“Energetica degli ecosistemi”: la fauna selvatica africana ha perso un terzo della sua “energia naturale”
A rivelarlo una ricerca dell’Università di Oxford realizzata in collaborazione con la Sapienza, che individua il declino della biodiversità come causa del fenomeno. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, propone misure innovative per la tutela degli ecosistemi.
Ogni ecosistema terrestre possiede una propria “energia naturale” che alimenta funzioni ecologiche vitali come il ciclo dei nutrienti e la dispersione dei semi.
Un nuovo studio condotto dall’Università di Oxford in collaborazione con la Sapienza di Roma, ha introdotto un nuovo approccio basato proprio sull’“energetica degli ecosistemi” che ha quantificato la perdita di energia naturale della fauna africana.
I risultati pubblicati sulla rivista scientifica Nature, hanno evidenziato che, rispetto all’epoca precoloniale, l’energia naturale complessiva del continente africano è diminuita di oltre un terzo a causa del declino di specie di grandi dimensioni come elefanti, rinoceronti e leoni che modellavano e regolavano l’ecosistema in passato. In questo senso i grandi animali selvatici rappresentano veri e propri ingegneri ecologici che non possono essere semplicemente sostituiti da specie più piccole o da bestiame.
“La ricerca mostra come la riduzione dell’energia nelle comunità di uccelli e mammiferi non sia stata uniforme, ma abbia colpito in modo differenziale i gruppi funzionali che sostengono processi ecosistemici essenziali come la dispersione dei semi, l’impollinazione e il modellamento della vegetazione”, dichiara Luca Santini della Sapienza di Roma, coautore dello studio.
Basandosi su dati relativi a oltre 3.000 specie di uccelli e mammiferi distribuite su 317.000 paesaggi comprendenti foreste, savane e deserti, i ricercatori hanno combinato sei grandi set di dati ecologici, incluso un nuovo Indice di Integrità della Biodiversità per l’Africa, costruito con il contributo di esperti locali.
Questa prospettiva energetica rivela non solo quanto della biodiversità sia andato perso, ma anche come tale perdita incida sul funzionamento stesso della natura. Mentre i grandi mammiferi hanno subito i cali più gravi, specie più piccole – come roditori e uccelli canori – dominano ora i flussi energetici residui del continente.
Lo studio, oltre a diagnosticare il declino delle comunità di uccelli e mammiferi africane, propone anche l’uso di un approccio “energetico” per informare progetti di restauro ecologico. La mappatura dei flussi di energia permette di quantificare l’integrità dei gruppi di specie che svolgono importanti funzioni ecosistemiche, identificando quindi priorità di restauro che prescindono dalla composizione specifica.
Questa ricerca potrebbe ridefinire il modo in cui scienziati e decisori politici valutano la perdita di biodiversità in tutto il mondo, in quanto il destino delle singole specie è collegato al funzionamento e alla stabilità dell’intero pianeta.
Grafico che mostra il flusso energetico per la fauna selvatica africana secondo il nuovo approccio della energetica degli ecosistemi
Roma, 3 novembre 2025
Riferimenti bibliografici:
Ty Loft, Imma Oliveras Menor, Nicola Stevens, Robert Beyer, Hayley S. Clements, Luca Santini, Seth Thomas, Joseph A. Tobias & Yadvinder Malhi, Energy flows reveal declining ecosystem functions by animals across Africa, Nature (2025), DOI: 10.1038/s41586-025-09660-1
Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione, Ufficio Rettorato Sapienza Università di Roma
KiDS J0842+0059: SCOPERTA GALASSIA FOSSILE A TRE MILIARDI DI ANNI LUCE
Grazie a osservazioni ad altissima risoluzione con il Large Binocular Telescope in Arizona, un team guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha confermato l’esistenza di una galassia rimasta praticamente immutata per circa sette miliardi di anni: un autentico fossile cosmico che permette di studiare la formazione delle prime galassie nella storia dell’universo.
Nel corso della storia del cosmo, le galassie tendono a crescere ed evolvere attraverso la fusione con altre galassie. Ma esistono dei rari esemplari che si comportano come una capsula del tempo: queste galassie, dette fossili o relitti (in inglese, relic), si sono formate molto rapidamente nelle primissime fasi dell’universo, producendo la quasi totalità delle loro stelle in meno di tre miliardi di anni dopo il Big Bang, e da allora sono rimaste praticamente intatte. Alle osservazioni si presentano con un aspetto denso e compatto, popolate da stelle ricche di elementi pesanti, e senza alcun segno di formazione stellare in corso.
Un nuovo studio ha ora osservato la galassia relic più lontana mai scoperta: un fossile cosmico, rimasto immutato per circa 7 miliardi di anni. Si chiama KiDS J0842+0059 ed è la prima galassia fossile massiccia confermata al di fuori dell’universo locale, attraverso osservazioni spettroscopiche e immagini ad alta risoluzione.
La scoperta, realizzata da un team internazionale di ricercatori e ricercatrici guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è stata resa possibile grazie al Large Binocular Telescope (LBT), telescopio gestito da Italia, Germania e Stati Uniti sulla sommità del Monte Graham, in Arizona. I risultati sono pubblicati nell’edizione di luglio della rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
“Abbiamo scoperto una galassia ‘perfettamente conservata’ da miliardi di anni, un vero reperto archeologico che ci racconta come nascevano le prime galassie e ci aiuta a capire come si è evoluto l’universo fino a oggi”, spiega Crescenzo Tortora, ricercatore INAF e primo autore del lavoro. “Le galassie fossili sono come i dinosauri dell’universo: studiarle ci permette di comprendere in quali condizioni ambientali si sono formate e come si sono evolute le galassie più massicce che vediamo oggi”.
La galassia, che osserviamo com’era circa tre miliardi di anni fa, era stata inizialmente identificata nel 2018 all’interno del progetto KiDS (Kilo Degree Survey), una survey pubblica dello European Southern Observatory (ESO) realizzata dal telescopio italiano VST (VLT Survey Telescope) che si trova all’Osservatorio di Paranal, in Cile. Le immagini KiDS hanno fornito una stima della massa e delle dimensioni della galassia, le cui proprietà sono state ulteriormente caratterizzate mediante osservazioni con lo strumento X-Shooter sul Very Large Telescope dell’ESO, anch’esso in Cile. Tutte le sue caratteristiche sembravano indicare che si trattasse di una galassia fossile: dalla massa stellare, pari a circa cento miliardi di masse solari, alla formazione stellare, assente per gran parte della vita della galassia, fino alle dimensioni, più compatte rispetto a quelle di galassie con pari massa stellare.
Sulle dimensioni e la struttura della galassia, tuttavia, restavano alcune incertezze. Per confermare la compattezza della galassia, sono state cruciali nuove osservazioni realizzate con il Large Binocular Telescope (LBT), in grado di ottenere immagini molto più nitide grazie al sistema SOUL di ottica adattiva, che compensa in tempo reale gli effetti della turbolenza atmosferica. Le osservazioni della galassia KiDS J0842+0059 raccolte con LBT hanno un grado di dettaglio dieci volte superiore rispetto ai dati della survey KiDS: sono le immagini più dettagliate di una galassia relic a questa distanza e consentono di studiarne forma e dimensioni come mai prima d’ora.
“I dati del Large Binocular Telescope ci hanno permesso di confermare che KiDS J0842+0059 è effettivamente compatta e quindi una vera galassia relic, con una forma simile a NGC 1277 e alle galassie compatte che osserviamo nelle prime fasi dell’universo”, spiega la coautrice Chiara Spiniello, ricercatrice all’Università di Oxford, associata INAF e principal investigator del progetto INSPIRE, che ha contribuito alla caratterizzazione delle proprietà di questa galassia. Fino ad oggi, NGC 1277 era uno dei pochi prototipi confermati di questa rara classe di galassie. “È la prima volta che riusciamo a farlo con dati di così alta risoluzione per una galassia relic così distante”.
L’esistenza di galassie relic massicce come KiDS J0842+0059 oppure NGC 1277 dimostra che alcune galassie possono formarsi rapidamente, restare compatte, e poi rimanere inerti per miliardi di anni, sfuggendo alla crescita che ha interessato la maggior parte delle loro controparti attraverso fusioni con altre galassie.
“Studiare questi fossili cosmici ci aiuta a ricostruire la storia di formazione dei nuclei delle galassie massicce odierne, che — a differenza delle galassie relic — hanno subito processi di fusione, accrescendo materia proprio attorno a quelle prime galassie (compatte) dalle quali si sono originate”, conclude Tortora. “Con tecnologie all’avanguardia come l’ottica adattiva e il supporto di telescopi come LBT, possiamo migliorare la nostra comprensione di questo tipo di galassie. Nel futuro prossimo, inoltre, faremo un passo in avanti, puntando a cercare, confermare e studiare nuove galassie relic attraverso i dati di qualità e risoluzione unica del telescopio spaziale Euclid”.
La galassia relic KiDS J0842+0059, osservata con il VST nell’ambito della survey KiDS (a sinistra) e con il Large Binocular Telescope (a destra). Crediti: C. Tortora/INSPIRE/VST/ESO/LBT
COL PROGETTO BREAKTHROUGH LISTEN, L’INAF ALLA RICERCA DI VITA EXTRATERRESTRE: ECCO I PRIMI RISULTATI DEL SARDINIA RADIO TELESCOPE
In occasione del Congresso Internazionale di Astronautica (IAC) in corso a Milano fino al 18 ottobre 2024, la collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e il progetto Breakthrough Listen presenta i primi risultati scientifici ottenuti con le osservazioni dedicate al programma Search for Extra Terrestrial Intelligence (SETI) effettuate con il Sardinia Radio Telescope (SRT) dell’INAF in Sardegna. Lo studio, in cui sono state investigate nuove frequenze di osservazione, è stato condotto a partire dal 2022 da un team di quattro giovani studenti di Cagliari e Bologna.
Breakthrough Listen, Sardinia Radio Telescope: una immagine artistica (crediti: Danielle Futselaar / Breakthrough Listen)
Con la sua parabola di 64 metri di diametro, il Sardinia Radio Telescope è uno dei dieci radiotelescopi più grandi del pianeta posizionandosi, inoltre, tra i più performanti e tecnologicamente avanzati in quanto in grado di ricevere un ampio spettro di frequenze radio, da 300 MHz a 116 GHz. Caratteristiche che lo rendono ideale anche per la ricerca di vita intelligente. Da qui la nascita di una specifica partnership tra INAF e Breakthrough Listen, che ha portato alle prime osservazioni, effettuate durante il 2021.
Il team che nel 2022 ha analizzato questi dati è composto da Lorenzo Manunza, Monica Mulas, Luca Pizzuto e Alice Vendrame, quattro studenti delle Università di Cagliari e di Bologna che nell’estate di due anni fa – sotto la supervisione degli esperti INAF Andrea Melis e Maura Pilia e di alcuni colleghi americani – hanno condotto uno studio (il primo congiunto tra INAF e Breakthrough Listen) intitolato “The First High Frequency Technosignature Search Survey with the Sardinia Radio Telescope”, sottomesso alla rivista Acta Astronautica.
Il contributo del radiotelescopio italiano è stato quello di osservare a particolari frequenze – in banda C (6,5 GHz) e in banda K (18 GHz) – la regione centrale della nostra Via Lattea, in cui si concentra una grande quantità di stelle e relativi sistemi planetari, oltre a 72 stelle designate come “sorgenti di interesse” dalla missione TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della NASA.
“Ci sono buone ragioni per pensare che un ingegnere extraterrestre possa conoscere e utilizzare la tecnologia radio, ma non possiamo fare ipotesi sulle frequenze a cui potrebbe farlo”, spiega Lorenzo Manunza, primo autore del nuovo articolo. “Ecco perché è fondamentale che copriamo quanti più canali radio possibile utilizzando una gamma quanto più variegata di strutture osservative”.
“Il Breakthrough Listen ha precedentemente pubblicato i risultati delle osservazioni di target TESS e del Centro Galattico utilizzando altri telescopi”, afferma il Project Scientist responsabile delle relazioni internazionali di Breakthrough Listen Vishal Gajjar, coautore del nuovo studio. “Le nuove osservazioni SRT sono complementari, coprono alcune delle frequenze precedentemente scansionate, ma si estendono anche a nuove parti dello spettro radio, attorno ai 18 GHz”.
Con sede presso l’Università di Oxford, le ricercatrici e i ricercatori che lavorano al progetto Breakthrough Listen hanno l’obiettivo di portare avanti la più massiccia ricerca di “tecno-firme” – o segnali di vita intelligente nell’Universo – mai condotta prima. Strutture in tutto il mondo collaborano al progetto, tra cui molti dei più potenti radiotelescopi, nonché osservatori all’avanguardia che operano in altre regioni dello spettro elettromagnetico. L’obiettivo è esaminare un milione di stelle vicine, l’intero piano galattico e 100 galassie circostanti.
“È emozionante vedere le ricerche di tecno-firme espandersi a nuove strutture ed è fantastico che i ricercatori all’inizio della loro carriera abbiano l’opportunità di lavorare sulle importanti sfide scientifiche e ingegneristiche per rendere queste ricerche una realtà”,
osserva Karen Perez, ricercatrice che lavora con Breakthrough Listen presso la Columbia University. Perez, anche lei co-autrice della pubblicazione, ha guidato l’analisi dei dati del Centro Galattico osservati con SRT, ed ha fatto da mentore formando gli studenti italiani grazie proprio alla sua esperienza come ex stagista estiva Breakthrough Listen.
“La ricerca di intelligenza extraterrestre fornisce notevoli ritorni scientifici” – aggiunge l’astrofisica dell’INAF di Cagliari Maura Pilia, co-autrice dell’articolo nonché responsabile scientifica dei tirocinanti SETI presso SRT – “Ma oltre ad aiutarci a rispondere alla profonda domanda: ‘Siamo soli?’, possiamo utilizzare gli stessi set di dati per fare scienza ausiliaria quasi gratuitamente. Ciò potrebbe includere ricerche di sorgenti radio transitorie come i lampi radio veloci, così come studi di esopianeti, che non sono stati sufficientemente esplorati a queste alte frequenze radio fino a oggi”.
“Nonostante non siano stati rilevati segnali extraterrestri confermati nelle nuove osservazioni”, conclude il coordinatore SRT SETI e coautore dello studio, Andrea Melis, dell’INAF di Cagliari, “SRT sta contribuendo a ridurre le incertezze sulla potenza che dovrebbero avere eventuali trasmettitori extraterrestri per poterci raggiungere nelle frequenze finora osservate. I risultati saranno un prezioso contributo alla letteratura scientifica”.
L’interesse internazionale per il programma SETI sta indubbiamente crescendo. Solo pochi giorni fa si è concluso a Cagliari il terzo SETI Italy Workshop 2024, che ha riunito oltre cento ricercatori da tutto il mondo compresi i vertici di INAF, Breakthrough Listen e SETI Institute. Ora, anche al Congresso Internazionale di Astronautica sarà dedicata un’intera giornata alla ricerca di intelligenza extraterrestre.
DIGITAL NEWS REPORT ITALIA 2024: FIDUCIA E INTERESSE NELLE NEWS IN CALO, MA QUASI DUE TERZI DEGLI ITALIANI CONSULTANO LE NOTIZIE PIÙ VOLTE AL GIORNO
Prima assoluta per l’Italia: il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino lancia il Digital News Report Italia 2024, che approfondisce i dati italiani del Reuters Institute Digital News Report 2024. Il rapporto è stato presentato a Torino presso il Museo RAI della radio e della televisione.
Italiane ed italiani si allineano alla sfiducia ormai prevalente verso i media nella maggioranza dei Paesi occidentali, confessano un interesse verso l’informazione che non va oltre il 40% e raramente sono disponibili a pagare per le notizie online, soprattutto gli adulti. Ma, poi, nei comportamenti reali, si informano piuttosto di frequente (il 63% lo fa più volte al giorno), si fidano di più delle testate meno schierate e cercano, oltre all’aggiornamento, approfondimento e contesto, anche su tematiche difficili.
Sono solo alcune delle linee di tendenza che emergono dal Digital News Report Italia 2024, il primo studio che rende disponibile, elabora e analizza i dati sul nostro Paese che il principale studio globale sull’informazione, il Digital News Report 2024 dell’Istituto Reuters per lo Studio del Giornalismo dell’Università di Oxford, pubblica ogni anno ma che avevano, finora, uno spazio necessariamente limitato. Lo studio è stato presentato in una conferenza a Torino, presso il Museo della radio e della televisione RAI, in via Verdi 16, questa mattina alle ore 10.30.
Il Digital News Report Italia 2024 segue l’esempio di quanto avviene già in altri Paesi – dalla Spagna all’Australia, dai Paesi Bassi all’Irlanda – ed è stato reso possibile dall’impegno congiunto del prof. Alessio Cornia (Dublin City University), autore per l’Italia del Reuters Institute Digital News Report, e del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università degli Studi di Torino, che ha voluto e pubblicato lo studio affiancando Cornia con tre autori – Marco Ferrando, Paolo Piacenza e Celeste Satta – e con la cura redazionale, editoriale e grafica, nonché con una rete di sostenitori, patrocinatori e partner. La Fondazione Compagnia di San Paolo ha, infatti, sostenuto con un importante contributo la realizzazione del rapporto; RAI, Ordine dei Giornalisti, Ordine dei Giornalisti del Piemonte e Università degli Studi di Torino hanno concesso il loro patrocinio; la Associazione Nazionale della Stampa Online (ANSO) e il Festival Glocal di Varese sono partner del progetto.
“Il Digital News Report del Reuters Institute – spiega la prof. Laura Scomparin, direttrice scientifica del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino – ha da sempre il merito di monitorare di anno in anno, in chiave unitaria, trasformazioni e tendenze del mondo dell’informazione. In ogni contesto nazionale i cambiamenti si manifestano tuttavia con specificità tali da rendere particolarmente utile un “supplemento di inchiesta”. Da qui nasce l’idea di realizzare la prima edizione del Digital News Report Italia: posizionare, con ampiezza di indagine, l’Italia all’interno del grande cambiamento dell’informazione a livello globale permette infatti di cogliere tracce e riflessi importanti. Questa ricerca riflette pienamente l’approccio che il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino ha sviluppato e consolidato nel corso dei suoi primi 20 anni di vita: una doppia attenzione ai processi innovativi di contesto e della professione giornalistica e alle loro reciproche contaminazioni”.
La fotografia: molte ombre ma anche qualche luce
Il rapporto è sintetizzato nell’Executive Summary, elaborato dal prof. Alessio Cornia (in allegato). I dati sono chiari, quanto ambivalenti: l’interesse per le notizie è diminuito, così come la fiducia, ma la maggior parte degli italiani continua a fruirne frequentemente.
“La televisione – sottolinea Cornia – rimane la principale fonte di informazione, ma possiamo aspettarci presto un sorpasso dell’online, come già avvenuto in altri paesi. Gli italiani accedono alle notizie online principalmente tramite la mediazione di motori di ricerca, social media, e aggregatori, mentre diminuisce l’accesso diretto ai siti di informazione. La sfiducia rimane alta, ma le testate meno schierate e capaci di parlare ad un pubblico ampio godono di maggior fiducia”.
Il nodo della disinformazione resta un elemento di preoccupazione per molti italiani, ma è soprattutto la sovrabbondanza e la negatività delle informazioni in circolazione oggi a pesare su un comportamento di esplicito e intenzionale “allontanamento” dalle notizie. Quanto alla propensione a pagare per le notizie online, questa è in leggera diminuzione, ma molti sarebbero disposti ad abbonarsi a un costo inferiore, soprattutto i più giovani.
Come affrontare, allora, questa situazione?
“È necessario – sottolinea Cornia – andare oltre l’informazione di base, aiutando il pubblico a comprendere meglio la complessità degli eventi e ad accedere a prospettive diverse, nuove e originali sui temi di attualità”. E Marco Ferrando, coautore dello studio e direttore delle testate e dei laboratori del Master in giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino, aggiunge: “Alcune variabili (propensione a pagare per abbonamenti e membership, interesse, fiducia) inducono a pensare che il migliore giornalismo debba farsi riconoscere come bene comune essenziale per la democrazia e la conoscenza, piuttosto che come mero prodotto commerciale. Inoltre, quanto emerge dall’analisi dei bisogni degli utenti secondo il paradigma degli user needs suggerisce di scommettere su una informazione di qualità, che, oltre ad aggiornare, spieghi, fornisca il contesto e offra prospettive non scontate e non schierate secondo le abituali linee di tensione politica. Al giornalismo anche gli italiani chiedono di raccontare fatti e suggerire domande, anche severe, ben più che rilanciare slogan e sposare battaglie politiche altrui”.
Il rapporto si articola in otto capitoli sulle diverse tematiche: Interesse e interazione; Fiducia e disinformazione; News avoidance; Performance delle testate e abbonamenti; Intelligenza artificiale e notizie; Social media; Video e podcast; User needs. A quanto emerge dall’analisi dei dati nei singoli capitoli si è scelto di affiancare sei Focus, dedicati a questioni caratteristiche del mercato italiano dell’informazione e affidati a otto esperte ed esperti: Marianna Bruschi e Mario Tedeschini Lalli; Karina Laterza e Monica Maggioni; Pasquale Quaranta; Pier Luca Santoro; Marco Giovannelli; Paola Molino.
Un dibattito che parte da Torino e riguarda tutto il Paese
Il lancio del Digital News Report Italia 2024 è stato a Torino, presso il Museo della radio e della televisione Rai di via Verdi 16, alle 10.30, in concomitanza con il lancio, nelle stesse ore, del Reuters Institute Digital News Report 2024 a Londra e New York. Introdotta dagli interventi di Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, di Laura Scomparin, direttrice scientifica Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino e di Alberto Anfossi, segretario generale Compagnia di San Paolo, la ricerca è stata presentata da Alessio Cornia, assistant professor presso Dublin City University.
Ne hanno discusso insieme Marianna Bruschi, head of digital Sky Tg24, Ferruccio De Bortoli, presidente Fondazione RCS, Marco Ferrando, direttore delle testate del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” e vicedirettore di Avvenire, Gianni Armand-Pilon, vicedirettore de La Stampa, Karina Laterza, vicedirettrice Direzione editoriale per l’Offerta informativa Rai e Riccardo Terzi, Google head of news & publishers partnerships, Italy & CEE.
“Siamo felici – sottolinea ancora Marco Ferrando – di dare l’avvio a un dibattito che speriamo si ampli e rafforzi: i dati che emergono dal rapporto crediamo possano illuminare e aiutare uno sforzo di trasformazione e rilancio di tutto il sistema dell’informazione in Italia, per il quale serve, ovviamente, coraggio, volontà e intelligenza”.
L’impatto della telepsichiatria in Lombardia durante la pandemia
Uno studio epidemiologico coordinato dall’Università Statale di Milano evidenzia l’implementazione dei servizi di telepsichiatria durante la pandemia, distinguendo la tipologia di disturbi trattata con maggiore frequenza (disturbi alimentari ed ossessivo-compulsivo) e suggerisce lo sviluppo di nuove politiche sanitarie volte ad ottimizzare l’erogazione dei servizi di psichiatria. La pubblicazione su Nature Mental Health.
Milano, 12 luglio 2023. I ricercatori del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i dipartimenti di Salute Mentale e delle Dipendenze dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e dell’ASST di Lodi, e con la Struttura Salute Mentale, Dipendenze, Disabilità e Sanità Penitenziaria della Regione Lombardia, hanno pubblicato uno studio su Nature Mental Healthsull’impatto di strumenti di telepsichiatria. Al progetto hanno collaborato anche docenti di psichiatria dell’Università di Oxford e dei tre poli didattici cittadini della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano.
È stata utilizzata la banca dati di Regione Lombardia dei servizi di salute mentale territoriali per descrivere la trasformazione degli interventi durante il primo anno pandemico, compresa la progressiva implementazione della telepsichiatria. Sebbene le implicazioni per la salute mentale della crisi pandemica siano oggetto di innumerevoli studi, non era infatti ad oggi disponibile una lettura epidemiologica integrata sulla risposta di un sistema sanitario pubblico esteso come quello lombardo, che copre un bacino di utenza di 10 milioni circa di persone mediante il lavoro di 36 dipartimenti, distribuiti su 12 province.
Rispetto all’anno precedente, nel primo semestre del 2020 si registrava una riduzione nel numero complessivo di prestazioni, e le province con un impatto precoce e maggiore della pandemia mostravano anche un maggior decremento del numero di interventi psichiatrici. Il numero di prestazioni tornava però rapidamente sovrapponibile a quello dell’anno precedente nel secondo semestre 2020, quando si osservava una progressiva integrazione della telepsichiatria nella pratica clinica (sino ad un intervento ogni quattro negli ultimi mesi dell’anno). Questi interventi erano relativamente più utilizzati con utenti donne per tutte le fasce d’età e le diagnosi; in generale, si evidenziava poi una progressiva diminuzione degli interventi effettuati da remoto all’aumentare dell’età, con un nuovo aumento oltre i 65 anni. La telepsichiatria era relativamente più utilizzata in gruppi di utenti con un impatto complessivo minore sulle risorse dei servizi, quali disturbi alimentari ed ossessivo-compulsivo, meno in quelli con maggiore impatto, quali ad esempio i disturbi dello spettro schizofrenico.
I dati internazionali disponibili ad oggi provenivano da singoli siti o da collaborazioni di piccoli gruppi nel contesto di reti assistenziali meno integrate. Oltre a fornire informazioni specifiche sulla risposta dei servizi di salute mentale all’emergenza pandemica, lo studio evidenzia i vantaggi in termini di ricerca dei registri italiani per la salute mentale, che riflettono l’attività di un sistema sanitario pubblico estesamente distribuito ed accessibile, con una rete di servizi ampiamente sovrapponibili tra i centri.
“Sebbene le diseguaglianze regionali nell’organizzazione dei servizi e nelle risorse a disposizione limitino l’estensibilità delle osservazioni, i risultati potranno contribuire allo sviluppo di nuove politiche sanitarie volte ad ottimizzare l’erogazione dei servizi, a livello nazionale e in contesti internazionali simili al nostro” conclude Armando D’Agostino, psichiatra dell’Università degli Studi di Milano e dell’Ospedale San Paolo e coordinatore del lavoro di ricerca.
Nonostante l’emergenza relativa alla salute mentale catalizzata dalla pandemia,l’Italia continua infatti ad essere uno dei paesi G7 con minori risorse economiche destinate al settore. La mole di interventi annuali erogati evidenziata dallo studio (circa 1,5 milioni) sembra giustificare un congruo investimento sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei lavoratori e sulla ricerca epidemiologica su vasta scala relativa ad efficacia degli interventi e soddisfazione di operatori e utenti.
L’impatto della telepsichiatria in Lombardia durante la pandemia. Immagine di Mohamed Hassan
Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università Statale di Milano.
NUOVO STUDIO RIVELA GLI EFFETTI DEL TRACCIAMENTO DIGITALE IN COMBINAZIONE CON ALTRI INTERVENTI NON-FARMACEUTICI SUL CONTROLLO DELLA PANDEMIA DI COVID-19
Il lavoro, frutto di una collaborazione tra Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Isi – Torino, Università di Torino e di altri istituti di ricerca stranieri, è stato pubblicato sull’autorevole rivista Nature Communications. I risultati analizzano in quali casi le strategie di isolamento e il digital contact tracing via app possono aiutare il contenimento di focolai riemergenti
Un nuovo studio rivela gli effetti del tracciamento digitale in combinazione con altri interventi non-farmaceutici sul controllo della pandemia di COVID-19. Foto di Markus Winkler
Uno studio innovativo sull’effetto e sul ruolo del tracciamento digitale dei contatti durante la pandemia di COVID-19 e di diverse politiche di adozione e integrazione del sistema con altri interventinon-farmaceutici è stato recentemente pubblicato sull’autorevole rivista Nature Communications. Il lavoro è frutto di una collaborazione guidata dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento, insieme al Politecnico di Losanna (EPFL), la Technical University di Copenaghen (DTU), l’Università di Aix-Marsiglia, la Fondazione ISI – Torino e l’Università degli Studi di Torino. Fra gli autori figurano diversi ricercatori che hanno contribuito al protocollo DP-3T per il tracciamento privacy-preserving dei contatti, a cui è ispirato il sistema di exposure notification di Apple e Google usato da molte delle app nazionali di tracciamento, inclusa quella italiana.
Il tracciamento digitale dei contatti per mezzo di un’app per smartphone, come l’italiana Immuni, è stato al centro di molte discussioni durante l’anno passato, sia per gli aspetti prettamente tecnologici che per le sfide legate alla partecipazione dei cittadini, alla protezione dei dati personali, e all’integrazione nei servizi di tutela della salute pubblica.
L’idea di tracciamento dei contatti non è nuova, ed è noto che il tracciamento dei contatti, tradizionalmente inteso, gioca un ruolo cruciale nella risposta all’epidemia. All’inizio della crisi COVID-19, uno studio pionieristico del Dr. Luca Ferretti, del Prof. Christophe Fraser e di altri ricercatori dell’Università di Oxford, pubblicato sulla rivista Science, ha indicato che il contenimento di focolai epidemici potrebbe beneficiare da un’app per smartphone che avvisi in modo tempestivo gli utenti che si sono trovati in prossimità ravvicinata di un individuo poi rivelatosi positivo. A un anno di distanza, nei paesi che hanno integrato efficientemente il tracciamento digitale dei contatti nella propria risposta sanitaria (come ad esempio Svizzera e Regno Unito) inizia ad accumularsi evidenza che queste app possono contribuire a mitigare l’impatto dell’epidemia. È perciò importante studiare in modo dettagliato il ruolo che il tracciamento digitale può giocare in combinazione con gli altri interventi non-farmaceutici per il contenimento di focolai ri-emergenti dell’epidemia.
Lo studio pubblicato su Nature Communications – i cui primi autori sono i ricercatori della Fondazione Bruno Kessler,Giulia Cencetti e Gabriele Santin dell’Unità di ricerca Mobile and Social Computing Lab (MobS Lab) guidata da Bruno Lepri – ha rilevato con una serie di simulazioni l’effetto del tracciamento digitale dei contatti e di diverse politiche di adozione ed integrazione del sistema con altri interventi. Piuttosto che fare assunzioni sulla struttura delle reti di contatto, lo studio ha usato dati reali di prossimità degli individui, raccolti da due progetti di scienza delle reti sociali: il primo progetto è il Copenaghen Network Study, guidato dal Prof. Sune Lehmann (DTU), che ha tracciato un grande gruppo di studenti volontari utilizzando smartphone; il secondo progetto si chiama SocioPatterns ed è guidato dal Prof. Ciro Cattuto della Fondazione ISI– Torino e dell’Università di Torino, e dal Prof. Alain Barrat del CNRS francese e dell’Università Aix-Marseille: in questo caso i contatti sono stati misurati usando sensori di prossimità indossati da volontari in diversi ambienti rilevanti per la trasmissione di malattie infettive, come ad esempio scuole, uffici, etc. L’uso di dati reali di contatto è uno degli aspetti innovativi dello studio, che fornisce dei criteri quantitativi per valutare l’efficacia del contact tracing digitale in funzione di alcuni parametri critici, come il ritardo nell’isolamento degli individui allertati ed il livello di adozione dell’app nella popolazione. I risultati dello studio mostrano chele strategie di isolamento e il digital contact tracing via app possono aiutare il contenimento di focolai riemergenti se alcune condizioni sono soddisfatte, in particolare se la propagazione è complementata da altri interventi come l’uso di mascherine e il distanziamento fisico, se l’adozione dell’app è alta, e se il ritardo nell’isolamento dei contatti è minimo. Lo studio mostra inoltre che il tracciamento dei contatti di secondo ordine (i contatti dei contatti, più intrusivo in termini di privacy) non è efficace, e conferma che il meccanismo di exposure notification in uso nella maggior parte delle app nazionali, che si limita ai contatti del primo ordine e minimizza i dati raccolti, è adeguato per conseguire i benefici del contact tracing digitale.
Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino sugli effetti del tracciamento digitale in combinazione con altri interventi non-farmaceutici sul controllo della pandemia di COVID-19.
Osservare l’aggregazione delle proteine in vivo: un nuovo sistema sintetico fa luce sui meccanismi “segreti” delle cellule
Un team di ricerca internazionale con un forte contributo della Sapienza ha sviluppato un sistema sintetico che permette di studiare in vivo il meccanismo di aggregazione delle proteine nelle cellule. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Chemical Biology, apre nuove strade alla comprensione di un meccanismo che, se non funziona correttamente, può causare l’insorgenza di gravi patologie
Le cellule sono alla base della vita di qualunque organismo vivente. Il loro corretto funzionamento si basa su una precisa organizzazione interna dello spazio, tramite la quale le proteine e gli acidi nucleici sono in grado di svolgere efficacemente il proprio compito.
Fino a pochi anni fa si credeva che l’organizzazione interna delle cellule fosse dovuta unicamente alla presenza di alcuni organelli separati dal resto del citoplasma da membrane. Recentemente è stato invece scoperto che esiste un certo numero di organelli, detti condensati biomolecolari, che sono sprovvisti di membrana e svolgono un ruolo importante nell’omeostasi cellulare, poiché sono in grado di adattare la propria struttura e funzione a variazioni dell’ambiente interno ed esterno alla cellula stessa. Inoltre, i meccanismi alla base della formazione di questi organelli, composti principalmente da proteine e acidi nucleici, sembrano essere coinvolti anche nella patogenesi di malattie come l’Alzheimer, la SLA e la demenza frontotemporale, tutte patologie causate da un’aggregazione anomala di proteine.
A causa dell’elevato numero di componenti del citoplasma, identificare i meccanismi che determinano la formazione e la dissoluzione dei condensati biomolecolari in condizioni fisiologiche è molto difficile. Per ovviare a questo problema, un gruppo di ricercatori della Sapienza, dell’Istituto Weizmann di Tel Aviv e delle Università di Oxford e Vienna hanno ingegnerizzato geneticamente delle cellule di lievito al fine di produrre proteine in grado di formare condensati biomolecolari con proprietà chimico-fisiche controllabili.
“Grazie all’utilizzo di metodi sperimentali di avanguardia – spiega Lorenzo Rovigatti del Dipartimento di Fisica della Sapienza – siamo stati in grado di capire come le proprietà microscopiche delle proteine e la loro concentrazione controllino la formazione e le caratteristiche dei condensati biomolecolari”.
I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Chemical Biology, rappresentano un passo in avanti fondamentale per capire quali siano le caratteristiche chimico-fisiche delle proteine che influenzano maggiormente il ruolo sia fisiologico che patologico dei condensati biomolecolari.
“Il sistema che abbiamo sviluppato è molto generale – aggiunge Rovigatti – e può essere utilizzato anche per rispondere a quesiti di grande importanza biologica su alcuni processi microscopici che avvengono nelle cellule e che non sono altrimenti osservabili, come interazioni specifiche tra acidi nucleici e proteine”.
La ricerca rappresenta un importante progresso verso una più piena comprensione dei meccanismi di aggregazione proteica necessari al funzionamento delle cellule che, se disfunzionali, possono provocare l’insorgenza di gravi patologie.
Riferimenti: Designer protein assemblies with tunable phase diagrams in living cells – Meta Heidenreich, Joseph M. Georgeson, Emanuele Locatelli, Lorenzo Rovigatti, Saroj Kumar Nandi, Avital Steinberg, Yotam Nadav, Eyal Shimoni, Samuel A. Safran, Jonathan P. K. Doye, Emmanuel D. Levy – Nature Chemical Biology (2020) DOI https://doi.org/10.1101/2020.06.03.131433
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