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La luce svela i segreti delle nano eliche, le “viti” dei materiali del futuro: una ricerca è riuscita ad utilizzare l’effetto Tyndall non lineare per capire il verso di rotazione di nano eliche di silicio

Una collaborazione internazionale a cui partecipa la Sapienza è riuscita a utilizzare l’effetto Tyndall non lineare per capire il verso di rotazione di nano eliche di silicio. La ricerca, pubblicata su ACS Nano, apre la strada a nuove applicazioni negli ambiti delle terapie biomimetiche e dei nano assemblaggi.

Le nanoparticelle inorganiche chirali, cioè non sovrapponibili alla propria immagine specchiata (come una vite a causa della sua filettatura), disperse nei liquidi hanno dimostrato grandi potenzialità in varie applicazioni tecnologiche. Tra queste i sensori, la creazione di nuovi farmaci e terapie biomimetiche, la nanorobotica. Tuttavia per tutte queste applicazioni, un problema finora aperto era quello di caratterizzare sperimentalmente proprio la chiralità delle particelle.

Su questo interrogativo si è concentrata la ricerca di un team internazionale di scienziati dell’Università di Bath, dell’Università del Nebraska-Lincoln, della Pennsylvania State University e dell’Università dell’East Anglia e a cui ha collaborato anche il Dipartimento di Scienze di base e applicate per l’Ingegneria della Sapienza.

Lo studio, guidato dal professor Ventsislav Valev dell’Università di Bath, e pubblicato su ACS Nano, esplora l’effetto Tyndall, ossia il fenomeno della diffusione della luce facilmente rilevabile nella vita di tutti i giorni, per esempio quando un raggio di sole attraversa ambienti in cui sono sospesi corpuscoli di polvere o gocce d’acqua. Questo fenomeno è dovuto alla presenza in sistemi colloidali, nelle sospensioni o nelle emulsioni di particelle di dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d’onda della luce incidente.

Quando delle particelle, solitamente sospese in acqua, vengono illuminate, il modo in cui diffondono la luce contiene informazioni sia sulla loro dimensione che sulla loro geometria. Grazie dunque all’effetto Tyndall lineare è possibile eseguire queste misurazioni, attraverso varie tecniche basate principalmente su sorgenti luminose deboli in cui la luce diffusa conserva la stessa frequenza della luce che illumina. L’effetto Tyndall non lineare, invece, si manifesta quando la luce laser passa attraverso minuscole particelle e viene diffusa a una frequenza doppia rispetto alla luce incidente, permettendo così la misurazione della chiralità.

Il nuovo studio ha analizzato questo effetto non lineare nelle eliche di silicio con una lunghezza di circa 270 nm, che corrispondono per dimensioni ad alcuni virus e grandi corpuscoli cellulari. Quando queste eliche vengono illuminate da una sorgente laser polarizzata circolarmente la luce diffusa può dirci in che modo si avvolgono le eliche di silicio. Ventsislav Valev ha dichiarato:

“L’importanza di questa applicazione è data dal fatto che il silicio è l’elemento solido più abbondante sulla Terra, quindi ogni nuova proprietà ha un potenziale per utilizzi sostenibili ed economicamente vantaggiosi. Un altro motivo è che la misurazione del senso di avvolgimento è estremamente necessaria per assemblare materiali inorganici da elementi costitutivi nanotecnologici. L’importanza è simile a quella di realizzare e poi poter misurare la filettatura di una vite standardizzata.”

Emilija Petronijevic del Dipartimento di scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria della Sapienza, e autrice della pubblicazione, ha dichiarato:

“Questa ricerca porta la caratterizzazione chiro-ottica al livello della “non linearità”, un livello superiore rispetto alla, pure utilissima, scala di lunghezza Tyndall. È molto soddisfacente quando gli esperimenti concordano con le previsioni dell’accoppiamento elettromagnetico in forme chirali su scala nanometrica. Questo apre nuove potenzialità per ottimizzare l’effetto e studiare altre combinazioni di materiali. La mia collaborazione a questo studio è stata supportata dal progetto PON Ricerca e Innovazione 2014-2020 “Nanofotonica a basso costo per un sensing chirale verde e sostenibile””.

 

La ricerca è stata inoltre finanziata dalla Royal Society, dal Leverhulme Trust e dall’Engineering and Physical Science Research Council (EPSRC).

 

Riferimenti bibliografici:

Chiroptical Second-Harmonic Tyndall Scattering from Silicon Nanohelices – B. J. Olohan, E. Petronijevic, Ufuk Kilic et al.

ACS NANO – DOI: 10.1021/acsnano.4c02006

Immagine di Pete Linforth 

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Classificare le nanoparticelle metalliche con l’intelligenza artificiale

Una ricerca del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza ha messo a punto tecniche di intelligenza artificiale per distinguere facilmente le diverse strutture presenti in nanoparticelle di oro, argento e rame. Questo metodo migliorerà le applicazioni nell’ambito della medicina, dell’ottica e nei processi catalitici. I risultati sono pubblicati sulla rivista ACS Nano.

Classificare le nanoparticelle metalliche con l’intelligenza artificiale. Immagine di Gerd Altmann, licenza

Le nanoparticelle metalliche giocano un ruolo importante in diverse applicazioni tecnologiche, come l’ottica e i processi catalitici. Di fondamentale importanza per la loro funzionalità sono la forma e la struttura cristallina, caratteristiche che, a causa dell’elevata frazione di atomi di superficie, possono essere molto variabili e difficili da distinguere.

Uno studio pubblicato sulla rivista ACS Nano, coordinato da Alberto Giacomello e Antonio Tinti del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aereospaziale della Sapienza, in collaborazione con l’Università di Genova, l’Università Politecnica delle Marche e l’Istituto Italiano di Tecnologia, propone una tecnica di intelligenza artificiale capace di suddividere e classificare le strutture delle nanoparticelle in maniera automatica in base alla loro somiglianza, discriminando con grande dettaglio affinità di forma delle strutture o presenza di particolari difetti cristallini.

Mediante l’utilizzo di reti neurali simili a quelle utilizzate nell’analisi delle immagini è stato possibile generare una mappa tridimensionale dei dati. In questo modo i ricercatori sono riusciti a distinguere facilmente le diverse strutture presenti in nanoparticelle d’oro, d’argento e di rame, con un livello di dettaglio senza precedenti. Inoltre, questo approccio ha consentito di seguire e comprendere i passaggi elementari di una transizione tra due specifiche strutture, aprendo la strada a nuove tecniche accelerate di simulazione.

“È stato prima di tutto necessario individuare una grandezza fisica capace di descrivere le differenze tra le varie strutture, la funzione di distribuzione radiale – spiega Giacomello – e successivamente dall’applicazione a quest’ultima di tecniche di intelligenza artificiale, nello specifico il machine learning, è stato possibile estrarre e analizzare con maggiore semplicità le informazioni contenute nella grandezza fisica di partenza. Inoltre abbiamo potuto contare su un database molto esteso di strutture proveniente da simulazioni di dinamica molecolare svolte in precedenza dal gruppo di ricerca”.

La ricerca è stata finanziata da Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin), bando 2017 “Understanding and Tuning Friction through nanOstructure Manipulation (UTFROM)”, coordinato da Riccardo Ferrando esperto di nanocluster metallici dell’Università di Genova mentre l’unità di ricerca della Sapienza è coordinata da Alberto Giacomello.

Riferimenti:

Charting Nanocluster Structures via Convolutional Neural Networks – Emanuele Telari, Antonio Tinti, Manoj Settem, Luca Maragliano, Riccardo Ferrando, e Alberto Giacomello – ACS Nano (2023). https://doi.org/10.1021/acsnano.3c05653

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Le nanoparticelle diventano invisibili per essere più efficaci contro i tumori

Un team di ricerca internazionale coordinato dalla Sapienza ha messo a punto un nuovo tipo di nanoparticella per la veicolazione e il trasporto dei farmaci che, grazie a un rivestimento di proteine plasmatiche umane, è in grado di ingannare il sistema immunitario, permanendo a lungo nell’organismo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista ACS Nano.

liposoma nanoparticelle tumori
Le nanoparticelle diventano invisibili per essere più efficaci contro i tumori. Lo schema di un liposoma. Immagine di Emmanuel Boutet, CC BY-SA 3.0

In campo biomedico i liposomi rappresentano lo strumento ideale per veicolare il trasporto di farmaci nelle terapie antitumorali. Queste nanoparticelle, formate da uno o più doppi strati lipidici, offrono numerosi vantaggi rispetto alle tecnologie tradizionali, come la possibilità di ridurre le dosi dei farmaci, aumentando la selettività verso gli organi bersaglio e la riduzione degli effetti collaterali potenzialmente dannosi. Tuttavia, solo un numero esiguo di formulazioni liposomiali è stato approvato dagli enti regolatori ed è entrato stabilmente nella pratica clinica.

Decenni di ricerche hanno stabilito infatti che il limitato successo clinico dei liposomi è dovuto principalmente ai cambiamenti a cui essi vanno incontro non appena entrano in contatto con il sangue: una volta introdotti nel liquido organico, questi si ricoprono di una “corona proteica” e vengono riconosciuti dal sistema immunitario come un corpo estraneo da eliminare. Quello che il sistema immunitario combatte quindi non è il liposoma in sé stesso, ma proprio l’abito proteico che indossa nel sangue.

Da qui nasce l’idea di un team di ricerca internazionale, coordinato da Giulio Caracciolo e Saula Checquolo della Sapienza, di realizzare un rivestimento proteico invisibile al sistema immunitario, per “ingannarlo” e “fargli accettare” le nanoparticelle che contengono la terapia farmacologica.

La particella biomimetica messa a punto dai ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista ACS Nano, con la collaborazione della University of Technology di Graz in Austria e della Utrecht University in Olanda, è detta proteoDNAsoma ed è costituita da tre comparti distinti: lipidi, DNA e proteine.

Lo strato più interno è formato da un core lipidico, in cui è incapsulato il farmaco da veicolare, il quale è ricoperto da un rivestimento di DNA con una duplice finalità: funzionale e strutturale. Funzionalmente iI DNA serve a far esprimere una proteina terapeuticamente utile nella cellula bersaglio, mentre la sua carica elettrica negativa permette di far adsorbire un terzo e ultimo strato fatto di specifiche proteine plasmatiche. E’ proprio questo strato proteico a rendere il proteoDNAsoma invisibile al sistema immunitario.

“Rivestire le nanoparticelle con una corona proteica artificiale fatta di proteine plasmatiche umane – spiega Giulio Caracciolo del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza – permette di ridurre drasticamente la captazione da parte dei leucociti e di prolungare la circolazione delle vescicole lipidiche nell’organismo, aumentando così l’efficacia terapeutica del trattamento farmacologico”.

Numerose sono le applicazioni di questa scoperta, prima fra tutte l’immunoterapia dei tumori, ma anche altri campi di natura biomedica.

 

Riferimenti:

Opsonin-deficient nucleoproteic corona endows unPEGylated liposomes with stealth properties in vivo – Francesca Giulimondi, Elisabetta Vulpis, Luca Digiacomo, Maria Valeria Giuli, Angelica Mancusi, Anna Laura Capriotti, Aldo Laganà, Andrea Cerrato, Riccardo Zenezini Chiozzi, Carmine Nicoletti, Heinz Amenitsch, Francesco Cardarelli, Laura Masuelli, Roberto Bei, Isabella Screpanti, Daniela Pozzi, Alessandra Zingoni, Saula Checquolo, Giulio Caracciolo – ACS Nano 2022 https://doi.org/10.1021/acsnano.1c07687

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sullo studio circa le modalità per avere nanoparticelle più efficaci contro i tumori.