Costa atlantica dell’Africa: le variazioni del livello del mare negli ultimi 30mila (e il recente innalzamento)
L’Università di Pisa ha coordinato lo studio pubblicato su Nature Communications. Il prof. Vacchi:
“Nonostante l’intero continente Africano contribuisca solo per il 4% alle emissioni globali di gas serra, il cambiamento climatico avrà effetti molto significativi in Africa occidentale, dove il 31% della popolazione e le principali infrastrutture sono concentrate nella zona costiera”.
Il livello attuale del mare lungo la costa atlantica dell’Africa è più alto di oltre 100 metri rispetto a 30.000 anni fa. Il dato emerge da uno studio coordinato dal professor Matteo Vacchi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Nature Communications. La ricerca ha mostrato come il livello dell’Atlantico sia stato fortemente influenzato dai cambiamenti climatici e dalla fusione delle calotte glaciali.
“Studiando le fluttuazioni avvenute negli ultimi 30.000 anni – spiega Vacchi – potremmo affinare i modelli climatici e migliorare le previsioni sulle reazioni del sistema Terra rispetto ai cambiamenti attuali. Molte regioni costiere africane, comprese città densamente popolate e ambienti naturali sensibili, sono direttamente minacciate dall’innalzamento del livello del mare. Studi come questo aiutano a comprendere la vulnerabilità di queste aree e a sviluppare strategie di adattamento e mitigazione. Infatti, la fascia costiera rappresenta circa il 56% del prodotto interno lordo (PIL) dei paesi dell’Africa occidentale, rendendola una risorsa economica e sociale chiave altamente vulnerabile ai cambiamenti del livello del mare causati dal clima”.
La ricerca ha evidenziato tre fasi evolutive principali. Nell’epoca del massimo glaciale (circa 30.000 – 19.000 anni fa) il livello del mare era molto più basso rispetto ad oggi, circa 99-104 metri in meno, principalmente per la grande quantità di acqua intrappolata nelle calotte glaciali. Nella successiva fase di deglaciazione (19.000 – 7.500 anni fa), con il riscaldamento globale e la fusione delle calotte, il mare ha iniziato a risalire sempre più rapidamente sino a raggiungere il livello attuale. Il trend è continuato nel corso dell’Olocene (7.500 anni fa – oggi): il mare ha continuato a salire, ma con un ritmo più moderato, fino a raggiungere un massimo tra 5.000 e 1.700 anni fa con valori anche hanno superato il livello attuale. Dopo questa fase, c’è stata una sostanziale stabilizzazione, fino al nuovo recente innalzamento dovuto al riscaldamento globale che ha riguardato gli ultimi 100 anni.
“Il nostro studio fornisce una ricostruzione dettagliata e senza precedenti delle variazioni del livello del mare lungo la costa atlantica dell’Africa dal massimo glaciale fino all’epoca moderna – dice Matteo Vacchi – si tratta di dati fondamentali per comprendere i trend attuali e prevedere le future variazioni del livello del mare con implicazioni molteplici che toccano diversi ambiti scientifici e applicativi. Nonostante l’intero continente Africano contribuisca solo per il 4% alle emissioni globali di gas serra, il cambiamento climatico avrà effetti molto significativi in Africa occidentale, dove il 31% della popolazione e le principali infrastrutture sono concentrate nella zona costiera”.
Matteo Vacchi
Insieme all’Università di Pisa hanno collaborato alla studio l’Earth Observatory di Singapore, Università Aix Marseille (Francia), L’Università di Bologna e l’INGV.
Riferimenti bibliografici:
Vacchi, M., Shaw, T.A., Anthony, E.J. et al. Sea level since the Last Glacial Maximum from the Atlantic coast of Africa, Nat Commun16, 1486 (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s41467-025-56721-0
Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa.
Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità.
Per il cancro alla mammella è previsto un calo generale, ma un aumento tra le pazienti più anziane
Le previsioni dei decessi per tumori indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 3,5% circa nell’Unione Europea negli uomini e dell’1,2% nelle donne. Un andamento positivo è stimato anche per il tumore della mammella, tranne nelle donne ultraottantenni, probabilmente per mancanza di screening regolari, diagnosi tempestive e utilizzo di terapie innovative.I risultati dello studio, coordinato dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna e sostenuto dalla Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista “Annals of Oncology”.
Milano, 12 marzo 2025 – Nel 2025 i tassi di mortalità per tumore della mammella dovrebbero diminuire in tutte le fasce d’età nell’Unione Europea (UE), a eccezione delle pazienti ultraottantenni. Per queste ultime si prevede infatti un aumento del 7% circa rispetto ai tassi osservati nel periodo 2015-2019.
Questi risultati provengono da uno studio in cui si sono stimati i tassi di mortalità per tumore nell’UE [1] e nel Regno Unito per il 2025. I risultati dello studio, condotto da ricercatori dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna, sono stati pubblicati oggi sulla rivista Annals of Oncology[2].
Gli epidemiologi coordinati da Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia all’Università Statale di Milano, ritengono che un motivo per l’aumento dei tassi di mortalità per tumore della mammella tra le pazienti più anzianenell’UE possa essere dovuto alla mancanza di screening regolari e di diagnosi tempestiveper le donne ultraottantenni, che hanno anche minore probabilità di ricevere i trattamenti più innovativi.
“Le donne anziane non sono incluse nei programmi di screening e probabilmente, rispetto alle donne più giovani, hanno minore giovamento dagli importanti progressi nella diagnosi e nella gestione del tumore della mammella, compresi i miglioramenti nella chemioterapia, nella terapia ormonale e nell’immunoterapia che include il trastuzumab e i farmaci similari, ma anche nella radioterapia e nella chirurgia” ha dichiarato La Vecchia.
L’aumento della prevalenza di sovrappeso e obesità osservato negli ultimi decenni nella maggior parte dell’Europa settentrionale e centrale ha portato a un aumento del rischio di tumore della mammella. Questo fenomeno, però, non è stato controbilanciato da un miglioramento della diagnosi e della gestione della malattia nelle donne anziane e, di conseguenza, potrebbe spiegare l’aumento della mortalità stimato.
Il gruppo di ricercatori prevede una diminuzione dei tassi di mortalità per tumore della mammella a tutte le età pari al 3,6% nell’UE e allo 0,8%in Italia nel 2025 rispetto al 2020. Il tasso di mortalità standardizzato per età è 13,3 per 100.000 donne nell’UE (per un totale di 90.100 decessi) e di 14,0 per 100.000 donne in Italia (per un totale di 13.660 decessi).
“Stimiamo che tra il 1989 e il 2025 siano stati evitati 373.000 decessi per tumore della mammella nell’UE. La maggior parte di questi decessi evitati è dovuta al miglioramento della gestione della malattia e all’introduzione di innovazioni terapeutiche, ma il 25-30% è probabilmente attribuibile auna maggiore diffusione della diagnosi precoce e del programma di screening. Poiché oggi il tumore della mammella può essere curato efficacemente grazie ad approcci innovativi, è essenziale che tutte le pazienti alle quali viene diagnosticato vengano indirizzate a centri oncologici in grado di offrire tutte le terapie necessarie. Inoltre, come indicato dagli andamenti sfavorevoli per le donne ultraottantenni, il controllo del sovrappeso e dell’obesità rimane una priorità, non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori, compreso il quello della mammella” ha aggiunto il professor La Vecchia.
I ricercatori hanno analizzato, per il quindicesimo anno consecutivo, i tassi di mortalità per tumore nell’UE [3] e nel Regno Unito, esaminando separatamente i tassi di mortalità per tumore dello stomaco, colon-retto, pancreas, polmone, mammella, utero (compresa la cervice), ovaio, prostata e vescica, nonché i tassi di mortalità per leucemie, per entrambi i sessi [4]. Sono stati raccolti i dati di mortalità dai database dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, relativi al periodo 1970-2020. Tali stime si sono dimostrate affidabili nel corso degli anni.
Tutti i tumori:
Nei Paesi dell’UE si prevede un calo del 3,5% circa dei tassi di mortalità per tutti i tumori: si passerà da 125/100.000 nel 2020 a 121/100.000 nel 2025 per gli uomini, e da 80/100.000 a 79/100.000 per le donne. In totale si stima che nel 2025 circa 1.280.000 persone moriranno di tumore nell’UE e circa 176.000 in Italia. In Italia il tasso di mortalità per tutti i tumori diminuirà per gli uomini, passando da 112 nel 2020 a 96/100.000 nel 2025, e per le donne, passando da 75 a 71/100.000.
Secondo le stime dei ricercatori, dal 1988 al 2025 nell’UE si sono evitati 6,8 milioni di decessi per tutti i tipi di tumore (4,7 milioni negli uomini e 2,1 milioni nelle donne), ipotizzando che i tassi di mortalità rimanessero costanti rispetto a quelli del 1988.
Tuttavia, a causa del crescente numero di anziani nella popolazione, il numero di decessi per tumore aumenterà da 671.963 nel 2020 a 709.400 nel 2025 tra gli uomini nell’UE e da 537.866 a 570.500 tra le donne. In Italia, invece, il numero di decessi passerà da 97.866 a 94.740 per gli uomini e da 79.991 a 81.740 per le donne.
Si prevede che i tassi di mortalità perla maggior parte dei tumori diminuiranno quest’anno nell’UE, a eccezione del tumore del pancreas, che mostrerà un aumento del 2% negli uomini e del 3% nelle donne. Per le donne si prevede un aumento del 4% del tumore del polmone e del 2% del tumore della vescica.
In Italia gli unici tassi di mortalità previsti in lieve aumento sono quelli per il tumore del pancreas e della vescica nelle donne. I tassi di mortalità per tutti gli altri tipi di tumore sono in calo per entrambi i sessi.
“Il fumo rimane di gran lunga la principale causa nota di tumore del pancreas, causando dal 20 al 35% dei casi in varie fasce di età, a seconda delle diverse abitudini di fumo. Il diabete, il sovrappeso che portano allo sviluppo della sindrome metabolica sono responsabili di circa il 5% dei tumori al pancreas in Europa. Questo aspetto sta diventando sempre più importante a causa della crescente prevalenza dell’obesità, ma il controllo e la prevenzione del fumo rimangono la priorità per il controllo anche del tumore del pancreas” ha spiegato la professoressa Eva Negri, docente di epidemiologia ambientale e medicina del lavoro dell’Università di Bologna e co-leader della ricerca.
Il tumore del polmonerappresenta la principale causa di morte per tumore tra gli uomini nell’UE (151.000 casi) e in Italia (19.600 casi). Nel nostro Paese il tumore della mammella è la prima causa di morte per cancro fra le donne italiane (13.660 casi). Anche nell’UE, il tumore della mammella rappresenta la principale causa di morte per tumore tra le donne; tuttavia, si stima che il tasso di mortalità per il tumore del polmone supererà quello della mammella nel 2025. Infatti, l’andamento della mortalità per tumore del polmone è ancora in aumento tra le donne (+3,8% rispetto al 2020).
Conclude Carlo La Vecchia: “Gli andamenti di mortalità per tumore continuano a essere favorevoli in tutta Europa. Tuttavia vi sono anche aspetti negativi: uno di questi sono i decessi per tumore del colon-retto nelle persone di età inferiore ai 50 anni, che hanno iniziato ad aumentare nel Regno Unito e in diversi Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, a causa dell’aumento della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità nei giovani che, per età, non sono coperti dallo screening del tumore colorettale. Inoltre i tassi di mortalità per il tumore del pancreas non sono in diminuzione nell’UE ed è ora la quarta causa di morte per tumore dopo il cancro del polmone, del colon-retto e della mammella. I tassi di mortalità per tumore del polmone stanno iniziando a stabilizzarsi, ma non ancora a diminuire nelle donne dell’UE. Le tendenze del tumore del pancreas e del polmone nelle donne sottolineano l’urgenza di attuare un controllo ancora più rigoroso del tabacco in tutta Europa”.
Il progetto è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC; Claudia Santucci e Carlo La Vecchia hanno ricevuto sostegno dall’iniziativa Next Generation EU-MUR PNRR Extended Partnership Inf-Act.
NOTE
[1] Al momento di questa analisi, l’UE contava 27 Stati membri, con l’uscita del Regno Unito nel 2020. Cipro è stato escluso dall’analisi perché non erano disponibili sufficienti dati a lungo termine, necessari per prevedere le tendenze, soprattutto nei piccoli Paesi. Tutti gli altri Paesi avevano dati che risalivano almeno al 1970.
[2] “European cancer mortality predictions for the year 2025 with focus on breast cancer”, by C. Santucci et al. Annals of Oncology, doi: 10.1016/j.annonc.2025.01.014.
[3] I tassi standardizzati per età per 100.000 abitanti riflettono la probabilità annuale di morire aggiustata per riflettere la distribuzione per età di una popolazione.
[4] Il documento contiene tabelle individuali dei tassi di mortalità per tumore per ciascuno dei sei massimi Paesi Europei.
Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità. Foto di Konstantin Kolosov
Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano e dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Bologna.
Sotto la superficie di Io non c’è un oceano di magma liquido, ma un mantello solido
Un nuovo studio pubblicato su Nature, basato sui dati di gravità raccolti dalla sonda Juno della NASA durante dei sorvoli della luna Io di Giove esclude la presenza di un oceano di magma sotto la sua superficie
Sotto la superficie di Io, il satellite Galileiano più vicino a Giove, non c’è un oceano di magma liquido come si era pensato fino ad oggi, ma un mantello solido. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Nature realizzato anche grazie al lavoro di diversi ricercatori della Sapienza Università di Roma e dell’Università di Bologna.
La ricerca, coordinata da Ryan Park del Jet Propulsion Laboratory dalla NASA, ha sfruttato i dati collezionati dalla sonda Juno della NASA durante due recenti sorvoli ravvicinati della luna insieme ai dati storici della missione Galileo, la sonda della NASA che tra il 1995 e il 2003 ha esplorato il sistema di Giove.
“La combinazione dei dati acquisiti da Juno con quelli collezionati dalla sonda Galileo oltre 20 anni fa – spiega Daniele Durante, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale – ha permesso di migliorare la stima della risposta mareale di Io, che fornisce indicazioni dirette della deformabilità della struttura interna della luna.”
Io è un satellite unico nel sistema di Giove grazie alla sua intensa attività vulcanica, che lo rende l’oggetto geologicamente più attivo del sistema solare. Per decenni si è creduto che l’enorme attrazione gravitazionale di Giove fosse sufficiente a creare un oceano di magma sotto la sua superficie, che alimentasse i suoi vulcani. Le misure di induzione magnetica condotte dalla sonda Galileo avevano infatti suggerito la presenza di un oceano di magma sotto la superficie di questa luna.
Questo scenario è stato però rivisto a seguito delle nuove osservazioni realizzate da Juno, la sonda che dal 2016 sta esplorando Giove e, più recentemente, le sue lune. Juno ha sorvolato per due volte Io a circa 1.500 chilometri di quota, raccogliendo dati del campo gravitazionale della luna molto accurati. I risultati dell’analisi mostrano una risposta gravitazionale della luna alle forze di marea piuttosto modesta.
“La risposta della luna alle forze di marea esercitate da Giove è risultata piuttosto bassa – afferma Luciano Iess, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale – indicazione dell’assenza di un oceano di magma vicino alla superficie e, piuttosto, della presenza di un mantello solido profondo al suo interno”.
Lo studio è stato pubblicato su Nature con il titolo “Io’s tidal response precludes a shallow magma ocean”. Per Sapienza Università di Roma hanno partecipato Daniele Durante e Luciano Iess, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Bologna, Luis Gomez Casajus, Marco Zannoni, Andrea Magnanini e Paolo Tortora. Le attività di ricerca sono state realizzate nell’ambito di un accordo finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana.
Struttura interna di Io. La nuova misura della deformazione mareale suggerisce che la luna non abbia un oceano globale di magma vicino la superficie ma è coerente con la presenza di un mantello più solido (sfumature di verde), con una quantità significativa di materiale fuso (in giallo e arancione) che ricopre un nucleo liquido (in rosso/nero). Illustrazione di Sofia Shen (JPL/Caltech).
Riferimenti bibliografici:
Park, R.S., Jacobson, R.A., Gomez Casajus, L. et al. Io’s tidal response precludes a shallow magma ocean, Nature (2024), DOI: https://doi.org/10.1038/s41586-024-08442-5
Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
LA PRIMA ANALISI 3D SULLA FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DEGLI AMMASSI GLOBULARI
Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics apre nuove prospettive sulla nostra comprensione della formazione ed evoluzione dinamica delle popolazioni stellari multiple negli ammassi globulari, agglomerati di stelle di forma sferica, molto compatti, formati tipicamente da 1-2 milioni di stelle. Un gruppo di ricercatori, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università degli Studi di Bologna e dell’Università dell’Indiana negli USA, ha infatti condotto la prima analisi cinematica 3D (tridimensionale) delle popolazioni stellari multiple per un campione rappresentativo di 16 ammassi globulari nella nostra Galassia, fornendo una descrizione osservativa pionieristica del modo in cui le stelle si muovono al loro interno e della loro evoluzione dall’epoca di formazione fino allo stato presente.
Galleria di immagini dei 16 ammassi globulari analizzati in ordine di differenza delle proprietà cinematiche osservate tra le popolazioni stellari multiple. Crediti: ESA/Hubble – ESO – SDSS
Emanuele Dalessandro, ricercatore presso l’INAF di Bologna, primo autore dell’articolo e coordinatore del gruppo di lavoro spiega:
“La comprensione dei processi fisici alla base della formazione ed evoluzione iniziale degli ammassi globulari è una delle più affascinanti e discusse domande astrofisiche degli ultimi 20-25 anni. I risultati del nostro studio forniscono la prima evidenza concreta che gli ammassi globulari si siano generati attraverso molteplici eventi di formazione stellare e pongono vincoli fondamentali sul percorso dinamico seguito dagli ammassi nel corso della loro evoluzione. Questi risultati sono stati possibili grazie a un approccio multi-diagnostico e alla combinazione di osservazioni e simulazioni dinamiche allo stato dell’arte”.
Lo studio evidenzia che le differenze cinematiche tra le popolazioni multiple sono estremamente utili per comprendere i meccanismi di formazione ed evoluzione di queste antiche strutture.
Con età che possono arrivare a 12-13 miliardi di anni (quindi fino all’alba del Cosmo), gli ammassi globulari sono tra i primi sistemi a essersi formati nell’Universo e rappresentano una popolazione tipica di tutte le galassie. Sono sistemi compatti – con masse di alcune centinaia di migliaia di masse solari e dimensioni di pochi parsec – e osservabili anche in galassie lontane.
“La loro rilevanza astrofisica è enorme – afferma Dalessandro – perché non solo ci aiutano a verificare i modelli cosmologici della formazione dell’Universo grazie alla loro età, ma ci offrono anche laboratori naturali per studiare la formazione, l’evoluzione e l’arricchimento chimico delle galassie”.
Nonostante gli ammassi stellari siano stati studiati per oltre un secolo, risultati osservativi recenti dimostrano che la loro conoscenza è ancora incompleta.
“Risultati ottenuti negli ultimi due decenni, hanno inaspettatamente dimostrato che gli ammassi globulari sono composti da più di una popolazione di stelle: una primordiale, con proprietà chimiche simili a quelle di altre stelle nella Galassia, e una con abbondanze chimiche anomale di elementi leggeri quali elio, ossigeno, sodio, azoto”,
dice Mario Cadelano, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e associato INAF, tra gli autori dello studio.
“Nonostante il gran numero di osservazioni e modelli teorici finalizzati a caratterizzare le proprietà di queste popolazioni, i meccanismi che regolano la loro formazione non sono tutt’ora compresi”.
Il satellite Gaia dell’ESA che mappa le stelle della Via Lattea. Crediti: ESA/ATG medialab; background: ESO/S. Brunier
Lo studio si basa sulla misura delle velocità nelle tre dimensioni, ovvero sulla combinazione di moti propri e velocità radiali, ottenuti dal telescopio dell’ESA Gaia e da dati ottenuti tra gli altri con il telescopio VLT dell’ESO principalmente nell’ambito della survey MIKiS (Multi Instrument Kinematic Survey), una survey spettroscopica specificamente indirizzata all’esplorazione della cinematica interna degli ammassi globulari. L’utilizzo di questi telescopi, dallo spazio e da terra, ha garantito una visione 3D senza precedenti della distribuzione di velocità delle stelle negli ammassi globulari selezionati.
Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO durante alcune osservazioni. Crediti: ESO/S. Brunier
Dalle analisi emerge che le stelle con differenti abbondanze di elementi leggeri sono caratterizzate da proprietà cinematiche differenti, come la velocità di rotazione e la distribuzione delle orbite.
“In questo lavoro abbiamo analizzato nel dettaglio come si muovono all’interno di ogni ammasso migliaia di stelle”, aggiunge Alessandro Della Croce, studente di dottorato presso l’INAF di Bologna. “È risultato subito chiaro che stelle appartenenti a diverse popolazioni sono caratterizzate da proprietà cinematiche differenti: le stelle con composizione chimica anomala tendenzialmente ruotano all’interno dell’ammasso più velocemente delle altre e si diffondono progressivamente dalle regioni centrali verso quelle più esterne”.
L’intensità di queste differenze cinematiche dipende all’età dinamica degli ammassi globulari.
“Questi risultati sono compatibili con l’evoluzione dinamica a ‘lungo termine’ di sistemi stellari in cui le stelle con abbondanze chimiche anomale si formano più centralmente concentrate e più rapidamente rotanti di quelle standard. Ciò di conseguenza suggerisce che gli ammassi globulari si siano generati attraverso eventi multipli di formazione stellare e fornisce un tassello importante nella definizione dei processi fisici e dei tempi-scala alla base della formazione ed evoluzione di ammassi stellari massicci”, sottolinea Dalessandro.
Questa nuova visione tridimensionale del moto delle stelle all’interno degli ammassi globulari fornisce un quadro inedito e affascinante sulla formazione ed evoluzione dinamica di questi sistemi, contribuendo a chiarire alcuni dei misteri più complessi riguardanti l’origine di queste antichissime strutture.
Che fine fanno le zanzare d’inverno? Una task force italiana guidata dal Dipartimento di Sanità pubblica e Malattie infettive della Sapienza ha avviato un progetto di citizen-science per ottenere una mappatura spaziale e temporale delle più pericolose specie di zanzare ormai presenti sul nostro territorio attraverso una nuova versione dell’app Mosquito Alert. Primo obiettivo: scoprire grazie alle segnalazioni dei cittadini dove vanno le zanzare nella stagione invernale.
Le zanzare, si sa, non sono più quelle “di una volta”. Negli ultimi decenni, la globalizzazione e i cambiamenti climatici hanno portato alla diffusione in Italia e in Europa di specie di zanzare esotiche, un tempo confinate alle regioni tropicali, prima di tutte la famosa zanzara tigre (Aedes albopictus), ma anche altre specie meno note, come la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e quella coreana (Aedes koreicus). Queste specie non solo hanno cambiato la vita di tutti noi a causa del loro comportamento di puntura aggressivo e diurno, ma hanno creato le condizioni per la trasmissione di virus esotici capaci di causare gravi patologie all’uomo. Per combattere questo pericoloso insetto, in Italia, è stata creata una task force nazionale coordinata dal gruppo di Entomologia Molecolare del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università Sapienza di Roma, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), MUSE -Museo delle Scienze di Trento, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e dell’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna. Il progetto si inserisce nell’ambito delle attività di sviluppo e ottimizzazione di strategie di sorveglianza e monitoraggio delle specie di zanzare invasive promosse dal progetto Europeo “Aedes Invasive Mosquito” COST ACTION (AIM-COST), coordinato dal gruppo della Sapienza, che vede ad oggi la partecipazione di ricercatori e professionisti di 41 paesi.
Il gruppo di lavoro si avvale del prezioso contributo di Mosquito Alert, un’applicazione gratuita per telefoni cellulari, attraverso la quale ogni cittadino può inviare segnalazioni e fotografie di zanzare. Mosquito Alert è attiva dal 2014 in Spagna dove ha permesso di rilevare rapidamente l’espansione della zanzara tigre a regioni settentrionali fino a poco fa ancora esenti e la presenza di nuove specie invasive, grazie ad oltre 18.000 avvistamenti inviati da un’ampia rete di volontari. Mosquito Alert ha da oggi una dimensione internazionale grazie a due progetti finanziati dalla Comunità Europea – la AIM-COST Action e Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) – che riuniscono 46 paesi in Europa ed in regioni limitrofe. È stata già tradotta in 17 lingue, Italiano incluso, e aggiornata rispetto alla versione del 2014. La nuova versione consente non solo l’invio di foto delle zanzare (aliene e non), ma anche segnalazioni delle punture ricevute. Attraverso una task force di oltre 50 esperti entomologi, le immagini inviate vengono identificate e archiviate per consentire una valutazione su larga scala della diffusione e stagionalità delle diverse specie, impossibile da ottenere con strumenti entomologici convenzionali isolato per isolato in tutti i centri abitati dei paesi interessati.
La presenza delle zanzare non va sottovaluta, nel 2017 un’epidemia del virus chikungunya, sostenuta dalla zanzara tigre, ha causato centinaia di infezioni nel Lazio e in Calabria, e nelle scorse settimane si sono registrati nel Vicentino i primi 10 casi autoctoni del più temibile virus della dengue. La trasmissione di questi virus a partire da viaggiatori infetti provenienti da regioni tropicali endemiche è diventata ormai la norma in molto paesi europei. Questi casi si sommano a quelli di un virus endemico nel nostro territorio – il virus del Nilo Occidentale – trasmesso dalla zanzara notturna nostrana (Culex pipiens), per il quale negli ultimi anni si è osservato un preoccupante aumento, probabilmente legato a un clima particolarmente favorevole al vettore. Secondo i dati del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (E-CDC), nel 2020 ci sono stati 29 casi di virus del Nilo Occidentale in Italia e 1.688 casi in Europa, con 13 decessi.
“L’Italia è certamente uno dei paesi europei in cui il rischio di un aggravarsi della trasmissione di malattie trasmesse da vettore è più elevato” sottolinea Beniamino Caputo responsabile della task force italiana “Per questo pensiamo che Mosquito Alert possa veramente rappresentare un significativo passo in avanti verso la mappatura spaziale e temporale delle più pericolose specie di zanzare ormai presenti sul nostro territorio e la sorveglianza di nuove invasioni. Per aiutare i cittadini a capire il significato e l’importanza del contributo che ci aspettiamo da loro, abbiamo creato un sito dedicato (https://www.allertazanzarevirus.com) che fornisce informazioni di base sulla biologia, i rischi sanitari e il controllo delle zanzare, e include una sezione dedicata a Mosquito Alert”.
Ma ha senso impegnarsi in questo sforzo proprio ora che la bella stagione (per noi, ma anche per le zanzare) volge al termine? “Senz’altro sì spiega Caputo “non sappiamo molto sul comportamento delle zanzare nei mesi freddi. Sappiamo che la zanzara tigre produce uova ibernanti che schiuderanno la prossima primavera, ma sappiamo anche che adulti di questa specie e di Culex pipiens vengono segnalati anche d’inverno. Solo con il contributo attivo dei cittadini potremo capire quanto importante sia questo fenomeno nelle varie regioni, e utilizzare questo dato per sviluppare più efficaci strategie di controllo. Inoltre, i dati che speriamo di ricevere a partire dalle prossime settimane ci serviranno per tarare ed ottimizzare il sistema per il prossimo anno. Senz’altro la prossima primavera ci faremo risentire per una chiamata alle armi di tutti i cittadini che vogliono aiutarci nella lotta contro questi fastidiosi e pericolosi nemici!”.
Progetti in corso
Mosquito Alert è un progetto di citizen-science no-profit attivo in Spagna sin dal 2014 coordinato da CEAB-CSIC, CREAF e dall’Università Pompeu Fabra. Ad oggi ha ricevuto e analizzato 18.300 segnalazioni da parte dei cittadini e ha contribuito ad aggiornare le mappe della distribuzione di Aedes albopictus in Spagna e a segnalare il primo rilevamento di Aedes japonicus nel paese.
La Aedes Invasive Mosquito COST ACTION (AIM-COST) è un network di esperti pubblici e privati che operano nella ricerca, sorveglianza e controllo delle zanzare invasive finanziato dalla Comunità Europea. È stato creato nel 2018 e raggruppa oggi ricercatori e professionisti di 33 paesi Europei e di 9 partner internazionali sotto la coordinazione del gruppo di Entomologia Medica del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università di Roma SAPIENZA. Tra i suoi principali obiettivi, AIM-COST ha lo sviluppo di strategie di monitoraggio delle specie invasive di zanzare su scala nazionale ed europea tramite la combinazione di metodi entomologici convenzionali con attività di citizen science. Il progetto ha contribuito e contribuirà al passaggio di Mosquito Alert da una scala nazionale a quella europea.
Il Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) è un progetto finanziato dalla Comunità Europea, partito a gennaio 2020, volto a creare un sistema di allarme per malattie infettive emergenti basato su evidenze scientifiche. La rivoluzione digitale, insieme alla “data science” e all’uso di tecnologie genomiche innovative, offre grandi opportunità per rilevare malattie infettive, grazie ad un processo iterativo tra esperti di tecnologia, data scientist, big data, medicina, entomologia, epidemiologia, scienziati sociali e scienziati il grazie al contributo attivo dei cittadini nella generazione di dati osservazionali. Il progetto ha contribuito alla creazione della nuova versione di Mosquito Alert, e si occuperà dell’elaborazione dei dati ottenuti e della loro integrazione con altri database di informazioni demografiche, geografiche e climatiche per sviluppare modelli descrittivi e predittivi per patologie potenzialmente pandemiche.
Testo dall’Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma