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Università di Amburgo

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PESCATO DELL’ALTO ADRIATICO: STESSA QUANTITÀ, DIVERSA QUALITÀ

La “mutazione invisibile” dell’ecosistema marino scoperta dall’Università di Padova

 Negli ultimi decenni la ricerca ha chiarito come i sistemi naturali, anche quelli grandi e complessi come gli ecosistemi marini, subiscono dei “cambiamenti di regime” cioè variazioni nette e totalmente inaspettate. Possono essere determinati dalle attività umane, come la pesca o il cambiamento climatico globale di origine antropica, trasformando radicalmente gli ecosistemi in termini di abbondanza di organismi e di processi ecologici, con potenziali ricadute per la biodiversità e la produttività delle risorse ittiche.

Lo studio dal titolo “Stable landings mask irreversible community reorganizations in an overexploited Mediterranean ecosystem” pubblicato sul «Journal of Animal Ecology» da parte di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Amburgo e CNR-ISMAR dimostra che, negli ultimi 40 anni, si sono succeduti intensi cambiamenti di regime nell’ecosistema dell’Alto Adriatico, uno dei mari più pescosi e sfruttati del pianeta, nella totale inconsapevolezza di tutti.

Camilla Sguotti Pescato dell'Alto Adriatico: stessa quantità, diversa qualità
Camilla Sguotti

«Questa scoperta è stata possibile analizzando con metodi matematici avanzati, basati sulla teoria delle catastrofi di Thom, le serie temporali delle catture di organismi, quali pesci e invertebrati, da parte della flotta peschereccia di Chioggia, la maggiore d’Italia – dice Camilla Sguotti, ricercatrice post-dottorato nel programma europeo ‘Marie Skłodowska-Curie Actions’ al Dipartimento di Biologia dell’Ateneo di Padova e prima autrice dello studio –. La composizione di quello che si pesca riflette la comunità di organismi che abitano il mare: a partire dagli anni Ottanta si è avuto un andamento caratterizzato da lunghi periodi di stabilità nella varietà e qualità del pescato intervallati da improvvisi cambiamenti discontinui a causa dell’effetto sinergico di pressione da pesca e riscaldamento dei mari dovuto ai cambiamenti climatici. La cosa interessante è “scoprire” solo ora questi cambiamenti, cioè dopo decenni, in quanto le catture totali della flotta sono rimaste approssimativamente costanti nel tempo, distogliendo quindi l’attenzione dall’avvicendarsi delle diverse specie nei decenni».

Alberto Barausse
Alberto Barausse

«Sembra che l’ecosistema del mare Alto Adriatico – conclude Alberto Barausse del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova coordinatore dello studio pubblicato – sia cambiato in modo irreversibile: anche se diminuissimo la pressione di pesca, le temperature non si riabbasseranno a breve a causa dell’inerzia del cambiamento climatico. Capire i fattori che portano a questi cambiamenti di regime negli ecosistemi marini è quindi fondamentale per saper gestire le nostre attività, come la pesca, senza erodere la resilienza degli ecosistemi: una volta che un cambiamento di regime è avvenuto nell’ecosistema, potenzialmente con conseguenze negative non solo per la biodiversità ma spesso anche per le attività economiche, purtroppo non sempre è possibile tornare indietro facilmente».

Link all’articolo: https://doi.org/10.1111/1365-2656.13831

Titolo: “Stable landings mask irreversible community reorganizations in an overexploited Mediterranean ecosystem” – «Journal of Animal Ecology» – 2022.

Autori: Camilla Sguotti, Aurelia Bischoff, Alessandra Conversi, Carlotta Mazzoldi, Christian Möllmann, Alberto Barausse

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova sulla ricerca sul pescato nell’Alto Adriatico.

LOFAR SI SINTONIZZA SUI “MEGAHALO”, STERMINATE REGIONI DI SPAZIO CHE EMETTONO DEBOLI SEGNALI RADIO

Un gruppo internazionale di ricercatrici e ricercatori, tra cui alcuni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha individuato per la prima volta attorno a quattro ammassi di galassie delle gigantesche regioni che emettono onde radio e si estendono anche per 10 milioni di anni luce. Lo studio viene pubblicato oggi sulla rivista Nature.

Megahalo

Un gruppo di ricerca internazionale ha individuato quattro differenti ammassi di galassie interamente avvolti da una debole emissione radio che si estende fino alle loro estreme periferie. Queste sorgenti radio –  denominate “Megahalo” – raggiungono i 10 milioni di anni luce e coprono un volume 30 volte più grande rispetto alle sorgenti radio finora note rilevate in ambienti simili. La ricerca – pubblicata oggi sul sito web della rivista Nature – è stata realizzata utilizzando dati raccolti dal radiotelescopio LOFAR (LOw Frequency ARray), costituito da una rete di antenne distribuite in vari Paesi europei.

I risultati ottenuti suggeriscono che i “Megahalo”, alimentati dall’energia gravitazionale che modella la struttura dell’universo, potrebbero essere un fenomeno comune in molte parti dell’universo.

“Abbiamo scoperto un acceleratore di particelle di proporzioni cosmologiche e questo studio suggerisce che molti altri ammassi di galassie potrebbero mostrare emissioni su scale così grandi”,

commenta Virginia Cuciti, prima autrice dell’articolo, Alexander von Humboldt fellow all’Università di Amburgo e associata INAF. Virginia Cuciti ha ottenuto il dottorato in Astrofisica dall’Università di Bologna, lavorando presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

“Questa scoperta potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: con osservazioni più dettagliate, come quelle che potremo avere con il nuovo LOFAR 2.0 e con il radiotelescopio SKA, potremmo essere in grado di individuare un numero maggiore di ammassi di galassie che presentano queste caratteristiche”, aggiunge Francesco De Gasperin, ricercatore dell’INAF, secondo autore dello studio.

La materia nell’universo è distribuita lungo una complessa rete di filamenti che gli astronomi chiamano “ragnatela cosmica” (“cosmic web”). In corrispondenza dei nodi di questa ragnatela, si concentrano ammassi galattici formati da centinaia o anche migliaia di galassie.

Quando due di questi ammassi di galassie collidono per fondersi in un unico ammasso, si generano eventi tra i più potenti mai avvenuti nell’universo dopo il Big Bang, che rilasciano enormi quantità di energia. In questi casi, gli elettroni vengono accelerati a velocità prossime a quella della luce, ed emettono così onde radio che possono essere rilevate dai radiotelescopi.

LOFAR
LOFAR

Analizzando le emissioni registrate dal radiotelescopio LOFAR per 310 ammassi di galassie, gli studiosi hanno così individuato quattro ammassi completamente avvolti da una debole emissione radio, con dimensioni e caratteristiche uniche rispetto alle sorgenti radio conosciute finora, che hanno ribattezzato “Megahalo”.

I “Megahalo” mostrano come gli elettroni accelerati a velocità prossime a quella della luce e i campi magnetici possono estendersi ben oltre l’emissione radio osservata comunemente negli ammassi di galassie, e le loro proprietà indicano che le condizioni fisiche delle regioni più esterne degli ammassi di galassie sono molto differenti rispetto a quelle centrali.

 “I risultati ottenuti ci aiutano a capire in che modo l’energia viene dissipata durante la formazione di strutture cosmologiche su larga scala e come le particelle vengono accelerate nel plasma a bassa densità”,

aggiunge Franco Vazza, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associato INAF, tra gli autori dello studio.

 

LOFAR è un telescopio realizzato per esplorare l’Universo alle basse frequenze radio (10-240 MHz). È composto da un network di antenne radio pan-europeo, guidato da ASTRON, l’Istituto di Radioastronomia dei Paesi Bassi. All’iniziativa partecipano Italia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Regno Unito e Bulgaria. Dal 2018 l’Istituto Nazionale di Astrofisica guida un consorzio nazionale, partecipando con il suo personale anche allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici allo stato dell’arte che equipaggeranno il radiotelescopio e al software che regola il funzionamento del telescopio. Lo studio degli ammassi di galassie è uno fra i campi di maggiore interesse della collaborazione LOFAR e vede un coinvolgimento molto importante del personale INAF.

 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Galaxy clusters enveloped by vast volumes of relativistic electrons” di V. Cuciti, F. de Gasperin, M. Brüggen, F. Vazza, G. Brunetti, T. W. Shimwell, H. W. Edler, R. J. van Weeren, A. Botteon, R. Cassano, G. Di Gennaro, F. Gastaldello, A. Drabent, H. J. A. Röttgering, e C. Tasse è stato pubblicato online sulla rivista Nature.

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)