Evoluzione della Terra: come sono cambiati nel tempo i livelli di ossigeno e la temperatura interna del nostro pianeta
Un nuovo studio del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza di Roma e dell’Istituto di Oceanologia dell’Accademia Cinese delle Scienze fornisce una nuova prospettiva per comprendere come è cambiata nel tempo la composizione atmosferica terrestre. I risultati dello studio sono pubblicati su Nature Communications.
I livelli di ossigeno del mantello terrestre controllano la formazione e il movimento degli elementi leggeri al suo interno (idrogeno, carbonio e zolfo), influenzando fenomeni geologici come l’attività vulcanica, la tettonica delle placche e la composizione dell’atmosfera.
La ricerca sulla capacità dell’ossigeno di guidare tali reazioni chimiche, ovvero la fugacità dell’ossigeno (fO2), si concentra principalmente sullo studio della composizione chimica delle lave più antiche (komatiti e picriti) formatesi in aree profonde della Terra sino a circa 250 km.
Per confrontare direttamente le caratteristiche dell’ fO2 dei magmi formatisi in tempi e profondità diverse, Vincenzo Stagno della Sapienza Università di Roma in collaborazione con il Dr. Zhang e colleghi dell’Istituto di Oceanologia dell’Accademia Cinese delle Scienze (IOCAS) hanno proposto un nuovo parametro, definito “fugacità potenziale dell’ossigeno” che, insieme a delle stime precise di profondità e temperatura di un ampio dataset di rocce vulcaniche risalenti da più di 3 miliardi di anni fa ad oggi permettono di comprendere come la composizione atmosferica terrestre si sia evoluta nel tempo geologico.
Diversamente da quanto dimostrato da studi precedenti secondo cui l’aumento della fO2 del mantello sin dall’Archeano fosse avvenuto gradualmente in risposta a processi di subduzione della crosta terrestre o di segregazione del nucleo metallico, questo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, rivela che l’aumento di fO2 dei magmi derivati dal mantello terrestre è stato causato da un lento raffreddamento dell’interno della Terra, con conseguente diminuzione della profondità alla quale si sono formati i magmi negli ultimi 4 miliardi di anni. L’aumento dei livelli di ossigeno dell’interno del pianeta ha modificato la chimica dei gas vulcanici e, quindi, la composizione dell’atmosfera.
“Le variazioni nella fO2 dei magmi derivati dal mantello sin dall’ Adeano sono principalmente dovute a cambiamenti nella profondità e temperatura alla quale i meccanismi di fusione avvenivano”, spiega Vincenzo Stagno del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza. “La composizione chimica dell’atmosfera e’ una diretta conseguenza dei livelli di ossigenazione dell’interno della Terra sin dalla sua origine, e questo può aiutare a capire in quali pianeti possa esserci stata vita”.
Decifrare l’evoluzione dello stato di ossigenazione del mantello terrestre sin dall’Adeano è fondamentale per comprendere importanti questioni scientifiche come il ciclo profondo del carbonio, l’evoluzione della composizione atmosferica e le origini della vita, ma anche le analogie e le diversità tra i pianeti dello stesso sistema solare.
Evoluzione della Terra: come sono cambiati nel tempo i livelli di ossigeno e la temperatura interna del nostro pianeta. Foto di p2722754
Riferimenti bibliografici:
The constant oxidation state of Earth’s mantle since the Hadean – Fangyi Zhang, Vincenzo Stagno, Lipeng Zhang, Chen Chen, Haiyang Liu, Congying Li, Weidong Sun, Nature Communications, DOI: 10.1038/s41467-024-50778-z.
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Il Carbonio controlla la profondità di genesi dei magmi nel mantello superiore della Terra
In un nuovo studio (https://www.nature.com/articles/s41561-021-00797-y), pubblicato sulla rivista Nature Geoscience (https://www.nature.com/ngeo/), un team di ricercatori italiani guidato da Alessandro Aiuppa (Università di Palermo) e che vede fra i co-autori Federico Casetta (Università di Ferrara), Massimo Coltorti (Università di Ferrara), Vincenzo Stagno (Sapienza Università di Roma) e Giancarlo Tamburello (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Bologna), ha sviluppato un nuovo approccio per ricostruire la quantità di Carbonio immagazzinato nel mantello superiore della terra, dalla cui fusione sono segregati i magmi.
Il Carbonio, il quarto elemento più abbondante in termini di massa nell’universo, è un elemento chiave per la vita. Il suo ricircolo, da e verso l’interno della Terra, regola i livelli di CO2 nell’atmosfera, giocando quindi un ruolo fondamentale nel rendere il nostro pianeta abitabile. Il Carbonio è un elemento unico, perché può essere immagazzinato nelle profondità della Terra in varie forme: all’interno di fluidi, come componente di fasi minerali, oppure disciolto nei magmi. Si ritiene, inoltre, che il Carbonio giochi un ruolo chiave nella geodinamica terrestre, in quanto questo elemento è in grado di controllare i processi di fusione che avvengono mantello superiore. Vista la sua tendenza ad essere incorporato nei magmi prodotti per fusione delle rocce peridotitiche nel mantello superiore, il Carbonio è facilmente trasportato verso la superficie terrestre, ove viene poi rilasciato come CO2 nelle emissioni gassose di vulcani attivi o quiescenti. I magmi ed i gas derivati dal mantello sono, pertanto, i mezzi di trasporto più efficaci per portare il Carbonio verso l’idrosfera e l’atmosfera, dove gioca un ruolo primario nel controllo dei cambiamenti climatici su scala geologica.
Ma quanto Carbonio è immagazzinato all’interno della Terra?
Questa domanda ha ispirato ricerche in diversi ambiti delle geoscienze, che si sono avvalse di molteplici approcci empirici, quali lo studio dei gas emessi in aree vulcaniche, del contenuto in CO2 nelle lave eruttate lungo le dorsali medio-oceaniche e/o nelle inclusioni di magma all’interno dei cristalli, delle inclusioni fluide in xenoliti di mantello portati in superficie dai magmi, e le misure sperimentali sviluppate con lo scopo di comprendere la massima quantità di CO2 che può essere disciolta nei magmi a pressioni e temperature tipiche dell’interno della Terra. Sfortunatamente, questi approcci hanno portato spesso a conclusioni contrastanti, al punto che le stime sul contenuto di Carbonio del mantello (così come dell’intera Terra) divergono di più di un ordine di grandezza. Le “melt inclusions”, o inclusioni di magma, cioè piccole goccioline di fuso silicatico intrappolate nei cristalli al momento della loro formazione nei magmi, possono essere sorgenti di informazione uniche per quantificare il contenuto di Carbonio del mantello da cui i magmi stessi sono segregati. Tuttavia, il massivo rilascio di gas (degassamento), tra cui CO2, a cui i magmi sono soggetti durante la loro risalita verso la superficie (prima della loro messa in posto ed eruzione) ha rappresentato un fattore limitante nella comprensione delle variazioni di concentrazione di Carbonio nel mantello.
Nel loro studio, Aiuppa e co-autori hanno revisionato e catalogato i dati relativi al contenuto in CO2 (e zolfo) nei gas vulcanici emessi da 12 vulcani di hot-spot e di rifting continentale, i cui magmi sono generati da sorgenti mantelliche più profonde rispetto a quelle del mantello impoverito da cui derivano i magmi delle dorsali medio-oceaniche.
Gas magmatici ricchi in CO2 rilasciati dal degassamento del lago di lava a condotto aperto presso il vulcano Nyiragongo, Repubblica Democratica del Congo (foto di Sergio Calabrese, Università di Palermo)
I risultati ottenuti hanno permesso di comprendere che il mantello superiore (50-250 km di profondità) che alimenta il vulcanismo in aree di rifting continentale e di hot-spot contiene in media 350 parti per milione (ppm) di Carbonio (intervallo compreso tra 100 e 700 ppm di C). Questo ampio range conferma la visione di un mantello superiore fortemente eterogeneo, la cui composizione è stata variabilmente modificata, in tempi geologici, dall’infiltrazione di fusi carbonatici-silicatici generati in profondità. Le nuove stime ottenute da Aiuppa e co-autori indicano che il mantello superiore ha una capacità totale di Carbonio di circa ~1.2·1023 g. È possibile che la Terra, nelle sue porzioni interne, sia in grado di contenere ancora più Carbonio, come suggerito dai diamanti provenienti da profondità sub-litosferiche (fino a 700 km), i quali mostrano evidenze dell’esistenza di minerali e fusi che contengono significative quantità di C.
In aggiunta, il team di ricercatori ha stimato che il contenuto di Carbonio aumenta con la profondità di fusione parziale nel mantello. Questa scoperta permette di validare i dati sperimentali, che suggeriscono come il Carbonio giochi un ruolo nel determinare percentuale e profondità di fusione parziale nelle sorgenti di mantello che alimentano i vulcani in aree di rift continentali e di hot-spot. I risultati ottenuti, indicando che le porzioni di mantello ricche in Carbonio fondono più in profondità rispetto a porzioni povere in Carbonio, confermano il ruolo di primaria importanza giocato da questo elemento nel guidare i cicli geodinamici.
Aumento della concentrazione di Carbonio con la profondità di fusione nel mantello superiore terrestre. I magmi prodotti in contesti di Isole Oceaniche e di Rift Continentale sono alimentati da sorgenti di mantello più ricche in Carbonio rispetto alle porzioni di “Depleted MORB Mantle (DMM)”, cioè di mantello impoverito da cui sono prodotti i “Mid-Ocean Ridge Basalts (MORB)”, ovvero basalti di dorsale medio-oceanica
L’esistenza di un mantello ricco in Carbonio, evidenziata da Aiuppa e co-autori, ha profonde implicazioni rispetto alle modalità di immagazzinamento del Carbonio primordiale nel mantello, e per il suo riciclo nel tempo e nello spazio. I risultati ottenuti con questo studio sono anche importanti per comprendere le possibili variazioni nel ciclo geologico del Carbonio causate da eventi vulcanici di grande magnitudo, quali la messa in posto delle “Large Igneous Provinces (LIP)”, o grandi province ignee. Se i magmi prodotti dai “plume”, o pennacchi, di mantello sono ricchi in Carbonio, come suggerito da questo studio, allora il rilascio di Carbonio dalle grandi province ignee nel Fanerozoico può aver contribuito a causare le estinzioni di massa, le cui tracce sono preservate nei record sedimentari in tutto il mondo.
Sezione schematica dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano (passando attraverso il cratone Africano), che mostra le variazioni nelle concentrazioni di Carbonio ricostruite nelle sorgenti di mantello da cui sono prodotti i magmi delle Isole Oceaniche e dei Rift Continentali
Il Carbonio controlla la profondità di genesi dei magmi nel mantello superiore della Terra
CITAZIONE
Alessandro Aiuppa, Federico Casetta, Massimo Coltorti, Vincenzo Stagno and Giancarlo Tamburello (2021), Carbon concentration increases with depth of melting in Earth’s upper mantle, Nature Geoscience, https://doi.org/10.1038/s41561-021-00797-y
Il Carbonio controlla la profondità di genesi dei magmi nel mantello superiore della Terra. Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma, Università di Palermo, Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.