News
Ad
Ad
Ad
Tag

VLBI

Browsing

LOFAR SVELA FILAMENTI RADIO DI ORIGINE INCERTA: L’IMMAGINE PIÙ PROFONDA E AD ALTA RISOLUZIONE DELL’AMMASSO DI GALASSIE ABELL 2255

Un team internazionale di astrofisici guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha ottenuto l’immagine più profonda e ad alta risoluzione mai realizzata dell’ammasso di galassie Abell 2255, situato a circa 800 milioni di anni luce dalla Terra e caratterizzato da complesse strutture radio su molteplici scale. Lo studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, ha permesso di osservare con dettaglio senza precedenti le principali radiogalassie dell’ammasso, generate da getti di particelle che viaggiano a velocità prossime a quella della luce ed espulsi da enormi buchi neri centrali, rivelando per la prima volta una rete intricata di filamenti sottili, emittenti radiazione non termica, la cui origine è ancora sconosciuta.

L'emissione radio della Original Tailed Radio Galaxy, osservata alla frequenza 144 MHz con una risoluzione angolare di 0,34 × 0,24 arcosecondi, mostra una struttura complessa e ricca di filamenti. Nell’angolo in alto a destra è mostrato un ingrandimento della regione centrata sulla galassia ospite, il cui nucleo è indicato con una croce rossa. Crediti: E. De Rubeis (Università di Bologna - INAF) et al. / A&A 2025
L’emissione radio della Original Tailed Radio Galaxy, osservata alla frequenza 144 MHz con una risoluzione angolare di 0,34 × 0,24 arcosecondi, mostra una struttura complessa e ricca di filamenti. Nell’angolo in alto a destra è mostrato un ingrandimento della regione centrata sulla galassia ospite, il cui nucleo è indicato con una croce rossa. Crediti: E. De Rubeis (Università di Bologna – INAF) et al. / A&A 2025

Le nuove immagini sono state ottenute in modalità di interferometria a lunghissima base VLBI (o VLBI dall’inglese Very Long Baseline Interferometry) dalle stazioni internazionali del radiotelescopio europeo Low Frequency Array (LOFAR), la più estesa rete al mondo, attualmente operativa, per osservazioni radioastronomiche a bassa frequenza. Si tratta delle osservazioni più profonde mai realizzate con questa tecnica su un ammasso di galassie e hanno permesso di ricostruire la storia evolutiva delle radiogalassie, dalle prime fasi fino al loro spegnimento. Un risultato che apre nuove prospettive sullo studio dell’evoluzione di questi oggetti e delle complesse interazioni con il mezzo intergalattico turbolento in ambienti dinamici come Abell 2255.

Mappa LOFAR-VLBI della Original Tailed Radio Galaxy, con evidenziate in diversi colori le regioni utilizzate per analizzarne le principali caratteristiche morfologiche.  Crediti: E. De Rubeis (Università di Bologna - INAF) et al. / A&A 2025
Mappa LOFAR-VLBI della Original Tailed Radio Galaxy, con evidenziate in diversi colori le regioni utilizzate per analizzarne le principali caratteristiche morfologiche. Crediti: E. De Rubeis (Università di Bologna – INAF) et al. / A&A 2025

Grazie a 56 ore di osservazioni alla frequenza radio di 144 MHz, i ricercatori e le ricercatrici hanno ottenuto immagini profonde e con una risoluzione angolare fino a 0,3 arcosecondi: una combinazione eccezionale a queste frequenze, resa possibile dalla lunga esposizione e da tecniche interferometriche avanzate. Questo ha permesso di rivelare strutture filamentose estremamente allungate, con lunghezze comprese tra 260 mila e 360 mila anni luce — ovvero tre o quattro volte il diametro della Via Lattea — e spessori oltre dieci volte inferiori.  Secondo i ricercatori questi filamenti potrebbero originarsi all’interno delle radiogalassie, per poi essere trascinati via da moti turbolenti fino a mescolarsi con il mezzo esterno.

L’attenzione si è concentrata in particolare sulla cosiddetta Original Tailed Radio Galaxy, una galassia radio dalla coda intricata e ricca di filamenti, mai osservata prima con un tale livello di dettaglio. Le nuove immagini rivelano inoltre dettagli inediti di altre radiogalassie all’interno dell’ammasso, come la Goldfish, la Beaver e l’Embryo, caratterizzate da morfologie distorte e lunghe code radio che si estendono per oltre 200 mila anni luce.

“Il nostro obiettivo principale era utilizzare LOFAR-VLBI per individuare eventuali filamenti nelle code delle radiogalassie di Abell 2255, al fine di studiarne le caratteristiche morfologiche e comprenderne l’origine”, spiega Emanuele De Rubeis, primo autore dello studio e dottorando al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e l’INAF nella sede bolognese.

“Fenomeni di questo tipo emergono sempre più frequentemente grazie ai moderni interferometri, come i precursori del progetto SKA, e offrono preziose opportunità per indagare le proprietà magnetiche del gas caldo che permea l’ammasso e i meccanismi di accelerazione delle particelle”.

Questo lavoro è stato possibile grazie ai recenti sviluppi delle tecniche di calibrazione dei dati LOFAR-VLBI, in cui la comunità INAF gioca un ruolo di primo piano. Dal 2018 l’INAF è infatti parte integrante del consorzio LOFAR e il contributo dei suoi team di ricerca è stato determinante sia nell’analisi che nell’interpretazione dei dati. L’intera fase di analisi è stata condotta presso l’Istituto di Radioastronomia di Bologna, grazie alle ingenti risorse computazionali messe a disposizione dalle macchine dei cluster LOFAR e del sistema di calcolo ad alte prestazioni INAF-Pleiadi nel Centro di Calcolo dell’istituto bolognese.

De Rubeis aggiunge: “Abbiamo calibrato 56 ore di osservazioni, suddivise in sessioni notturne da circa 8 ore ciascuna. I dati grezzi di ogni notte pesano circa 4 terabyte, ma dopo la calibrazione il  loro volume sale a 18–20 terabyte per un totale di circa 140 terabyte complessivi”.

È una mole di dati enorme per una osservazione di un campo singolo, tra le più vicine per scala a quelle previste per il progetto SKA.

“Ovviamente, calibrare i dati e ottenere immagini di qualità ha richiesto molti tentativi. Per elaborare completamente una singola notte e produrre le immagini di tutte le sorgenti, abbiamo impiegato in media circa un mese”.

“Questi risultati aprono la strada a nuove prospettive per lo studio non solo delle radiogalassie ma anche delle proprietà del gas che permea gli ammassi di galassie” conclude Marco Bondi primo ricercatore INAF a Bologna e secondo autore dello studio.

Questo lavoro rappresenta un primo passo verso un’indagine più ampia: un secondo articolo, già in preparazione, combinerà i dati di LOFAR con osservazioni a frequenze più elevate, ottenute con il Giant Metrewave Radio Telescope (GMRT) in India e il Very Large Array (VLA) negli Stati Uniti, per analizzare l’indice spettrale e la polarizzazione delle strutture appena scoperte.


 

 

Per ulteriori informazioni:

Con oltre 25 mila antenne raggruppate in 51 stazioni distribuite in numerosi stati europei e concepito per catturare le onde radio alle frequenze più basse captabili da Terra, LOFAR è la più estesa rete per osservazioni radioastronomiche in bassa frequenza attualmente operativa. Alla fine del 2023 LOFAR è ufficialmente diventato una European Research Infrastructure Consortium (ERIC), di cui l’Italia – tramite l’INAF – è uno dei membri fondatori. Questo nuovo assetto rafforza il coordinamento scientifico e tecnico su scala europea, promuovendo una maggiore interoperabilità tra i nodi della rete e creando sinergie con altre grandi infrastrutture astronomiche di ricerca. L’INAF guida un consorzio nazionale e sta partecipando allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici che equipaggeranno questo radiotelescopio diffuso sul territorio europeo. Il consorzio ha l’obiettivo di fornire agli scienziati italiani le condizioni per l’accesso e l’analisi dei dati di LOFAR, massimizzando l’impatto scientifico della ricerca. L’INAF gestisce, inoltre, l’infrastruttura computazionale nazionale per l’analisi dei dati LOFAR, distribuita in tre siti: Bologna, Trieste e Catania.

 

L’articolo “Revealing the intricacies of radio galaxies and filaments in the merging galaxy cluster Abell 2255. I. Insights from deep LOFAR-VLBI sub-arcsecond resolution images”, di E. De Rubeis, M. Bondi, A. Botteon, R. J. van Weeren, J. M. G. H. J. de Jong, L. Rudnick, G. Brunetti, K. Rajpurohit, C. Gheller, H. J. A. Röttgering, è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

FONDI FIS2/MUR: ALL’INAF 1,2 MILIONI DI EURO PER STUDIARE L’UNIVERSO OSCURO COL PROGETTO DARKER

Con il sostegno del Fondo Italiano per la Scienza, la ricercatrice INAF Cristiana Spingola guiderà l’ambizioso progetto DARKER per cercare minuscole lenti gravitazionali e sondare i misteri di energia e materia oscura.

 

Il progetto DARKER – Accurate constraints on dark energy and dark matter using strong lensing in the era of precision cosmology riceve un finanziamento di 1,2 milioni di euro grazie al Fondo Italiano per la Scienza – FIS 2, erogato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). A guidare la ricerca sarà Cristiana Spingola, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con l’obiettivo di sondare alcuni degli enigmi più profondi della cosmologia: energia oscura e materia oscura, che insieme costituiscono circa il 95% dell’intero Universo.

Il progetto DARKER ha l’obiettivo di scoprire nuove lenti gravitazionali molto piccole che, come potentissimi telescopi naturali, permetteranno di indagare in modo ancora più accurato alcuni aspetti dell’Universo lontano. Il fenomeno della lente gravitazionale, o lensing in inglese, è un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein.

“Se un oggetto molto massiccio – come una galassia o un ammasso di galassie – si trova tra noi e una sorgente luminosa lontana – come un quasar – il suo potenziale gravitazionale può deviare la radiazione, producendo immagini multiple della sorgente di sfondo”, spiega Cristiana Spingola.

“Ogni variazione di intensità luminosa avverrà in tempi diversi nelle diverse immagini, ovvero con un ritardo temporale (time delay). È proprio quest’ultima proprietà che DARKER sfrutterà per cercare questi oggetti estremamente rari, finora sfuggiti all’osservazione”.

La particolarità del progetto risiede quindi nel suo approccio innovativo: per la prima volta, la ricerca di lenti gravitazionali verrà condotta nel dominio temporale (time-domain) invece che tramite immagini statiche. Per la conferma delle “candidate lenti” serviranno osservazioni ad altissima risoluzione angolare. In questo contesto osservazioni con i tre radiotelescopi italiani dell’INAF – il Sardinia Radio Telescope (Cagliari) e le parabole gemelle di Medicina (Bologna) e Noto (Siracusa) – in modalità VLBI (Very Long Baseline Interferometry), saranno fondamentali per determinare la natura di queste rarissime lenti gravitazionali di piccolissima massa.

“Sappiamo ancora troppo poco di materia ed energia oscura. Grazie a questo approccio innovativo, potremo identificare simultaneamente lenti gravitazionali molto piccole e sorgenti variabili sullo sfondo, finora invisibili con le tecniche tradizionali”,

commenta Spingola, la quale svolgerà il suo progetto presso l’Istituto di Radioastronomia e in collaborazione con l’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio, le due sedi bolognesi dell’INAF.

Il progetto punta quindi a identificare centinaia di nuove lenti usando dati raccolti in passato dai telescopi spaziali GAIA e Fermi, cercando in particolare oggetti molto compatti con masse di pochi milioni di masse solari, la cui esistenza – o assenza – potrebbe aiutare a chiarire la vera natura della materia oscura, distinguendo tra modelli ‘freddi’ o ‘caldi’.

Spingola Aggiunge: “La conferma finale della natura di questi oggetti sarà possibile solo usando la tecnica della Very Long Baseline Interferometry, di cui l’INAF vanta un’esperienza storica ed è oggi tra i protagonisti della tecnica VLBI in Europa, con le sue strutture radioastronomiche che rappresentano un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale”.

DARKER contribuirà anche alla determinazione precisa della costante di Hubble (H₀), parametro che misura la velocità di espansione dell’Universo.

“Questa misura sarà indipendente da quelle attualmente disponibili e potrà aiutare a risolvere una delle più grandi controversie dell’astrofisica moderna, la cosiddetta ‘tensione di Hubble’, che consiste nel disaccordo tra le stime di H₀ ottenute da osservazioni dell’universo primordiale e quelle basate su misure più vicine a noi. DARKER potrebbe rappresentare, quindi, un passo importante per fare luce sull’Universo oscuro”, conclude la ricercatrice.

La ricercatrice INAF Cristiana Spingola davanti al radiotelescopio Hartebeesthoek in Sudafrica. Crediti: INAF
La ricercatrice INAF Cristiana Spingola davanti al radiotelescopio Hartebeesthoek in Sudafrica. Crediti: INAF

Originaria di Perugia e laureata in Astrofisica all’Università di Bologna, Cristiana Spingola si è formata scientificamente tra Italia e Paesi Bassi, dove ha conseguito il dottorato all’Università di Groningen. Ricercatrice a tempo indeterminato dal 2023, è esperta di interferometria radio e lensing gravitazionale, e partecipa attivamente alla preparazione scientifica della prossima generazione di interferometri radio, come quelli del progetto SKA.

Il finanziamento complessivo è stato erogato nell’ambito del macrosettore Physical Sciences and Engineering – Universe Sciences del FIS 2. I fondi FIS sostengono ogni anno progetti di ricerca altamente innovativi nei principali settori scientifici, seguendo il modello dell’European Research Council (ERC).


Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

SCOPERTO IL GETTO OSCILLANTE DI M87

Un gruppo di ricercatori guidati dallo Zhejiang Laboratory (Cina), a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Università di Bologna, ha recentemente scoperto che la vicina radiogalassia Messier 87 (M87), situata a 55 milioni di anni luce dalla Terra, presenta un getto oscillante. Questo getto ha origine da un buco nero 6,5 miliardi di volte più massiccio del Sole: esattamente quello la cui immagine è stata ottenuta nel 2019 con l’Event Horizon Telescope (EHT). Dai dati raccolti negli ultimi 23 anni con la tecnica Very Long Baseline Interferometry (VLBI), gli esperti hanno osservato che il getto oscilla con un’ampiezza di circa 10 gradi (il fenomeno è conosciuto con il nome di precessione). Come si legge nell’articolo pubblicato oggi su Nature, gli esperti hanno svelato un ciclo ricorrente di 11 anni nel movimento di precessione della base del getto, come previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein nel caso di un buco nero rotante attorno al suo asse. Questo lavoro ha quindi collegato con successo la dinamica del getto con il buco nero supermassiccio centrale, offrendo la prova dell’esistenza della rotazione del buco nero di M87.

Rappresentazione schematica del modello del disco di accrescimento inclinato. Si presume che l’asse di rotazione del buco nero sia allineato verticalmente. La direzione del getto è quasi perpendicolare al disco. Il disallineamento tra l’asse di rotazione del buco nero e l’asse di rotazione del disco innescherà la precessione del disco e del getto. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023, Intouchable Lab@Openverse e Zhejiang Lab
Scoperto il getto oscillante di M87: rappresentazione schematica del modello del disco di accrescimento inclinato. Si presume che l’asse di rotazione del buco nero sia allineato verticalmente. La direzione del getto è quasi perpendicolare al disco. Il disallineamento tra l’asse di rotazione del buco nero e l’asse di rotazione del disco innescherà la precessione del disco e del getto. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023, Intouchable Lab@Openverse e Zhejiang Lab

I buchi neri supermassicci al centro delle galassie attive sono gli oggetti celesti più potenti dell’universo, in quanto in grado di accumulare enormi quantità di materiali a causa della straordinaria forza gravitazionale e allo stesso tempo alimentare getti che si allontanano a velocità vicina a quella della luce. Il meccanismo di trasferimento di energia tra i buchi neri supermassicci, il disco tramite il quale la materia cade sul buco nero e i getti relativistici rimane però un enigma ancora irrisolto. Una teoria prevalente suggerisce che l’energia può essere estratta da un buco nero in rotazione, che grazie alla energia gravitazionale ottenuta dalla materia in caduta su di esso è in grado di espellere getti di plasma a velocità vicine a quella della luce. Tuttavia, la rotazione dei buchi neri supermassicci non è ancora stata provata con certezza.

Marcello Giroletti, ricercatore presso l’INAF di Bologna e tra gli autori dell’articolo, spiega:

“Questa scoperta è molto importante, perché prova che il buco nero supermassccio al centro di M87 è in rotazione su sé stesso con grandissima velocità. Questa possibilità era stata ipotizzata proprio sulla base delle immagini ottenute con EHT ma ora ne abbiamo una dimostrazione inequivocabile”

Infatti quale forza nell’universo può alterare la direzione di un getto così potente? La risposta potrebbe nascondersi nel comportamento del disco di accrescimento, la struttura a forma di disco nella quale il materiale spiraleggia gradualmente verso l’interno finché non viene fatalmente attratto dal buco nero. E se il buco nero è in rotazione su sé stesso, ne segue un impatto significativo sullo spazio-tempo circostante, causando il trascinamento degli oggetti vicini, ovvero il “frame-dragging” previsto dalla Relatività Generale di Einstein.

 Pannello superiore: struttura del getto M87 a 43 GHz osservata nel periodo 2013-2018. Le frecce bianche indicano l'angolo di posizione del getto in ciascuna sottotrama. Pannello inferiore: risultati basati sull'immagine impilata annualmente dal 2000 al 2022. I punti verde e blu sono ottenuti da osservazioni rispettivamente a 22 GHz e 43 GHz. La linea rossa rappresenta la soluzione migliore secondo il modello di precessione. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023
Pannello superiore: struttura del getto M87 a 43 GHz osservata nel periodo 2013-2018. Le frecce bianche indicano l’angolo di posizione del getto in ciascuna sottotrama. Pannello inferiore: risultati basati sull’immagine impilata annualmente dal 2000 al 2022. I punti verde e blu sono ottenuti da osservazioni rispettivamente a 22 GHz e 43 GHz. La linea rossa rappresenta la soluzione migliore secondo il modello di precessione. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023

Gabriele Giovannini, professore dell’Università di Bologna e tra gli autori dell’articolo, aggiunge:

“La galassia M87 (Virgo A) non cessa di stupirci. Dopo averci regalato la prima immagine del suo supermassiccio buco nero centrale, ora ci rivela che il potente getto emesso grazie alla trasformazione di massa in energia non è stabile ma fa registrare una regolare oscillazione. Questo risultato mostra un non perfetto allineamento tra la rotazione del buco nero centrale ed il disco di materia che lo circonda ed in caduta su di esso. L’oscillazione del getto influenza notevolmente la materia e lo spazio tempo circostante in accordo con le leggi relativistiche”.

Dall’analisi dei dati si evince che l’asse di rotazione del disco di accrescimento si disallinea con l’asse di rotazione del buco nero, portando alla precessione del getto. Il rilevamento di questa precessione rappresenta un supporto convincente per concludere inequivocabilmente che il buco nero supermassiccio all’interno di M87 stia ruotando, aprendo nuove dimensioni nella nostra comprensione della natura dei buchi neri supermassicci.

“La precessione – dice Giroletti – è la variazione della direzione del getto emesso dal buco nero al centro di M87.  Per l’esattezza è una variazione regolare e ciclica per cui l’asse del getto nel corso degli anni descrive un cono attorno ad un asse immaginario. Guardando questa precessione proiettata nel piano del cielo noi vediamo il getto oscillare in modo regolare”.

Questo lavoro ha utilizzato un totale di 170 epoche di osservazioni ottenute dalla rete East Asian VLBI Network (EAVN), dal Very Long Baseline Array (VLBA), dal KVN e VERA (KaVA), e dalla rete East Asia to Italy Nearly Global VLBI (EATING). In totale, più di 20 telescopi in tutto il mondo hanno contribuito a questo studio, tra cui anche il Sardinia Radio Telescope (SRT) e la Stazione Radioastronomica di Medicina dell’INAF.

“Questo importante risultato nasce grazie a un’ampia collaborazione che ha coinvolto 79 ricercatori di 17 diversi osservatori, università ed enti ricerca sparsi in 10 Paesi”, dice ancora Giovannini. “”Di cruciale importanza, in particolare, è stata la sinergia tra studiosi italiani e dell’Asia Orientale (Cina, Giappone, Corea). La collaborazione è in continuo sviluppo, infatti nelle antenne italiane utilizzate per le osservazioni sono infatti stati installati alcuni ricevitori coreani che permetteranno di migliorare la collaborazione nelle osservazioni ad alta frequenza (alta energia) ed elevata risoluzione angolare”.

Giroletti aggiunge: “INAF ha fornito un contributo fondamentale tramite la partecipazione dei propri radiotelescopi che si trovano a grandissima distanza (circa 10 mila km) da quelli dell’Asia Orientale che costituivano il nucleo della rete osservativa.  Poiché i dettagli delle immagini dipendono dall’estensione della rete, l’aggiunta delle antenne INAF ha migliorato di quasi 10 volte il dettaglio delle immagini. Questo ha facilitato grandemente la rivelazione delle oscillazioni del getto. Inoltre INAF ha contribuito anche con la partecipazione del proprio personale di ricerca per l’interpretazione dei risultati”.

E conclude: “La collaborazione fra Italia ed estremo oriente sta crescendo anno dopo anno sia in ambito scientifico che tecnologico e questo risultato ci dà grande fiducia per i lavori che stiamo portando avanti nei due continenti”.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Precessing jet nozzle connecting to a spinning black hole in M87”, di Yuzhu Cui et al., è stato pubblicato sulla rivista Nature.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

SCOPERTO UN DISCO PROTOSTELLARE A QUATTRO BRACCI, G358-MM1

In un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy, un gruppo di ricercatori – tra cui anche quattro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), esperti in emissione maser (intense emissioni radio nelle microonde, focalizzate in modo analogo a come avviene per i laser), hanno mappato un disco protostellare di grande massa con un dettaglio maggiore rispetto a quanto ottenuto in precedenza. Grazie all’utilizzo combinato di antenne radio dislocate in varie parti del mondo con la tecnica VLBI (Very Long Baseline Interferometry) nell’ambito di una collaborazione internazionale, il team è stato in grado di scoprire i quattro bracci a spirale nel disco di gas e polveri in rotazione attorno alla protostella di grande massa G358.93-0.03MM1 (in breve G358-MM1), già avvistata nel 2019. La scoperta mette insieme le prove di molti degli aspetti della teoria dell’accrescimento episodico: un disco rotante, episodi di accrescimento e una struttura a spirale che aiuta ad alimentare la crescente protostella di grande massa.

La mappa spot dei set di dati combinati di sei epoche, centrata sulla posizione della protostella G358-MM1. La mappa mostra la posizione di tutti i singoli maser rilevati nel tempo. I colori indicano la velocità dell’emissione, il blu in avvicinamento e il rosso in allontanamento rispetto alla velocità sistemica. La linea nera indica la direzione del gradiente di velocità maggiore. I bracci siprali identificati in questo lavoro sono mostrati come spesse linee grigie. Crediti: Burns et al. 2023, Nature Astronomy

Nello studio sono stati raccolti anche i dati ottenuti dal radiotelescopio a parabola singola di 32 metri della Stazione radioastronomica di Medicina (Bologna) dell’INAF, che ha monitorato l’emissione tra febbraio e ottobre 2019, e come parte dell’EVN (European VLBI Network) durante le osservazioni ad alta risoluzione angolare (marzo 2019). Anche il Sardinia Radio Telescope (SRT) dell’INAF ha partecipato alle osservazioni EVN di marzo 2019.

Le stelle sono considerate di grande massa se sono almeno otto volte più massicce del Sole. Agiscono come fabbriche atomiche per generare molti dei mattoni necessari per la vita nell’universo e alterano l’aspetto e l’evoluzione delle galassie. Le stelle più massicce diventano enigmatici buchi neri quando concludono il loro ciclo evolutivo. Nonostante la loro importanza nell’universo, il processo attraverso il quale si formano stelle di grande massa è stato un mistero per molti decenni. Recentemente si è scoperto che questi oggetti celesti si formano al centro di dischi rotanti di gas e polvere, noti come dischi protostellari, che hanno un raggio di circa 1000 unità astronomiche  (una unità astronomica è la distanza media che separa la Terra dal Sole).

Scoperto un disco protostellare a quattro bracci, G358-MM1
Rappresentazione artistica del disco a spirale a 4 bracci che ospita la protostella di grande massa ad accrescimento episodico G358-MM1. Crediti: Charles Willmott & Ross Burns

Una teoria che sta emergendo nella ricerca sulla formazione stellare di massa elevata è quella dell’”accrescimento episodico”, per cui ammassi di gas ricchi di polveri si riversano occasionalmente dal disco protostellare sulla stella in accrescimento, o “protostella”, al centro. Questi avvenimenti forniscono alla protostella più della metà della massa che guadagna durante la sua fase di crescita e ne aumentano temporaneamente la sua luminosità. Tuttavia, questi episodi di accrescimento si verificano su scale temporali da centinaia a migliaia di anni e, durando solo pochi mesi o anni, sono eventi molto rari da studiare. Gli astronomi hanno catturato solo pochi lampi di accrescimento nelle protostelle di massa elevata. Il più recente e il più intensamente studiato risale al 2019 e ha come protagonista la protostella di grande massa G358-MM1. La teoria dell’accrescimento episodico propone che i dischi protostellari siano grumosi e che i bracci a spirale possano emergere nel disco per effetto della forza di attrazione gravitazionale della protostella.

L’osservazione dei dischi protostellari attorno alle protostelle di grande massa, per non parlare di qualsiasi struttura a spirale o grumo, è stata una sfida per gli astronomi. Le protostelle di grande massa si formano all’interno di dense nubi di gas e polvere in turbolenti vivai stellari, che sono per lo più invisibili ai telescopi ottici attualmente disponibili.

Il team ha utilizzato una nuova tecnica chiamata “mappatura dell’onda di calore”: si sfrutta il lampo di radiazione, conseguenza dell’accrescimento, per mappare la superficie del disco utilizzando l’emissione maser del metanolo. In totale sono stati utilizzati 24 radiotelescopi, in Oceania, Asia, Europa e America. Tutti i dati sono stati combinati per produrre un’immagine del disco a spirale di G358-MM1 con una risoluzione di milliarcosecondi (1/3600000 di grado). Il primo autore dello studio, Ross Burns del National Astronomical Observatory of Japan e del Korea Astronomy and Space Science Institute, afferma:

“I dati delle osservazioni di radiotelescopi in tutto il mondo hanno contribuito a questa scoperta. Tali dati sono stati accuratamente elaborati in data center in tre diversi continenti. Queste attività da sole comportano lo sforzo di oltre 150 persone”.

G358-MM1 ha quattro bracci a spirale che avvolgono la protostella. I bracci a spirale aiutano a trasportare il materiale del disco fino al centro del sistema dove può raggiungere la protostella e alimentarla. Se in altre protostelle di grande massa verranno scoperti più sistemi a spirale ed episodi di accrescimento, utilizzando la mappatura delle onde di calore o altre tecniche di osservazione, allora gli astronomi saranno in grado di fornire una migliore comprensione della formazione delle stelle di grande massa.

Jan Brand, ricercatore presso l’INAF di Bologna e tra gli autori dell’articolo, spiega: “L’antenna da 32 metri di Medicina ha risposto ad un cosiddetto flare alert (allerta di improvviso incremento di emissione maser) emesso dal Maser Monitoring Organisation, in cui si indicava che G358.93-0.03, una delle sorgenti regolarmente monitorate da un altro osservatorio, mostrava elevata emissione del maser del metanolo – un possibile indicatore di un evento di accrescimento di materia su una protostella di alta massa. Il monitoraggio del target con l’antenna da 32 metri ha confermato l’aumento di attività anche dell’emissione del maser dell’acqua, come confermato anche da altre antenne della collaborazione scientifica a varie frequenze radio. Sulla base di questi dati sono state condotte osservazioni ad alta risoluzione angolare con vari network di antenne,  tra i quali l’EVN, in cui hanno preso parte sia l’antenna di Medicina che l’SRT da 64 metri”. E continua: “Interessante notare che una delle prime indicazioni della presenza di struttura a spirale nel disco attorno a questa sorgente è stata trovata in uno studio col VLA guidato da Olga Bayandina (postdoc all’INAF di Firenze, e coautrice di questo lavoro)”.

 

Il team continuerà a cercare questi fenomeni nelle protostelle di grande massa, tramite una rete internazionale di astronomi, la Maser Monitoring Organization (M2O), che ha come missione la condivisione di informazioni in tempi scala brevissimi. Finora sono stati osservati solo tre casi di accrescimento episodico associato a protostelle di grande massa, per la prima volta in S255IR-NIRS3 da Alessio Caratti o Garatti (INAF di Napoli, coautore nel presente lavoro) e collaboratori nel 2017. Il team spera di trovarne molte altre.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “A Keplerian disk with a four-arm spiral birthing an episodically accreting high-mass protostar”, di R. A. Burns, Y. Uno, N. Sakai, J. Blanchard, Z. Fazil, G. Orosz, Y. Yonekura, Y. Tanabe, K. Sugiyama, T. Hirota, Kee-Tae Kim, A. Aberfelds, A. E. Volvach, A. Bartkiewicz, A. Caratti o Garatti, A. M. Sobolev, B. Stecklum, C. Brogan, C. Phillips, D. A. Ladeyschikov, D. Johnstone, G. Surcis, G. C. MacLeod, H. Linz, J. O. Chibueze, J. Brand, J. Eislöffel, L. Hyland, L. Uscanga, M. Olech, M. Durjasz, O. Bayandina, S. Breen, S. P. Ellingsen, S. P. van den Heever, T. R. Hunter, X. Chen, è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF.

ISTANTANEA DI MOTI A SPIRALE: COSÌ PARTONO I GETTI DAL DISCO DI ACCRESCIMENTO DI UNA STELLA IN FORMAZIONE

Osservate, per la prima volta in maniera diretta, le linee di flusso di un “disk wind” magnetoidrodinamico, il vento che, secondo le previsioni teoriche, si origina dai dischi di accrescimento intorno a oggetti cosmici come stelle in formazione e buchi neri. A firmare la scoperta, pubblicata oggi su Nature Astronomy, un team internazionale guidato da Luca Moscadelli dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, mediante le osservazioni radio di un’emissione “maser” dell’acqua nei pressi di una stella nascente realizzate con il Very Long Baseline Interferometry (VLBI) array, una rete globale di 26 radiotelescopi distribuiti tra l’Europa, l’Asia e gli Stati Uniti.

Durante il loro processo di formazione, molti oggetti astrofisici, dai buchi neri supermassicci fino ai pianeti giganti, sono circondati da un disco di accrescimento dal quale partono potenti getti, collimati lungo l’asse di rotazione del disco. Il collegamento tra i due fenomeni, l’accrescimento e l’emissione dei getti, è essenziale affinché questi oggetti possano formarsi, rimuovendo dal sistema il momento angolare in eccesso e permettendo alla materia di continuare ad accumularsi sull’oggetto centrale.

Illustrazione delle linee di flusso (in blu e azzurro) rilevate in prossimità di una stella nascente nella regione IRAS 21078+5211 mediante osservazione in banda radio dei maser dell’acqua (mostrati in rosso e arancione). In alto a destra, un’immagine su scala maggiore dei getti bipolari provenienti dalla stella in formazione e, nell’angolo, su scala ancora maggiore, un’immagine in banda infrarossa della nursery stellare (cliccare per ingrandire).
Crediti: André Oliva, Institut für Astronomie und Astrophysik, Universität Tübingen

Questo processo è stato compreso teoricamente negli anni Ottanta, collegando la formazione di buchi neri e stelle al cosiddetto disk wind magnetoidrodinamico: il vento lanciato dal disco tramite un meccanismo magneto-centrifugo. Mediante questo meccanismo, una frazione del flusso di accrescimento che dal disco procede verso l’oggetto centrale in formazione (un buco nero oppure una stella) viene lanciata e accelerata verso l’esterno, lungo l’asse di rotazione del disco, formando getti bipolari collimati.

La miglior prova ad oggi dell’esistenza dei disk wind magnetoidrodinamici era stata l’osservazione di un gradiente della velocità lungo la linea di vista perpendicolare all’asse del getto, interpretata in termini di rotazione del getto dovuta alla sua origine magneto-centrifuga. Si trattava, tuttavia, di evidenza indiretta, soggetta a interpretazioni fallaci ed errori sistematici. Tracciare le linee di flusso tipiche di un disk wind magnetoidrodinamico è una prova molto più convincente.

Il nuovo studio, condotto dai ricercatori INAF Luca Moscadelli e Alberto Sanna insieme a colleghi del Max-Planck-Institute for Astronomy di Heidelberg, dell’Università di Tubinga e dell’Università di Duisburg-Essen, in Germania, ha osservato una particolare emissione in banda radio: la riga emessa dalla molecola dell’acqua a una frequenza di circa 22 GHz. Questa emissione è comunemente osservata come un intenso “maser” – l’equivalente di un laser nella banda delle microonde – nelle regioni di formazione stellare. Come i laser, i maser sono fasci di radiazione intensi e altamente collimati. Le osservazioni della riga maser dell’acqua hanno consentito al team di rilevare, per la prima volta in maniera diretta, due tipiche linee di flusso di un disk wind magnetoidrodinamico: dei moti a spirale, in prossimità dell’asse di rotazione, e un flusso che ruota insieme al disco a distanze maggiori dall’asse.

Le osservazioni sono state effettuate utilizzando il Very Long Baseline Interferometry (VLBI) array, una rete globale formata da 26 radiotelescopi che osservano a 22 GHz distribuiti in Europa, Asia e Stati Uniti. Queste antenne hanno osservato simultaneamente, per 24 ore, l’emissione della riga maser dell’acqua in direzione della stella nascente, che si trova nella regione di formazione stellare IRAS 21078+5211, a circa 5300 anni luce da noi.

La tecnica dell’interferometria a lunghissima linea di base permette di simulare un telescopio gigante con un diametro paragonabile a quello terrestre e di raggiungere una risoluzione angolare estremamente elevata (~0,5 milliarcsec), essenziale per studiare la distribuzione spaziale dei singoli centri di emissione dei maser dell’acqua vicino a stelle in formazione. Raggiungendo anche una sensibilità molto elevata (~0,7 mJy) nella riga maser, sono stati rivelati un gran numero di centri di emissione maser deboli (< 50 mJy), consentendo al team di tracciare accuratamente le linee di flusso del disk wind.

“Questo lavoro mostra che osservare le emissioni maser dell’acqua in prossimità di stelle in formazione usando l’interferometria a lunghissima linea di base (VLBI) può essere uno strumento unico per studiare la fisica dei disk wind con dettagli senza precedenti” afferma Luca Moscadelli, ricercatore INAF a Firenze e primo autore del nuovo studio. “Abbiamo eseguito nuove osservazioni dell’emissione della riga maser dell’acqua includendo tutti i telescopi disponibili nella rete VLBI, con l’obiettivo di simulare radiointerferometri di prossima generazione che miglioreranno la sensibilità attuale di oltre un ordine di grandezza. Il nostro obiettivo era rilevare maser deboli originantesi in gas eccitato in urti a bassa velocità vicino alla stella in formazione per campionare meglio la cinematica di un disk wind”.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Snapshot of a magnetohydrodynamic disk wind traced by water maser observations”, di L. Moscadelli, A. Sanna, H. Beuther, G. A. Oliva e R. Kuiper, è stato pubblicato online sulla rivista Nature Astronomy.

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza
Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sull’istantanea di moti a spirale, getti dal disco di accrescimento di una stella in formazione.