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UNO SPETTROMETRO ITALIANO CI DARÀ RISPOSTE DECISIVE SULLA PRESENZA DI VITA SU MARTE

Progettato per studiare la mineralogia e le proprietà fisiche del sottosuolo marziano, lo spettrometro italiano Ma_MISS a bordo del rover Rosalind Franklin della missione ESA ExoMars potrà rivelare anche la presenza di sostanze organiche tra cui l’acido benzoico, sostanza già trovata su Marte dal rover Curiosity. Lo dimostra uno studio pubblicato su Astrobiology, guidato da ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Università Aix-Marseille.

Il sistema di misurazione di DAVIS, il nuovo modello di laboratorio dello strumento Ma_MISS.
Crediti: INAF/ASI/Ma_MISS team

Uno degli strumenti a bordo del rover Rosalind Franklin dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che esplorerà Marte nell’ambito del programma ExoMars, è l’italiano Ma_MISS (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies), realizzato da Leonardo, con il finanziamento e coordinamento dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la supervisione scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). La missione si propone di rispondere a uno degli interrogativi più affascinanti mai affrontati dall’umanità: c’è, o c’è mai stata, vita sul Pianeta rosso?

Spettrometro italiano Ma_MISS darà risposte sulla presenza di vita su Marte
Uno spettrometro italiano darà risposte sulla presenza di vita su Marte. Dettaglio del trapano e di un campione di test trivellato: si nota la luce che fuoriesce dalla finestra di zaffiro dello strumento Ma_MISS.
Crediti: INAF/ASI/Ma_MISS team

Ma_MISS è uno spettrometro miniaturizzato a fibra ottica, operante nelle lunghezze d’onda del visibile e del vicino infrarosso, montato all’interno del trapano del rover che perforerà il suolo marziano, per la prima volta, fino a una profondità di due metri. Il suo principale obiettivo scientifico è quello di ricostruire l’evoluzione geologica di Oxia Planum, una delle più estese e antiche pianure argillose del pianeta, selezionata per l’atterraggio e le esplorazioni del rover Rosalind Franklin. Per farlo, Ma_MISS studierà in situ la composizione delle rocce del sottosuolo e le proprietà ottiche e fisiche dei materiali, come ad esempio la dimensione dei grani. Lo strumento contribuirà inoltre alla ricostruzione dei profili verticali dei siti di perforazione per arrivare a definire i processi geologici che hanno caratterizzato l’area di studio, ricavando importanti informazioni come la mineralogia e l’eventuale presenza e distribuzione di acqua e ghiaccio nel sottosuolo. In quest’ottica, la performance dello strumento era stata inizialmente testata solo su campioni geologici per la caratterizzazione di materiale inorganico. Ora un nuovo studio guidato da ricercatori e ricercatrici dell’INAF, dell’ASI e dell’Università Aix Marseille (Francia), ha dimostrato che Ma_MISS potrà avere un ruolo fondamentale per obiettivi ancora più ampi che rappresentano il focus principale della missione: la ricerca di tracce di vita su Marte. I risultati sono pubblicati sulla rivista Astrobiology.

“Lo strumento Ma_MISS sarà l’unico ad operare realmente in situ nel sottosuolo marziano, perché l’altro spettrometro a bordo del rover (MicrOmega) opererà sul campione prelevato in profondità successivamente ad un trattamento di macinazione, che ne modifica le caratteristiche originarie” spiega Marco Ferrari dell’INAF, primo autore del lavoro. “Allora ci siamo chiesti se Ma_MISS potesse in qualche modo dare informazioni non solo mineralogiche, ma anche relative alla presenza di sostanze organiche direttamente nel sottosuolo, ovvero prima del prelievo del campione, restituendo così una informazione completa del sottosuolo inalterato. E la risposta è stata affermativa: i dati di Ma_MISS sul sottosuolo inalterato potrebbero essere fondamentali nella scelta della profondità di prelievo dei campioni della missione. L’eventuale rilevamento di materia organica da parte di Ma_MISS risulterebbe quindi cruciale nella selezione del campione di una missione deputata alla ricerca di tracce di vita passata o presente nel sottosuolo marziano”.

Per questo lavoro, il team ha condotto dapprima un primo studio della composizione di Oxia Planum attraverso dati di missioni precedenti: questo ha permesso la preparazione di una serie di campioni, partendo da analoghi della composizione del suolo marziano con l’aggiunta di sostanze organiche in diverse quantità. In particolare, i campioni analoghi marziani sono stati arricchiti con la glicina (il più semplice tra gli amminoacidi); l’asfaltite (una forma di asfalto, o bitume, presente in natura); il poliossimetilene (un polimero cristallino); e l’acido benzoico (un composto aromatico che si trova naturalmente in molte piante). I ricercatori hanno quindi ottenuto uno spettro dei diversi campioni in laboratorio, utilizzando il modello di laboratorio dello strumento Ma_MISS disponibile presso l’INAF a Roma, per poi analizzare e interpretare i dati raccolti.

“Questa ricerca mostra le potenzialità dello strumento italiano Ma_MISS nel rilevamento di sostanze organiche all’interno di campioni minerali” aggiunge Maria Cristina De Sanctis, principal investigator di Ma_MISS e co-autrice del nuovo lavoro. “Solitamente, tramite la spettroscopia, le sostanze organiche vengono rivelate intorno ai 3 micron. Con Ma_MISS invece abbiamo tentato di rivelarle nell’intervallo tra 0.5 e 2.3 micron. Come risultato abbiamo ottenuto che Ma_MISS è in grado di rilevare diverse sostanze organiche all’interno di una miscela minerale quando queste sono presenti fino alla quantità minima dell’1% in peso”.

“Inizialmente, il compito di Ma_MISS era quello di fornire un contesto mineralogico per i campioni  prelevati nel terreno marziano e che sarebbero poi stati analizzati nel laboratorio analitico presente sul rover”, dichiara Eleonora Ammannito, ASI Project Scientist dello strumento Ma_MISS e co- autrice dello studio. “Con questo studio abbiamo dimostrato che Ma_MISS può fare molto di più cioè, ovvero può fare l’identificazione diretta di alcuni tipi di materiale organico. Questo risultato dimostra la centralità dello strumento Ma_MISS rispetto all’obiettivo primario della missione Rosalind Franklin che è quello di trovare eventuali tracce di vita presente o passata sul pianeta Marte”.

Dopo la sospensione e il successivo annullamento del lancio a marzo 2022, l’ESA sta ridefinendo i dettagli della missione ExoMars Rosalind Franklin insieme a partner internazionali e industriali, con nuovi elementi europei. La partenza è attualmente prevista per il 2028.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Constraining the Rosalind Franklin Rover/Ma_MISS Instrument Capability in the Detection of Organics”, di M. Ferrari, S. De Angelis, M.C. De Sanctis, A. Frigeri, F. Altieri, E. Ammannito, M. Formisano, e V. Vinogradoff, è stato pubblicato online sulla rivista Astrobiology.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

NUOVO STUDIO RIVELA GLI EFFETTI DEL TRACCIAMENTO DIGITALE IN COMBINAZIONE CON ALTRI INTERVENTI NON-FARMACEUTICI SUL CONTROLLO DELLA PANDEMIA DI COVID-19

Il lavoro, frutto di una collaborazione tra Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Isi – Torino, Università di Torino e di altri istituti di ricerca stranieri, è stato pubblicato sull’autorevole rivista Nature Communications. I risultati analizzano in quali casi le strategie di isolamento e il digital contact tracing via app possono aiutare il contenimento di focolai riemergenti

tracciamento pandemia
Un nuovo studio rivela gli effetti del tracciamento digitale in combinazione con altri interventi non-farmaceutici sul controllo della pandemia di COVID-19. Foto di Markus Winkler 

Uno studio innovativo sull’effetto e sul ruolo del tracciamento digitale dei contatti durante la pandemia di COVID-19 e di diverse politiche di adozione e integrazione del sistema con altri interventi non-farmaceutici è stato recentemente pubblicato sull’autorevole rivista Nature CommunicationsIl lavoro è frutto di una collaborazione guidata dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento, insieme al Politecnico di Losanna (EPFL), la Technical University di Copenaghen (DTU), l’Università di Aix-Marsiglia, la Fondazione ISI – Torino e l’Università degli Studi di Torino. Fra gli autori figurano diversi ricercatori che hanno contribuito al protocollo DP-3T per il tracciamento privacy-preserving dei contatti, a cui è ispirato il sistema di exposure notification di Apple Google usato da molte delle app nazionali di tracciamento, inclusa quella italiana.

Il tracciamento digitale dei contatti per mezzo di un’app per smartphone, come l’italiana Immuni, è stato al centro di molte discussioni durante l’anno passato, sia per gli aspetti prettamente tecnologici che per le sfide legate alla partecipazione dei cittadini, alla protezione dei dati personali, e all’integrazione nei servizi di tutela della salute pubblica.

L’idea di tracciamento dei contatti non è nuova, ed è noto che il tracciamento dei contatti, tradizionalmente inteso, gioca un ruolo cruciale nella risposta all’epidemia. All’inizio della crisi COVID-19, uno studio pionieristico del Dr. Luca Ferretti, del Prof. Christophe Fraser e di altri ricercatori dell’Università di Oxford, pubblicato sulla rivista Science, ha indicato che il contenimento di focolai epidemici potrebbe beneficiare da un’app per smartphone che avvisi in modo tempestivo gli utenti che si sono trovati in prossimità ravvicinata di un individuo poi rivelatosi positivo. A un anno di distanza, nei paesi che hanno integrato efficientemente il tracciamento digitale dei contatti nella propria risposta sanitaria (come ad esempio Svizzera e Regno Unito) inizia ad accumularsi evidenza che queste app possono contribuire a mitigare l’impatto dell’epidemia. È perciò importante studiare in modo dettagliato il ruolo che il tracciamento digitale può giocare in combinazione con gli altri interventi non-farmaceutici per il contenimento di focolai ri-emergenti dell’epidemia.

Lo studio pubblicato su Nature Communications – i cui primi autori sono i ricercatori della Fondazione Bruno Kessler, Giulia Cencetti e Gabriele Santin dell’Unità di ricerca Mobile and Social Computing Lab (MobS Lab) guidata da Bruno Lepri – ha rilevato con una serie di simulazioni l’effetto del tracciamento digitale dei contatti e di diverse politiche di adozione ed integrazione del sistema con altri interventi. Piuttosto che fare assunzioni sulla struttura delle reti di contatto, lo studio ha usato dati reali di prossimità degli individui, raccolti da due progetti di scienza delle reti sociali: il primo progetto è il Copenaghen Network Study, guidato dal Prof. Sune Lehmann (DTU), che ha tracciato un grande gruppo di studenti volontari utilizzando smartphone; il secondo progetto si chiama SocioPatterns ed è guidato dal Prof. Ciro Cattuto della Fondazione ISI – Torino e dell’Università di Torino, e dal Prof. Alain Barrat del CNRS francese e dell’Università Aix-Marseille: in questo caso i contatti sono stati misurati usando sensori di prossimità indossati da volontari in diversi ambienti rilevanti per la trasmissione di malattie infettive, come ad esempio scuole, uffici, etc. L’uso di dati reali di contatto è uno degli aspetti innovativi dello studio, che fornisce dei criteri quantitativi per valutare l’efficacia del contact tracing digitale in funzione di alcuni parametri critici, come il ritardo nell’isolamento degli individui allertati ed il livello di adozione dell’app nella popolazione. I risultati dello studio mostrano che le strategie di isolamento e il digital contact tracing via app possono aiutare il contenimento di focolai riemergenti se alcune condizioni sono soddisfatte, in particolare se la propagazione è complementata da altri interventi come l’uso di mascherine e il distanziamento fisico, se l’adozione dell’app è alta, e se il ritardo nell’isolamento dei contatti è minimo. Lo studio mostra inoltre che il tracciamento dei contatti di secondo ordine (i contatti dei contatti, più intrusivo in termini di privacy) non è efficace, e conferma che il meccanismo di exposure notification in uso nella maggior parte delle app nazionali, che si limita ai contatti del primo ordine e minimizza i dati raccolti, è adeguato per conseguire i benefici del contact tracing digitale.

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino sugli effetti del tracciamento digitale in combinazione con altri interventi non-farmaceutici sul controllo della pandemia di COVID-19.