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INTUBAZIONE VIDEO-ASSISTITA DEL PAZIENTE CRITICO: NUOVO STUDIO DI RICERCATORI UNITO DIMOSTRA L’EFFICACIA DEL VIDEOLARINGOSCOPIO

Il lavoro del team di Anestesia Rianimazione del San Luigi – Università di Torino pubblicato sul British Journal of Anesthesia, la più importante rivista di settore. I risultati sono di grande importanza perché aprono la strada a un utilizzo sistematico della videolaringoscopia, non solo in anestesia ma anche nel paziente critico.

videolaringoscopio intubazione tracheale paziente critico
Un videolaringoscopio. Foto di DiverDave, CC BY 3.0

L’intubazione tracheale è una delle più frequenti manovre eseguite sia in anestesia che in rianimazione per assicurare le vie aeree e consentire l’avvio della ventilazione artificiale. Nel paziente critico, a causa delle compromissioni delle condizioni di base (shock, insufficienza respiratoria) questa manovra può associarsi a gravi complicanze.

Un team di ricercatori, coordinato dal dott. Vincenzo Russotto, ricercatore del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e rianimatore presso l’AOU San Luigi Gonzaga, e dal prof. Pietro Caironi, Direttore dell’UOC di Anestesia e Rianimazione del San Luigi e docente dello stesso Ateneo, ha appena messo in luce il ruolo del videolaringoscopio per l’intubazione del paziente critico attraverso una analisi di quasi 3.000 pazienti inclusi nello studio INTUBE, che ha valutato la pratica della gestione delle vie aeree nel mondo.

Il videolaringoscopio è un device già utilizzato da diversi anni in anestesia. A differenza del laringoscopio tradizionale, consente di visualizzare le vie aeree attraverso la visione indiretta fornita da una telecamera. Attraverso tale metodo, la visione è più agevole, consentendo di concludere l’intubazione in sicurezza anche nelle situazioni di maggior difficoltà anatomiche o quando la visione per via tradizionale è estremamente difficile (edema, sanguinamenti, presenza di neoformazioni).

In anestesia, diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di questa nuova metodica. Nel paziente critico (terapia intensiva o pronto soccorso) l’evidenza scientifica a supporto del suo utilizzo è stata finora conflittuale, evidenziando originalmente una maggiore probabilità di complicanze quali ipotensione e desaturazione, verosimilmente associate al coinvolgimento di operatori non esperti nell’utilizzo della metodica video-assistita, la cui curva di apprendimento è differente rispetto alla metodica tradizionale.

Lo studio pubblicato dai ricercatori UniTo sulla più importante rivista del settore, British Journal of Anesthesia, ha studiato l’efficacia della videolaringoscopia nella popolazione inclusa nello studio INTUBE dimostrando che, a fronte di pazienti con condizioni cliniche predittive di una maggior difficoltà di intubazione, i pazienti sottoposti a tecnica video assistita con videolaringoscopia venivano più frequentemente intubati con successo al primo tentativo. Inoltre, pur trattandosi di pazienti critici in gravi condizioni, non si è osservata una maggior incidenza di eventi avversi. Questi risultati inattesi ed estremamente importanti sono stati confermati, tramite metodiche di statistica avanzata (inverse probability of treatment weighting) considerando anche tutti i possibili fattori di confondimento, inclusa l’esperienza degli operatori. È possibile che, negli anni, la crescente disponibilità di questo importante device abbia consentito agli operatori di acquisire maggiore competenza con la metodica video-assistita.

I risultati di questo studio sono di grande importanza perché aprono la strada ad un utilizzo sistematico della videolaringoscopianon solo in anestesia ma anche nel paziente critico, dove l’importanza dell’intubazione al primo tentativo è di fondamentale importanza, visto l’incremento notevole dei rischi qualora siano necessari più tentativi, garantendo così una maggior sicurezza nella cura di tali pazienti.

L’attività di ricerca del gruppo continua con due ulteriori studi multicentrici internazionali attualmente in corso, lo studio PREVENTION e lo studio STARGATE, entrambi coordinati ancora dal dott. Russotto e dal prof. Caironi. Il primo studio valuterà l’utilizzo della noradrenalina, un farmaco in grado di incrementare la pressione arteriosa, nella prevenzione del collasso cardiocircolatorio dopo intubazione nel paziente critico e il secondo si pone l’obiettivo ambizioso di descrivere lo stato dell’arte della gestione delle vie aeree durante anestesia nel mondo.

 

Link dello studio: https://www.bjanaesthesia.org/article/S0007-0912(23)00198-8/fulltext

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

ALLA BASE DEL COVID-19 GRAVE UN DIFETTO DELLE CELLULE STAMINALI 

Pubblicato su «Diabetes» lo studio effettuato dal Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e coordinato dal prof. Gian Paolo Fadini che dimostra un difetto di cellule staminali circolanti nei pazienti ricoverati per COVID-19 che hanno sviluppato un decorso sfavorevole della malattia. L’iperglicemia durante COVID-19 rappresenta una delle cause di riduzione delle cellule staminali circolanti. 

Gian Paolo Fadini COVID-19 grave cellule staminali
Gian Paolo Fadini, coordinatore dello studio pubblicato su Diabetes, che indaga la relazione tra cellule staminali e COVID-19 grave

Fin dall’inizio della pandemia, è emersa una stretta relazione tra diabete mellito e forme severe di COVID-19. Nel 2020 uno studio coordinato dal prof. Gian Paolo Fadini del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova aveva dimostrato che i pazienti affetti da diabete presentavano una probabilità raddoppiata di trasferimento in terapia intensiva o decesso. Come in altre ricerche simili in tutto il mondo, era stato osservato un rischio elevato di andamento sfavorevole anche per i pazienti ricoverati per COVID-19 con elevati valori di glicemia in assenza di diabete.

A far luce su questo tema, un nuovo studio, pubblicato su «Diabetes», la prestigiosa rivista ufficiale della Società Americana di Diabetologia e condotto dai docenti del Dipartimento di Medicina dell’Università, coordinati da Gian Paolo Fadini, Professore Associato di Endocrinologia e Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare.

Lo studio dimostra che i pazienti ricoverati per COVID-19 presentano un livello molto basso di cellule staminali nel sangue rispetto a soggetti senza infezione da SARS-CoV-2. Inoltre, tra i pazienti con COVID-19 coloro che presentavano livelli più bassi di cellule staminali avevano una probabilità aumentata più di 3 volte di ricovero in terapia intensiva o morte.

Un’altra novità principale dello studio consiste nel dimostrare una strettissima associazione tra iperglicemia al momento del ricovero, difetto di cellule staminali, ed andamento sfavorevole di COVID-19.

«I nostri precedenti studi sui pazienti diabetici – spiega il prof. Gian Paolo Fadini – ci hanno insegnato che le alte concentrazioni di glucosio riducono il livello di cellule staminali ematopoietiche circolanti. Il rilascio di queste cellule nel sangue – continua il professore – è necessario all’organismo per mantenere un’adeguata capacità dei tessuti di ripararsi e di rispondere agli insulti».

«Ora abbiamo osservato che anche nei pazienti senza una storia di diabete, lo stato iper-infiammatorio durante COVID-19 può causare iperglicemia e che questo rialzo glicemico riduce le cellule staminali – sottolinea Benedetta Bonora, ricercatrice del Dipartimento di Medicina dell’Università e prima autrice dello studio –. A sua volta, il difetto di cellule staminali conduce ad un peggioramento del decorso clinico della malattia e spiega perché i pazienti con iperglicemia al momento dell’ingresso in ospedale rischiano di soccombere al COVID-19».

Il lavoro emerge da una collaborazione congiunta con l’Unità di Malattie Infettive, diretta dalla dottoressa Annamaria Cattelan, dove i pazienti sono stati ricoverati, e della Medicina di Laboratorio, diretta dalla prof.ssa Daniela Basso. Come spiega proprio la prof.ssa Basso:

«Raramente osserviamo livelli così bassi di cellule staminali circolanti in individui senza malattie del sangue – conferma Daniela Basso –. Si tratta molto probabilmente di una delle conseguenze dell’abnorme immuno-attivazione indotta dal virus, ma non possiamo escludere che il virus infetti le cellule staminali e le uccida».

«Nelle nostre precedenti ricerche – puntualizza Gian Paolo Fadini – abbiamo scoperto che uno dei meccanismi con cui l’iperglicemia riduce le cellule staminali passa attraverso una molecola chiamata Oncostatina M che stimola la produzione di cellule infiammatorie e trattiene le cellule staminali nel midollo, creando un circolo vizioso. Ora intendiamo verificare se Oncostatin M può essere un target terapeutico per la cura dei pazienti con COVID-19».

«L’iperglicemia all’ingresso in ospedale era presente in quasi la metà dei pazienti ricoverati per COVID-19 – conclude il prof. Angelo Avogaro, direttore della Diabetologia dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, facendo comprendere l’enorme rilevanza di questo problema nell’attuale fase pandemica –. Ampliando le conoscenze sulle interazioni tra iperglicemia, cellule staminali e COVID-19 questo studio aiuta a identificare un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per spegnere l’eccessiva risposta immuno-infiammatoria che conduce i pazienti con infezione da SARS-CoV-2 a sviluppare complicanze gravi ed a soccombere al virus».

Link alla ricerca:

https://diabetesjournals.org/diabetes/article/doi/10.2337/db21-0965/140945/Hyperglycemia-Reduced-Hematopoietic-Stem-Cells-and

Titolo: “Hyperglycemia, reduced hematopoietic stem cells, and outcome of COVID-19” – «Diabetes» – 2022

Autori: Benedetta Maria Bonora, Paola Fogar, Jenny Zuin, Daniele Falaguasta, Roberta Cappellari, Annamaria Cattelan, Serena Marinello, Anna Ferrari, Angelo Avogaro, Mario Plebani, Daniela Basso, Gian Paolo Fadini.

Gian Paolo Fadini

Gian Paolo Fadini è Professore Associato di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Padova e Dirigente Medico presso la Divisione di Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova. È anche Principal investigator del Laboratorio di Diabetologia Sperimentale presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (http://www.vimm.it/scientific-board/gian-paolo-fadini/), una struttura scientifica traslazionale e di base.

L’attività didattica del Prof. Fadini è rivolta agli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e del Corso di Specialità in Endocrinologia e Metabolismo, mentre le attività di ricerca sono dedicate allo studio delle complicanze croniche del diabete, delle cellule staminali nel diabete, dell’angiogenesi, dell’aterosclerosi, della calcificazione e rigenerazione vascolare, della guarigione delle ulcere, delle sindrome metabolica e insulino-resistenza, dello stress ossidativo, delle complicanze diabetiche acute, e dei meccanismi genetiche di longevità delle malattie metaboliche.

Con una serie di studi clinici traslazionali sulle cellule progenitrici endoteliali, l’attività di ricerca del Prof. Fadini ha contribuito alla comprensione di come il diabete induca danno vascolare e comprometta la riparazione endoteliale. Come evoluzione di questo campo di studi, il Prof. Fadini è passato a considerare il midollo osseo, che regola le cellule staminali vascolari e la rigenerazione, come bersaglio delle complicanze diabetiche. In ambito clinico, il Prof. Fadini ha condotto studi utilizzando dati clinici accumulati routinari sugli esiti cardiovascolari e sull’efficacia nel mondo reale dei farmaci ipoglicemizzanti, inclusa la serie di studi osservazionali nazionali DARWIN.

Al Professor Gian Paolo Fadini è stato assegnato il premio Minkowski, il riconoscimento europeo più prestigioso nel campo delle ricerche sul diabete, per le sue ricerche sul ruolo delle alterazioni delle cellule staminali nelle complicanze vascolari del diabete.

Il Prof. Fadini è Associate Editor per Atherosclerosis, Journal of Endocrinological Investigation e Nutrition Metabolism & Cardiovascular Disease, è membro del board di European Heart Journal, Diabetes Obesity & Metabolism e Cardiovascular Diabetology edex membro del consiglio di Diabetes e Clinical Science e revisore (tra gli altri) per: Lancet Diabetes & Endocrinology, Circulation, Circulation Research, J Am Coll Cardiol, ATVB, Stem Cells, Stroke, Diabetologia, Diabetes Care. Ha pubblicato più di 300 articoli su riviste peer-review, con un H-index di 54.

 

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova, sullo studio pubblicato su Diabetes, che indaga la relazione tra cellule staminali e COVID-19 grave.

PREVISIONE DELLA MORTALITÀ IN TERAPIA INTENSIVA COVID-19

Sviluppato uno strumento, attraverso l’approccio di Machine Learning che utilizza l’algoritmo Super Learner, capace di identificare i ricoverati per COVID-19 più a rischio di eventi fatali

terapia intensiva mortalità COVID COVID-19
Paolo Navalesi

Il recente studio pubblicato dalla rivista «Journal of Anesthesia, Analgesia and Critical Care» dal titolo “COVID-19 ICU mortality prediction: a machine learning approach using SuperLearner algorithm”, coordinato dal prof. Paolo Navalesi, direttore della COVID-19 VENETO ICU Network, e dal prof. Dario Gregori, Direttore dell’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, oltre a sollevare importanti riflessioni sull’indagine dei fattori predittivi di mortalità in terapia intensiva in pazienti affetti da COVID-19, apre lo sguardo sull’importanza di nuove tecniche di analisi di dati clinici tramite Machine Learning una delle nuove frontiere di formazione per medici e operatori sanitari.

terapia intensiva mortalità COVID COVID-19
Dario Gregori

Il Machine Learning (ML o apprendimento automatico) è uno dei principali rami dell’intelligenza artificiale ed è una tecnologia fondamentale per la gestione e la comprensione dell’enorme quantità di dati, sanitari e non, che produciamo quotidianamente. L’uso del ML in medicina permette l’identificazione più rapida e precisa dei meccanismi che sono alla base di una malattia o della sua degenerazione, ma anche per definire una terapia in base alle caratteristiche personali del paziente.

La ricerca, che mette in luce l’età avanzata dei pazienti come uno dei predittori di maggiore mortalità per COVID in Terapia Intensiva, è il risultato di uno sforzo congiunto tra una rete di anestesisti, rianimatori e biostatistici.  Lo studio è stato coordinato dal prof. Paolo Navalesi, direttore della COVID-19 VENETO ICU Network, e dal prof. Dario Gregori, Direttore dell’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova.

«È importante sottolineare come la consapevolezza della necessità di far rete stia diventando il nuovo modus operandi per far fronte anche alle sfide delle emergenze epidemiologiche – spiega il professor Paolo Navalesi, direttore della COVID-19 VENETO ICU Network -. Nemmeno le Unità di terapia intensiva sono più un’isola all’interno degli ospedali. Mai come in questi mesi la loro funzione e operatività è stata al centro dell’attenzione pubblica. Le 25 Unità Operative del Veneto lavorano già in rete per raccogliere i dati di ogni ricoverato. Per questo studio abbiamo chiesto il coinvolgimento dei colleghi di Milano e aggiungere la visione di una realtà extra regionale ma ugualmente impegnata sul fronte del COVID. Ma soprattutto, la rete che ci ha visto coinvolti in modo innovativo e che ci permette di avere una importante chiave di lettura, è quella creata all’interno del nostro Ateneo tra l’istituto di Anestesia e Rianimazione e l’Unità di Biostatistica del prof. Gregori».

Il lavoro mirava a sviluppare uno strumento, attraverso un approccio di Machine Learning, capace di identificare i ricoverati per COVID-19 più a rischio di eventi fatali. La relazione studiata, quindi, è stata quella tra le caratteristiche dei pazienti e i casi di mortalità, prendendo in esame età, genere, punteggio di valutazione dell’insufficienza d’organo, necessità di ventilazione meccanica invasiva, ventilazione meccanica non invasiva, ossigenazione extracorporea a membrana, emofiltrazione venoso-venosa continua, tracheostomia, re-intubazione, posizione prona durante la degenza in terapia intensiva; e riammissione in terapia intensiva. Questi erano i dati a disposizione e processabili in un momento di emergenza e di grandissimo carico di lavoro nelle 25 terapie intensive del Veneto

Si è basato sui dati di 1616 pazienti ricoverati nelle terapie intensive della COVID-19 VENETO ICU Network e dell’IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano dal 28 febbraio 2020 al 4 aprile 2021.

I modelli hanno evidenziato l’età come il parametro predittivo più importante sulla mortalità di questi pazienti.

Dall’inizio della pandemia, lo sviluppo di modelli predittivi ha suscitato grande interesse a causa della mancanza iniziale di conoscenze su diagnosi, trattamento e prognosi sull’argomento. Vale la pena notare che sono stati proposti diversi strumenti per la previsione della mortalità dei pazienti COVID-19; tuttavia, è difficile confrontare le loro prestazioni perché ogni modello è stato sviluppato in pazienti con caratteristiche diverse, utilizzando diversi insiemi di variabili e utilizzando tecniche diverse per lo sviluppo del modello stesso.

«Queste tecniche sono lo strumento metodologico alla base della person-centered clinical research (ricerca clinica basata sulla persona) e della medicina personalizzata, fondata sull’analisi dei dati clinici, integrati con algoritmi e con i big data a disposizione – sottolinea il Professor Dario Gregori, Direttore dell’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova -. Le variabili cliniche indagate rappresentano solo un piccolo numero di parametri potenzialmente rilevanti e in grado di influenzare gli esiti dei pazienti critici. Inoltre, diversi pazienti avevano registri incompleti, a causa dall’enorme carico di lavoro per i medici di terapia intensiva durante la pandemia di COVID-19. Ciò nonostante, i risultati di questa ricerca rappresentano l’ennesima dimostrazione della grandissima importanza della collaborazione tra biostatistici e medici per meglio capire le dinamiche dell’andamento di ogni malattia”

L’Unità di Biostatistica ha sviluppato tre diversi modelli predittivi, con le tecniche di ML. Ciascun modello includeva diversi set di variabili cliniche. I tre modelli hanno mostrato prestazioni predittive simili: l’età era il predittore principale per tutti i modelli considerati. Gli strumenti impiegati hanno dimostrato diversi punti di forza, tra cui il fatto che sono stati sviluppati su un’ampia coorte multicentrica di pazienti ammessi alle unità di terapia intensiva di due delle regioni italiane più colpite dalla pandemia di COVID-19

Link alla ricerca: https://janesthanalgcritcare.biomedcentral.com/articles/10.1186/s44158-021-00002-x

Titolo: «Access COVID-19 ICU mortality prediction: a machine learning approach using Super Learner algorithm» – «Journal of Anesthesia, Analgesia and Critical Care» – 2021

Autori: Giulia Lorenzoni1†, Nicolò Sella2†, Annalisa Boscolo3, Danila Azzolina1, Patrizia Bartolotta1, Laura Pasin3, Tommaso Pettenuzzo3, Alessandro De Cassai3, Fabio Baratto4, Fabio Toffoletto5, Silvia De Rosa6, Giorgio Fullin7, Mario Peta8, Paolo Rosi9, Enrico Polati10, Alberto Zanella11,12, Giacomo Grasselli11,12, Antonio Pesenti11,12, Paolo Navalesi 2,3*, Dario Gregori1 per la Rete ICU VENETO

1 Unità di Biostatistica, Epidemiologia    e Sanità Pubblica, Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche, Vascolari e Sanità Pubblica, Università di Padova, Padova, Italia.

2 Dipartimento di Medicina (DIMED), Policlinico Universitario di Padova, Padova, Italia.3Istitutodi Anestesia e Terapia Intensiva, Università di Padova Ospedale, Padova, Italia.

4 Unità di Anestesia e Terapia Intensiva, Ospedali Riuniti Padova Sud, Schiavonia, Italia.

e Unità di Terapia Intensiva, Ospedale di San Donà di Piave e Jesolo, San Donà di Piave, Italia.

6 Unità di Anestesia e Critica, Ospedale San Bortolo, Vicenza, Italia.

7 Unità di Anestesia e Cure Intensive, Ospedale Dell’Angelo, AULSS 3 Serenissima, Mestre, Italia.

8 Unità di Anestesia e Terapia Intensiva, Ospedale Ca’ Foncello, AULSS 2 Marca Trevigiana, Treviso, Italia.

9 Servizi Medici di Emergenza, Dipartimento Regionale, AULSS  3, Venezia, Italia.

10 Unità di Anestesia e Terapia Intensiva B, Dipartimento di Chirurgia, Odontoiatria, Ginecologia e Pediatria, Università degli Studi di Verona, AOUI- Azienda Ospedaliero-Universitaria Integrata, Verona, Italia.

11 Anestesia e Critical Care, Dipartimento di Fisiopatologia e Trapianti, Università del Milan,Milano,  Italia.

12 Dipartimento di Anestesia, Terapia Intensiva e Medicina d’Urgenza, Fondazione IRCCS Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, Italia

Foto di Mohamed Hassan

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova.

Effettuato presso Sapienza-Sant’Andrea il primo trapianto di trachea in Italia, primo al mondo su un paziente post Covid-19

L’intervento, reso necessario a causa delle lesioni provocate dalle complicanze della malattia, rappresenta un modello clinico a livello internazionale

È stato portato a termine con successo il primo trapianto di trachea in Italia, il primo al mondo che viene effettuato su un paziente post Covid-19. I danni conseguenti all’infezione SARS-Cov2 e alle tecniche di ventilazione invasiva che si sono rese necessarie durante la malattia, hanno provocato l’assottigliamento della trachea che impediva quasi completamente la respirazione, rendendo necessario effettuare l’intervento.

Cecilia Menna in sala operatoria

Il trapianto è stato eseguito lo scorso 2 marzo presso la Chirurgia Toracica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea, policlinico universitario della rete Sapienza e azienda di alta specializzazione della Regione Lazio. Il paziente, un uomo di 50 anni originario della Sicilia, immediatamente risvegliato è stato da subito in grado di respirare e parlare autonomamente; dopo un ricovero di tre settimane e un decorso post-operatorio regolare, ha ripreso la sua vita normale, tornando al suo lavoro e alla sua città.

Effettuato presso Sapienza-Sant’Andrea il primo trapianto di trachea in Italia, primo al mondo su un paziente post Covid-19. La conferenza stampa

L’importante traguardo è stato presentato il 15 aprile nell’aula magna della Sapienza da parte dello staff medico della Chirurgia toracica diretta da Erino Rendina e in particolare dalla giovane chirurga Cecilia Menna, la trentacinquenne responsabile del Programma “Tracheal Replacement” del Sant’Andrea che ha condotto con il professor Rendina l’intervento in prima persona. A prender parte, la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato, il direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera-universitaria Sant’Andrea Paolo Annibaldi, il preside della Facoltà di Medicina e psicologia Fabio Lucidi, che hanno condiviso il brillante risultato, spiegando la complessità della macchina organizzativa messa in moto per portare a compimento il trapianto.

Erino Rendina, Antonella Polimeni, Cecilia Menna

“Questo successo è motivo di soddisfazione per tutta la nostra comunità e rappresenta un’ulteriore conferma degli eccellenti risultati clinici della ricerca medica e scientifica prodotta dall’Ateneo, al servizio della salute della collettività” – afferma la rettrice Antonella Polimeni – Il fatto poi che questo intervento veda in prima linea una giovane chirurga è un segnale forte di come le competenze femminili si possano affermare in ambiti professionali come quello chirurgico, tradizionalmente a quasi esclusivo appannaggio degli uomini.”

“Un grande risultato a testimonianza dell’eccellenza clinica raggiunta dal sistema sanitario regionale” sottolinea l’Assessore Alessio D’Amato “Voglio ringraziare la Sapienza e i professionisti dell’équipe chirurgica del Sant’Andrea per l’innovativo intervento portato a termine.”

“Un risultato di elevata complessità organizzativa e clinico-assistenziale, frutto dell’esperienza e dello spirito di innovazione dei nostri chirurghi – commenta il direttore generale del Sant’Andrea Adriano Marcolongo – e della capacità di fare rete con altri centri italiani di eccellenza.”

trapianto trachea
Effettuato presso Sapienza-Sant’Andrea il primo trapianto di trachea in Italia, primo al mondo su un paziente post Covid-19. Foto di gruppo con gli specializzandi

L’intervento chirurgico, che ha coinvolto 5 operatori ed è durato circa 4 ore e mezza, è stato condotto con sofisticate tecniche di anestesia, che hanno permesso di non instituire la circolazione extracorporea. La trachea malata è stata rimossa nella sua totalità e successivamente è iniziata la delicata fase di ricostruzione che ha previsto la sua sostituzione con un segmento di aorta toracica criopreservata presso la Fondazione Banca dei Tessuti di Treviso, diretta da Diletta Trojan e perfettamente adattabile alle dimensioni della via aerea del paziente.

“La patologia tracheale era estesa e severa e non poteva essere affrontata con le tecniche di ricostruzione, su cui pure abbiamo maturato una esperienza ventennale – spiega Erino Rendina – e l’unica opzione plausibile era la sostituzione dell’intera trachea con biomateriale”.

trapianto trachea
Cecilia Menna in sala operatoria

 “Una delle criticità maggiori nella sostituzione della trachea, tubo rigido e pervio” spiega Cecilia Menna – “è il ripristino della sua rigidità: per questo abbiamo provveduto a inserire all’interno dell’aorta impiantata un cilindro di silicone, la cosiddetta protesi di Dumon, della lunghezza di 10 cm e ripristinato completamente la pervietà aerea, la respirazione, la fonazione e la deglutizione”.

Il paziente, Giuseppe Scalisi

Il paziente, immediatamente risvegliato e da subito in grado di respirare e parlare autonomamente, non ha necessitato di ricovero in terapia intensiva né di tracheostomia ed è stato trasferito direttamente nel reparto di Chirurgia Toracica. Sono state effettuate broncoscopie quotidiane per controllare il corretto posizionamento del cilindro di silicone e il buono stato di conservazione del graft aortico. Il suo decorso post-operatorio è stato regolare e dopo tre settimane dall’intervento, il paziente è stato dimesso, senza la necessità di terapia immunosoppressiva, come avviene invece per gli altri trapianti d’organo, grazie alla scarsissima immunogenicità del graft aortico.

trapianto trachea
Erino Rendina e Cecilia Menna in studio

Chirurgia Toracica di Sapienza-Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea – è il maggior centro di riferimento italiano per la chirurgia della trachea ed uno dei maggiori centri europei, un’eccellenza italiana fortemente voluta dai vertici della Sapienza e dell’Ospedale Sant’Andrea. Conosce una costante crescita in termini di volume e qualità assistenziale con particolare riferimento ad interventi di ricostruzione vascolare e delle vie aeree finalizzate al risparmio delle parti di organo sane. Nel 2020 sono stati effettuati sotto la direzione del professor Rendina 1323 interventi, nonostante la maggiore complessità organizzativa dovuta all’emergenza COVID.

Cecilia Menna

Cecilia Menna – Responsabile del progetto “Tracheal Replacement”, è una giovane chirurga di 35 anni. Dopo essersi laureata e specializzata con il professor Rendina, è attualmente dirigente medico presso l’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea. Esegue quotidianamente, in prima persona, tutti gli interventi più complessi di Chirurgia Toracica e rappresenta, con il suo successo professionale, l’abbattimento di un altro cliché duro a scomparire: che la chirurgia sia preclusa alle donne.

Cecilia Menna

Erino Angelo Rendina – Direttore della Chirurgia Toracica, è stato il primo, trent’anni fa esatti, ad eseguire un trapianto polmonare in Italia, nella notte tra l’11 e il 12 gennaio 1991. Attualmente, dirige un gruppo di 9 chirurghi, tra cui 4 donne. La sua lunga esperienza è stata messa a disposizione del paziente per raggiungere in modo assolutamente innovativo quella che sembra una stabile guarigione; ciò dimostra come la ricerca di base e lo studio, uniti alla tenacia nell’applicazione pratica della ricerca scientifica, possano anche in Italia dare risultati di valore assoluto.

Erino Angelo Rendina

Testo, foto e video dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma