News
Ad
Ad
Ad
Tag

Università Vita-Salute San Raffaele

Browsing

Pubblicati su Nature nuovi indizi nella ricerca di una cura per la sclerosi multipla (SM)

I ricercatori identificano il primo marcatore genetico per la gravità della SM, aprendo nuovi orizzonti ai trattamenti per la disabilità a lungo termine.

28 giugno 2023. Uno studio multicentrico internazionale, a cui hanno collaborato in Italia l’Università del Piemonte Orientale, l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, condotto su oltre 22.000 persone con sclerosi multipla (SM) ha scoperto la prima variante genetica associata a una progressione più rapida della malattia, che nel tempo può privare i pazienti della loro mobilità e indipendenza.

La sclerosi multipla è il risultato dell’azione del sistema immunitario che attacca erroneamente il cervello e il midollo spinale provocando riacutizzazioni dei sintomi, note come ricadute, e degenerazione a lungo termine, nota come progressione, cioè un accumulo di disabilità. Nonostante lo sviluppo di trattamenti efficaci per le ricadute, nessuno può prevenire in modo affidabile l’accumulo di disabilità.

Nuovi indizi nella ricerca di una cura per la sclerosi multipla

I risultati di questo lavoro, pubblicati su Nature, puntano l’attenzione sull’identificazione di una variante genetica che aumenta la gravità della malattia, fornendo un’informazione fondamentale nella comprensione e quindi nella lotta a questo aspetto della SM.

«Ereditare questa variante genetica da entrambi i genitori accelera di quasi quattro anni il tempo per avere bisogno di un ausilio per la deambulazione», ha affermato Sergio Baranzini, PhD, professore di neurologia presso l’UCSF e co-autore senior dello studio.

Il lavoro è stato il risultato di un’ampia collaborazione internazionale di oltre 70 istituzioni di tutto il mondo, guidate da ricercatori dell’UCSF (USA) e dell’Università di Cambridge (Regno Unito).

«Capire come la variante esercita i suoi effetti sulla gravità della SM aprirà auspicabilmente la strada a una nuova generazione di trattamenti in grado di prevenire la progressione della malattia», ha affermato Stephen Sawcer, professore all’Università di Cambridge ed altro co-autore senior di lo studio.

Una rinnovata attenzione al sistema nervoso

Per affrontare il mistero della gravità della SM, due grandi consorzi di ricerca sulla SM hanno unito le loro forze: l’International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (IMSGC) e il MultipleMS Consortium. Ciò ha consentito ai ricercatori della SM di tutto il mondo di mettere in comune le risorse necessarie per iniziare a identificare i fattori genetici che influenzano l’andamento clinico della SM.

In Italia la ricerca è stata coordinata dalla professoressa Sandra D’Alfonso, docente di Genetica medica presso il Dipartimento di Scienze della salute dell’Università del Piemonte Orientale, a Novara (che insieme al dottor Maurizio Leone della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) coordina PROGEMUS, il network italiano di centri SM che ha partecipato allo studio e che comprende la Clinica Neurologica dell’AOU “Maggiore della Carità” di Novara), dal professor Filippo Martinelli Boneschi, docente di Neurologia del Dipartimento di Scienze della salute presso l’Università degli Studi di Milano e responsabile del centro Sclerosi Multipla presso l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, entrambi all’interno del gruppo strategico dell’IMSGC, e dalla dottoressa Federica Esposito, responsabile del laboratorio di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e membro dell’IMSGC con il professor Massimo Filippi, primario dell’Unità di Neurologia, Neuroriabilitazione e Neurofisiologia e del centro SM dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Precedenti studi avevano dimostrato che la suscettibilità o il rischio di SM deriva in gran parte da disfunzioni del sistema immunitario e alcune di queste disfunzioni possono essere trattate, rallentando la malattia. Ma

«questi fattori di rischio non spiegano perché, a dieci anni dalla diagnosi, alcune persone con la SM siano sulla sedia a rotelle mentre altri continuino a correre maratone», ha spiegato Baranzini.

I due consorzi hanno integrato i dati di oltre 12.000 persone con SM per completare uno studio di associazione su tutto il genoma (GWAS), che utilizza la statistica per associare accuratamente le varianti genetiche a tratti particolari. In questo caso, i tratti di interesse erano correlati alla gravità della SM, comprendendo, per esempio, gli anni necessari a ciascuna persona per passare dalla diagnosi a un certo livello di disabilità.

I ricercatori italiani, membri di entrambi i consorzi fin dalla loro istituzione, hanno contribuito attivamente a tutte le fasi dello studio, dal disegno originale alle fasi di analisi e di preparazione dell’articolo. Essi, inoltre, hanno contribuito con un’ampia casistica italiana di persone con SM caratterizzate accuratamente da un punto di vista clinico, che costituiscono circa il 20% dell’intera popolazione in studio. I centri di ricerca italiani hanno fornito allo studio dati di un’ampia componente di una popolazione del sud Europa, altrimenti non rappresentata nell’intera casistica, sottolineando il valore della variabilità genetica negli studi di malattie multifattoriali come la SM.

Dopo aver setacciato oltre sette milioni di varianti genetiche, i ricercatori ne hanno trovata una associata a una progressione più rapida della malattia. La variante si trova tra due geni senza precedente associazione alla SM, chiamati DYSF e ZNF638. Il primo è coinvolto nella riparazione delle cellule danneggiate, il secondo aiuta a controllare le infezioni virali. La vicinanza della variante a questi geni suggerisce che potrebbero essere coinvolti nella progressione della malattia.

«Questi geni sono normalmente attivi nel cervello e nel midollo spinale, e non nel sistema immunitario», ha affermato Adil Harroud, MD, primo autore dello studio. «I nostri risultati suggeriscono che la resilienza e la riparazione nel sistema nervoso determinano il corso della progressione della SM e che dovremmo concentrarci su queste parti della biologia umana per terapie più efficaci

I risultati di questo studio costituiscono i primi indizi per affrontare la componente del sistema nervoso della SM.

«Sebbene sembri ovvio che la resilienza del cervello alle lesioni determinerebbe la gravità di una malattia come la SM, questo nuovo studio ci ha indirizzato verso i processi chiave che sono alla base di questa resilienza», ha detto Sawcer.

Una coalizione in continua espansione per affrontare la gravità della SM

Per confermare le loro scoperte, i ricercatori hanno studiato la genetica di quasi 10.000 ulteriori persone affette da SM. Quelli con due copie della variante sviluppano disabilità più velocemente. Sarà necessario ulteriore lavoro per determinare esattamente come questa variante genetica influenzi DYSF, ZNF638 e il sistema nervoso più in generale. I ricercatori stanno anche raccogliendo una serie ancora più ampia di campioni di DNA da persone con SM, aspettandosi di trovare altre varianti che contribuiscono alla disabilità a lungo termine nella SM.

«Questo studio ci dà una nuova opportunità per sviluppare nuovi farmaci che possono aiutare a preservare la salute di tutti coloro che soffrono di SM», ha detto Harroud.

I ricercatori italiani coinvolti nello studio internazionale Sandra D’Alfonso, Filippo Martinelli Boneschi e Federica Esposito sottolineano come

«questo lavoro rappresenta un’importante svolta nell’ambito della medicina di precisione, in quanto potrebbe, per esempio, portare all’uso di terapie più aggressive sin dall’inizio in quei soggetti portatori di varianti genetiche sfavorevoli per la progressione. Inoltre, la conoscenza di questa variante e dei due geni in prossimità della variante potrebbe permettere di sviluppare nuovi farmaci che agiscano sul meccanismo d’azione di questi due geni e rallentino la progressione della malattia.»

Finanziamenti

Questo lavoro è stato sostenuto in parte dai finanziamenti del NIH/NINDS (R01NS099240), del programma di finanziamento della ricerca e dell’innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea e della Multiple Sclerosis Society of Canada. I ricercatori italiani hanno ricevuto finanziamenti che negli anni hanno permesso di poter contribuire a questo studio da parte di FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla) e Ministero della Salute (Ricerca finalizzata, RF-2016-02361294).

Altri collaboratori italiani allo Studio

Nadia Barizzone, Dipartimento Scienze della Salute UPO, Novara

Paola Cavalla: Dipartimento di Neuroscienze e salute Mentale AOU Citta della Salute e della Scienza di Torino

Ferdinando Clarelli, Elisabetta Mascia, Silvia Santoro, Melissa Sorosina IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Domenico Caputo: IRCCS Fondazione Don Gnocchi ONLUS, Milano

Giancarlo Comi: Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

Domizia Vecchio: Clinica Neurologica AOU Maggiore della Carità, Novara, UPO

Locus for severity implicates CNS resilience in progression of multiple sclerosis, Nature (2023), DOI: 10.1038/s41586-023-06250-x

 

Testo e foto dall’Ufficio Comunicazione e Attività Istituzionali Università del Piemonte Orientale

Uno studio coordinato dalla Sapienza, in collaborazione con altre università italiane, individua un nuovo bersaglio molecolare per il controllo dell’infezione dei diversi ceppi di coronavirus, fra cui SARS-CoV-2. I risultati del lavoro, in pubblicazione sulla rivista Pharmacological Research, aprono la strada a strategie innovative per la terapia medica di questo tipo di infezioni virali

naringenina SARS-CoV-2
Immagine di Miroslava Chrienova

Una delle più grandi sfide della comunità scientifica di tutto il mondo in questo momento è di fronteggiare SARS-CoV-2 e gli altri temibili coronavirus. L’obiettivo è quello di individuare un trattamento capace di bloccare l’ingresso del virus all’interno delle cellule.

Nel laboratorio dell’Unità di Istologia ed Embriologia Medica di Antonio Filippini del Dipartimento di Scienze anatomiche, istologiche, medico-legali e dell’apparato locomotore della Sapienza Università di Roma, grazie a una consolidata competenza sui sistemi di segnalazione e traffico intracellulare, è nata l’intuizione che la proliferazione di SARS-CoV-2 si possa prevenire inibendo uno specifico bersaglio molecolare responsabile della progressione del virus appena entrato nella cellula.

Dall’ipotesi, alla sperimentazione. Il tallone d’Achille dei coronavirus è stato identificato nei canali ionici lisosomiali TPC (Two-PoreChannels), da anni oggetto di studio del gruppo di ricerca della Sapienza che, in collaborazione con Armando Carpaneto dell’Università di Genova, ha di recente scoperto nella Naringenina, una sostanza naturale di agrumi e altri vegetali di uso alimentare, un’arma efficace per inibire questi canali. I risultati del lavoro sono pubblicati sulla rivista Pharmacological Research.

Per verificare l’ipotesi è stato necessario creare ponti tra competenze di biologia cellulare e di virologia, coinvolgendo in un lavoro di squadra virologi delle università di Roma e Milano. In particolare,il gruppo di ricercatori del Laboratorio di Virologia della Sapienza guidato da Guido Antonelli, ha scoperto che il trattamento di cellule con Naringenina previene l’infezione di più di un tipo di coronavirus, bloccando quindi il progredire dell’infezione. In aggiunta a questi risultati, il team del Laboratorio di Microbiologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, guidato da Massimo Clementi, ha dimostrato che, alle stesse dosi, anche l’infezione di SARS-CoV-2 viene arrestata.

Un ulteriore vantaggio ai fini di una possibile applicazione terapeutica di Naringenina è rappresentato dal fatto che questa molecola è in grado di contrastare efficacemente la dannosa produzione di citochine dell’infiammazione, la cosiddetta tempesta infiammatoria, che si scatena nel corso dell’infezione virale.

“L’identificazione di un bersaglio cellulare e la dimostrazione che è possibile colpirlo in modo efficace, rappresenta un sostanziale passo avanti verso l’ambizioso obiettivo di arrestare l’epidemia da COVID-19 – commenta Antonio Filippini. La sfida successiva, a cui stiamo lavorando, con l’importante ausilio di nuove competenze nanotecnologiche interne a Sapienza, è individuare la formulazione ottimale per veicolare il farmaco alle più basse concentrazioni possibili in modo efficace e selettivo alle vie aeree, il primo fronte critico su cui combattere l’infezione”.

Riferimenti:

NARINGENIN IS A POWERFUL INHIBITOR OF SARS-CoV-2 INFECTION IN VITRO – Nicola Clementi, Carolina Scagnolari, Antonella D’Amore, Fioretta Palombi, Elena Criscuolo, Federica Frasca, Alessandra Pierangeli, Nicasio Mancini, Guido Antonelli, Massimo Clementi, Armando Carpaneto, Antonio Filippini – Pharmacological Research ( 2020) https://doi.org/10.1016/j.phrs.2020.105255

 

Testo dalla Sapienza Università di Roma