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Sclerosi Multipla e virus di Epstein-Barr: è possibile una vaccinazione personalizzata? Uno studio che rappresenta un primo passo per la prevenzione e la cura della malattia

La ricerca, coordinata dal Centro Sclerosi Multipla della Sapienza, Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea, evidenzia i meccanismi che legano il virus alla malattia e apre la strada a una vaccinazione selettiva e a nuove terapie. Lo studio, finanziato dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, è stato pubblicato sulla rivista “PNAS” (Proceedings of the National Academy of Sciences).

PNAS Distribuzione genomica dei polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) dell'interattoma candidato e arricchimento del legame proteico vicino agli SNP associati alla Sclerosi Multipla. Crediti dell'immagine: Autori dello studio
Distribuzione genomica dei polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) dell’interattoma candidato e arricchimento del legame proteico vicino agli SNP associati alla Sclerosi Multipla. Crediti dell’immagine: Autori dello studio

La recente dimostrazione di un nesso causale fra virus di Epstein Barr (EBV) e sclerosi multipla ha aperto nuove prospettive non solo per curare ma anche per prevenire questa malattia.

Soprattutto per quanto riguarda la prevenzione, un vaccino contro l’EBV rappresenta l’approccio più logico.

Tuttavia, poiché il virus infetta “naturalmente” – e senza particolari conseguenze – più del 90% della popolazione adulta, vaccinare “a tappeto” può non essere semplice, anche per problematiche di accettazione, come la recente pandemia ha insegnato.

Dopo diversi anni di lavoro, uno studio coordinato dal Centro Sclerosi Multipla dell’Università Sapienza – Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), indica una possibile soluzione.

PNAS Interazione fra virus e malattia (tabella e grafico). Crediti dell'immagine: Autori dello studio
Sclerosi Multipla e virus di Epstein-Barr: è possibile una vaccinazione personalizzata? Uno studio che rappresenta un primo passo per la prevenzione e la cura della malattia. Nell’immagine, interazione fra virus e malattia (tabella e grafico). Crediti dell’immagine: Autori dello studio

Lo studio mostra, infatti, che alcune varianti del virus “dialogano” con i geni che predispongono alla sclerosi multipla in un modo che le rende più a rischio di provocare la malattia.

“Questo risultato apre la strada alla possibilità di una vaccinazione selettiva, limitata a coloro che presentano le varianti del virus più ‘a rischio’, riducendo al minimo le resistenze alla vaccinazione e garantendo, al contempo, una protezione a chi ne ha più bisogno”, afferma il Prof. Marco Salvetti del Centro Sclerosi Multipla del Sant’Andrea-Sapienza.  Per la Prof.ssa Rosella Mechelli, dell’Università Telematica San Raffaele di Roma, altro Centro coordinatore dello studio, “la ricerca mostra anche come il virus sia associato alla sclerosi multipla in modo specifico, non riscontrabile in molte delle altre malattie autoimmunitarie esaminate”. “Andare alle radici delle cause della malattia”, conclude il Prof. Giuseppe Matarese, ordinario di Immunologia e Patologia Generale alla Università Federico II di Napoli, “ci permette di capire quali siano i meccanismi immunologici più rilevanti, anche per il disegno di terapie future”

“Si tratta di risultati molto importanti e innovativi, che ci forniscono una chiave per spiegare perché un’infezione diffusa nel 90-95% della popolazione mondiale possa favorire l’esordio della SM solo in una piccola porzione di individui – dichiara Paola Zaratin, Direttore Ricerca Scientifica AISM-FISM – Questi risultati forniranno utili informazioni sulla strategia dello sviluppo di vaccini personalizzati anti-EBV. La ricerca eziologica della SM, su cui l’Associazione Italiana SM insieme alla sua Fondazione è da sempre impegnata, è l’unica che può portare ad una prevenzione primaria della SM (equivalente di “end MS”)”

 

Riferimenti bibliografici:

Mechelli, R. Umeton, G. Bellucci, R. Bigi, V. Rinaldi, D.F. Angelini, G. Guerrera, F.C. Pignalosa, S. Ilari, M. Patrone, S. Srinivasan, G. Cerono, S. Romano, M.C. Buscarinu, S. Martire, S. Malucchi, D. Landi, L. Lorefice, R. Pizzolato Umeton, E. Anastasiadou, P.Trivedi, A. Fornasiero, M. Ferraldeschi, IMSGC WTCCC2, A. Di Sapio, G. Marfia, E. Cocco, D. Centonze, A. Uccelli, D. Di Silvestre, P. Mauri, P. de Candia, S. D’Alfonso, L. Battistini, C. Farina, R. Magliozzi, R. Reynolds, S.E. Baranzini, G. Matarese, M. Salvetti, & G. Ristori, A disease-specific convergence of host and Epstein–Barr virus genetics in multiple sclerosis, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. (2025) 122 (14) e2418783122, link: https://doi.org/10.1073/pnas.2418783122

 

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

La salute degli invisibili: pubblicato uno studio sulla diffusione dell’epatite tra le comunità emarginate italiane in Toscana

Un team di ricercatrici e ricercatori delle Università di Pisa e Firenze ha condotto uno screening in Toscana su oltre 1800 persone

Con una serie di campagne di screening pluriennali su gruppi marginali della popolazione, un team di ricercatrici e ricercatori delle Università di Pisa e Firenze è riuscito a monitorare l’incidenza delle infezioni da epatite B (HBV) e C (HCV) tra le comunità più emarginate della Toscana, riscontrando prevalenze molto più alte della media nazionale e in soggetti di età molto giovane. Inoltre, grazie alla collaborazione e al filo diretto con unità assistenziali di Firenze, Empoli, Prato e Pistoia, i soggetti positivi hanno avuto accesso all’assistenza clinica e, se necessario, alla terapia. Lo studio, dal titolo “HBV and HCV testing outcomes among marginalized communities in Italy, 2019–2024: a prospective study”, è stato recentemente pubblicato sulla rivista “The Lancet Regional Health – Europe”, con corresponding author Laura Gragnani, ricercatrice del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, e prima autrice Monica Monti del Centro MaSVE dell’Università degli Studi di Firenze. Lo studio è stato finanziato da Gilead Science, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dalla Regione Toscana.

Tra il 2019 e il 2024, con una sospensione dovuta alla pandemia di COVID-19, il gruppo di ricerca ha testato marcatori per le infezioni da HBV (antigene di superficie dell’HBV – HbsAg) e da HCV (anticorpi anti-HCV) in 1.812 soggetti che frequentano mense popolari, centri di accoglienza, scuole di italiano per stranieri nelle aree metropolitane di Firenze, Prato e Pistoia. Lo studio ha rilevato che il 4,4% dei partecipanti era positivo all’HBsAg, segno di infezione attiva, mentre il 2,9% presentava anti-HCV, indicativi di un’esposizione al virus. La positività a HBV era più frequente tra gli uomini (91%) e individui di origine non italiana, provenienti soprattutto da aree con basse coperture vaccinali. I partecipanti positivi a HCV includevano una maggiore proporzione di cittadini italiani (51,9%) con storie di marginalità estrema spesso legate ad un pregresso consumo di droghe per via endovenosa. Lo screening è stato effettuato direttamente presso le strutture di accoglienza, con test rapidi su sangue capillare e risultati disponibili in pochi minuti. Questa strategia ha garantito un’alta adesione, pari all’82%. Inoltre, la presenza di mediatori culturali e la collaborazione con gli operatori delle associazioni ha facilitato il collegamento dei pazienti positivi ai centri clinici locali. Il 66,3% dei positivi a HBV e il 37,8% di quelli a HCV hanno intrapreso un percorso di monitoraggio o cura, in base alle valutazione clinica. Tra i pazienti con infezione HCV attiva, tutti quelli trattati con farmaci antivirali hanno ottenuto la guarigione.

“Le infezioni da HBV e HCV possono evolvere in gravi patologie come la cirrosi e il tumore al fegato e molti dei soggetti colpiti non sono consapevoli della loro condizione fino alle fasi avanzate della malattia – spiega la dott.ssa Laura Gragnani  – Questo ritardo diagnostico è evidente nelle comunità marginali, che non sono raggiunte dai programmi di prevenzione e screening nazionali e regionali e che spesso incontrano barriere nell’accesso ai servizi sanitari, come la mancanza di informazioni, fiducia o risorse economiche. I risultati raggiunti col nostro studio dimostrano l’importanza di strategie di screening mirate per ridurre le disuguaglianze sanitarie, ridurre la circolazione di questi virus nell’intera comunità e raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminare le epatiti virali come minaccia infettiva entro il 2030”.

Laura Gragnani
La salute degli invisibili: pubblicato su The Lancet Regional Health – Europe uno studio sulla diffusione dell’epatite tra le comunità emarginate italiane in Toscana. In foto, Laura Gragnani

“Questa ricerca – aggiunge Monica Monti – ha inoltre evidenziato l’importanza di ‘agganciare’ e curare i soggetti marginali che spesso non accedono ai canali ufficiali di assistenza sanitaria”.

Allo studio hanno partecipato anche la professoressa Gabriella Cavallini e la dottoressa Maria Laura Manca dell’Ateneo pisano e la professoressa Anna Linda Zignego, docente in pensione dell’Università degli Studi di Firenze, direttrice del Centro MaSVE fino all’ottobre 2023.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.

Vaccinazione anti COVID-19: non solo le patologie pregresse e l’età, ma anche il sesso e lo stile di vita influenzano la risposta immunitaria acquisita

Un nuovo studio, promosso dalla Sapienza e dal Policlinico Umberto I, ha identificato i fattori demografici, clinici e sociali che interferiscono con la risposta immunitaria in seguito alla vaccinazione anti COVID-19. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Journal of Personalized Medicine, aprono la strada a programmi vaccinali personalizzabili.

 

È ormai noto che per il controllo a lungo termine della pandemia da COVID-19 risulta cruciale l’immunità indotta dal vaccino. Tuttavia, diverse variabili possono incidere sulla capacità degli individui di acquisire quest’immunità.

Una nuova ricerca interamente italiana, promossa dalla Sapienza e dal Policlinico Umberto I e coordinata da Stefania Basili del Dipartimento di Medicina traslazionale e di precisione della Sapienza, ha permesso di individuare una correlazione tra la risposta immunitaria acquisita dopo la somministrazione del vaccino anti COVID-19 e alcune variabili demografiche, cliniche e sociali, tra cui l’età, il sesso, le malattie pregresse, l’abitudine tabagica e lo stato civile.

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Vaccinazione anti COVID-19: non solo le patologie pregresse e l’età, ma anche il sesso e lo stile di vita influenzano la risposta immunitaria acquisita. Foto di PIRO4D

Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Personalized Medicine, è frutto della collaborazione dei dipartimenti universitari della Sapienza con il Policlinico Umberto I e ha visto la partecipazione degli operatori della salute dell’ospedale universitario.

Un campione di 2065 lavoratori sanitari del Policlinico Umberto I, a cui era stato somministrato il vaccino anti COVID-19 a mRNA di Pfizer BioNTech, è stato sottoposto a due prelievi di sangue, dopo 1 mese e dopo 5 mesi dalla seconda vaccinazione.

“A tutti i soggetti coinvolti – spiega Stefania Basili, coordinatrice dello studio– è stato somministrato un questionario per raccogliere informazioni personali ed è stato eseguito un test sierologico quantitativo in grado di rilevare gli anticorpi anti-proteina S (Spike) del virus Sars-CoV2, il miglior strumento per valutare l’immunità acquisita a seguito della vaccinazione o dell’infezione”.

Dai risultati è emerso che dopo un mese dalla vaccinazione i soggetti con una pregressa infezione da COVID-19 e quelli più giovani hanno livelli di anticorpi più alti rispetto alle altre persone del campione considerato. Al contrario, le malattie autoimmuni, le patologie polmonari croniche e il tabagismo sono correlati ai più bassi livelli di risposta anticorpale.

Dopo cinque mesi dalla vaccinazione si è osservata una diminuzione mediana del 72% del livello anticorpale, che però è meno evidente nelle donne e nei soggetti con infezione pregressa. Invece nei fumatori, negli ipertesi e nei meno giovani è stato riscontrato un crollo drammatico di circa l’82% dei livelli di anticorpi anti-Spike.

Tra gli autori della ricerca anche la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, che dichiara “lo studio mette in rilievo come il perseguimento della salute, anche di fronte a situazioni pandemiche, sottenda a un più generale principio di benessere sociale. I fattori legati agli stili di vita, infatti, hanno un ruolo rilevante nella risposta immunitaria. La prima cura è quindi l’innalzamento della cultura sanitaria e degli standard qualitativi di vita”.

I ricercatori hanno inoltre rivelato un mantenimento maggiore della risposta anticorpale nei soggetti single o conviventi rispetto ai soggetti sposati, divorziati o vedovi, anche se questa associazione potrebbe essere dovuta ad altre variabili cliniche inesplorate, come lo stile alimentare e l’indice di massa corporea.

 “Gli esiti di questo lavoro che ancora una volta sottolineano l’importanza degli stili di vita – dichiara Fabrizio d’Alba, direttore generale del Policlinico Umberto I – ci rendono sempre confidenti della validità del percorso intrapreso da Sapienza e Umberto I. Un percorso comune in un’ottica di scambio sinergico che renderà più forte la nostra comunità scientifica”.

Lo studio, spiega Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina ed odontoiatria, è una dimostrazione di come Azienda ed Ateneo siano in assoluta sintonia anche nella ricerca, ed in particolare in settori così rilevanti per la salute pubblica. Inoltre, la ampia partecipazione del personale sanitario dimostra il senso di responsabilità per raggiungere dei risultati che, anche nei confronti di COVID-19, rappresentano un ulteriore stimolo a perseguire sani stili di vita.

“Sebbene il nostro studio abbia confermato molte correlazioni già note, ha anche preso in considerazione per la prima volta – conclude Stefania Basili – molti fattori tra cui il livello di istruzione, il tipo di lavoro, lo stato civile e il carico di coinvolgimento familiare. Al di là dei risultati, l’auspicio è che la nostra analisi possa incoraggiare ulteriori ricerche a indagare gli effetti delle variabili legate al genere e allo stile di vita sulla risposta immunitaria, facendo emergere una medicina personalizzata e di precisione.”

 

Riferimenti:
Serological Response and Relationship with Gender-Sensitive Variables among Healthcare Workers after SARS-CoV-2 Vaccination – Roberto Cangemi, Manuela Di Franco, Antonio Angeloni, Alessandra Zicari, Vincenzo Cardinale, Marcella Visentini, Guido Antonelli, Anna Napoli, Emanuela Anastasi, Giulio Francesco Romiti, Fabrizio d’Alba, Domenico Alvaro, Antonella Polimeni, Stefania Basili, SAPIENZAVAX Collaborators – Journal of Personalized Medicine (2022) https://doi.org/10.3390/jpm12060994

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

RICOVERI PER COVID-19 E STATO VACCINALE IN VENETO: I RISULTATI DELLA RICERCA

Lo studio dell’Università di Padova pubblicato nella rivista «JAMA Network Open» dal titolo “COVID-19 Vaccination Status Among Adults Admitted to Intensive Care Units in Veneto, Italy” ha valutato i ricoveri per COVID-19, a seconda dello stato vaccinale, nelle unità di terapia intensiva nel Veneto da maggio a dicembre 2021.

Giulia Lorenzoni COVID-19 stato vaccinale Veneto
Giulia Lorenzoni

La ricerca ha messo in luce che, durante il periodo di tempo considerato, il 74% dei ricoverati in terapia intensiva per COVID-19 non erano vaccinati contro l’infezione. Inoltre, l’analisi dell’andamento del tasso di ricovero nel tempo ha mostrato un brusco e marcato aumento degli accessi in terapia intensiva in questi soggetti nella seconda metà dell’anno, in concomitanza all’aumento del numero dei contagi che si è registrato negli ultimi mesi del 2021.

Al contrario, il tasso di ricoveri in terapia intensiva dei soggetti che si erano sottoposti a ciclo vaccinale completo (almeno due dosi di vaccino) si è mantenuto basso e stabile per tutto il periodo di studio, senza risentire dell’ondata di contagi verificatasi alla fine dell’anno.

Non da ultimo, è importante sottolineare che, mentre circa il 60% dei vaccinati ricoverati in terapia intensiva aveva più di 70 anni, l’età dei non vaccinati era più bassa e circa il 50% di questi soggetti era di età inferiore ai 60 anni.

L’analisi del tempo intercorso tra la somministrazione dell’ultima dose di vaccino e il ricovero in terapia intensiva ha mostrato che il 50% dei soggetti vaccinati era stato ricoverato dopo circa cinque mesi dalla conclusione del ciclo vaccinale. Questo dato indica che la copertura vaccinale è soggetta ad un naturale decadimento e sottolinea l’importanza di sottoporsi alle dosi di richiamo.

Infine, i ricoverati in terapia intensiva vaccinati ma con ciclo incompleto (solo con prima dose) hanno rappresentato una piccola percentuale (8%) sul totale dei ricoveri durante il periodo di studio. L’analisi del tempo trascorso tra la somministrazione del vaccino e il ricovero ha rivelato che in almeno il 50% dei casi l’infezione si è verificata mentre erano in attesa della somministrazione della seconda dose di vaccino.

«Questi risultati – dice Paolo Navalesi del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova – confermano che la vaccinazione è protettiva nei confronti della malattia grave da infezione da Sars-CoV-2 e sottolineano l’importanza di sottoporsi al ciclo vaccinale completo ed alle successive dosi di richiamo nei tempi e nelle modalità raccomandate dalla comunità scientifica internazionale al fine di prevenire gravi complicanze tali da richiedere cure intensive, soprattutto nei soggetti più anziani».

«La campagna vaccinale – sostiene Dario Gregori del Dipartimento Scienze Cardio Toraco Vascolari e Sanità pubblica dell’Ateneo patavino – ha consentito di prevenire l’incremento del numero di ricoveri in terapia intensiva a fronte dell’incremento dei contagi avvenuto alla fine del 2021, prevenendo così l’aggravio della pressione sul sistema sanitario a cui abbiamo purtroppo assistito nelle precedenti ondate».

«Questi risultati mostrano come, dal punto di vista epidemiologico, la vaccinazione sia – afferma la prima autrice dell’articolo Giulia Lorenzoni del Dipartimento Scienze Cardio Toraco Vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova – uno dei più importanti presidi di prevenzione delle gravi conseguenze di salute pubblica della pandemia di COVID-19».

Link alla ricerca: https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2792601

Titolo “COVID-19 Vaccination Status Among Adults Admitted to Intensive Care Units in Veneto, Italy” in «JAMA Network Open» 2022

Autori: Giulia Lorenzoni, Paolo Rosi, Silvia De Rosa, V. Marco Ranieri, Paolo Navalesi, Dario Gregori.

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Padova

L’EFFETTO LUNGO DELLA PANDEMIA SUI GIORNALI – SECONDO RAPPORTO TIPS

INDAGINE SULLA TECNOSCIENZA NEI QUOTIDIANI ITALIANI NEL 2021

Secondo rapporto del Progetto Technoscientific Issues in the Public Sphere (TIPS) condotto dall’Unità di Ricerca PaSTIS del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Sociale dell’Università degli Studi di Padova

La comunicazione pubblica della tecnoscienza, cioè scienza e tecnologia considerati nel loro insieme, è risultata fortemente modificata dalla pandemia: un anno fa il primo rapporto del progetto TIPS (Technoscientific Issues in the Public Sphere), del gruppo di ricerca PaSTIS coordinato dal sociologo dell’Università di Padova Federico Neresini, sull’attenzione dedicata alla tecnoscienza dai principali quotidiani italiani si concludeva chiedendosi come si sarebbe configurata la fase post-pandemica sui principali quotidiani italiani.

A distanza di dodici mesi, quanto avvenuto con la terza e quarta ondata non ci permette di parlare di fase post-pandemica: anche i dati rilevati sui quotidiani mostrano chiaramente come la pandemia influenzi ancora il discorso pubblico sulla tecnoscienza.

Prendendo in esame le principali tematiche che compongono il corpus degli articoli pubblicati nel 2021 e caratterizzati da un significativo contenuto tecnoscientifico, un topic (argomento) su tre riguarda la pandemia: il segnale di un tema di per sé preminente. Questo primo rilievo delinea le diverse sfumature che la pandemia stessa ha assunto nelle sue ricadute sulla società italiana: il primo e il terzo fra i topic più rilevanti hanno a che fare con i vaccini, in particolare con la controversia attorno all’efficacia e ai danni da vaccino e l’andamento della copertura vaccinale nella popolazione italiana.

pandemia giornali TIPS
L’effetto lungo della pandemia sui giornali – Secondo rapporto TIPS. Foto di Markus Winkler

Accanto ai temi pandemici ne troviamo altri che tradizionalmente caratterizzano la copertura mediale della tecnoscienza. Nel 2021, però, come per l’anno precedente, tali tematiche sono state in gran parte riconfigurate dalla pandemia: parlare di ricerca biomedica, per esempio, si riferisce inevitabilmente anche a elementi connessi con gli effetti degenerativi del COVID a livello polmonare.

Sebbene meno rilevanti rispetto agli anni precedenti, risultano inoltre sempre presenti tematiche come l’innovazione digitale, l’esplorazione spaziale, le tematiche ambientali, sia nei termini di transizione energetica e ricerca applicata alla sostenibilità, sia per quanto riguarda gli studi che monitorano l’evoluzione del cambiamento climatico.

La rilevanza della tecnoscienza sui quotidiani è stata misurata in termini di salienza, ovvero la quota di articoli caratterizzati da un significativo contenuto tecnoscientifico sul totale degli articoli pubblicati dalle stesse fonti durante il medesimo periodo di tempo, e permette di osservare come il 2021 sia stato il secondo anno consecutivo di aumento di questa misura dopo un periodo di calo.

La salienza dei temi scientifici nel 2021 ha raggiunto una media di 6,40: quella del periodo 2017-2020 era 5,14. Si tratta di una differenza che conferma l’aumento dello scorso anno, quando la media era di 5,84.

 

L’effetto lungo della pandemia sui giornali – Secondo rapporto TIPS

Cosa emerge dalla ricerca

 

LE PAROLE DI COVID-19

Nel 2021 la spinta a dare maggior spazio alla scienza dovuta alla pandemia non si è esaurita: per il secondo anno consecutivo sono le parole legate al coronavirus ad aver avuto un ruolo preminente sui quotidiani. Dall’analisi della frequenza delle parole più significative legate alla scienza utilizzate negli articoli del 2021, si nota un consolidamento di quelle legate alla pandemia (con la novità rappresentata da variante).

Rispetto all’analisi della frequenza dello scorso anno, nel 2021 tutte le prime dieci parole sono legate alla pandemia, sia che si tratti di parole legate direttamente al Covid, sia di parole (virus, mese, dose) che con la pandemia hanno subito un riposizionamento di significato.

Scompaiono dalle prime dieci posizioni quelle legate all’intelligenza artificiale, mentre si conferma un forte interesse nei confronti dei bambini (bambini, genitori) e rimane cervello a segnalare il forte interesse per l’ambito delle neuroscienze.

LE PAROLE DELLA SCIENZA

Fino al 2019 i temi che emergono sono quelli legati all’ambito dell’oncologia e della salute, delle neuroscienze, dell’intelligenza artificiale, della ricerca universitaria e degli animali. Il 2021, in continuità con il 2020, mostra un panorama diverso, con i temi della pandemia che hanno preso il sopravvento con le parole variante, vaccino, virus, casi, dose che spiccano tra le prime dieci.

I TOPIC NEL TEMPO

Analizzando i topic più presenti sulle pagine delle testate nel 2021 si conferma, come per lo scorso anno, la forte presenza dei temi legati alla pandemia. A differenza del 2020, però, emerge un tema nuovo – seppure connesso alla pandemia –, legato alla “Campagna vaccinale”, il cui peso relativo supera tutti gli altri.

LO SHARE DEGLI SCIENZIATI

La classifica dello share degli scienziati – ossia il numero di articoli in cui compare almeno una volta un determinato nome di uno/a scienziato/a o istituzione sul totale degli articoli in cui veniva menzionato almeno uno/a scienziato/a o una istituzione – basata sull’intero corpus di articoli, indipendentemente dal loro contenuto scientifico o meno, aveva evidenziato nel 2020 la presenza sui giornali italiani di personaggi divenuti noti al pubblico in stretta connessione con la pandemia. Era il caso di Walter Ricciardi, Anthony Fauci e Andrea Crisanti. Nel 2021 questi nomi confermano la loro visibilità mediale e se ne aggiungono altri che sono stati interpellati con maggiore frequenza sul tema dei vaccini come Guido Rasi (ex direttore European Medicines Agency) e Marco Cavaleri (EMA). Nelle classifiche di quest’anno vale la pena di evidenziare che la presenza delle donne, già esigua nel 2020, è ulteriormente calata (fanno eccezione Antonella Viola e Ilaria Capua).

LO SHARE NEL TEMPO

Per il secondo rapporto del progetto TIPS è stata introdotta una nuova analisi che permette di seguire l’andamento dei primi dieci scienziati nel corso del biennio 2020-21, diviso in nove periodi cadenzati dagli interventi adottati dal governo italiano per fronteggiare la pandemia.

Nelle fasi iniziali sono i ricercatori a figurare come protagonisti. Con il passare del tempo, tuttavia, lasciano progressivamente le prime posizioni della classifica dello share a favore di esperti di carattere più istituzionale, per lasciare un peso sempre maggiore agli esperti clinici nella seconda parte del biennio analizzato. In attesa con le aspettative, gli articoli più concentrati su contenuti tecnoscientifici hanno riservato maggiore visibilità a ricercatori ed esponenti del mondo accademico. In questa classifica entrano nelle prime dieci posizioni anche figure non direttamente riconducibili alla pandemia, come l’astronauta Luca Parmitano e il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Negli articoli a contenuto tecnoscientifico si registra inoltre una presenza femminile leggermente maggiore rispetto a quanto osservato sul corpus di tutti gli articoli: ciononostante, la visibilità mediale è nettamente sbilanciata a favore degli uomini.

TIPS ha preso avvio all’Università di Padova nel 2014 e può oggi contare su una propria piattaforma web che include una serie di moduli per la raccolta e l’analisi automatica dei testi degli articoli pubblicati dagli otto principali quotidiani italiani insieme ai relativi metadati. Il progetto TIPS è un progetto del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Sociale dell’Università degli Studi di Padova sviluppato all’interno dell’Unità di Ricerca PaSTIS (www.pastis-research.eu). Stanno collaborando al progetto TIPS: Federico Neresini (coordinatore), Alberto Cammozzo, Stefano Crabu, Emanuele Di Buccio, Paolo Giardullo, Barbara Morsello, Andrea Sciandra, Alberto Zanatta. Grafici e collaborazione ai testi: Marco Boscolo.

TIPS Project, (2021), 2022: è ancora pandemia – 2° rapporto del progetto TIPS – Technoscientific Issues in the Public Sphere, www.tipsproject.eu

 

Leggi il secondo rapporto TIPS (pdf).

 

Testo dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova sull’effetto lungo della pandemia sui giornali – secondo rapporto TIPS.

COVID-19, RISULTATI STUDIO SIEROLOGICO SU 10 MILA DIPENDENTI CITTÀ DELLA SALUTE E UNITO: DAI VACCINI RISPOSTA DI LUNGA DURATA

L’indagine si è svolta in due fasi, la seconda ha evidenziato come la positività al test sierologico sia presente nella quasi totalità dei soggetti vaccinati (99,8%) e come la persistenza di una risposta cellulare complessiva sia superiore al 70% a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.

sierologico 10 mila vaccini
COVID-19, risultati studio sierologico su 10 mila dipendenti Città della Salute e UniTo. Foto di Lela Maffie

Oggi, martedì 15 febbraio, sono stati presentati i risultati dello studio sierologico “Ricerca di IgG specifiche per SARS-CoV-2 nel Personale dell’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino e dell’Università degli Studi di Torino e valutazione della risposta immunitaria post-vaccinazione anti-COVID 19”.

Sono intervenuti, introducendo lo studio, il Dott. Giovanni La Valle e il Dott. Lorenzo Angelone, rispettivamente Direttore generale e Direttore sanitario dell’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino, il Dott. Antonio Scarmozzino, Direttore Dipartimento Qualità e Sicurezza delle cure, la Prof.ssa Paola Cassoni, Direttrice Dipartimento Medicina di Laboratorio, la Prof.ssa Rossana Cavallo, Direttrice S.C. Microbiologia Virologia U, P.I. (Principal Investigator) dello studio. E, successivamente, presentando specifici risultati dello studio: la Dott.ssa Gitana Scozzari, S.C. Direzione Sanitaria P.O. Molinette, Disegno dello Studio di coorte: obiettivi, fasi e metodi; il Dott. Giovannino Ciccone, S.S.D. Epidemiologia Clinica e Valutativa, Risultati della fase pre-vaccinale: sieroprevalenza; la Dott.ssa Enrica Migliore, S.S.D. Epidemiologia Clinica e Valutativa, Risultati della fase post-vaccinale: risposta sierologica; la Prof.ssa Cristina Costa, S.C. Microbiologia Virologia U Risultati della fase post-vaccinale: analisi di immunità cellulare; il Prof. Antonio Amoroso, S.C. Immunogenetica e Biologia dei Trapianti U, Risultati della fase post-vaccinale: analisi delle frequenze HLA; il Dott. Maurizio Coggiola, S.C. Medicina del Lavoro U, Rischio Occupazionale Ospedaliero Dati di Sorveglianza Sanitaria.

Lo studio è stato progettato dall’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (CSS), a partire dal mese di aprile 2020, ed è stato successivamente esteso ai dipendenti dell’Università degli Studi di TorinoVi hanno preso parte 10 mila persone che, su base volontaria, hanno aderito allo studio. I risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista Viruses.

La prima fase, condotta tra maggio e agosto 2020, ha avuto l’obiettivo di stimare la proporzione di soggetti entrati in contatto con il virus SARS-CoV-2 durante la prima ondata pandemica. Tra i dipendenti CSS la prevalenza di positivi al test è risultata pari al 7,6%; tra quelli di UniTo pari al 3,3%, un valore simile a quello stimato nella popolazione generale del Piemonte nell’indagine condotta dall’Istat a maggio 2020.

Questi risultati hanno documentato che i dipendenti del comparto sanità hanno avuto, almeno durante i primi mesi della pandemia, un rischio aumentato di contrarre l’infezione rispetto al resto della popolazione e hanno confermato l’importanza della precoce adozione di idonee misure preventive (incluso l’uso standardizzato di adeguati dispositivi di protezione individuale) per il contenimento della diffusione dell’infezione, spesso asintomatica, tra gli operatori sanitari.

La seconda fase dello studio, condotta a maggio 2021, aveva come obiettivo principale la valutazione della risposta immunitaria alla vaccinazione anti-Covid, misurata su tutta la coorte attraverso la positività al test sierologico, e, su un sottocampione di 419 soggetti, anche attraverso indagini di immunità cellulare. L’indagine ha evidenziato che la positività al test sierologico (ovvero la presenza di livelli di anticorpi circolanti superiori a 33.8 BAU/mL) era presente nella quasi totalità dei soggetti vaccinati (99,8%).

In corrispondenza con la seconda fase dello studio, sono stati effettuati due specifici approfondimenti di indagine, condotti su un campione di 419 dipendenti CSS selezionati casualmente tra i partecipanti alla seconda fase dello studio.  Il primo approfondimento è stato mirato a valutare la risposta immunitaria cellulare SARS-CoV-2 specifica, rilevata nel periodo tra luglio e ottobre 2021. È noto che la risposta immunitaria a un agente infettivo virale, oltre che attraverso la produzione di specifici anticorpi circolanti, avvenga attraverso l’attivazione di particolari cellule (Linfociti T), e alcuni dati preliminari sembrano suggerire che la risposta immunitaria cellulare contro il SARS-CoV-2 sia di lunga durata. I primi risultati osservati nello Studio suggeriscono la persistenza di una risposta cellulare complessiva superiore al 70% a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.

Il secondo approfondimento è stato, invece, finalizzato a valutare se la diversa risposta individuale al vaccino potesse essere messa anche in relazione alla variabilità genetica individuale. Ogni individuo presenta, infatti, una variabilità in circa l’1% delle lettere del Dna, che lo fanno unico e differente dagli altri. Questa variabilità genetica spiega anche come la nostra risposta immunitaria abbia un’efficacia diversa. Di tutte le caratteristiche genetiche scritte nel genoma (e sono circa 23.000) i ricercatori si sono concentrati su un gruppo di geni – HLA, Human Leucocyte Antigens – che consentono di costruire alcune molecole espresse sulle nostre cellule, comprese quelle del nostro sistema immunitario. Queste ultime hanno il compito di proteggerci dagli intrusi, attivando la risposta degli anticorpi contro i bersagli estranei (ad esempio virus, batteri e vaccini). Quale sia il bersaglio, lo definiscono proprio le molecole HLA, e quindi la variabilità di queste molecole ci aiutano a capire la diversità che osserviamo nella popolazione in relazione alla quota di anticorpi prodotti contro il virus a seguito della vaccinazione. L’approfondimento ha mostrato come alcune varianti siano più di frequenti in coloro che hanno dimostrato una più bassa produzione di anticorpi rispetto a coloro in grado di sviluppare una risposta anticorpale più consistente.

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino

Tumori: vaccino anti COVID efficace al 94%, ma servono 2 dosi in 21 giorni. È italiano il più grande studio al mondo nei pazienti oncologici

La sperimentazione, che ha coinvolto 816 persone con cancro, pubblicata su “Clinical Cancer Research” rivista ufficiale dell’American Association for Cancer Research (AACR).

Il Professor Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica Regina Elena-Sapienza Università di Roma: “Il tasso di risposta è aumentato in maniera significativa dal 59,8% a tre settimane dalla prima inoculazione fino al 94,2% dopo la seconda. Sono in corso valutazioni sul mantenimento dell’immunoreattività nel tempo per definire la necessità della terza somministrazione in questi pazienti fragili”

tumori vaccino anti COVID
Tumori: vaccino anti COVID efficace al 94%, ma servono 2 dosi in 21 giorni. Foto di Spencer Davis

Roma, 28 settembre 2021 – Il vaccino anti COVID è efficace nei pazienti oncologici, ma per ottenere un’adeguata protezione sono indispensabili due dosi. Lo dimostra il più grande studio al mondo sulla risposta immunologica e sulla sicurezza del vaccino a mRNA nelle persone colpite da cancro, condotto presso l’Istituto Regina Elena-Sapienza Università di Roma. Lo studio, pubblicato su “Clinical Cancer Research”, la rivista ufficiale dell’American Association for Cancer Research (AACR), ha arruolato 816 pazienti con diversi tipi di neoplasie solide, in particolare tumore della mammella (31%), del polmone (21%) e melanoma (15%), in trattamento attivo o sottoposti a cure nei 6 mesi precedenti la vaccinazione anti COVID. I risultati del lavoro sono presentati oggi in una conferenza stampa presso Sapienza Università di Roma.

“Tutti i pazienti hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino a distanza di 21 giorni – spiega Francesco Cognetti, Professore di Oncologia Medica Sapienza Università di Roma e Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma -. Il tasso di risposta sierologico e il titolo positivo di immunoglobuline (IgG) sono stati misurati in tre diversi momenti: prima della vaccinazione, a 3 e a 7 settimane dalla prima inoculazione. Il gruppo di confronto con le persone sane era rappresentato da 274 operatori sanitari, sottoposti alla immunizzazione anti COVID con ciclo completo. Il tasso di risposta anticorpale è aumentato nei pazienti oncologici in maniera significativa dal 59,8% a 21 giorni dalla prima dose fino al 94,2% dopo 7 settimane. Invece gli operatori sani hanno evidenziato una percentuale di risposta del 93,7% già 21 giorni dopo la prima dose (raggiungendo il 100% a 7 settimane). Tutti i pazienti oncologici vaccinati sono stati seguiti con frequenti tamponi molecolari. Complessivamente sono stati registrati solo 5 casi (0,6%) di infezioni da COVID peraltro asintomatiche. Ciò conferma l’elevatissimo valore della vaccinazione in questa popolazione molto fragile di pazienti”.

“Primi in Italia, abbiamo cominciato a vaccinare i pazienti oncologici nel Lazio lo scorso marzo – afferma Alessio D’Amato, Assessore Sanità e integrazione Socio-Sanitaria Regione Lazio -. I risultati di questo studio convalidano la nostra decisione. Nel Lazio c’è stato uno sforzo senza precedenti grazie al lavoro di squadra condotto dagli operatori sanitari e dalle Istituzioni. La nostra Regione si è distinta per efficienza proprio verso i più fragili e siamo partiti per primi anche con la somministrazione della terza dose del vaccino anti COVID nei confronti di questa popolazione”.

“Si tratta di uno studio fondamentale che mostra come la vaccinazione induca una risposta immune in un’elevata percentuale di pazienti affetti da neoplasie solide – spiega Gianni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione, Ministero della Salute -. Si tratta di uno studio estremamente ampio e condotto nella pratica reale. Sarà estremamente importante ora valutare l’effetto a lungo termine della vaccinazione”.

È lo studio con la più ampia casistica al mondo sull’efficacia del vaccino anti COVID nei pazienti oncologici in trattamento attivo. Le persone colpite da cancro sono ad alto rischio di conseguenze gravi fino alla morte, se contagiate dal virus. Finora però vi erano evidenze scientifiche molto limitate sull’immunogenicità e sulla sicurezza del vaccino in questa popolazione, perché esclusa dagli studi di fase 3 che hanno portato all’approvazione del siero. Le ricerche già pubblicate fino a oggi hanno considerato solo qualche decina di pazienti oncologici. Inoltre, questo è il primo studio effettuato con valutazioni della sierologia in tre tempi diversi: prima della vaccinazione, dopo la prima inoculazione e successivamente alla seconda. Una ricerca israeliana e una americana su casistiche molto inferiori hanno considerato i risultati solo in due momenti: prima della vaccinazione e alla conclusione del ciclo completo, non analizzando quindi i risultati dopo la prima dose.

“Lo studio presentato oggi ribadisce l’alto profilo della ricerca medica italiana nello scenario internazionale e punta i riflettori su una fascia di pazienti fragili che è necessario tutelare al meglio – sottolinea la Rettrice Antonella Polimeni -. Sono particolarmente orgogliosa del contributo di Sapienza nel contrasto alla pandemia, che trova fondamento nel legame indissolubile tra assistenza, ricerca e didattica, ben rappresentato dai Policlinici universitari e dalla capacità di dialogo con gli enti di territorio. Un modello che ha prodotto casi virtuosi e risultati concreti”.

Dallo studio emerge con chiarezza il valore fondamentale della seconda dose nelle persone colpite da cancro e molto fragili, che devono riceverla entro 21 giorni dalla prima, pena il potenziale rischio di contagio. FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi ematologi) aveva già segnalato le potenziali conseguenze pericolose del ritardo della seconda dose di vaccino per i pazienti oncologici in trattamento attivo, nei quali invece andava rigorosamente rispettata la tempistica delle due somministrazioni.

Inoltre, nello studio, la risposta anticorpale è risultata inferiore nelle persone trattate con chemioterapia e con uso prolungato di steroidi, proprio per gli effetti immunosoppressivi di queste cure. Ed è il primo studio a evidenziare l’impatto negativo dei glucorticoidi (cortisone), una classe di ormoni steroidei, sull’efficacia del vaccino anti COVID a mRNA, finora dimostrato solo in persone con malattie infiammatorie croniche. Va quindi evitato l’uso non indispensabile di steroidi. Nello studio è anche emerso lo scarso valore aggiunto degli anticorpi neutralizzanti anche particolarmente costosi, i cui test possono essere evitati nei pazienti oncologici.

La frequenza di effetti collaterali locali o sistemici, nella maggior parte dei casi lievi, è stata bassa e comunque in linea con quanto osservato nei sani, anzi la comparsa di effetti collaterali espressione dell’attivazione della risposta infiammatoria è stata osservata correlata ad un maggiore tasso di risposta anticorpale.

Sono in corso valutazioni sul mantenimento dell’immunoreattività umorale nel corso del tempo. “Dati preliminari in corso di pubblicazione – conclude il Professor Cognetti – mostrano a questo riguardo una notevole diminuzione del tasso anticorpale nei pazienti oncologici in trattamento attivo a 6 mesi dalla prima dose, diminuzione molto più significativa rispetto ai sani ed una previsione di azzeramento degli anticorpi in questi pazienti a circa 9 mesi rispetto ai 16 mesi nei sani e la conferma nel corso del tempo degli stessi fattori clinici già dimostratisi correlati con la diminuzione delle immunoreattività umorale. Questi dati, quindi, sono di indubbia utilità nella selezione delle priorità temporali alla somministrazione della terza dose nei malati oncologici”.

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulla validità del vaccino anti COVID a mRNA per chi è colpito da tumori.

Covid-19: Come cambiano i comportamenti dei vaccinati? 

Un’indagine congiunta Sapienza e dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I rileva come la maggioranza dei soggetti continua a rispettare le misure di protezione anche dopo il vaccino

Un’indagine rileva come la maggioranza dei soggetti vaccinati COVID-19 continua a mantenere gli stessi comportamenti, a rispettare le misure di protezione anche dopo il vaccino. Foto di Наркологическая Клиника

L’indagine pianificata dalla Sapienza Università di Roma e dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I ha coinvolto gli operatori delle strutture sanitarie dell’Azienda, sottoposti alla seconda dose di vaccino COVID Pfizer-BioNTech fino al 30 marzo 2021. Al personale è stato somministrato un questionario sulle misure di protezione contro SARS-CoV-2 e i soggetti che hanno volontariamente risposto, tra il 2 ed il 17 aprile 2021, sono stati 731, di età compresa tra i 24 ed i 69 anni.

“Il messaggio principale che deriva dall’indagine è che la maggioranza degli intervistati non ha cambiato le proprie abitudini dopo la vaccinazione.

In particolare, ben il 94% dei soggetti ha dichiarato che dopo la seconda vaccinazione contro Covid-19 non è cambiata la frequenza con la quale indossa la mascherina chirurgica o di comunità, in ambienti chiusi e con persone diverse dai familiari e conviventi. Solo il 4% ha ammesso di aver ridotto leggermente tale abitudine. Circa l’89% ha dichiarato che, dopo la seconda vaccinazione contro SARS-CoV-2, non ha cambiato la frequenza con la quale indossa la mascherina FFP2 o la doppia mascherina in ambienti chiusi e con persone diverse dai familiari e conviventi e la frequenza con la quale indossa la mascherina (chirurgica, di comunità o FFP2) all’aperto.

Dopo la seconda vaccinazione contro il Covid-19, la frequenza con la quale il soggetto si lava le mani con acqua e sapone o le disinfetta con soluzione idroalcolica per almeno 20 secondi non è cambiata nel 94% degli intervistati, così come il rispetto del numero massimo di 6 persone all’interno della sua abitazione, escludendo familiari e conviventi.

Infine, la frequenza con la quale il soggetto ha dichiarato di rispettare il distanziamento fisico di almeno 2 metri all’aperto non si è modificata nell’86% dei soggetti, mentre è diminuita leggermente nel 13% dei soggetti intervistati.

Sono risultati importanti che dimostrano come la consapevolezza di non abbassare la guardia neanche anche dopo la vaccinazione sia ampiamente diffusa”.

Questo hanno dichiarato i Coordinatori della ricerca, il professor Domenico Alvaro, Direttore del DAI di Medicina Interna e Specialità Mediche e Preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria e la Professoressa Stefania Basili, Direttrice della unità operativa complessa di Medicina Interna dell’Umberto I.

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Sapienza: al via lo studio sulla vaccinazione anti COVID-19. Che succede dopo il vaccino?

La Sapienza Università di Roma e l’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Umberto I da oggi sono impegnati insieme nel monitoraggio clinico e immunologico di tutti i soggetti sottoposti a vaccinazione anti-Sars-CoV-2

vaccinazione anti COVID-19
Foto Chairman of the Joint Chiefs of Staff from Washington D.C, United States – 201221-D-WD757-1126, CC BY 2.0

Lo studio, promosso e incentivato direttamente dalla Magnifica Rettrice della Sapienza Università di Roma, Antonella Polimeni, e dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I, Fabrizio d’Alba, comprenderà circa 10.000 soggetti e avrà lo scopo di valutare la risposta anticorpale nei soggetti vaccinati e di analizzare le associazioni del tipo di riposta con variabili importanti come l’età, il sesso, la presenza di comorbidità e le condizioni socioeconomiche.

Tutte le unità assistenziali e i docenti universitari verranno coinvolti con lo scopo di sviluppare una rete di ricerca che includa tutte le strutture del più grande Policlinico d’Europa.  

In tutti i soggetti verranno anche registrati gli eventi avversi dopo la vaccinazione. Ci si propone di valutare in tutti i soggetti la quantità e qualità della risposta immunitaria anti-Spike indotta dalla vaccinazione e di seguire contemporaneamente la dinamica dell’eventuale infezione e l’efficacia protettiva del vaccino, tramite la misurazione del titolo di anticorpi contro la nucleoproteina (N), specifici dell’infezione naturale.  

Tutti i 10.000 soggetti verranno valutati anche a distanza di 6 e 12 mesi dall’inizio della vaccinazione. L’Istituto Superiore di Sanità, che collaborerà allo studio, si occuperà, nel caso di infezione dopo vaccinazione, della ricerca delle possibili varianti virali.

Attualmente, sono stati vaccinati 5.000 operatori, da ausiliari a specializzandi, che rappresenteranno la popolazione immediatamente oggetto dello studio.  A breve inizierà il secondo ciclo di vaccinazioni che prevedrà anche una analisi pre vaccinazione.

Per la Sapienza e per il Policlinico Umberto I questo studio rappresenta un modello virtuoso di come le eccellenze della sanità e della ricerca si possano fondere in un progetto comune che ha come scopo quello di essere garante di una azione volta non solo a contrastare la pandemia, come dimostrato in questo lungo periodo, ma anche a sviluppare strategie comuni di ricerca.

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sul monitoraggio clinico e immunologico di soggetti sottoposti a vaccinazione anti COVID-19.