La luce svela i segreti delle nano eliche, le “viti” dei materiali del futuro: una ricerca è riuscita ad utilizzare l’effetto Tyndall non lineare per capire il verso di rotazione di nano eliche di silicio
Una collaborazione internazionale a cui partecipa la Sapienza è riuscita a utilizzare l’effetto Tyndall non lineare per capire il verso di rotazione di nano eliche di silicio. La ricerca, pubblicata su ACS Nano, apre la strada a nuove applicazioni negli ambiti delle terapie biomimetiche e dei nano assemblaggi.
Le nanoparticelle inorganiche chirali, cioè non sovrapponibili alla propria immagine specchiata (come una vite a causa della sua filettatura), disperse nei liquidi hanno dimostrato grandi potenzialità in varie applicazioni tecnologiche. Tra queste i sensori, la creazione di nuovi farmaci e terapie biomimetiche, la nanorobotica. Tuttavia per tutte queste applicazioni, un problema finora aperto era quello di caratterizzare sperimentalmente proprio la chiralità delle particelle.
Su questo interrogativo si è concentrata la ricerca di un team internazionale di scienziati dell’Università di Bath, dell’Università del Nebraska-Lincoln, della Pennsylvania State University e dell’Università dell’East Anglia e a cui ha collaborato anche il Dipartimento di Scienze di base e applicate per l’Ingegneria della Sapienza.
Lo studio, guidato dal professor Ventsislav Valev dell’Università di Bath, e pubblicato su ACS Nano, esplora l’effetto Tyndall, ossia il fenomeno della diffusione della luce facilmente rilevabile nella vita di tutti i giorni, per esempio quando un raggio di sole attraversa ambienti in cui sono sospesi corpuscoli di polvere o gocce d’acqua. Questo fenomeno è dovuto alla presenza in sistemi colloidali, nelle sospensioni o nelle emulsioni di particelle di dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d’onda della luce incidente.
Quando delle particelle, solitamente sospese in acqua, vengono illuminate, il modo in cui diffondono la luce contiene informazioni sia sulla loro dimensione che sulla loro geometria. Grazie dunque all’effetto Tyndall lineare è possibile eseguire queste misurazioni, attraverso varie tecniche basate principalmente su sorgenti luminose deboli in cui la luce diffusa conserva la stessa frequenza della luce che illumina. L’effetto Tyndall non lineare, invece, si manifesta quando la luce laser passa attraverso minuscole particelle e viene diffusa a una frequenza doppia rispetto alla luce incidente, permettendo così la misurazione della chiralità.
Il nuovo studio ha analizzato questo effetto non lineare nelle eliche di silicio con una lunghezza di circa 270 nm, che corrispondono per dimensioni ad alcuni virus e grandi corpuscoli cellulari. Quando queste eliche vengono illuminate da una sorgente laser polarizzata circolarmente la luce diffusa può dirci in che modo si avvolgono le eliche di silicio. Ventsislav Valev ha dichiarato:
“L’importanza di questa applicazione è data dal fatto che il silicio è l’elemento solido più abbondante sulla Terra, quindi ogni nuova proprietà ha un potenziale per utilizzi sostenibili ed economicamente vantaggiosi. Un altro motivo è che la misurazione del senso di avvolgimento è estremamente necessaria per assemblare materiali inorganici da elementi costitutivi nanotecnologici. L’importanza è simile a quella di realizzare e poi poter misurare la filettatura di una vite standardizzata.”
Emilija Petronijevic del Dipartimento di scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria della Sapienza, e autrice della pubblicazione, ha dichiarato:
“Questa ricerca porta la caratterizzazione chiro-ottica al livello della “non linearità”, un livello superiore rispetto alla, pure utilissima, scala di lunghezza Tyndall. È molto soddisfacente quando gli esperimenti concordano con le previsioni dell’accoppiamento elettromagnetico in forme chirali su scala nanometrica. Questo apre nuove potenzialità per ottimizzare l’effetto e studiare altre combinazioni di materiali. La mia collaborazione a questo studio è stata supportata dal progetto PON Ricerca e Innovazione 2014-2020 “Nanofotonica a basso costo per un sensing chirale verde e sostenibile””.
La ricerca è stata inoltre finanziata dalla Royal Society, dal Leverhulme Trust e dall’Engineering and Physical Science Research Council (EPSRC).
Riferimenti bibliografici:
Chiroptical Second-Harmonic Tyndall Scattering from Silicon Nanohelices – B. J. Olohan, E. Petronijevic, Ufuk Kilic et al.
ACS NANO – DOI: 10.1021/acsnano.4c02006
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Dalla Sapienza primi microrobot programmabili con la luce
Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma rivela la possibilità di avere microrobot programmabili con la luce, da muovere e utilizzare in campo biomedico e diagnostico. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Advanced Functional Materials.
L’intelligenza artificiale ha raggiunto un livello di prestazioni tale da poter sostituire l’attività umana in un’ampia gamma di lavori, dalle catene di montaggio ai laboratori di ricerca biomedica. In quest’ultimo campo negli ultimi anni si è assistito a un grande sforzo verso la miniaturizzazione dei processi mediante strumenti avanzati, specifici per la diagnostica e la terapia a livello delle singole cellule.
Parallelamente le moderne tecniche di microfabbricazione consentono di costruire complessi meccanismi tridimensionali di dimensioni confrontabili con quelle cellulari. Tuttavia, oltre a un telaio meccanico, un microrobot ha bisogno di motori controllabili in modo indipendente per poter eseguire un compito complesso.
Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza, dimostra la possibilità di creare robot bioibridi e di programmarne il movimento mediante luce strutturata.
Dalla combinazione di esperimenti e modelli matematici è emerso che, non solo questi microrobot possono sfruttare il nuoto dei batteri per muoversi, ma che il loro movimento può essere controllato a distanza sfruttando delle specifiche proteine che agiscono come nano pannelli solari.
“I nostri microrobot– spiega Nicola Pellicciotta della Sapienza – somigliano a dei carri armati microscopici, che al posto dei cingoli hanno due unità propulsive alimentate dalla rotazione di flagelli batterici. La velocità di rotazione può essere controllata dalla luce grazie a modifiche genetiche. In questo modo siamo riusciti a controllare la direzione del movimento di questi microbot illuminando le due unità propulsive con luce di diversa intensità.”
“Come nei magazzini di Amazon – aggiunge Roberto Di Leonardo della Sapienza – centinaia di questi microrobot potrebbero un giorno navigare all’interno di un micro-deposito dove gli articoli da organizzare e distribuire sono le singole cellule in un campione biologico.”
La ricerca apre la strada alla possibilità di utilizzare i microbot all’interno di laboratori biomedici miniaturizzati e in particolare nei compiti di organizzazione e trasporto di singole cellule in vitro.
Spot di luce usati come cani da pastore per radunare i “greggi” di batteri
Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza, rivela come controllare la distribuzione spaziale di batteri geneticamente modificati puntandoli con minuscoli riflettori. I risultati del lavoro sono stati pubblicati su Nature Communications
Molti batteri motili, come Escherichia coli, esplorano continuamente lo spazio circostante alla ricerca delle migliori condizioni di crescita.
Come animali da pascolo, se lasciati in uno spazio aperto, i batteri diffondono e si distribuiscono uniformemente sui “prati” ovunque il cibo sia disponibile. Radunarli è una delle responsabilità più difficili, soprattutto quando questi sono numerosi e corrono velocemente.
Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza ha dimostrato che microscopici spot di luce, come migliaia di cani pastore, possono radunare anche i batteri più veloci in un’area ristretta. Ciò è possibile solo se i batteri sono geneticamente modificati per produrre proteorodopsina, una pompa protonica che, come un mini pannello solare, sfrutta l’energia luminosa per muovere i flagelli (appendici cellulari lunghe e sottili con funzione motoria). Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è frutto della collaborazione della Sapienza con il CNR-Nanotec e l’Istituto italiano di tecnologia.
“Questi batteri – spiega Helena Massana-Cid, ricercatrice del Dipartimento di Fisica della Sapienza e primo nome dello studio – si muovono velocemente quando la luce è intensa e più lentamente nelle zone buie. Quindi, per radunarli è stato utilizzato un proiettore di luce controllato dal computer e costituito da minuscoli riflettori puntati sulle singole cellule, in grado di spegnere rapidamente la luce sui batteri che cercavano di fuggire dall’area di raccolta”.
Grazie a una fotocamera digitale associata al microscopio i ricercatori hanno ottenuto le immagini delle sospensioni di batteri, che sono state elaborate in tempo reale attraverso trasformazioni geometriche, per poi essere proiettate sul campione con un ritardo temporale fissato. Così, muovendosi illuminati da questa immagine deformata del loro passato, migliaia di batteri possono dirigersi insieme, come un branco, verso una specifica regione.
Le particelle in grado di consumare energia per muoversi attivamente, come i batteri motili, fanno parte di un’ampia classe di sistemi di non-equilibrio, sia sintetici che biologici, chiamati collettivamente “materia attiva”. Sebbene prevedere e controllare il comportamento di questi sistemi risulti una sfida ancora aperta a cavallo tra fisica e biologia, questo esperimento aggiunge sicuramente apre la strada per sviluppi interessanti sia negli aspetti fondamentali della fisica del non-equilibrio, che nelle sue applicazioni.
“A livello fondamentale – conclude Roberto Di Leonardo del Dipartimento di Fisica della Sapienza e coordinatore dello studio – siamo riusciti a stabilire una relazione matematica tra le proprietà geometriche dei pattern di luce proiettati e il modo in cui i batteri rispondono distribuendosi nello spazio. Riguardo invece le future applicazioni, la luce potrebbe essere utilizzata per intrappolare e trasportare nuvole di particelle attive in laboratori miniaturizzati, che sfruttano l’energia meccanica per azionare micro-macchine con componenti sia biologiche e che sintetiche”.[FV1]
Riferimenti: Rectification and confinement of photokinetic bacteria in an optical feedback loop – Helena Massana-Cid, Claudio Maggi, Giacomo Frangipane, Roberto Di Leonardo – Nature Communications (2022) https://doi.org/10.1038/s41467-022-30201-1
Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Onde elettromagnetiche senza limiti: dall’esplorazione dei fondali marini alla diagnostica d’avanguardia
Un gruppo di ricercatori della Sapienza ha verificato in pratica per la prima volta il fenomeno della penetrazione profonda delle onde elettromagnetiche ottenuto mediante dispositivi facilmente realizzabili che ne massimizzano la propagazione. I risultati dello studio, pubblicati su Scientific Reports, aprono a nuove prospettive per lo sviluppo tecnologico di numerose applicazioni nell’imaging e nella spettroscopia, così come nei sistemi radar e nei trattamenti medici.
Le onde elettromagnetiche, tra cui luce, raggi X, microonde e onde radio, sono molto presenti nella vita quotidiana e si prestano a numerose applicazioni, grazie alla loro flessibilità e potenza: dalla trasmissione di informazioni e di energia ai radar, fino agli impieghi in medicina diagnostica e terapeutica. Tuttavia, le onde elettromagnetiche perdono di efficacia all’interno di alcuni materiali detti dissipativi che intralciano la loro propagazione determinandone la trasformazione in altre forme di energia.
Un gruppo di ricerca della Sapienza, coordinato dal Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, elettronica e telecomunicazioni (Diet), in collaborazione con altre università italiane, ha verificato per la prima volta il fenomeno fisico di penetrazione profonda di campi elettromagnetici in materiali dissipativi, ricorrendo ad apparecchi che consentono alle onde di “viaggiare” anche attraverso, per esempio, il terreno o i tessuti biologici.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, conferma nella pratica quanto dimostrato solo a livello teorico in un precedente studio del 2018.
Il risultato è stato ottenuto attraverso un’antenna a microonde (detta antenna a onda leaky),che emette onde che presentano un’amplificazione del campo in certe regioni di spazio, oppure, con un approccio assolutamente innovativo, mediante un particolare prisma che può operare anche a frequenze ottiche.
Le applicazioni di questi dispositivi potrebbero riguardare non soltanto l’individuazione di oggetti sepolti o immersi e l’interazione in profondità con tessuti biologici, ma anche la trasmissione di informazioni in mezzi con perdite, l’analisi di materiali e la microscopia.
“Questo lavoro – commenta Fabrizio Frezza della Sapienza, coordinatore del lavoro – apre la strada a promettenti applicazioni nell’imaging e nella spettroscopia, così come nei sistemi radar e nei trattamenti medici”.
Lo studio, sebbene verifichi l’effetto di penetrazione profonda per un valore specifico della frequenza e della conduttività (essendo le strutture coinvolte tipicamente a banda stretta) offre un importante contributo allo sviluppo tecnologico di numerose applicazioni anche in campi in cui, finora, potevano essere utilizzate solo le onde acustiche, come nell’ecografia e nel sonar.
Riferimenti:
Verification of the electromagnetic deep‑penetration effect in the real world – Paolo Baccarelli, Alessandro Calcaterra, Fabrizio Frezza, Fabio Mangini, Nicholas Ricciardella, Patrizio Simeoni, Nicola Tedeschi – Scientific Reports 2021.DOI:10.1038/s41598-021-95080-w
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Essere lunatici: le fasi lunari influenzano veramente la nostra psiche?
Qualche tempo fa mi sono trovato ad affrontare un discorso con degli amici su quello che in inglese viene chiamato “Lunar Effect”, ovvero sull’ipotesi che i cicli lunari possano influire sul nostro stato psicofisico. In particolare, si parlava dell’interazione tra le fasi lunari e la crescita dei capelli (quando tagliarli per farli crescere più velocemente) e delle colture agricole (quando seminare per favorire la crescita), per poi virare sul comportamento umano.
Già questa “traversata” (dalle maree ai capelli, alle piante fino al comportamento umano) farebbe storcere il naso, eppure l’idea che i cicli lunari influenzino la nostra psiche è sedimentata in tutto il globo (con le dovute variazioni) ma anche tra la maggior parte dei professionisti della salute mentale (Francis et al., 2017) con delle particolari credenze relative soprattutto alla luna piena. Ma parliamo appunto solo di credenze o c’è qualcosa di vero?
Queste teorie affondano le radici in due discipline che ci appaiono oggi nettamente distinte, ma che per secoli si sono sovrapposte, ovvero l’astrologiae l’astronomia. L’astrologia è un complesso di credenze e tradizioni che si prefiggono di interpretare influenze soprannaturali e quindi anche il futuro di un individuo o, più in generale, della collettività, sulla base di una serie di assunti riguardo le posizioni e i movimenti dei corpi celesti rispetto alla terra. Chi praticava questa disciplina in passato occupava un ruolo di spicco nella società, finché gli assunti sulla quale si fondava l’astrologia sono andati a divergere irrimediabilmente da quelli dell’astronomia, che invece si occupa con metodo scientifico di descrivere gli astri, l’universo e le loro proprietà fisiche.
L’astronomia ci ha permesso di capire la relazione tra le fasi lunari e i cicli delle maree, alimentando così, l’idea che la luna possa avere effetti anche sulla fisiologia animale (Andreatta & Tessmar-Raible, 2020). Anche la psicologia ha contribuito (involontariamente) a queste tesi, soprattutto mediante le osservazioni che hanno evidenziato l’importanza dell’esposizione alla luce sull’umore e in generale sullo sviluppo neuropsicologico (Bodrosian & Nelson, 2017).
Dunque, partiamo da lontano. La fisiologia animale (e dunque anche quella umana) è soggetta a ritmi stagionali e circadiani (Raible et al., 2017). Questo vuol dire che diverse funzioni fisiologiche si sono evolute in modo da “settarsi” con l’alternarsi delle stagioni e soprattutto con l’alternarsi del giorno e della notte (ad esempio il rilascio di melatonina, il principale ormone implicato nella regolazione del sonno, è massimo alla sera e raggiunge livelli minimi al mattino). Mentre questi ritmi biologici sono stati descritti abbastanza bene nell’uomo, poco si sa circa gli effetti del ciclo lunare sul nostro comportamento e sulla nostra fisiologia. In effetti, molti credono che non sia un caso che il ciclo mestruale duri esattamente (o meglio, mediamente) come un ciclo lunare. Ma a guardare bene sappiamo che questi cicli non sono sincronizzati (ogni donna ha un ciclo con durate specifiche e che iniziano e finiscono in giorni diversi), e non è chiaro perché debba essere proprio il ciclo mestruale dell’essere umano l’”eletto” della luna e non quello di altri animali, ben meno complessi a livello biologico.
Eppure, alcuni studi hanno sostenuto che i cicli lunari abbiano un impatto sulla fertilità degli esseri umani, sulle mestruazioni e sul tasso di natalità (alcuni medici tutt’ora cercano di sincronizzare le nascite con le fasi lunari; Criss & Marcum, 1981; Cutler et al., 1987). In effetti la luce lunare potrebbe influire sui livelli di melatonina, a loro volta implicati nel ciclo mestruale. Altri studi si sono spinti più avanti, ipotizzando una relazione tra ricoveri in ospedale/pronto soccorso dovuti a cause accidentali (eventi cardiovascolari o coronarici, emorragie, diarrea, ritenzione urinaria, incidenti stradali) e fasi lunari o tra queste ultime e il manifestarsi di comportamenti violenti (aggressioni, omicidi o suicidi, Zimecky, 2006).
Tuttavia, questi studi sono sporadici e mostrano diversi limiti metodologici. In realtà, le ricerche più rigorose hanno trovato ben poche correlazioni tra i cicli lunari e gli aspetti precedentemente citati (Campbell & Beets, 1978; Kelly, 1981). Quanto agli studi sugli animali, invece (come prevedibile) un certo effetto dei cicli lunari sulla produzione degli ormoni è stato trovato, soprattutto negli insetti. Anche nei pesci l’”orologio lunare” sembra influire sulle dinamiche riproduttive e sull’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi che ne è alla base.
Negli uccelli, le variazioni giornaliere di melatonina e corticosterone (un ormone steroideo prodotto dalle ghiandole surrenali principalmente in condizioni di stress) si riducono durante i giorni di luna piena. I cicli lunari influenzano anche la sensibilità al gusto e la struttura di organuli cellulari della ghiandola pineale in topi studiati in laboratorio. Sono state infine descritte variazioni cicliche relative alle fasi lunari nell’ampiezza della risposta immunitaria in diversi animali. È verosimile che alla base di queste variazioni fisiologiche ci siano modulazioni nel rilascio di melatonina e steroidi endogeni, che possono essere innescate dalle radiazioni elettromagnetiche e/o dall’attrazione gravitazionale della luna (Zimecky, 2006). Ma da qui come si arriva alla psicologia dell’essere umano?
Iniziamo l’indagine approfondendo un comportamento di base come il sonno, su cui la luna (o quantomeno la quantità di luce che riflette) è verosimile abbia una qualche influenza. In un’analisi del 2014 (Turányi et al., 2014) fatta da un centro del sonno su 319 persone, i ricercatori hanno scoperto che la luna piena era associata a un sonno meno profondo o comunque ad una maggiore latenza prima di addormentarsi profondamente. Studi successivi hanno anche riportato differenze di genere (Della Monica et al., 2015) con le donne che dormono meno e hanno una fase REM più breve nei periodi vicini alla luna piena, rispetto ai maschi che presentano una più lunga fase REM. Anche i bambini sembrano dormire leggermente meno nelle fasi di luna piena (Chaput et al., 2016). Questi risultati sono però stati messi in dubbio da uno studio avente un campione molto esteso (oltre 2000 partecipanti), che non ha trovato alcuna relazione tra fasi lunari e qualità/quantità del sonno (Haba-Rubio et al., 2015).
I dati contrastanti sul ciclo-sonno veglia portano a interrogarci sulla possibilità che la qualità del sonno possa avere, a sua volta, delle ricadute sui processi psicologici più complessi, partendo dalla considerazione che l’invenzione dell’energia elettrica ha comunque edulcorato gli effetti della luce naturale. In effetti l’oscillazione dei ritmi circadiani ha effetti significativi sui sintomi ansiosi, dell’umore e psicotici dei pazienti psichiatrici. Ma la luce lunare contribuisce a queste variazioni? Partiamo col dire che il contributo che dà la luna all’illuminazione del nostro ambiente è veramente scarso, visto che l’intensità luminosa della luna è minima rispetto, ad esempio, alla luce emessa dai nostri smartphone (considerato poi che la gran parte delle ore notturne siamo chiusi in casa). Ed in effetti la maggior parte delle ricerche è concorde con l’affermare che le fasi lunari non abbiano alcun effetto sulla sintomatologia psichiatrica. Nel 2017 Francis e collaboratori hanno dimostrato che gli accessi in pronto soccorso per sintomatologie psichiatriche erano del tutto comparabili indipendentemente dalle fasi lunari. Risultati simili sono stati ottenuti da altri studi con campioni enormi (McLay et al., 2006) o da revisioni di letteratura (Raison et al., 1999) che non hanno riscontrato alcuna relazione tra fasi lunari e variazione della sintomatologia psichiatrica.
Un discorso a parte deve essere fatto per il disturbo bipolare, quello che più di tutti i disturbi psichiatrici sembra risentire dei ritmi circadiani. Due studi recenti hanno mostrato, infatti, una correlazione tra fasi lunari e umore. Il sonno dei pazienti bipolari risultava influenzato dalla luce emessa dalla luna (come osservato dagli studi precedentemente citati), e la minor quantità di sonno nelle fasi di luna piena favoriva la transizione dalla fase depressiva a quella maniacale (Wher, 2018). Questi cambiamenti potevano essere attutiti modificando la terapia farmacologica o mediante la terapia della luce (o fototerapia), ancora poco diffusa in Italia, ma ampiamente utilizzata all’estero per trattare i disturbi dell’umore (Avery et al., 2019). I pazienti presi in esame sono comunque molto pochi per trarre conclusioni definitive, ma di certo questi dati meritano di essere approfonditi.
E per quanto riguarda i tratti di personalità non patologici? Le nostre disposizioni emotivo-comportamentali e relazionali sono influenzate dalle fasi lunari? Le credenze popolari dicono di sì, ed esiste addirittura un termine coniato appositamente: “Lunatico/a” che indica una persona “che ha carattere strano, estroso, incostante, umore instabile e facile ad alterarsi” (https://www.treccani.it/vocabolario/lunatico/).
Nella realtà non vi è alcuna prova dell’influsso della luna sui nostri tratti di personalità. La maggior parte degli studi sul tema sono abbastanza vecchiotti, poiché ad oggi è data per assodata una mancanza di correlazione tra fasi lunari e personalità. Ciononostante, a fine anni ’70, Davenhill e Johnson (1979) pubblicarono un articolo in cui chiedevano a 12 maschi e 12 femmine di compilare l’Eysenck Personality Inventory (EPI) che misura i livelli di estroversione-introversione e neuroticismo-stabilità, e il 16PF di Cattell che misura 16 tratti di personalità identificati dal suo autore come “tratti originari”. Questi test venivano compilati da ogni individuo in diversi momenti, in modo tale da ottenere 4 punteggi per ogni questionario (e relativi fattori), uno per ogni quarto del ciclo sinodico lunare (novilunio, primo quarto, plenilunio e ultimo quarto). I ricercatori trovarono diverse interazioni abbastanza inspiegabili. Quei risultati si “spiegavano” col campione irrisorio (24 soggetti), ed erano con ogni probabilità casuali. Infatti, qualche anno più tardi, Startup e Russell (1984) replicarono lo studio con un campione molto più grande (circa 900 partecipanti). I ricercatori non osservarono alcuna interazione tra i tratti di personalità misurati con l’EPI e le 4 fasi lunari prese in esame. D’altra parte, qualche labile interazione significativa con le fasi lunari è stata riscontrata con alcuni fattori del 16PF (il risultato più interessante riguardava il fattore dell’ “l’intelligenza”), ma questi risultati non concordavano con quelli trovati nello studio precedente, confermando, di fatto, che fossero poco attendibili se non del tutto casuali.
Infine, parliamo dell’aggressività, visto che la parola “lunatico/a” tende anche a sottolineare la scontrosità di una persona che magari si è svegliata anche “con la luna storta”. L’idea che la luna piena renda (metaforicamente parlando) dei lupi mannari, per cui l’incidenza di traumi e lesioni o peggio di omicidi e suicidi possano aumentare durante questa fase, è stata ampiamente smentita dalla scienza (Coates et al., 1989), con qualche studio che riporta anche leggere diminuzioni di questi eventi (Näyhä, 2019; Stomp et al., 2009). Al contrario, la luna piena sembra aumentare il numero di incidenti fatali per i motociclisti (Redelmeier & Shafir, 2017). Quest’ultima osservazione controintuitiva (la luce dovrebbe aiutare alla guida) potrebbe essere spiegata dal fatto che la luna piena ben visibile in cielo, potrebbe essere una fonte di distrazione per il centauro, quando magari “spunta” nel suo campo visivo prima di un ostacolo o durante la percorrenza di una curva.
Insomma, da un punto di vista psicologico, le fasi lunari non sembrano avere alcuna influenza sugli esseri umani. Solo il disturbo bipolare sembra risentire di un’influenza indiretta della luna piena sulla sintomatologia, causata dalla sua interazione col sonno. Sì, ma noi eravamo partiti dai capelli e dall’agricoltura! Vero, ma questo non è il mio campo. Ciononostante ho provato a fare delle ricerche. Per quanto riguarda la crescita delle piante in base alle fasi lunari, gli studi sono tanti e ve ne sono anche di antichi. Tutte le prove negano l’esistenza di queste relazioni (Mayoral et al., 2020).
E il taglio dei capelli? Di certo l’argomento è meno rilevante rispetto alla crescita delle colture, ma non meno diffuso. Eppure, non mi è parso di trovare alcuno studio sul tema. Il problema fondamentale è che sarebbe molto complicato stabilire un qualsivoglia meccanismo che possa spiegare perché è meglio tagliare i capelli durante una fase lunare piuttosto che un altra. Così come per le piante, un nostro capello ha una massa infinitamente minore dell’oceano per poter pensare che qualche tipo di forza gravitazionale, determinata dal ciclo lunare, possa influenzarne la crescita. Ma se per le piante una mezza influenza della luce emessa dalla luna nei primi giorni di “vita” poteva essere sensata, per i capelli degli esseri umani dei paesi industrializzati del XXI anche questa ipotesi appare quantomeno anacronistica.
Se è vero che la luna ha qualche ruolo nella fisiologia del mondo animale (per cause elettromagnetiche o gravitazionali), è anche vero che noi esseri umani occidentali viviamo molto meno a contatto con la natura, la sua luce e i suoi ritmi (rispetto agli animali) e siamo continuamente circondati da stimoli, oggetti e ambienti artificiali (come le nostre stesse abitazioni) che “sporcano” gran parte dell’energia proveniente dal nostro ecosistema. Di certo astronomi e fisiologi potrebbero dirci qualcosa di più. Da parte mia penso che le credenze condivise (comprese quelle religiose) non di rado conservino una base normativa sociale e a volte scientifica implicita. Altre volte invece le credenze sono sole delle credenze, dei modi per illuderci di poter controllare o conoscere cose molto complesse che dipendono da un numero di variabili potenzialmente infinite e a volte sconosciute. In generale, per quanto fondata o no, una credenza popolare, nonostante qualsiasi smentita, rimane una culla ben più calda e comoda della scienza che offre ben poche risposte definitive, spesso costellate da sempre nuove e più complesse domande.
Le fasi lunari influenzano veramente la nostra psiche?
Bibliografia:
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– Zimecki, M. (2006). The lunar cycle: effects on human and animal behavior and physiology. Postepy Hig Med Dosw (online), 60, 1-7.
Un cristallo che ospita un effetto domino tridimensionale
Un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza e del Dipartimento di Fisica Applicata della Hebrew University of Jerusalem ha ripreso stereoscopicamente in tempo reale la percolazione frattale in un cristallo. La scoperta, pubblicata su Physical Review Letters, aiuta a comprendere il comportamento di materiali innovativi per l’immagazzinamento di informazioni ed energia.
La percolazione è alla base della comprensione di una vasta gamma di fenomeni di importanza critica e molto diversi tra di loro, come ad esempio il modo in cui si espandono gli incendi, la desertificazione, la diffusione di un’infezione, oppure la propagazione dell’attività cerebrale.
Questo modello permette non solo di comprendere diversi fenomeni (come sistemi) in modo qualitativo, ma anche di fare delle predizioni quantitative. Permette infatti di descrivere in modo statistico le connessioni a lunga distanza tra sistemi contenenti numerosi oggetti (collegati tra loro da relazioni aleatorie a corta distanza) e di definirne il comportamento.
Nei solidi, come i cristalli, si pensa che la percolazione sia il meccanismo di base che regola il passaggio da uno stato macroscopico a un altro, come una sorta di effetto domino. Finora questa è stata osservata in modo diretto in sistemi planari, ma mai all’interno di un mezzo tridimensionale.
Un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma e del Dipartimento di Fisica Applicata della Hebrew University of Jerusalem è stato in grado di osservare, utilizzando tecniche di imaging ortografico con luce laser, fenomeni di percolazione all’interno di un supercristallo ferroelettrico.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Physical Review Letters.
Il cristallo trasparente utilizzato dai ricercatori ha proprietà fisiche molto specifiche: solo un indice di rifrazione gigante consentirebbe infatti al fascio di luce bianca di propagarsi al suo interno senza diffrazione e senza dispersione, senza quindi avere una progressiva perdita delle informazioni inizialmente codificate nell’onda.
“Al centro della percolazione osservata – spiega Eugenio Del Re del Dipartimento di Fisica della Sapienza, coordinatore dello studio – c’è un comportamento governato da dimensioni frattali, caratterizzato cioè da oggetti che si ripetono allo stesso modo su diverse scale di ingrandimento, come la forma autoreplicante del cavolfiore. All’interno del supercristallo la diffusione avviene cioè in modo autosimilare”.
L’analisi condotta permette di prevedere quando un sistema specifico raggiungerà la cosiddetta soglia di percolazione, ovvero quando la trasmissione di una fase diventa diffusa e non più controllabile. I risultati dello studio aprono così nuovi scenari per l’immagazzinamento di informazioni e di energia nei campi della fotonica e dell’elettronica.
Riferimenti:
Direct Observation of Fractal-Dimensional Percolation in the 3D Cluster Dynamics of a Ferroelectric Supercrystal – Ludovica Falsi, Marco Aversa, Fabrizio Di Mei, Davide Pierangeli, FeiFei Xin, Aharon J. Agranat and Eugenio Del Re – Phys. Rev. Lett. 126, 037601 (2021) https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.126.037601
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