eruttato e l’altezza della colonna o nube di cenere e gas”.

Attraverso questo approccio multidisciplinare, comunemente applicato ad eruzioni recenti le cui tracce sono chiaramente documentate intorno al vulcano, i ricercatori hanno ricostruito i principali parametri eruttivi di un’antica eruzione Flegrea di 109.000 anni fa, denominata ‘Eruzione di Maddaloni, pressoché inaccessibile nell’area del vulcano ma ben documentata dalle ceneri depositate in aree remote, note con la sigla ‘X-6’ e rinvenute in un’ampia area del Mediterraneo, dall’Italia centrale fino alla Grecia.

“Sorprendentemente”, prosegue Antonio Costa, “i risultati della modellazione hanno fornito una stima di magnitudo di 7.6, cioè di poco inferiore a quella della famosa Ignimbrite Campana di circa 40.000 anni fa, definendo l’eruzione di Maddaloni come il secondo più grande evento della storia eruttiva dei Campi Flegrei”.

“Il fatto che questo sistema vulcanico abbia prodotto diverse grandi eruzioni nel corso della sua storia suggerisce che la struttura della caldera, la depressione vulcano-tettonica che si forma durante le grandi eruzioni a seguito del rilascio di un ingente volume di magma in superficie, potrebbe essere molto più complessa di quanto ipotizzato finora”, sottolinea Jacopo Natale, dell’Università Aldo Moro di Bari.

I risultati della ricerca gettano nuova luce sulla ricorrenza degli eventi di grande magnitudo ai Campi Flegrei ed evidenziano come, anche per un vulcano intensamente studiato, una dettagliata e completa ricostruzione della sua storia necessiti di ulteriori indagini per una migliore valutazione della pericolosità vulcanica.

Riferimenti bibliografici:

Fernandez, G., Costa, A., Giaccio, B. et al. The Maddaloni/X-6 eruption stands out as one of the major events during the Late Pleistocene at Campi Flegrei, Commun Earth Environ 6, 27 (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s43247-025-01998-8

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma