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Università dell’Aquila

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Disturbo dell’orientamento: chi colpisce e come prevenirlo
Un nuovo studio del Dipartimento di Psicologia della Sapienza rivela che sono più gli uomini che le donne a soffrire di disorientamento topografico evolutivo, un disturbo specifico dello sviluppo che colpisce la capacità di orientarsi. I risultati della ricerca, condotta su un campione di giovani italiani e pubblicata sulla rivista PLoS One, aprono la strada a possibili strategie di prevenzione

Il disorientamento topografico evolutivo (DTD) è un disturbo dello sviluppo neuropsicologico che colpisce la capacità di orientamento. Immagine di PIRO

Nell’ultimo decennio sono stati riscontrati diversi casi di individui affetti da disorientamento topografico evolutivo (DTD), un disturbo dello sviluppo neuropsicologico che colpisce la capacità di orientarsi.

Le persone che soffrono di questo disturbo hanno un livello intellettivo generale nella norma, non mostrano altri deficit cognitivi o disordini neurologici o psichiatrici e, solitamente, non presentano patologie o alterazioni cerebrali, ma solo difficoltà nelle capacità navigazionali, che vanno dai deficit di memoria topografica all’incapacità di riconoscere elementi dell’ambiente come punti di riferimento. Tutti i casi sono accomunati dall’incapacità di avere una rappresentazione mentale dell’ambiente per orientarsi nello spazio in modo adeguato.

Una nuova ricerca, condotta da Cecilia Guariglia, Laura Piccardi e Maddalena Boccia del Dipartimento di Psicologia della Sapienza, ha indagato la presenza del DTD in 1.698 giovani italiani riscontrando questo disturbo nel 3 % del campione.
Lo studio dimostra come il senso dell’orientamento sia strettamente correlato alla conoscenza dell’ambiente di residenza e alle strategie di navigazione adottate, ma anche al genere. Infatti, sebbene in generale gli uomini usino strategie navigazionali più complesse di quelle utilizzate dalle donne, il DTD risulta più diffuso negli uomini, in linea con quanto descritto dalla letteratura.

I risultati, frutto della collaborazione della Sapienza con l’IRCCS San Raffaele di Roma, l’Università dell’Aquila, l’Itaf di Pratica di Mare, l’IRCCS Fondazione Santa Lucia, l’Università di Catanzaro e l’Università di Bologna, sono stati pubblicati sulla rivista PLoS One.

“Abbiamo deciso – chiarisce Cecilia Guariglia, coordinatrice dello studio – di includere nel nostro campione solo individui di età compresa tra i 18 ei 35 anni, escludendo le persone che potrebbero manifestare la perdita delle capacità navigazionali a causa di un declino cognitivo dovuto all’età. I dati sono stati raccolti tra il 2016 e il 2019 utilizzando la piattaforma Qualtrics, attraverso la quale sono stati somministrati un questionario anamnestico e la scala Familiarity and Spatial Cognitive Style”.

Lo studio si focalizza anche sugli interventi per prevenire i disturbi della navigazione. Tra questi, potrebbero risultare utili un addestramento all’orientamento spaziale a partire dall’età prescolare, attività di formazione volte a migliorare la metacognizione, ma anche la pratica quotidiana del videogioco Tetris.

“Sebbene ci sia molto ancora da studiare – conclude Cecilia Guariglia – il nostro auspicio è che in futuro si possano realizzare protocolli di prevenzione dello sviluppo dei disturbi della navigazione e promuovere queste capacità riducendo il divario di genere”.

Riferimenti:
“Where am I?” A snapshot of the developmental topographical disorientation among young Italian adults – Laura Piccardi, Massimiliano Palmiero, Vincenza Cofini, Paola Verde, Maddalena Boccia, Liana Palermo, Cecilia Guariglia, Raffaella Nori – Plos One (2022) https://doi.org/10.1371/journal.pone.0271334

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Le alterazioni dell’attività elettroencefalografica (EEG) durante la veglia e il sonno nella malattia di Alzheimer 

Uno studio coordinato da ricercatori della Sapienza e dell’IRCCS San Raffaele Roma, in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e dell’Università dell’Aquila ha evidenziato per la prima volta specifiche differenze nell’attività elettrica cerebrale durante il sonno che discriminano la malattia di Alzheimer dal decadimento cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment o MCI degli anglosassoni, uno stadio intermedio tra demenza ed invecchiamento normale) e dagli anziani sani.

EEG Alzheimer
Le alterazioni dell’attività elettroencefalografica (EEG) durante la veglia e il sonno nella malattia di Alzheimer. Foto di Gerd Altmann

È oramai evidente che le relazioni tra malattia di Alzheimer e caratteristiche del sonno vanno ben al di là del riscontro assai comune di disturbi del sonno in questi pazienti sia perchè le alterazioni del sonno sembrano costituire un fattore di rischio per la malattia, sia perchè un ‘buon sonno’ svolge un ruolo centrale nell’eliminazione dei metaboliti ‘cattivi’ della proteina b-amiloide facilitandone l’aggregazione ed il deposito tipico dell’Alzheimer.

Mancava però nella letteratura scientifica una descrizione delle alterazioni elettroencefalografiche (EEG) del sonno in questi pazienti e la loro relazione con le già descritte alterazioni dell’EEG durante lo stato di veglia. In quasi 10 anni di lavoro, un gruppo di ricercatori della Sapienza e dell’IRCCS San Raffaele Roma, in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e l’Università dell’Aquila ha portato avanti uno studio per colmare questa carenza. Ne è risultato il primo e più esteso studio mai pubblicato sinora al mondo in cui si sono confrontate le attività regionali e di frequenza dell’EEG con quelle dell’EEG di veglia registrate in diverse occasioni nel corso del giorno (per controllare l’influenza di fattori circadiani). I risultati di questo ampio progetto sono stati appena pubblicati sulla rivista Open Access di Science (IScience).

“Tutto è iniziato una decina di anni fa – spiegano Luigi De Gennaro e Paolo M. Rossini, coordinatori della ricerca – quando ci siamo posti l’obiettivo di studiare congiuntamente le specifiche alterazioni diurne e notturne dell’attività elettrica cerebrale in un ampio gruppo di pazienti con malattia di Alzheimer. L’idea di base – si potrebbe semplificare – era di verificare se esistessero specifiche alterazioni nel sonno di questi pazienti e se queste presentassero una relazione con quelle già note durante la veglia. Come risultati principali dello studio abbiamo identificato: (1) in entrambi i gruppi clinici (Alzheimer ed MCI) un rallentamento dei ritmi cerebrali nel sonno REM (quello in cui si sogna) paragonabile a quello già descritto in veglia; (2) questo fenomeno del sonno REM correla con il decadimento cognitivo dei pazienti; (3) una drastica diminuzione nell’attività sigma del sonno NREM, sempre in entrambi i gruppi clinici; (4) una consistente riduzione della funzione del sonno nel consentire processi di recupero cerebrale conseguenti alle attività di veglia”.

GLI EFFETTI DELLA SCOPERTA – Le implicazioni di tale studio possono aprono nuovi orizzonti per specifici trattamenti delle alterazioni del sonno in generale nel soggetto anziano e nello specifico nella malattia di Alzheimer e, ancora più, per lo specifico quadro MCI che in moltissimi casi rappresenta l’anticamera dell’Alzheimer.

Riferimenti:

EEG alterations during wake and sleep in mild cognitive impairment and Alzheimer’s disease – Aurora D’Atri, Serena Scarpelli, Maurizio Gorgoni, Camillo Marra, Paolo Maria Rossini, Luigi De Gennaro – IScience. DOI https://doi.org/10.1016/j.isci.2021.102386

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulle alterazioni dell’attività elettroencefalografica (EEG) durante la veglia e il sonno nella malattia di Alzheimer.