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Studiare le onde di Alfvén, un particolare tipo di onde magnetiche nel Sole, per migliorare le previsioni sulla propagazione del vento solare

Capire appieno i processi fisici che governano l’attività del Sole, la nostra stella, è uno dei principali modi per migliorare la capacità di prevedere i fenomeni solari che possono produrre effetti nello spazio interplanetario e sui pianeti, in particolar modo la Terra, nell’ambito della cosiddetta meteorologia dello spazio (o space weather). Un nuovo passo in questa direzione arriva dal lavoro di un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) pubblicato oggi sulla rivista Physical Review Letters. Lo studio suggerisce che, attraverso l’osservazione dei moti e delle riflessioni di un particolare tipo di onde magnetiche che si propagano negli strati più esterni dell’atmosfera del Sole sia possibile risalire alle regioni da cui si è originato il vento solare che possiamo osservare e analizzare quando raggiunge l’ambiente terrestre, migliorando così le informazioni sul suo percorso nello spazio e, quindi, le previsioni dei suoi potenziali effetti sul nostro pianeta.

Immagine coronale del Sole a disco intero, acquisita dallo strumento AIA a bordo della missione spaziale Solar Dynamic Observatory della NASA, raffigurante la regione studiata nel lavoro pubblicato su PRL. Crediti: Adattata da Murabito et al. 2024 (PRL, https://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.132.215201)
Immagine coronale del Sole a disco intero, acquisita dallo strumento AIA a bordo della missione spaziale Solar Dynamic Observatory della NASA, raffigurante la regione studiata nel lavoro pubblicato su PRL. Crediti: Adattata da Murabito et al. 2024 (PRL, https://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.132.215201)

Il lavoro, guidato dalla ricercatrice INAF Mariarita Murabito, ha utilizzato i dati acquisiti dallo spettrografo ad alta risoluzione EIS a bordo della missione Hinode dell’agenzia spaziale giapponese JAXA e dallo spettropolarimetro italiano ad alta risoluzione IBIS realizzato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica e installato fino al 2019 al telescopio Dst (New Mexico, USA) per studiare le onde di Alfvén. Queste, sono onde magnetiche prodotte nello strato visibile di colore rossastro dell’atmosfera solare, che prende il nome di cromosfera. Le onde di Alfvén possono trasportare quantità significative di energia lungo le linee del campo magnetico fino alla porzione più esterna dell’atmosfera solare, la corona, dove è stata osservata la presenza di un elevato flusso di questo tipo di onde. Infatti, nella corona, il campo magnetico gioca un ruolo fondamentale ed è responsabile di tutta l’attività solare che osserviamo: brillamenti, espulsioni di massa coronale, vento solare ed emissione di particelle energetiche.

Studi precedenti hanno rilevato che la composizione chimica della cromosfera e corona solare differiscono da quella della fotosfera. La teoria proposta nel 2004 da Laming per spiegare questo inatteso comportamento, attribuisce la variazione nella composizione chimica alla forza che agisce sulle particelle cariche quando esse si muovono nel campo elettromagnetico del Sole. Questo nuovo studio dimostra la connessione tra le onde di Alfvén e le anomalie di abbondanza degli elementi chimici presenti nella corona, misurando la direzione di propagazione delle onde stesse. Questa connessione è dovuta proprio all’azione di questa forza sul plasma della cromosfera.

“Le onde magnetiche e il loro legame con le anomalie chimiche erano state già rilevate nel 2021. Con il nostro studio abbiamo messo in evidenza, per la prima volta, la direzione di propagazione, ovvero la riflessione, di queste onde. Usando lo stesso modello teorico proposto e modificato negli ultimi 20 anni l’accordo con i dati è sorprendente” commenta l’autrice dell’articolo, Mariarita Murabito, ricercatrice dell’INAF.

Questa connessione tra le onde di Alfvén e le proprietà del vento solare offre uno sguardo innovativo su come le interazioni magnetiche nel Sole possano influenzare l’ambiente spaziale circostante, portando a una maggiore comprensione dei processi che governano la fisica solare e dell’influenza dell’attività solare sui pianeti e corpi minori del Sistema solare.

“Le proprietà chimiche del plasma solare restano invariate attraversando lo spazio interplanetario e possono essere utilizzate come tracciante delle sorgenti del vento solare e delle perturbazioni che in esso si propagano. Capire l’origine di questo tracciante ci offre uno strumento nuovo per comprendere in prospettiva in che modo il Sole governi le condizioni fisiche dello spazio interplanetario e quindi progredire anche nella comprensione dei fenomeni space weather” spiega Marco Stangalini, ricercatore dell’ASI e coautore dell’articolo. “Questi risultati, inoltre, ci permetteranno di sfruttare al meglio i dati ottenuti dalla missione Solar Orbiter dell’ESA e dalle future missioni Solar-C e MUSE, alle quali l’Italia contribuisce, e che si focalizzeranno sullo studio della dinamica dell’atmosfera solare”.

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Observation of Alfv́en Wave Reflection in the Solar Chromosphere: Ponderomotive Force and First Ionization Potential Effect” di Mariarita Murabito, Marco Stangalini, J. Martin Laming, Deborah Baker, Andy S. H. To, David M. Long, David H. Brooks, Shahin Jafarzadeh, David B. Jess, Gherardo Valori è stato pubblicato online sulla rivista Physical Review Letters.

 

Testo e immagini dagli Uffici Stampa INAF e ASI.

GRB 231115A: LA GALASSIA SIGARO SI ACCENDE CON UN MEGA BRILLAMENTO, UN RAPIDO LAMPO DI RAGGI GAMMA

Il satellite Integral, realizzato con un fondamentale contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana, scopre il primo caso di giant flare proveniente da una magnetar fuori dalla Via Lattea. Lo studio a guida INAF pubblicato su Nature.

La sezione di cielo osservata dal rilevatore di raggi gamma sul satellite INTEGRAL dell’ESA. Uno dei due riquadri mostra i dati a raggi X della galassia M82 e l'altro mostra un'osservazione in luce visibile. Il cerchio blu sulle due immagini ritagliate indica la posizione corrispondente al brillamento gigante. Crediti: ESA/Integral, ESA/XMM-Newton, INAF/TNG, M. Rigoselli (INAF)
La sezione di cielo osservata dal rilevatore di raggi gamma sul satellite INTEGRAL dell’ESA. Uno dei due riquadri mostra i dati a raggi X della galassia M82 e l’altro mostra un’osservazione in luce visibile. Il cerchio blu sulle due immagini ritagliate indica la posizione corrispondente al brillamento gigante GRB 231115A. Crediti: ESA/Integral, ESA/XMM-Newton, INAF/TNG, M. Rigoselli (INAF)

Utilizzando i dati del satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Integral (International Gamma-Ray Astrophysics Laboratory), costruito con il contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) responsabile del telescopio principale IBIS, il 15 novembre 2023 un gruppo di ricercatrici e ricercatori guidati dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha individuato l’improvvisa esplosione di un oggetto raro: per solo un decimo di secondo, un rapido lampo di raggi gamma è apparso dalla direzione di una luminosa galassia vicino alla nostra. Di cosa si tratta? Il team ha scoperto la presenza di un brillamento gigante (Giant Flare, in inglese) generato da una magnetar nella galassia Sigaro (conosciuta anche con le sigle M82 o NGC 3034), uno degli oggetti celesti più affascinanti che costellano il cielo. L’articolo relativo alla scoperta è stato pubblicato oggi sulla rivista Nature.

Particolare classe di stelle di neutroni (resti stellari super-densi delle esplosioni di supernovae), le magnetar sono i magneti più potenti dell’universo noti per emettere brevi esplosioni di raggi gamma che in genere durano meno di un secondo ma sono miliardi di volte più luminose del Sole. Le magnetar possono produrre brillamenti giganti, cioè brevi esplosioni durante le quali possono emettere in meno di un secondo l’energia che il Sole irradia in un milione di anni, ma individuarle è davvero arduo.

La scoperta è stata ottenuta grazie all’Integral Burst Alert System (IBAS), che permette la localizzazione in tempo reale di lampi di raggi gamma e altri fenomeni transienti nei raggi gamma. Nello specifico, Integral ha rilevato un lampo di raggi gamma solo per un decimo di secondo. Il software di IBAS, che esamina i dati ricevuti al data center scientifico Integral di Ginevra, ha determinato la localizzazione precisa di questo evento e l’ha distribuita agli astronomi di tutto il mondo solo tredici secondi dopo che Integral lo aveva rivelato.

“Quando il software automatico IBAS ci ha allertati per questo evento, ci  siamo subito resi conto che si trattava di qualcosa di speciale. Si sospetta da tempo che alcuni dei lampi di raggi gamma di breve durata (GRB, lampi luminosi di raggi gamma osservati al ritmo di uno al giorno da direzioni imprevedibili del cielo) potrebbero essere Giant Flare provenienti da magnetar nelle galassie vicine, ma ciò non era stato ancora dimostrato in maniera inequivocabile”, spiega Sandro Mereghetti, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF di Milano.

Mereghetti aggiunge: “I brillamenti giganti sono la manifestazione più estrema delle magnetar, in termini di energia emessa e rapidità, ma non si conosce ancora bene cosa li produca”.

Quello scoperto dal team guidato da INAF (GRB 231115A) è il primo Giant Flare generato da una magnetar in una galassia che non appartiene al Gruppo Locale.

“Sono eventi estremamente rari, tanto che ne sono stati osservati solo tre in 50 anni: due nella nostra Galassia e uno nella Grande Nube di Magellano. Poterli rivelare anche in galassie più lontane, come nel presente caso, permette di studiarne un maggior numero e in condizioni più favorevoli”, sottolinea l’autore. “I casi precedenti di ‘candidati’ Giant Flare al di fuori del gruppo locale non erano stati individuati in tempo reale e le incertezze sulla loro posizione rende incerte anche le associazioni con galassie vicine”, continua.

“Integral è un telescopio spaziale longevo e a 22 anni dal lancio continua a fornire contributi sorprendenti”, sottolinea Elisabetta Cavazzuti, responsabile ASI del programma Integral. “Il team scientifico ha migliorato sempre più l’utilizzo di tutti gli apparati del satellite, sviluppando un software che sfrutta ogni singola informazione trasmessa dal telescopio anche in maniera completamente nuova. Questo modo di osservare e sfruttare gli strumenti in ottica sempre innovativa consente di raggiungere risultati importanti confermando che l’universo è fonte inesauribile di scoperte”.

La rilevazione del fenomeno con Integral ha avviato poi una serie di osservazioni rapide ad altre lunghezze d’onda (ottiche, X, radio) che hanno permesso di stabilirne la natura. Nell’articolo i ricercatori presentano, infatti, anche dati richiesti al satellite XMM-Newton e dati ottici provenienti da telescopi italiani dell’INAF (il TNG alle Canarie, lo Schmidt di Asiago e lo Schmidt di Campo Imperatore) e francesi (come il French Observatoire de Haute-Provence): se si fosse trattato di un lampo di raggi gamma causato dalla collisione di due stelle di neutroni, lo scontro avrebbe creato onde gravitazionali e avrebbe avuto un intenso bagliore residuo nei raggi X e nella luce visibile. Le osservazioni di XMM-Newton hanno mostrato solo il gas caldo e le stelle nella galassia.

L’articolo pubblicato su Nature conferma quindi un’ipotesi che si sospettava da diversi anni.

“Inoltre non è casuale che questo brillamento gigante provenga proprio da una delle galassie che sta formando nuove stelle di alta massa a un ritmo elevato. In queste regioni ci si aspetta, infatti, di trovare il maggior numero di stelle di neutroni e quindi di magnetar”, aggiunge Ruben Salvaterra,  ricercatore INAF di Milano e coautore dell’articolo.

Osservabile anche con piccoli telescopi, M82 è una galassia starburst (in cui appunto il processo di formazione stellare è eccezionalmente elevato) a spirale barrata che si trova a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore. L’interazione gravitazionale con altre galassie vicine, in particolare M81, ha accelerato drasticamente il suo tasso di formazione stellare che è almeno dieci volte maggiore di quello della Via Lattea.

“Dopo questa scoperta, la galassia M82 diventa un ‘sorvegliato speciale’ da cui aspettarci altri eventi simili nei prossimi anni”, conclude Mereghetti.


 

Per altre informazioni:

L’articolo “A magnetar giant flare in the nearby starburst galaxy M82”, di S. Mereghetti et al., è stato pubblicato sulla rivista Nature.

Testo e immagine dagli Uffici Stampa ASI e Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF