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Tumori cerebrali: l’effetto positivo della riserva cognitiva
Ci rende più resilienti e attenua le conseguenze del danno cerebrale su memoria e linguaggio: pubblicato su Brain Communications studio dell’IRCCS Medea in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale di Udine, la SISSA di Trieste e l’Università di Nottingham.

La riserva cognitiva, cioè la capacità di massimizzare le prestazioni intellettive attraverso il reclutamento differenziale di reti cerebrali o strategie cognitive alternative, protegge le funzioni cognitive dei pazienti affetti da tumore cerebrale.

È quanto è emerso dallo studio Cognitive reserve and individual differences in brain tumor patients, appena pubblicato su Brain Communications. Il lavoro è frutto di una collaborazione tra i ricercatori dell’IRCCS Medea, i neurochirurghi e radiologi dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale di Udine e due professori della SISSA di Trieste e della Scuola di Economia dell’Università di Nottingham.

“La crescita di un tumore cerebrale può comportare una riduzione delle abilità cognitive come la memoria, il linguaggio, l’attenzione, le abilità visuo-spaziali – spiega Barbara Tomasino, responsabile scientifica del Polo friulano del Medea e prima autrice dello studio -. Tuttavia si riscontrano tra i pazienti discrepanze tra il grado di malattia e le manifestazioni cognitive della malattia: con i colleghi abbiamo voluto indagare l’origine di queste differenze”.

cervello riserva cognitiva tumori cerebrali
Tumori cerebrali: l’effetto positivo della riserva cognitiva. Immagine di ElisaRiva

Lo studio ha incluso un ampio campione di circa 700 pazienti con diagnosi di tumore cerebrale, sottoposti a una risonanza magnetica del cervello e a una batteria di prove volte a misurare le loro capacità cognitive prima di essere sottoposti a un intervento di neurochirurgia.

I ricercatori hanno stimato la loro riserva cognitiva con misure indirette, come l’istruzione, l’occupazione e l’ambiente in cui vivono. Queste misure sono ritenute importanti in quanto espongono il sistema cognitivo a continue stimolazioni dall’ambiente. L’analisi statistica ha tenuto accuratamente conto del tipo, del lato, della sede e della dimensione del tumore, del quoziente d’intelligenza, dell’età e del sesso dei pazienti, al fine di misurare l’effetto della riserva cognitiva su ciascuno dei test eseguiti.

I risultati, oltre a confermare gli effetti attesi delle variabili cliniche sulle funzioni cognitive, hanno mostrato che la riserva cognitiva ha un effetto positivo sulle prestazioni neuropsicologiche: i pazienti con livelli di istruzione maggiori, un’occupazione stimolante dal punto di vista cognitivo e la residenza in un ambiente urbano, ottengono infatti punteggi più elevati ai test neuropsicologici. In particolare, l’effetto negativo dato dall’aumento delle dimensioni del tumore sulle prestazioni dei pazienti è meno grave per i pazienti con riserva cognitiva più elevata.

“La riserva cognitiva è stata utilizzata per spiegare le differenze individuali nell’invecchiamento normale e patologico. Il nostro studio dimostra anche che la plasticità indicizzata dalla riserva cognitiva permette agli individui di far fronte ad un danno delle funzioni cerebrali in situazioni anche estreme come può essere un tumore cerebrale. Sono necessarie ulteriori ricerche per identificare i meccanismi neurali alla base della plasticità cerebrale”, commenta la professoressa Raffaella Rumiati della SISSA.

“Il nostro studio, contribuendo a spiegare il ruolo della riserva cognitiva in risposta ai tumori cerebrali e quello delle note variabili neurologiche, può aiutare a sviluppare strategie di prevenzione e di interventi riabilitativi personalizzati”, commenta la dottoressa Tomasino.

 

Testo dagli Uffici Stampa IRCCS Medea e SISSA

LISA e la scoperta di nuovi campi fondamentali 

Su Nature Astronomy lo studio pubblicato da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, e dai colleghi della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham e della Sapienza di Roma, che suggerisce un nuovo approccio per rilevare con grande accuratezza nuovi campi fondamentali e verificare la teoria della relatività generale grazie a LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale, che partirà come missione ESA – NASA nel 2037.

LISA campi fondamentali
Foto 1: Rappresentazione artistica della deformazione spazio-tempo di un EMRI. Un piccolo buco nero che ruota intorno ad un buco nero supermassiccio. (Credits: NASA)

La Relatività Generale di Einstein è la teoria corretta per i fenomeni gravitazionali? È possibile sfruttare tali fenomeni per scoprire nuovi campi fondamentali?

Il lavoro uscito oggi su Nature Astronomy, condotto da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, assieme a ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham, e della Sapienza Università di Roma, mostra che le osservazioni di onde gravitazionali da parte dell’interferometro spaziale LISA (Laser Interferometer Space Antenna) saranno in grado di rivelare la presenza di nuovi campi fondamentali con grande accuratezza.

Il campo gravitazionale è, secondo la Relatività Generale, espressione della curvatura dello spazio-tempo creata dalla presenza di massa o energia che altera lo spazio circostante.

Nuovi campi fondamentali associati alla gravità, in particolare quelli scalari, sono alla base di modelli teorici sviluppati per spiegare una grande varietà di scenari fisici. Potrebbero ad esempio fornire indizi sull’espansione accelerata dell’Universo o sulla materia oscura, oppure essere manifestazioni a bassa energia di una descrizione consistente e completa della gravità e delle particelle elementari.

Le osservazioni di oggetti astrofisici caratterizzati da campi gravitazionali deboli e piccole curvature spazio-temporali non hanno mostrato finora alcuna indicazione dell’esistenza di questi campi. Tuttavia, diversi modelli suggeriscono che deviazioni dalla Relatività Generale, o interazioni tra la gravità e nuovi campi, siano più rilevanti quando la curvatura dello spazio-tempo è molto grande. Per questa ragione, l’osservazione di onde gravitazionali – che ha aperto una nuova finestra sul regime di campo gravitazionale forte – rappresenta un’opportunità unica per scoprire nuovi campi fondamentali.

LISA campi fondamentali
Foto 2: EMRI: Sezione di un’orbita percorsa da un oggetto stellare attorno a un buco nero massivo (Credits: N. Franchini)

LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale sviluppato per osservare onde gravitazionali da sorgenti astrofisiche, permetterà di studiare nuove famiglie di sorgenti astrofisiche, diverse da quelle osservate da Virgo e LIGO, come gli Extreme Mass Ratio Inspirals (EMRI).

“Gli EMRI, sistemi binari in cui un oggetto compatto con massa stellare – un buco nero o una stella di neutroni – orbita attorno ad un buco nero milioni di volte più massivo del nostro Sole, sono infatti tra le sorgenti che ci si aspetta di osservare con LISA, e rappresentano un’arena preziosissima per studiare il regime di campo forte della gravità. – spiega Andrea Maselli, primo autore del paper – Il corpo più piccolo di un EMRI compie decine di migliaia di cicli orbitali prima di cadere nel buco nero supermassivo, emettendo così segnali di lunga durata che permettono di misurare anche le più piccole deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein e del modello standard delle particelle”.

Gli autori dello studio hanno sviluppato uno nuovo approccio per modellizzare il segnale emesso dagli EMRI, studiando per la prima volta in modo rigoroso se e come LISA possa scoprire l’esistenza di campi scalari accoppiati all’interazione gravitazionale, e misurare la carica scalare, una grandezza che quantifica il campo associato al corpo più piccolo del sistema binario.

Il nuovo approccio sviluppato è “agnostico” rispetto alla teoria che predice l’esistenza del campo scalare, poichè non dipende dall’origine della carica o dalla natura dell’oggetto compatto.  L’analisi mostra anche come future misure della carica scalare potranno essere tradotte in vincoli molto stringenti sulle deviazioni della Relatività Generale o del Modello Standard.

LISA, che partirà come missione ESA-NASA nel 2037, opererà in orbita attorno al Sole, in una costellazione di tre satelliti distanti milioni di chilometri l’uno dall’altro, osservando onde gravitazionali emesse a bassa frequenza, in una banda non accessibile agli interferometri terrestri a causa del rumore ambientale. Lo spettro visibile di LISA aprirà una nuova finestra sull’evoluzione degli oggetti compatti in una grande varietà di sistemi astrofisici del nostro Universo.

Riferimenti:

Detecting fundamental fields with LISA observations of gravitational waves from extreme mass-ratio inspirals – Andrea Maselli, Nicola Franchini, Leonardo Gualtieri, Thomas P. Sotiriou, Susanna Barsanti, Paolo Pani – Nature Astronomy DOI: https://doi.org/10.1038/s41550-021-01589-5

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma