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Università di Messina

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Coste toscane, studio sulla presenza di microplastiche nelle telline

La ricerca coordinata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Università degli Studi di Messina, Istituto per i Processi Chimico-Fisici (IPCF) del CNR.

Strumentazione per analisi microplastiche
Strumentazione per analisi microplastiche

Pisa, 28 maggio 2024 – Il FishLab dell’Università di Pisa ha condotto uno studio sulla presenza di microplastiche nelle telline (specie Donax trunculus) sulle coste toscane da cui non emergono rischi legati al consumo di questo alimento. La ricerca è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, l’Università degli Studi di Messina e l’Istituto per i Processi Chimico-Fisici (IPCF) del CNR di Messina.

I ricercatori hanno esaminato cinque siti lungo la costa toscana, da Viareggio a Tirrenia, da febbraio a dicembre 2021. Nei campioni analizzati, sono stati trovati 85 frammenti riconducibili a microplastiche. Successivamente, un’analisi più approfondita ha confermato la natura plastica solo per una parte di essi. In base a questa stima, i consumatori di telline potrebbero essere esposti ad una quantità molto esigua rispetto a quella che ingerirebbero consumando altre tipologie di alimenti; ad esempio, è stato dimostrato che il sale e l’acqua stessa  ne contengono una quantità decisamente più elevata.

Le microplastiche sono ubiquitarie in ogni ambiente, per assumerle basta lasciare un bicchiere su un tavolo prima di berlo – spiega il professore Andrea Armani del dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa – in base ai dati emersi e alle conoscenze attualmente disponibili, non ci sono rischi legati al consumo di telline, anche per le basse quantità di consumo di questo alimento”.

La presenza di microplastiche è stata documentata a tutti in tutti gli habitat marini, dagli oceani aperti ai mari chiusi, dalle spiagge, alle acque superficiali, in tutta la colonna d’acqua fino ai fondali più profondi. Le dimensioni ridotte che le caratterizzano facilitano il loro trasporto a lunga distanza attraverso le correnti. Si tratta infatti di particelle di polimeri plastici di dimensioni comprese tra 0,1 µm e 5 mm, prodotte tal quali a livello industriale (microplastiche primarie) o derivate dalla frammentazione di oggetti in plastica più grandi (microplastiche secondarie) a seguito del loro utilizzo (es. tessuti, vernici, pneumatici) o per opera di agenti atmosferici (raggi UV, temperature). Una volta fatto il loro ingresso nell’ecosistema marino possono essere facilmente ingerite da molti organismi, entrando così nella catena alimentare, sino agli esseri umani. I molluschi bivalvi (come mitili, ostriche, vongole e capesante), essendo filtratori, sono spesso utilizzati per valutare l’inquinamento da microplastiche negli ambienti marini. Se consumati come alimenti, possono pertanto rappresentare una fonte di esposizione alle microplastiche per l’uomo.

“L’esposizione umana alle microplastiche è molto diversa tra paese e paese a causa delle differenze geografiche e culturali legate al consumo dei molluschi bivalvi – conclude Armani – Un rischio elevato, calcolato sulla base del consumo annuo di molluschi bivalvi e della quantità media di microplastiche per grammo, è stato riscontrato in Cina e Corea del Sud, mentre a livello europeo sono stati riscontrati rischi maggiori in Francia e Grecia”.

La ricerca pubblicata sulla rivista Animals è stata finanziata dal Ministero della Salute italiano, dall’Unione Europea grazie al fondo NextGeneration EU e attraverso il progetto SAMOTHRACE del Ministero dell’Università e della Ricerca.

Il FishLab dell’Ateneo pisano è impegnato da anni in attività di ricerca che affrontano problematiche inerenti la sicurezza e la tracciabilità dei prodotti della pesca. La ricerca si inserisce nella visione One Health che vede uomo, animali e ambiente strettamente interconessi.

Foto di gruppo:da sinistra Gabriele Spatola, Andrea Armani, Giusti Alice e Tinacci Lara
Foto di gruppo:da sinistra Gabriele Spatola, Andrea Armani, Giusti Alice e Tinacci Lara

 

Testo e immagine dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

UN ANTIVIRALE MADE IN UNITO CONTRO COVID-19 E PER RISPONDERE A FUTURE PANDEMIE: PREMIATO IL PROGETTO ITALO-SVEDESE GUIDATO DA UNITO

Vincitore del bando Nato-Science for Peace and Security, prevede ­– grazie al lavoro di un network internazionale – lo sviluppo di MEDS433: un candidato farmaco efficace contro SARS-Cov2 e un’ampia gamma di virus umani

Il progetto di ricerca italo-svedese VIPER, guidato dall’Università di Torino e che si propone di studiare nuovi antivirali efficaci contro SARS-CoV-2, ha vinto il prestigioso bando NATO – Science for Peace and Security (SPS) Programme. L’obiettivo di VIPER (Learning a lesson: fighting SARS-CoV-2 Infection and get ready for other future PandEmic scenaRios) è rispondere a malattie virali emergenti, attuali e future, attraverso lo sviluppo di antivirali ad ampio spettro.

Il network internazionale coinvolto in VIPER è composto dai partner svedesi del Karolinska Institutet di Stoccolma (Prof. Ali Mirazimi) e dell’Università di Uppsala (Prof.ssa Katarina Edwards) e dai partner italiani dell’Università di Torino (Proff. Marco L. Lolli e Giorgio Gribaudo), Università di Messina (Prof.ssa Anna Piperno) e Università di Padova (Prof.ssa Cristina Parolin). Università ed Enti di ricerca dei due Paesi saranno impegnati nello sviluppo preclinico della molecola MEDS433, un inibitore dell’enzima diidroorotato deidrogenasi (DHODH) di ultima generazione, dalle potenti attività antivirali ad ampio spettro, capace di inibire la replicazione oltre che di SARS-CoV-2 anche di un’ampia gamma di virus umani.

I gruppi di ricerca Italo-Svedesi, che possiedono competenze scientifiche sinergiche, agiranno come un unico esteso gruppo di ricerca europeo. Con il Kick-Off meeting, che si terrà giovedì 30 Giugno, VIPER inizierà ufficialmente il suo percorso attraverso la presentazione dettagliata dei suoi obiettivi progettuali. In tale occasione verrà messa a punto un’agenda di lavoro che vedrà le ricercatrici e i ricercatori coinvolti incontrarsi periodicamente durante i 27 mesi del progetto. Le attività di VIPER prevedono lo sviluppo su larga scala di MEDS433 (Torino) a supporto della sperimentazione in vitro e in vivo, la sua formulazione in innovativi agenti veicolanti (Messina e Uppsala), lo studio in vitro delle proprietà antivirali e del meccanismo molecolare dell’attività antivirale delle molecole formulate (Torino e Padova) e lo studio dell’efficacia delle formulazioni in vivo in un modello murino di SARS-CoV-2 (Stoccolma).

Il programma NATO SPS, attivo da oltre sei decenni, è uno dei più grandi e importanti programmi di partenariato dell’Alleanza che affronta le sfide della sicurezza del XXI secolo. Attivo in scenari quali cyber defence, sicurezza energetica e tecnologie avanzate, in questo caso SPS viene diretto alla difesa antiterroristica da agenti biologici, affrontando di riflesso una tematica di enorme attualità, data dalla pandemia di COVID-19.

Il programma SPS, oltre che sovvenzionare progetti pluriennali di alto impatto tecnologico, promuove la cooperazione scientifica pratica tra ricercatori, lo scambio di competenze e know-how tra le comunità scientifiche della NATO e dei Paesi partner.

Gli effetti devastanti della malattia COronaVIrus (COVID-19) – sottolinea il Prof. Marco L. Lolli, docente del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino e coordinatore del progetto – hanno insegnato al mondo come, in assenza di farmaci antivirali ad ampio spettro, sia difficile controllare la diffusione iniziale di una pandemia emergente e di riflesso salvare vite umane nell’attesa dello sviluppo di vaccini e farmaci specifici per il virus emergente”.

MEDS433 è un antivirale interamente “made in UniTo”. Infatti è stato inventato e caratterizzato chimicamente dal gruppo di ricerca MedSynth del  Prof. Lolli al Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco e la sua attività antivirale ad ampio spettro, nei confronti di un’estesa varietà di virus umani, sia a DNA che a RNA, compresi i più importanti virus respiratori, è stata definita nel Laboratorio di Microbiologia e Virologia del Dipartimento di Scienza della Vita e Biologia dei Sistemi, diretto dal Prof. Giorgio Gribaudo, sempre all’Università di Torino.

“Data la sua potente attività antivirale a concentrazioni nanomolari e la bassa tossicità, MEDS433 – conclude il Prof. Lolli – può essere considerato un nuovo e promettente antivirale, non solo perché arricchisce il nostro armamentario farmacologico contro SARS-CoV-2, ma anche per affrontare futuri eventi pandemici. Siamo molto orgogliosi che questo consorzio si sia formalizzato perché avremo gli strumenti necessari per portare MEDS433 alla sperimentazione umana, cosi da fornire una soluzione strategica per affrontare le fasi iniziali della diffusione di un nuovo virus emergente”.

coronavirus antivirale COVID-19
Un antivirale contro COVID-19 e per rispondere a future pandemie. Illustrazione, elaborata dai Centers for Disease Control and Prevention, della tipica morfologia di un coronavirus umano

Testo e immagine dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino sul progetto di ricerca italo-svedese per l’antivirale contro COVID-19 e per rispondere a future pandemie.