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Uno studio della Sapienza mostra la capacità della realtà virtuale di suscitare, in zone del corpo cosiddette “proibite”, reazioni reali a tocchi virtuali

La ricerca, coordinata da Salvatore Maria Aglioti, è stata condotta su due gruppi di uomini e di donne con diverso orientamento sessuale valutando le reazioni indotte da una carezza virtuale da parte dei differenti gruppi

realtà virtuale reazioni
Foto di Gerd Altmann

 I ricercatori, coordinati da Salvatore Maria Aglioti (Sapienza Università di Roma, Istituto Italiano di Tecnologia, IRCCS Fondazione Santa Lucia) hanno utilizzato la realtà virtuale immersiva inducendo nei partecipanti la sensazione che il corpo virtuale che essi stavano osservando in prima persona fosse il proprio corpo. Una volta indotta questa sensazione, i partecipanti osservavano un avatar uomo e un avatar donna toccare il loro corpo virtuale in diversi punti, comprese le parti più intime, come la zona genitale (il tocco non veniva erogato sul corpo reale).

Dopo ogni carezza, il partecipante doveva valutare se il tocco fosse stato piacevole o spiacevole, quanto fosse stato erogeno, opportuno o attivante. In aggiunta alle sensazioni soggettive, veniva registrata la reattività fisiologica alla carezza virtuale, indice implicito e non controllabile di quanto il corpo reagisce a quello che sta esperendo.

Martina Fusaro e Matteo Lisi, autori principali dello studio affermano che: “I partecipanti riportavano l’illusione di incorporare l’avatar osservato in prima persona e quanto il tocco virtuale evocasse sensazioni simili a quelle suscitate da stimolazioni tattili nella vita reale.”

È emerso, infatti, che tutti i partecipanti riportavano come erogeno il tocco virtuale sulle zone intime, rispetto ai tocchi ricevuti sulle altre aree del corpo (zone più sociali, come la mano e zone più neutre, come il ginocchio). L’erogeneità veniva modulata in base al sesso dell’avatar che stava toccando: partecipanti eterosessuali trovavano più erogeno il tocco dell’avatar di sesso opposto, mentre i partecipanti gay e lesbiche quello dell’avatar dello stesso sesso.

Il tocco, inoltre, veniva considerato più appropriato per gli uomini eterosessuali quando proveniente dall’avatar donna, mentre per le donne eterosessuali non vi era differenza rispetto all’appropriatezza se proveniente da avatar donna o uomo. In modo speculare, gli uomini gay consideravano ugualmente appropriato il tocco di uomo e di donna, mentre per le donne lesbiche il tocco nelle zone intime era più appropriato quando proveniente da donna (mentre nelle aree più sociali e neutre non vi era differenza se a toccare era un uomo o una donna).

I risultati della reattività fisiologica (nello specifico, la conduttanza cutanea), indicavano che i tocchi sul corpo dei partecipanti inducevano sensazioni diverse: in particolare, il tocco proveniente dall’avatar donna induceva un innalzamento della reattività quando erogato sulle zone intime.

Matteo Lisi aggiunge: “Mentre la maggioranza degli studi presenti in letteratura si è focalizzata sulle differenze di sesso nelle reazioni ai tocchi, abbiamo voluto evidenziare che l’orientamento sessuale svolge un ruolo altrettanto rilevante e dovrebbe essere sempre preso in considerazione”.

 “I risultati di questo studio” conclude Fusaro “sono importanti poiché evidenziano come sia possibile, mediante la realtà virtuale immersiva, indurre sensazioni vicarie molto simili a quelle in indotte da situazioni della vita reale. Il paradigma sviluppato, e applicato per la prima volta in questo studio, potrebbe essere utile per indagare la sfera intima in alcune persone che per diversi motivi preferiscono non essere toccate (per esempio, alcune persone con disturbo dello spettro dell’autismo o persone che hanno subito violenze fisiche o sessuali)”.

Riferimenti:

Fusaro, M., Lisi, M.P., Tieri, G., Aglioti, S.M. Heterosexual, gay, and lesbian people’s reactivity to virtual caresses on their embodied avatars’ taboo zones. Sci Rep 11, 2221 (2021). https://www.nature.com/articles/s41598-021-81168-w

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sullo studio relativo alle reazioni reali determinate da tocchi nella realtà virtuale.

ERCOLANO – Trovare del tessuto cerebrale in resti archeologici dell’antichità è una cosa molto rara. Nel cervello i processi di morte cellulare sono molto rapidi, essendo costituito per l’80% di acqua. La decomposizione, quindi, inizia dopo 36-75 ore e la scheletrizzazione (cioè l’ultima fase della decomposizione) si ha tra circa i 5 e i 10 anni dopo la morte.  Sempre che non sia stato sottoposto a tecniche di mummificazione, come quelle utilizzate in Egitto, è difficile che questo delicato tessuto possa sopravvivere per anni, se non millenni. Trovare, poi, questo tessuto vetrificato, è una cosa ancor più rara.

Collegio degli Augustali. Foto: Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli. Copyright 2020

È quello che è accaduto durante alcune indagini paleoforensi nel sito archeologico di Ercolano a opera di un team di studiosi, guidati dall’antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale dell’Università “Federico II” di Napoli. Durante la loro ricerca, i membri del team hanno rinvenuto del materiale vetroso tra le ossa craniche di una vittima dell’eruzione del Vesuvio del 79 a.C. Tale materiale, in parte incrostato sul cranio della vittima, è stato successivamente analizzato, per poter accertare potesse trattarsi realmente di tessuto cerebrale vetrificato.

Frammento di cervello vetrificato. Foto: Università Roma Tre

La vetrificazione è un processo durante il quale un liquido, esposto a un’elevata temperatura, viene velocemente e bruscamente raffreddato, trasformandosi in un materiale simile al vetro. Gli autori dello studio spiegano che il tessuto cerebrale in questione, inizialmente esposto al caldo estremo della nube piroclastica del Vesuvio, ha poi ricevuto uno shock termico, con un abbassamento brusco di temperatura, che ha determinato la sua trasformazione in un materiale vitreo.

tessuto cerebrale Ercolano Pier Paolo Petrone
Collegio degli Augustali, il luogo del ritrovamento. Foto: Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli. Copyright 2020

A seguito di questo ritrovamento, si è proceduto a studiare il campione sfruttando un approccio multidisciplinare, coinvolgente esperti specializzati in diversi ambiti. Tramite l’uso del Microscopio elettronico a scansione e specifici strumenti di elaborazione delle immagini, il team è giunto alla  conclusione che non solo il materiale vetrificato apparteneva al sistema nervoso centrale della vittima, ma anche che al suo interno risultano preservate strutture tubulari simili agli assoni neuronali.

In seguito, il campione è stato sottoposto all’analisi proteomica, che consente di individuare specifici tipi di proteine, le quali sono sintetizzate da diversi geni del DNA. Grazie a questa tecnica, il team ha riscontrato una forte espressione di alcuni geni, presenti in abbondanza nel cervello, oltre che in altri distretti.

tessuto cerebrale Ercolano
Pier Paolo Petrone in laboratorio. Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli. Copyright 2020

Questa scoperta e future analisi più approfondite del campione, potranno dirci molto più rispetto alle caratteristiche del tessuto e delle proteine al suo interno, oltre che fornirci informazioni utili su proprietà tipiche dell’espressione genica nella popolazione di Ercolano.

Abbiamo intervistato il dott. Pier Paolo Petrone dell’Università “Federico II” di Napoli, e la dott.ssa Maria Giuseppina Miano del CNR di Napoli, che hanno risposto alle domande di ScientifiCult sul tessuto cerebrale da Ercolano.

tessuto cerebrale Ercolano Pier Paolo Petrone
Assoni, tessuto cerebrale dalla vittima di Ercolano. Foto: Università Roma Tre

Vedendo il profilo dell’espressione genica, si nota come tutte le strutture da voi indicate siano molto vicine a cavità cerebrali in cui è presente il liquido cerebrospinale. Come pensate che questo possa aver influito sul processo di vetrificazione? Pensate che la posizione più centrale e, quindi, più protetta, abbia giocato a sua volta qualche ruolo?

Pier Paolo Petrone: Osservazione interessante, ma non abbiamo al momento evidenze in questo senso. Tutto il cervello sembra aver reagito allo stesso modo, dando luogo a questo materiale dalla consistenza e apparenza vetrosa. Qualcosa di assolutamente unico, mai visto prima né negli altri siti sepolti dall’eruzione, né in eruzioni vulcaniche recenti.

Nel vostro studio avete analizzato l’espressione di alcuni geni le cui mutazioni sono presenti in alcune patologie importanti (Disturbo di Alzheimer, disabilità intellettiva, ipoplasia ponto-cerebellare). Pensate che un’analisi più approfondita di queste espressioni geniche possa dirci di più sullo stato del ragazzo vittima del Vesuvio?

Maria Giuseppina Miano: I dati da noi raccolti non ci consentono di avere informazioni di questo tipo. Non abbiamo dati sulle sequenze amminoacidiche delle proteine identificate né della sequenza nucleotidica dei geni corrispondenti. Ma non possiamo escludere che ulteriori studi possano darci altre importanti informazioni.

Il guardiano nel suo letto. Pier Paolo Petrone, Università Federico II di Napoli. Copyright 2020

Con l’analisi proteomica sono emerse espressioni di geni presenti in gran quantità nel cervello. Questi geni, però, si esprimono allo stesso modo in molti altri distretti del nostro organismo (ad esempio nelle ossa, come il MED13L o ATP6V1F). Con quali modalità avete escluso la possibilità che il campione possa essere stato contaminato nei secoli?

Pier Paolo Petrone: La contaminazione in questo caso è da escludere, in quanto il corpo della vittima era immerso nella cenere vulcanica, e così è rimasto per quasi duemila anni, fino alla sua scoperta negli anni ‘60 e quella, più recente, del  tessuto vetrificato nel cranio. Peraltro, le analisi biochimiche hanno mostrato la presenza di acidi grassi dei capelli umani e di sette proteine altamente rappresentate in tutti i distretti cerebrali, confermando l’appartenenza univoca di questo tessuto al cervello della vittima.

Neurone dal midollo spinale. Foto: Università Roma Tre

Come spiegate nell’articolo, il tessuto non è stato alterato in alcun modo dopo la vostra manipolazione. Pensate quindi di ritornare a fare ulteriori analisi biochimiche? Nel caso in cui pensiate di fare ulteriori analisi, quali ulteriori risultati ipotizzate di poter ottenere? (Es. Alterazioni della struttura proteica che suggeriscono un’anomalia genetica).

Maria Giuseppina Miano: Sono varie le linee di ricerca in corso e tutte molto promettenti. Ulteriori indagini sono in programma per poter identificare la sequenza amminoacidica delle proteine sinora rinvenute, e stabilire la presenza di eventuali varianti polimorfiche che potrebbero “raccontarci” qualcosa in più sulle caratteristiche genetiche degli abitanti di Ercolano a quel tempo.

Pier Paolo Petrone: Altre informazioni le stiamo già avendo dalla sperimentazione in corso su questo cervello, con l’obiettivo di stabilire la temperatura cui è stato esposto e i tempi di raffreddamento del deposito di cenere vulcanica. Informazioni, queste, cruciali per la valutazione del rischio vulcanico al Vesuvio, che incombe su Napoli e i suoi tre milioni di abitanti. Lo studio di un cervello di 2000 anni fa in futuro potrebbe salvare vite umane.

 

Riferimenti bibliografici sul tessuto cerebrale da Ercolano:

Petrone, P., Giordano, G., Vezzoli, E., Pensa, A., Castaldo, G., Graziano, V., Sirano, F., Capasso, E., Quaremba, G., Vona, A., Miano, M. G., Savino, S., & Niola, M. (2020). Preservation of neurons in an AD 79 vitrified human brain. PloS one15(10), e0240017. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0240017

Petrone, P., Pucci, P., Niola, M., Baxter, P. J., Fontanarosa, C., Giordano, G., Graziano, V., Sirano, F., & Amoresano, A. (2020). Heat-Induced Brain Vitrification from the Vesuvius Eruption in c.e. 79. The New England journal of medicine382(4), 383–384. https://doi.org/10.1056/NEJMc1909867