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I SEGRETI DEI PINGUINI, LA NUOVA SERIE NATIONAL GEOGRAPHIC CHE SVELA COMPORTAMENTI INEDITI CON UNA FOTOGRAFIA MOZZAFIATO DEBUTTERÀ IL 21 APRILE SU DISNEY+

Guidata da Bertie Gregory, National Geographic Explorer e regista vincitore di premi Emmy e BAFTA, la serie si immerge nel mondo incontaminato dei pinguini, mostrando momenti unici, coraggiosi e affascinanti

Narrata nella versione originale da Blake Lively (Un altro piccolo favore), la serie in tre parti vede come produttore esecutivo James Cameron, National Geographic Explorer at Large e vincitore del premio Oscar, ed è prodotta dalla pluripremiata Talesmith

I segreti dei pinguini fa parte della campagna di Disney e National Geographic per il Mese della Terra, per ispirare il pubblico ad apprezzare il mondo naturale usando il potere dello storytelling

I segreti dei pinguini, la serie Key Art
la Key Art

15 aprile 2025 – In occasione della Giornata della Terra, sarà possibile immergersi in un’indimenticabile avventura con I segreti dei pinguini assieme a Bertie Gregory (@BertieGregory), National Geographic Explorer e vincitore di premi Emmy® e BAFTA. Gli executive producer sono James Cameron, National Geographic Explorer at Large e regista vincitore dell’Academy Award®, e i vincitori di Emmy e BAFTA Ruth Roberts e Martin Williams di Talesmith. Questo ultimo capitolo del franchise “I segreti di”, targato National Geographic e vincitore di un Emmy, accompagna gli spettatori di tutte le età negli angoli più remoti del mondo per assistere ai comportamenti dei pinguini catturati su pellicola per la prima volta, mostrando questi simpatici e soffici uccelli che non possono volare, mentre affrontano alcuni degli ambienti più estremi della Terra. Narrata nella versione originale da Blake Lively (Un altro piccolo favore), la serie debutterà il 21 aprile 2025 su Disney+ con tutti e 3 gli episodi.

Quest’anno, The Walt Disney Company celebra il Mese della Terra con una campagna aziendale insieme a National Geographic per ispirare il pubblico ad apprezzare il mondo che ci circonda attraverso il potere dello storytelling. Per tutto il mese di aprile, la campagna ourHOME offrirà nuovi contenuti, attività digitali ed esperienze, e metterà in luce gli sforzi globali per proteggere, ripristinare e celebrare il mondo naturale, permettendo agli spettatori e ai fan di scoprire tanti altri motivi per amare questo luogo chiamato casa.

Nonostante molti documentari abbiano studiato questi animali, I segreti dei pinguini li porta a un livello completamente nuovo. Il team di Talesmith, guidato da Bertie Gregory e da oltre 70 scienziati e filmmaker di fama mondiale, si è imbarcato in un’avventura di due anni per tutto il mondo, dalle spiagge rocciose di Città del Capo e le coste ghiacciate dell’Isola della Georgia del Sud, fino alle Galapagos tropicali e alle grotte desertiche della Namibia, per osservare i pinguini come mai era stato fatto prima. Spingendosi oltre i confini del cinema naturalistico, una troupe di tre persone ha affrontato ben 274 giorni di riprese sulla piattaforma di ghiaccio Ekström, in Antartide, dove vive una colonia di 20.000 pinguini imperatori. Affrontando uno degli ambienti più difficili del pianeta, hanno catturato momenti inediti, come una coppia di pinguini imperatori che si esercita con una palla di neve a trasferire le uova per affinare le proprie capacità in vista del momento in cui dovranno farlo con un uovo vero; pulcini tenaci che navigano tra ghiaccio frammentato in un contesto di cambiamento climatico e giovani pinguini che usano il becco per sollevarsi da un crepaccio.

Con una fotografia mozzafiato e una tecnologia di ripresa all’avanguardia, la serie cattura momenti rari e mai visti prima in natura. Per la prima volta, si potranno osservare pulcini di “rockaroni”, un raro ibrido di pinguini saltarocce (rockhopper) e ciuffodorato (macaroni), con uno sguardo approfondito alla potenziale evoluzione e all’adattamento. Tra le altre scene, un coraggioso pinguino saltarocce che respinge un leone marino meridionale, le prime riprese di una colonia di pinguini africani in una grotta nascosta e gli intelligenti pinguini delle Galapagos che si alleano per un audace furto: rubare il pesce direttamente dal becco dei pellicani e radunare abilmente le palline di sardine come esca.

Nell’aprile del 2024, National Geographic ha presentato per la serie un filmato mozzafiato sui pinguini imperatori,  catturato da Bertie Gregory sulla piattaforma di ghiaccio Ekström in Antartide. Per la prima volta, l’equipaggio ha registrato uno spettacolo sorprendente: centinaia di pulcini di pinguino imperatore che saltano da una scogliera di 15 metri nell’oceano ghiacciato sottostante, uscendone indenni. La serie mostrerà l’intero spettacolo di questo comportamento straordinario, insieme a nuove riprese che inizialmente non erano state incluse nel video virale. A oggi, il filmato ha ottenuto 74 milioni di visualizzazioni sull’account TikTok di National Geographic – il suo video più performante di sempre – e ha ricevuto oltre 165 milioni di visualizzazioni su tutte le piattaforme social di National Geographic. Le riprese di storia naturale di Gregory hanno avuto una tale risonanza tra gli spettatori da far sì che egli abbia registrato alcuni dei video più visti nell’ultimo anno sull’account Instagram di National Geographic. Il video dei pinguini imperatori conta circa 63 milioni di visualizzazioni, mentre il secondo più visto è quello sulle api del Parco Nazionale Dzanga-Sangha con 34 milioni di visualizzazioni, seguito da quello sulle orche antartiche B1 con 23 milioni di visualizzazioni, entrambi tratti dalla sua serie originale Disney+ di National Geographic Bertie Gregory: a tu per tu con gli animali, attualmente in fase di riprese della seconda stagione.

La serie, adatta alle famiglie, si avvale della passione e dell’esperienza di scienziati e ambientalisti di fama mondiale, tra cui il National Geographic Explorer e biologo marino Pablo Borboroglu, la biologa ambientalista Michelle LaRue, l’esperta di pinguini africani Andrea Thiebault, il dottore in medicina veterinaria Gustavo Jiménez Uzcátegui, l’esperta di pinguini Jessica Kemper e la biologa marina Katta Ludynia.

EPISODI

  • “Il cuore dell’imperatore”
    Gli imperatori sono i pinguini più grandi e forti, e vivono nell’ambiente più freddo ed estremo della Terra. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory, inserito in una colonia antartica, si imbatte in capacità relazionali mai riprese prima, scoprendo che i legami forgiati fin dalla nascita tra famiglia, amici ed estranei fanno la differenza tra la vita e la morte.
  • “La sopravvivenza del più intelligente”
    Milioni di anni fa, un gruppo di pinguini ha lasciato i ghiacci, seguendo forti correnti e arrivando in nuove e strane terre. Qui hanno rimodellato le loro tradizioni per i deserti e i tropici e persino per vivere tra gli esseri umani. Messi alla prova fino all’estremo, sono diventati forse i più intelligenti tra tutti i pinguini. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory scopre la loro capacità di risolvere i problemi, di “parlare” e di andare alla ricerca di nuovi mondi.
  • “Ribelli per una causa” 
    Ci vuole un tipo speciale di pinguino coraggioso per sopravvivere al feroce Oceano Antartico, ma 40 milioni di esemplari affollano i suoi avamposti isolati e rocciosi, e sono tra i pinguini più impavidi sulla Terra. Il National Geographic Explorer Bertie Gregory segue i saltarocce, i gentoo e i ciuffodorato alla scoperta di un mondo fatto di amanti del rischio, ribelli e genitori non convenzionali.

I precedenti capitoli di “I segreti di” comprendono I segreti del polpo, narrata nella versione originale da Paul Rudd; I segreti degli elefanti, narrata nella versione originale da Natalie Portman; e I segreti delle balene, vincitrice di un Emmy, narrata nella versione originale da Sigourney Weaver. Tutti gli episodi sono attualmente disponibili in streaming su Disney+.

I segreti dei pinguini è prodotto da Talesmith per National Geographic. Gli executive producer sono i vincitori del premio Emmy James Cameron e Maria Wilhelm per Lightstorm Earth. Bertie Gregory, vincitore di un BAFTA e di un Emmy Award, è narratore principale, direttore della fotografia e produttore. Per Talesmith, gli executive producer sono i vincitori di Emmy e BAFTA Ruth Roberts e Martin Williams. Il produttore della serie è Serena Davies. Pam Caragol è executive producer per National Geographic.

Hashtag
#DisneyPlus
Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa The Walt Disney Company Italia, Opinion Leader, Cristiana Caimmi.

DALL’AUSTRALIA UNO SGUARDO MADE IN ITALY SULL’UNIVERSO CON LA PRIMA IMMAGINE DI SKA-LOW

Un’area del cielo equivalente a circa 100 lune piene in cui si vedono oltre 85 delle galassie più brillanti conosciute in quella regione, tutte con buchi neri supermassicci al centro. Questa è la descrizione della prima immagine realizzata con il radiotelescopio SKA-Low funzionante dell’Osservatorio SKA (SKAO) in Australia e pubblicata oggi.

I dati sono stati ottenuti da una versione preliminare del telescopio SKA a basse frequenze (50 MHz – 350 MHz), utilizzando 1.024 delle 131.072 antenne previste, e rappresenta una prima indicazione delle rivelazioni scientifiche che saranno possibili con quello che sarà presto il più potente radiotelescopio al mondo. SKA-Low è, infatti, solo uno dei due telescopi in costruzione dall’Osservatorio SKA, un’iniziativa internazionale co-ospitata in Australia e Sudafrica. Numerosi sono i contributi da parte di nazioni di tutto il mondo, inclusa l’Italia, che con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) gioca un ruolo fondamentale, sia scientifico che tecnologico, in questo ambizioso progetto.

L’immagine mostra un’area del cielo di circa 25 gradi quadrati; i puntini sembrano non sono stelle, bensì alcune delle galassie più luminose dell’Universo, osservate nelle lunghezze d’onda radio. Una volta completata l’installazione di tutte le antenne, lo stesso campo del cielo rivelerà molto di più rispetto a quello che possiamo vedere oggi: gli scienziati calcolano che il telescopio sarà abbastanza sensibile da mostrare più di 600mila galassie nello stesso fotogramma. L’immagine è stata prodotta utilizzando i dati raccolti dalle prime quattro stazioni connesse di SKA-Low, costituite da antenne a bassa frequenza alte due metri dalla innovativa forma ad “albero di Natale”. Queste stazioni sono state installate nel corso dell’anno scorso a Inyarrimanha Ilgari Bundara, presso l’Osservatorio di Radioastronomia di Murchison gestito da CSIRO nel territorio Wajarri Yamaji, e rappresentano meno dell’1% dell’intero telescopio. Una precedente immagine proveniente da una sola stazione di antenne era stata pubblicata ad agosto 2024.

Philip Diamond, direttore generale di SKAO, dichiara: “Con questa immagine vediamo l’Osservatorio SKA aprire i suoi occhi sull’universo, un passo fondamentale per SKAO e per la comunità astronomica”. I dati dimostriamo “che il sistema nel suo insieme sta funzionando. Man mano che i telescopi crescono e altre stazioni e antenne entreranno in funzione, vedremo le immagini migliorare enormemente e cominceremo a realizzare la piena potenza dello SKAO”.

“La qualità di questa immagine è andata addirittura oltre le nostre aspettative utilizzando una versione così precoce del telescopio”, afferma George Heald, SKA-Low Lead Commissioning Scientist. “Con il telescopio completo avremo la sensibilità per rivelare le galassie più deboli e distanti, risalendo all’universo primordiale, quando le prime stelle e galassie hanno iniziato a formarsi”.

Sono sei i Paesi dietro la progettazione del telescopio SKA-Low: Australia, Cina, Italia, Malta, Paesi Bassi e Regno Unito. L’Istituto Nazionale di Astrofisica ha ottimizzato l’ultimo design di antenna SKALA4.1AL in collaborazione con l’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni (IEIIT) del CNR e il partner industriale SIRIO Antenne, partendo da progetti precedenti sviluppati all’interno del consorzio internazionale. È proprio l’azienda italiana in provincia di Mantova a essersi aggiudicata poi l’appalto per la produzione delle prime 78.520 antenne a dipolo per il telescopio australiano.

Sempre dall’Italia e sulla base dei progetti preliminari sviluppati dall’INAF, il gruppo Elemaster ha avviato la fase di industrializzazione e assemblaggio del sottosistema di elaborazione del segnale (SPS). Il principale compito di elaborazione del telescopio sarà quello di gestire i flussi di dati in arrivo, generati simultaneamente dalle decine di migliaia di antenne su 65mila bande di radiofrequenze. Nei suoi stabilimenti in provincia di Lecco, Elemaster sta realizzando dispositivi hardware e software per digitalizzare, combinare e interpretare la radiazione nelle lunghezze d’onda radio, prima che i dati vengano trasmessi per centinaia di chilometri a un supercomputer di ultima generazione per ulteriori elaborazioni.

Roberto Ragazzoni, presidente dell’INAF, commenta: “Questo risultato ci inorgoglisce e rappresenta un importante punto di svolta in questo progetto internazionale. Da un lato dimostra come le tecnologie sviluppate negli istituti di ricerca italiani, e l’INAF in particolare, in sinergia con la filiera industriale nazionale, siano state azzeccate. L’innovativo tipo di antenna, il sistema di amplificazione, di trasmissione del segnale in fibra ottica e le modalità di ricostruzione dell’immagine provano la solidità delle competenze maturate negli anni e la validità di un modello in cui lo sviluppo di nuove tecnologie sia un fattore chiave negli ambiti della ricerca di frontiera. Dall’altro lato – continua – questo è solo un primissimo risultato che vede utilizzato meno dell’uno per cento delle potenzialità offerte da questo radiotelescopio. Un motivo in più, entusiasti di questo successo, per proseguire a grandi passi verso il completamento dell’intero sistema, certi che offrirà sorprese oggi assolutamente non prevedibili”.

In Australia, SKA-Low è costruito in collaborazione con l’agenzia scientifica nazionale CSIRO. Le antenne di SKA-Low verranno distribuite tra 512 stazioni (256 antenne per stazione), attraverso una regione di 74 chilometri e un’area di raccolta di 419mila m², il che significa che anche il segnale più debole potrà essere rilevato, combinato e potenziato 135 volte più velocemente dei radiotelescopi esistenti con una risoluzione e sensibilità maggiori. Entro i prossimi due anni, il telescopio crescerà significativamente per diventare il più grande radiotelescopio a bassa frequenza del mondo, a metà della sua costruzione.

I telescopi SKA – quello a basse frequenze in una regione remota dell’Australia occidentale e il suo omologo SKA-Mid (per le frequenze medie) nella provincia del Capo Settentrionale in Sudafrica – sono schiere di antenne che osservano il cielo utilizzando una tecnica conosciuta come interferometria: saranno cioè in grado di combinare i dati catturati dalle singole antenne distribuite su ampie distanze, lavorando insieme come un unico grande telescopio.

La direttrice del telescopio SKA-Low, Sarah Pearce, sottolinea: “Arrivare a questo punto ha richiesto ingegneri, astronomi e informatici provenienti da tutto il mondo, che hanno lavorato per decenni. È straordinario vedere tutto questo lavoro concretizzarsi e darci il primo scorcio delle immagini che arriveranno da SKA-Low, promettendoci una vista dell’universo che non avevamo mai immaginato prima”.


Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

A TEMPO DI PULSAR CON MEERKAT: UNA NUOVA MAPPA DELL’UNIVERSO NELLE ONDE GRAVITAZIONALI

La collaborazione MeerKAT Pulsar Timing Array (MPTA) ha confermato l’evidenza di un fondo cosmico di onde gravitazionali, un segnale che si ritiene derivi da una popolazione di coppie di buchi neri supermassicci spiraleggianti. Grazie alla sua sensibilità senza precedenti, l’esperimento MPTA si distingue come il rivelatore più potente di onde gravitazionali a frequenza ultra bassa nell’emisfero australe. Questa caratteristica ha consentito di mappare con precisione la distribuzione delle onde gravitazionali nell’universo.

Rappresentazione artistica delle onde gravitazionali e del cielo sopra una delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT, gestito dall’Osservatorio SARAO. Crediti: Carl Knox, OzGrav, Swinburne University of Technology and South African Radio Astronomy Observatory (SARAO)
Rappresentazione artistica delle onde gravitazionali e del cielo sopra una delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT, gestito dall’Osservatorio SARAO. Crediti: Carl Knox, OzGrav, Swinburne University of Technology and South African Radio Astronomy Observatory (SARAO)

Grazie a quasi 5 anni di osservazioni con il radiotelescopio sudafricano MeerKAT, un gruppo di ricerca guidato dalla collaborazione MeerKAT Pulsar Timing Array (MPTA) ha trovato ulteriori conferme all’ipotesi dell’esistenza di un fondo cosmico di onde gravitazionali aventi frequenze estremamente basse (1-10 nanoHertz), ottenendo la mappa finora più dettagliata della distribuzione di queste onde gravitazionali nell’Universo. Il segnale potrebbe provenire da una popolazione di coppie di buchi neri supermassicci spiraleggianti. Gli esiti di questo sforzo internazionale, che ha visto coinvolti anche ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Milano-Bicocca, hanno prodotto tre studi pubblicati oggi sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Le antenne che formano il radiotelescopio sudafricano MeerKAT. Crediti: Enrico Sacchetti / INAF

Il MeerKAT Pulsar Timing Array è un esperimento internazionale che utilizza il sensibilissimo radiotelescopio MeerKAT (gestito dal South African Radio Astronomy Observatory) proprio per osservare, circa ogni due settimane, decine e decine di pulsar e misurare il tempo di arrivo degli impulsi radio con una precisione che può raggiungere le decine di nanosecondi.

“Grazie a queste caratteristiche, MPTA costituisce il più potente rivelatore di onde gravitazionali di frequenza ultra bassa nell’intero emisfero australe”,

sottolinea Federico Abbate, ricercatore dell’INAF di Cagliari e tra gli autori di tutti e tre gli articoli pubblicati oggi.

Le pulsar, stelle di neutroni in rapida rotazione, fungono da orologi naturali e i loro impulsi radio regolari permettono agli scienziati di rilevare minime variazioni causate dal passaggio delle onde gravitazionali. Nel corso di questi anni abbiamo imparato a conoscere cosa sono queste onde gravitazionali, perturbazioni nel tessuto dello spazio-tempo teorizzate già negli anni venti dello scorso secolo da Albert Einstein e causate da alcuni degli eventi più potenti dell’Universo (per esempio la coalescenza di un sistema binario formato da due buchi neri). La sovrapposizione di queste onde, la cui rilevazione è particolarmente difficile, forma una sorta di ronzio cosmico che fornisce preziosi indizi sui processi nascosti che modellano la struttura dell’Universo.

Il team ha infatti trovato ulteriori forti indicazioni circa l’esistenza di segnali di onde gravitazionali provenienti dal lento spiraleggiare, uno attorno all’altro, di buchi neri supermassicci, catturando però un segnale più intenso rispetto a esperimenti simili in corso con altri strumenti. Ulteriori dati e tecniche di analisi ancora più avanzate sono adesso necessari per confermare tale ipotesi e individuare univocamente il sistema binario di buchi neri supermassicci.

“Siamo fortunati che la natura ci abbia fornito orologi così precisi distribuiti in tutta la nostra galassia, le cosiddette pulsar”,

aggiunge Kathrin Grunthal, ricercatrice del Max-Planck-Institut für Radioastronomie e prima autrice di uno degli articoli scientifici pubblicati oggi.

“Utilizzando MeerKAT, uno dei radiotelescopi più potenti al mondo, possiamo monitorare con precisione questi oggetti e cercare nel loro comportamento minuscoli cambiamenti causati dalle onde gravitazionali che risuonano attraverso l’Universo”.

 

“Studiare il ronzio delle onde gravitazionali ci permette di sintonizzarci sugli echi di eventi cosmici avvenuti nel corso di miliardi di anni”,

spiega Matthew Miles, ricercatore di OzGrav e della Swinburne University of Technology, nonché autore principale di due degli articoli pubblicati oggi su MNRAS.

Golam Shaifullah, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, a sua volta coinvolto nella ricerca, approfondisce:

“Rivelare onde gravitazionali a frequenze nell’ordine dei nanohertz ci permetterà non solo di cercare sistemi binari formati da buchi neri supermassicci, ma anche di aprire una finestra sulle fasi più antiche della formazione dell’Universo, oltre che su una varietà di processi fisici esotici.”

A 18 mesi di distanza dalla prima serie di pubblicazioni da parte di altri tre esperimenti internazionali (tra cui l’European Pulsar Timing Array, EPTA, in cui sono è coinvolto INAF, l’Università di Milano Bicocca e il Gran Sasso Science Institute), i risultati pubblicati oggi offrono nuove prospettive per la comprensione dei buchi neri più massicci dell’Universo, sul loro ruolo nella formazione del cosmo e sull’architettura cosmica che hanno lasciato dietro di sé.

mappa universo Rappresentazione artistica delle onde gravitazionali e del cielo sopra una delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT, gestito dall’Osservatorio SARAO. Crediti: Carl Knox, OzGrav, Swinburne University of Technology and South African Radio Astronomy Observatory (SARAO)
A tempo di pulsar con MeerKAT: una nuova mappa dell’universo nelle onde gravitazionali con tre studi sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Rappresentazione artistica delle onde gravitazionali e del cielo sopra una delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT, gestito dall’Osservatorio SARAO. Crediti: Carl Knox, OzGrav, Swinburne University of Technology and South African Radio Astronomy Observatory (SARAO)

Caterina Tiburzi, ricercatrice dell’INAF di Cagliari coinvolta nella collaborazione EPTA, spiega:

“Comprendere e modellare il rumore di fondo che affligge il segnale delle pulsar, causato dagli effetti del gas ionizzato interposto tra le stelle, la Terra e il Sole, è l’elemento chiave per confermare definitivamente i risultati di MPTA, così come quelli di EPTA e degli altri esperimenti precedenti. I nuovi ricevitori a bassa frequenza di MeerKAT saranno strumenti straordinari per questo scopo”.

“Oltre all’entusiasmo per i nuovi esiti osservativi – conclude infine Andrea Possenti, dell’INAF Cagliari, e membro della collaborazione MPTA fin dalla sua fondazione nel 2018 – questo è un momento cruciale, che dimostra come la collaborazione internazionale negli esperimenti di tipo Pulsar Timing Array, nei quali INAF è coinvolto da oltre 20 anni, spalancherà infine le porte dell’astronomia delle onde gravitazionali di frequenza ultra bassa”.

prototipo SKA

 

Per altre informazioni:

I tre articoli pubblicati oggi su sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society:

  • “The MeerKAT Pulsar Timing Array: Maps of the gravitational-wave sky with the 4.5 year data release” di K. Grunthal et al.

  • “The MeerKAT Pulsar Timing Array: The 4.5-year data release and the noise and stochastic signals of the millisecond pulsar population” di Matthew T. Miles et al.

  • “The MeerKAT Pulsar Timing Array: The first search for gravitational waves with the MeerKAT radio telescope” di Matthew T. Miles et al.

 

Testi, video e immagini dagli Uffici Stampa dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

Un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Torino sta studiando il canto del pinguino africano per salvarlo dall’estinzione 

‘Salviamo il Pinguino Africano’ è il progetto di crowdfunding cofinanziato dall’Università di Torino per tutelare una specie di pinguino la cui popolazione ha subito un declino del 98% rispetto all’era preindustriale. Oltre 100 persone hanno già aderito alla campagna.

Francesca Terranova, Anna Zanoli e Livio Favaro
Francesca Terranova, Anna Zanoli e Livio Favaro

Livio FavaroFrancesca Terranova e Anna Zanoli fanno parte del team di biologi marini dell’Università di Torino che da anni si sta dedicando allo studio del pinguino africano, una specie che abita le coste del Sudafrica e della Namibia.

“Il pinguino africano è noto anche come pinguino asino per il suo vocalizzo molto particolare, che ricorda un raglio. Ma al di là dell’elemento di curiosità, proprio sullo studio e il monitoraggio del canto di questi animali si fonda il progetto di ricerca e tutela che da anni portiamo avanti in collaborazione con le autorità del Sudafrica” ha dichiarato Livio Favaro.

Da Torino a Stony Point, Sudafrica

Come ha dichiarato Francesca Terranova anche in occasione del suo intervento alla trasmissione Animal House di Radio Deejay

“Spesso la nostra squadra si reca a Stony Point, in Sudafrica, dove vive una colonia di circa 1.000 coppie di pinguini, con l’obiettivo di studiarli da vicino ma senza essere invasivi dei loro spazi. Trovarsi nel territorio della colonia, alle quattro del mattino, è un’esperienza unica. La voce di ogni pinguino è unica e studiarla, insieme a quella di tutti gli altri componenti della colonia, ci permette di monitorare l’andamento demografico della colonia o ricercare la presenza di patologie ha concluso Francesca Terranova.

Il supporto della comunità per ridurre il rischio di estinzione del Pinguino Africano

“Le attività dell’uomo hanno messo in pericolo la sopravvivenza di questa specie di pinguino” ha dichiarato Anna Zanoli che ha poi aggiunto “a causa della pesca intensiva e dell’antropizzazione degli ambienti in cui solitamente vivono i suoi esemplari”. “Noi cerchiamo di monitorare lo stato di salute della specie studiandone le colonie. Per farlo in modo efficace e non invasivo per i pinguini servono attrezzature tecniche e uno staff in loco che possa portare avanti il lavoro con costanza”.

“Per proseguire e rilanciare il nostro lavoro abbiamo lanciato la campagna di crowdfunding Salviamo il Pinguino Africano’con l’obiettivo di acquistare attrezzatura tecnica e finanziare per un anno lo stipendio di un ranger in Sudafrica. Finora la risposta della comunità è stata straordinaria, ma abbiamo ancora bisogno del supporto di tutti per acquistare ulteriore attrezzatura. Aiutateci con una donazione” è stato l’appello di Livio Favaro.

Copertina Salviamo il Pinguino Africano canto pinguini africani
Un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Torino sta studiando il canto del pinguino africano per salvarlo dall’estinzione

Sostenere il progetto ‘Salviamo il Pinguino Africano’ è semplice, sul link https://www.ideaginger.it/progetti/salviamo-il-pinguino-africano.html è possibile donare in pochi click tramite PayPal, bonifico bancario o carta di credito. Tra le ricompense per i sostenitori anche la possibilità di adottare a distanza un pinguino e ricevere aggiornamenti sul suo stato di salute.

“Il crowdfunding ci sta aiutando a raccogliere fondi certamente, ma anche a sensibilizzare la comunità. Tante persone che ci hanno sostenuto prima di questa occasione non conoscevano nemmeno dell’esistenza del pinguino africano. Sapere che ora ci sono già oltre 100 donatori che hanno preso coscienza della necessità di salvaguardare questa specie credo rappresenti appieno uno degli obiettivi di ogni ricercatore, quello di divulgare anche ai non tecnici il proprio lavoro” ha concluso Livio Favaro.

Il supporto dell’Università di Torino con Funds TOgether l’Università 

L’Università di Torino ha selezionato Salviamo il Pinguino Africano nell’ambito dell’iniziativa Funds TOgether, sviluppata insieme a Ginger Crowdfunding, che gestisce Ideaginger.it, la piattaforma con il tasso di successo più alto in Italia, con l’obiettivo di aiutare le ricercatrici e i ricercatori ad acquisire le competenze per sviluppare campagne di crowdfunding efficaci e sostenerle economicamente. L’Università di Torino, infatti, raddoppierà i fondi raccolti tramite crowdfunding fino a 10.000 euro.

Il valore del crowdfunding per la ricerca scientifica

“L’Università di Torino”, ha dichiarato Alessandro Zennaro, Vice-Rettore per la valorizzazione del patrimonio umano e culturale in Ateneo, “probabilmente più di qualsiasi altro ateneo, in questa fase storica, ha intrapreso un’azione organizzata di valorizzazione della conoscenza e di divulgazione scientifica, assumendo anche posizioni apicali nella rete degli atenei italiani per il Public Engagement (ApeNet). L’iniziativa di crowdfunding costituisce un’ulteriore opportunità per avvicinare la ricerca scientifica alla comunità territoriale e nazionale, illustrandone gli obiettivi, facendo conoscere le ricercatrici ed i ricercatori coinvolti, stimolando la curiosità e soprattutto dimostrando che, spesso, i prodotti della ricerca hanno ricadute immediate sulla vita di tutti noi, quotidianamente. Salviamo il Pinguino Africano è un progetto importante che coniuga in maniera esemplare la ricerca, la collaborazione internazionale e l’innovazione. Per questo merita di essere sostenuto”.

“Questa campagna è un’occasione anche per lo staff dell’Università di Torino di confrontarsi con le opportunità del fundraising e della finanza alternativa per la ricerca e l’innovazione,” ha aggiunto Elisa Rosso, Direttrice della Direzione Innovazione e Internazionalizzazione dell’Università di Torino, che ha poi aggiunto “Per esempio stiamo contattando e ricercando partner istituzionali e aziendali interessati a supportare il progetto. Promuovere il crowdfunding è un’occasione per raccontare il valore della ricerca scientifica e sensibilizzare la comunità sul lavoro svolto in ateneo, che in questo caso permetterà di proseguire una preziosa attività di ricerca etologica sul campo”.

Funds TOgether è il programma di finanza alternativa per la ricerca e l’innovazione sviluppato dall’Università di Torino insieme a Ginger Crowdfunding. L’Obiettivo è fornire a ricercatori e ricercatrici dell’ateneo le competenze per progettare e promuovere una campagna di crowdfunding, acquisire nuove risorse e avvicinare la comunità universitaria alla società civile attraverso progetti a forte impatto sociale e ambientale.

 

 

Testo, video e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

NGC 1851E, NELLA COSTELLAZIONE DELLA COLOMBA, È IL BUCO NERO PIÙ LEGGERO O LA STELLA DI NEUTRONI PIÙ PESANTE?

Un articolo pubblicato oggi su Science ci svela la presenza di un oggetto dalla natura misteriosa all’interno dell’ammasso globulare NGC 1851, visibile nella costellazione della Colomba a oltre 39 mila anni luce dalla Terra. Di cosa si tratta? Un team internazionale di astronomi, guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e a cui partecipano anche ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha sfruttato la sensibilità delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT per scoprire un oggetto massiccio dalle caratteristiche uniche: è più pesante delle stelle di neutroni più pesanti conosciute e allo stesso tempo è più leggero dei buchi neri più leggeri trovati finora. Altro particolare non di poca rilevanza: l’indagato speciale è in orbita attorno a una pulsar al millisecondo in rapida rotazione. Questa potrebbe essere la prima scoperta del tanto ambito sistema binario radio pulsar – buco nero: una coppia stellare che consentirebbe nuovi test della teoria della relatività generale di Einstein.

Rappresentazione artistica del sistema NGC 1851 partendo dal presupposto che la stella compagna massiccia sia un buco nero. La stella sullo sfondo, la più luminosa, è la sua compagna orbitale, la radio pulsar NGC 1851E. Le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: Daniëlle Futselaar (artsource.nl)
Rappresentazione artistica del sistema NGC 1851 partendo dal presupposto che la stella compagna massiccia sia un buco nero. La stella sullo sfondo, la più luminosa, è la sua compagna orbitale, la radio pulsar NGC 1851E. Le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: Daniëlle Futselaar (artsource.nl)

Luminose e intermittenti come dei potenti fari cosmici puntati verso la Terra, le pulsar sono stelle di neutroni, ossia i resti compatti (una ventina di chilometri di diametro) ed estremamente densi, derivati da potenti esplosioni di supernova. La teoria mostra che deve esistere una massa massima per una stella di neutroni. Il valore di tale massa massima non è noto con precisione, ma esistono indicazioni sperimentali che almeno fino ad una massa totale pari a circa 2,2 volte la massa del Sole, la stella continua comunque ad essere una stella di neutroni.  D’altro canto, molteplici evidenze osservative indicano che i buchi neri (oggetti così densi e compatti per cui nemmeno la luce può allontanarsi da essi) si formano dal collasso che ha luogo alla fine della evoluzione di stelle molto più massicce di quelle che producono le stelle di neutroni. In questo caso la massa minima osservata finora per il nascente buco nero è circa 5 volte la massa del Sole. Bisogna allora domandarsi quale tipo di oggetto compatto si formi nell’intervallo di masse fra 2,2 e 5 volte la massa del Sole, in quello che i ricercatori chiamano “gap di massa per i buchi neri”: una stella di neutroni estremamente massiccia, un buco nero estremamente leggero o altro? Ad oggi non esiste una risposta chiara.

Nell’ambito delle due collaborazioni internazionali “Transients and Pulsars with MeerKAT” (TRAPUM) e “MeerTime”, gli esperti sono stati in grado prima di rilevare e poi di studiare ripetutamente i deboli impulsi provenienti da una delle stelle dell’ammasso, identificandola come una pulsar radio, un tipo di stella di neutroni che gira molto rapidamente ed emette onde radio nell’Universo come un faro cosmico. Questa pulsar, denominata NGC 1851E (ossia la quinta pulsar nell’ammasso globulare NGC 1851), ruota su se stessa più di 170 volte al secondo, e ogni rotazione produce un impulso ritmico, come il ticchettio di un orologio.

Spiega Ewan Barr, dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e primo autore (assieme alla dottoranda dello stesso istituto Arunima Dutta) dello studio:

“Il ticchettio di questi impulsi è incredibilmente regolare. Osservando come cambiano i tempi dei ticchettii, tramite una tecnica chiamata pulsar timing, siamo stati in grado di effettuare misurazioni estremamente precise del moto orbitale di questo oggetto”.

L’estrema regolarità degli impulsi osservati ha permesso anche una misurazione molto precisa della posizione del sistema, dimostrando – tramite osservazioni col telescopio spaziale Hubble – che l’oggetto in orbita attorno alla pulsar non era una normale stella, bensì un residuo estremamente denso di una stella collassata. Inoltre, il fatto che l’orbita stia progressivamente cambiando l’orientamento rispetto a noi (un effetto chiamato tecnicamente “precessione del periastro” e previsto dalla relatività generale) ha mostrato che la compagna ha una massa che era contemporaneamente più grande di quella di qualsiasi stella di neutroni conosciuta e tuttavia più piccola di quella di qualsiasi buco nero conosciuto, posizionandola esattamente nel gap di massa dei buchi neri.

Le antenne del radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica. Crediti: SARAO
Le antenne del radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica. Crediti: SARAO

Alessandro Ridolfi, primo autore della scoperta di NGC 1851E (conosciuta anche col nome alternativo PSR J0514-4002E), nel 2022, co-autore della pubblicazione su Science, nonché postdoc presso l’INAF di Cagliari, sottolinea:

“Sin dalle prime osservazioni successive alla scoperta, questo sistema binario mostrava caratteristiche peculiari, in particolare per quanto riguarda l’elevata massa della stella compagna. Ulteriori osservazioni hanno evidenziato che si trattava addirittura di un sistema unico, con una stella compagna avente una massa in quella che per ora è la “terra di nessuno” per gli oggetti compatti, ovverosia quell’intervallo di masse per le quali la teoria non è oggi in grado di stabilire se si abbia a che fare con un buco nero leggero o una stella di neutroni pesante”.

Ridolfi è uno dei vincitori del bando “Astrofit-INAF” e lavora alla ricerca di nuove pulsar esotiche ospitate in ammassi globulari.

Potenziale storia della formazione della radiopulsar NGC 1851E e della sua stella compagna. Crediti: Thomas Tauris (Aalborg University / MPIfR)
Potenziale storia della formazione della radiopulsar NGC 1851E e della sua stella compagna. Crediti: Thomas Tauris (Aalborg University / MPIfR)

Cristina Pallanca, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, prosegue:

“Se si rivelerà essere un buco nero, avremo individuato il primo sistema binario composto da una pulsar e un buco nero, una sorta di Santo Graal dell’astronomia. Grazie ad esso avremo un’opportunità senza precedenti per testare con altissima precisione la teoria della relatività generale di Albert Einstein e, di conseguenza, per comprendere meglio le proprietà fisiche dei buchi neri”.

E aggiunge Marta Burgay, un’altra ricercatrice di INAF-Cagliari coinvolta nel progetto:

“Se invece si trattasse di una stella di neutroni, la sua massa elevata imporrà nuovi vincoli alla natura delle forze nucleari, vincoli che non si possono ottenere con nessun esperimento di laboratorio”.

Il sistema si trova nell’ammasso globulare NGC 1851, un denso insieme di vecchie stelle molto più fitte rispetto alle stelle del resto della Galassia. Mario Cadelano, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, lo descrive:

“Un sistema binario così non poteva che crearsi in un ambiente altrettanto straordinario: l’ammasso globulare NGC 1851 è un insieme di centinaia di migliaia di stelle mantenute unite dalla loro stessa forza di gravità, formatosi circa 13 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva appena 800 mila anni e la nostra Galassia stava attraversando le prime fasi di formazione. All’interno degli ammassi globulari, le stelle interagiscono continuamente durante il corso della loro vita: si scambiano energia, collidono, si uniscono in nuovi sistemi binari e così via. Il nucleo di NGC 1851 è dinamicamente molto attivo, anche più rispetto a quello di altri ammassi globulari, e questo ha favorito la formazione del sistema binario unico nel suo genere che abbiamo scoperto”.

Le regioni centrali di NGC 1851 sono così affollate che le stelle possono interagire tra loro, sconvolgendo le loro orbite e nei casi più estremi scontrandosi. Si ritiene che sia stata una di queste collisioni tra due stelle di neutroni a creare l’oggetto massiccio che ora orbita attorno alla radio pulsar. Tuttavia, prima che venisse creata l’attuale binaria, la radio pulsar deve aver acquisito materiale da un’altra stella in una cosiddetta binaria a raggi X di piccola massa. Un tale processo di “riciclaggio” è necessario per riportare la pulsar alla velocità di rotazione attuale.

La scoperta di questo oggetto misterioso mette in luce le potenzialità degli strumenti utilizzati in questa survey e delle antenne che arriveranno nel futuro. Andrea Possenti, ricercatore anch’egli presso la sede sarda dell’INAF, commenta:

“Questa scoperta è l’apice degli studi finora condotti, grazie al sensibilissimo telescopio MeerKAT, sulle pulsar negli ammassi globulari, un campo di ricerca dove INAF, tramite il gruppo di Cagliari, ricopre dall’inizio un ruolo primario. Ruolo importante sia sul fronte della ricerca di nuove pulsar, 87 quelle scoperte fino ad oggi con il solo radiotelescopio sudafricano, sia ai fini dello studio di quelle note. Il bello è che c’è ancora tanto da scoprire in questi densi sistemi stellari, sia con le osservazioni a MeerKAT, sia, ancor più, con l’avvento del rivoluzionario radiotelescopio SKA. Senza contare – conclude Possenti – che collisioni fra stelle di neutroni come quella ipotizzata per spiegare l’origine di questo sistema potrebbero costituire ulteriori eventi, rari ma di grande interesse, per telescopi per onde gravitazionali, come Virgo, Ligo e il futuro Einstein Telescope”.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “A pulsar in a binary with a compact object in the mass gap between neutron stars and black holes”, di  E. Barr, Arunima Dutta, Paulo C. C. Freire, Mario Cadelano, Tasha Gautam, Michael Kramer, Cristina Pallanca, Scott M. Ransom, Alessandro Ridolfi, Benjamin W. Stappers, Thomas M. Tauris, Vivek Venkatraman Krishnan, Norbert Wex, Matthew Bailes, Jan Behrend, Sarah Buchner, Marta Burgay, Weiwei Chen, David J. Champion, C.-H. Rosie Chen, Alessandro Corongiu, Marisa Geyer, Y. P. Men, Prajwal V. Padmanabh, Andrea Possenti, è stato pubblicato sulla rivista Science.

 

 

Testo e immagini dagli Uffici Stampa INAF e Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

ANCHE I PINGUINI AFRICANI SI RICONOSCONO DAL “TIMBRO DELLA VOCE”

Uno studio dell’Università di Torino sulla comunicazione acustica dei pinguini africani descrive i meccanismi e le strutture anatomiche coinvolte nella produzione dei segnali vocali, evidenziando convergenze evolutive con i mammiferi e l’uomo.

Mercoledì 11 ottobre – Sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B, è stato pubblicato un nuovo articolo sulla comunicazione vocale nei pinguini. L’articolo è frutto di una collaborazione tra due dipartimenti dell’Università di Torino (DBIOS e Scienze Veterinarie), l’Università Jean-Monnet (Francia), l’Università UWC (Sudafrica) e la Fondazione SANCCOB.

Utilizzando una combinazione di tecniche di diagnostica per immagini, modellistica computazionale e registrazioni in vivo, un gruppo di ricercatori guidato dal Prof. UniTo Livio Favaro e dalla Dott.ssa Anna Zanoli ha scoperto che i pinguini africani utilizzano le risonanze dei condotti vocali per codificare nei segnali acustici le informazioni che permettono loro di riconoscersi individualmente. Un meccanismo evolutivamente analogo a quello che utilizzano i mammiferi e l’uomo stesso, per riconoscersi dal timbro della voce.

Tra i pinguini, il pinguino africano (Spheniscus demersus) è una specie modello ideale per studiare come le risonanze del tratto vocale codificano informazioni biologicamente rilevanti. Infatti, questa specie è monogama, fortemente territoriale e, a causa delle pressioni selettive e allo stile di vita coloniale, è stato riscontrato che i richiami di contatto e i canti riproduttivi (ecstatic display songs) variano significativamente tra gli individui, permettendo loro di riconoscersi tra “vicini di nido” e membri di una coppia.

I pinguini africani (Spheniscus demersus) si riconoscono dal timbro della voce. Gallery

Le vocalizzazioni dei pinguini sono prodotte da uno specifico organo chiamato “siringe”, al cui interno, delle membrane vengono messe in vibrazione al passaggio dell’aria, generando un segnale periodico caratterizzato dalla frequenza fondamentale (corrispondente alla velocità di vibrazione delle membrane) e dalle relative componenti armoniche. Tale segnale passa poi nella trachea e nella bocca, dove viene modificato in base alle frequenze di risonanza (dette formanti) di queste cavità anatomiche. 

Gli autori dello studio hanno registrato numerosi pinguini africani nell’aprile 2019 presso la Southern African Foundation for the Conservation of Coastal Birds (SANCCOB) di Città del Capo, in Sudafrica. Contestualmente, hanno studiato l’apparato vocale di altri individui adulti trovati morti lungo le coste della provincia sudafricana di Western Cape. In particolare, iniettando della gomma siliconica catalizzata, è stato ottenuto un calco preciso dell’intero apparato fonatorio. I calchi sono stati successivamente trasportati al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino, dove sono stati sottoposti a Tomografia Assiale Computerizzata (TAC). Infine, presso il DBIOS e utilizzando il centro di calcolo interdipartimentale c3s UniTo, sono stati costruiti modelli computazionali a partire dai risultati della TAC e dalle registrazioni degli animali in vivo.

I ricercatori hanno dimostrato che, nel pinguino africano, leggere variazioni della lunghezza e della sezione trasversale delle regioni tracheali e della cavità laringofaringea causano un ampio spostamento nelle formanti delle vocalizzazioni. Tali regioni possono quindi svolgere un ruolo cruciale nel determinare il pattern formantico delle vocalizzazioni e, di conseguenza, nel determinare l’identità vocale degli individui, analogamente a quanto avviene nelle cavità nasali e nella cavità orale dei mammiferi e dell’uomo stesso.

“I nostri risultati – suggerisce il Prof. Livio Favaro, biologo marino e coordinatore della ricerca sui pinguini africani presso l’Università di Torino – sottolineano come le frequenze di risonanza dei condotti vocali possano essere utilizzate per riconoscersi tra individui in numerosi altri vertebrati oltre all’uomo e ai mammiferi.”

“Le tecniche di diagnostica per immagini – continua il Prof. Alberto Valazza, co-autore dello studio e docente di clinica chirurgica veterinaria – possono contribuire enormemente alla caratterizzazione dell’apparato fonatorio degli uccelli, finora largamente inesplorato.”

Infine, i ricercatori hanno notato una mancanza di correlazione tra le frequenze di risonanza del condotto vocale e la dimensione dei pinguini. 

“Per quanto ne sappiamo – aggiunge la Dott.ssa Anna Zanoli, etologa e prima autrice dello studio – la mancanza di correlazione tra frequenze formanti e dimensioni dello scheletro è stata riportata anche nei pinguini di Humboldt e di Magellano, il gabbiano reale e il re di quaglie.”

Nell’uomo, tale assenza di correlazione è frutto della discesa della laringe nel condotto vocale come prerequisito per lo sviluppo del linguaggio. 

“I risultati del nostro studio – sottolinea il Prof. Marco Gamba, zoologo ed esperto in bioacustica comparata – forniscono ulteriori evidenze che in altri tetrapodi oltre all’uomo ci si possa aspettare una debole relazione tra le formanti e le dimensioni del corpo.” 

“Questo è particolarmente evidente – continua il Prof. David Reby, docente di etologia presso l’Università Jean Monnet di Saint-Étienne – quando si esaminano individui dello stesso sesso e della stessa classe di età.”

Negli uccelli, questa condizione potrebbe essere ancestrale e diffusa al di là delle specie (es. cigni e gru) nelle quali è noto un allungamento “sproporzionato” della trachea rispetto alle dimensioni corporee.

 

“Le frequenze formanti e le dimensioni dello scheletro sono indipendenti nel pinguino africano – conclude la Prof.ssa Frine Scaglione, co-autrice e anatomo patologa veterinaria – perché lo scheletro non vincola anatomicamente la trachea.”

Lo studio della comunicazione vocale nel pinguino africano, infine, si auspica possa contribuire allo sviluppo di sistemi di monitoraggio acustico passivo delle colonie in natura. Questa specie, infatti, è fortemente minacciata di estinzione e la comunità scientifica internazionale è al lavoro per sviluppare sistemi di monitoraggio non invasivo, che possano contribuire alla sua gestione e conservazione.

Testi, video, audio e immagini dall’Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

PROGETTO SKA: LA CERIMONIA DI INIZIO LAVORI IN AUSTRALIA E SUDAFRICA

Al via oggi le celebrazioni dell’Osservatorio SKA per l’inizio della costruzione di quello che sarà il più grande radiotelescopio al mondo. Assegnati contratti per un totale di 450 milioni di euro. L’Italia con l’INAF è in prima linea nel progetto. Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini commenta:

“Sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia”.

Dopo oltre 30 anni di ideazione, progettazione e test, il progetto SKA è ufficialmente una realtà. Hanno avuto luogo oggi, in Australia e in Sudafrica, le cerimonie ufficiali di inizio lavori per quello che sarà il radiotelescopio più importante al mondo. Durante le celebrazioni è stato dato anche l’annuncio dell’assegnazione di 4 grandi contratti del valore di oltre 300 milioni di euro. I gruppi di antenne denominati SKA-Low e SKA-Mid costituiranno le due reti di radiotelescopi più grandi e complesse mai costruite. Promosso dall’Osservatorio SKA (SKAO), questo radiotelescopio è considerato da molti uno degli sforzi scientifici globali più ambiziosi del 21° secolo, coinvolgendo sedici Paesi in cinque continenti. L’Italia vanta una lunga tradizione nel campo della radioastronomia e tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) è una delle prime nazioni ad aver preso parte al progetto. Grazie alla leadership dell’INAF, tutta la comunità scientifica italiana godrà di un coinvolgimento trasversale in SKA.

Le cerimonie di inizio lavori hanno luogo quasi in contemporanea nei due continenti. La presidente del Consiglio di Amministrazione di SKAO, Catherine Cesarsky, si è recata nella provincia di Northern Cape per rappresentare l’Osservatorio in Sudafrica presso il sito del futuro telescopio a media frequenza (SKA-Mid). Il direttore generale di SKAO, Phil Diamond, ha partecipato invece a una cerimonia simile in Australia occidentale, dove sarà costruito il telescopio SKA-Low, costituito da antenne a bassa frequenza. Durante le cerimonie sono stati resi noti i nomi delle società che si sono aggiudicate i lavori per la realizzazione delle ampie infrastrutture che gestiranno i telescopi, così come le società – anche italiane – che parteciperanno alla realizzazione delle antenne e delle parabole. Presenti i rappresentanti dei governi locali e nazionali, i dirigenti dei partner locali di SKAO, il South African Radio-Astronomy Observatory (SARAO) e l’agenzia scientifica australiana CSIRO.

“Il radiotelescopio SKA non è più solo un progetto, ma una realtà”, sottolinea Anna Maria Bernini,  Ministro dell’Università e della Ricerca. “Il più grande radiotelescopio del mondo, con migliaia di antenne sparse su due continenti, è destinato a definire il nostro presente e il nostro futuro. È uno dei progetti più ambiziosi mai intrapresi finora e sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia. Fin dall’inizio, l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano grazie all’Istituto Nazionale di Astrofisica. L’Italia contribuisce al progetto non solo economicamente e in termini di tecnologia, ma, prima di tutto, attraverso le sue eccellenti risorse umane. Qualcosa in cui siamo leader. L’Osservatorio SKA è la dimostrazione che l’Italia ha tutte le risorse per partecipare a pieno titolo all’esplorazione spaziale da terra. È davvero un’impresa straordinaria. Stiamo compiendo un passo fondamentale verso una più ampia comprensione delle leggi che governano l’Universo. E forse anche verso l’espansione della nostra visione del mondo. Come direbbero i nostri antenati latini, “Per aspera ad astra”. I miei migliori auguri per una fruttuosa esplorazione”, conclude.

Il Consiglio di SKAO aveva dato il via libera all’inizio della costruzione 18 mesi fa, nel giugno 2021.In Sudafrica verranno installate 133 antenne a parabola di 15 metri di diametro, in aggiunta alle 64 antenne del telescopio MeerKAT già esistenti: le 197 antenne formeranno uno strumento in grado di captare segnali radio a media frequenza. L’Australia ospiterà un array di telescopi a bassa frequenza di 131.072 antenne, ciascuna alta due metri e a forma di albero di Natale. Il telescopio SKA-Low così composto rileverà segnali provenienti dal Cosmo con frequenze comprese tra 50 e 350 megahertz, mentre SKA-Mid rileverà quelli con frequenze comprese tra 350 megahertz e 15,4 gigahertz.

Nei prossimi 50 anni, gli scienziati di tutto il mondo useranno i telescopi SKA per rispondere a domande cruciali sulle prime fasi di vita dell’Universo e per svelare alcuni dei misteri più profondi dell’astrofisica. Le infrastrutture e le antenne SKA verranno costruite in più fasi e la prima, la cui spesa prevista è di 1,3 miliardi di euro, dovrebbe essere completata nel 2028. L’obiettivo finale è avere migliaia di parabole in Sudafrica e nei paesi partner africani e un milione di antenne in Australia.

Dall’inizio delle attività di costruzione globali nel luglio 2021, SKAO ha assegnato quasi 50 contratti per un valore di circa 450 milioni di euro (150 milioni assegnati finora e 300 milioni annunciati oggi durante le celebrazioni). L’approvvigionamento iniziale si è concentrato sullo sviluppo del software, appaltando società di servizi professionali per aiutare a supervisionare la costruzione e l’acquisto all’ingrosso dei componenti necessari. I quattro contratti annunciati oggi riguardano la costruzione delle infrastrutture in Australia e in Sudafrica e la produzione delle antenne a media e bassa frequenza.

Le aziende italiane hanno contribuito a progettare le antenne SKAO e a costruire i telescopi precursori. Si sono anche impegnate in applicazioni spin-off di nuove tecnologie. Nel corso degli anni,  tante realtà industriali italiane hanno collaborato al progetto fornendo supporto ai diversi gruppi di lavoro, nella fase di progettazione e nella produzione di alcuni prototipi. Nelle ultime settimane, diverse aziende italiane si sono aggiudicate contratti considerevoli per la realizzazione di parti e componenti delle antenne SKA-Mid e SKA-Low, e per la costruzione delle antenne SKA-Low.

La costruzione dei telescopi SKA richiederà otto anni e verranno consegnati in più fasi. Il primo importante traguardo dovrebbe essere raggiunto all’inizio del 2024 con il completamento di sei stazioni SKA-Low e delle prime quattro antenne SKA-Mid. Il completamento di due array è previsto intorno al 2028. I telescopi funzioneranno insieme come un telescopio unico, sfruttando la natura dei due array di radiotelescopi, tecnicamente chiamati interferometri, che consentono osservazioni anche con solo un sottoinsieme dell’intero array. I radioastronomi e i tecnici aspettano i primi notevoli risultati scientifici prima che i telescopi siano completati alla fine di questo decennio.

Marco Tavani, presidente dell’INAF, commenta entusiasta la partecipazione italiana: “Sono felice di confermare il nostro sostegno a questo fantastico progetto, uno sforzo internazionale che ci porterà a svelare i segreti dell’Universo. L’Italia fa parte del progetto SKA sin dall’inizio: dopo la creazione dell’organizzazione intergovernativa, e l’inizio della fase operativa,  siamo arrivati finalmente alle celebrazioni per l’inizio della costruzione dei telescopi nei due continenti. È un progetto molto ambizioso, e la comunità di radioastronomi e astrofisici italiana è fortemente coinvolta. Voglio assicurare all’Osservatorio SKA il supporto dell’Istituto Nazionale di Astrofisica per il proseguimento di questa fruttuosa collaborazione”.

Sin da subito con un ruolo di protagonista nel progetto, dal 2015 al 2018 l’Italia ha guidato i negoziati multilaterali che hanno portato all’istituzione dell’Osservatorio, dell’organizzazione intergovernativa (IGO) per la supervisione della costruzione della più grande rete di radiotelescopi al mondo. Il 24 maggio 2018, l’Italia è stata la prima nazione a siglare il testo del trattato internazionale (Convenzione). Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2019, durante una cerimonia ufficiale presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), i Ministri dei primi sei Paesi ad aver aderito hanno ufficialmente firmato il Trattato internazionale dando vita all’Osservatorio SKA (SKAO).

L’intero programma di sviluppo del progetto SKA prevede 12 ambiti tecnologici e l’INAF è attore di rilievo in 5 di questi: antenne a parabola, antenne a dipolo, gestione del telescopio, Central Signal Processor e un programma di sviluppo di strumentazione avanzata sui PAF. Sotto la guida dell’INAF, inoltre, l’Italia contribuisce alla definizione di tutti i casi scientifici del progetto SKA attraverso un’ampia partecipazione agli SKA Science Working Groups (SWG): dalla cosmologia ai test sulla relatività generale tramite lo studio delle pulsar, dall’evoluzione delle galassie allo studio dettagliato della nostra Galassia, dalle onde gravitazionali al magnetismo, passando per l’epoca della reionizzazione. Il personale di 15 strutture INAF e di 14 università italiane è coinvolto in 13 dei 14 SKA SWG: attualmente 6 di questi gruppi (Cosmology, Epoch of Reionization, Gravitational Waves, HI Galaxy Science, Magnetism, Our Galaxy) sono a leadership Italiana, mentre in 9 l’Italia ha ruoli di coordinamento.

Testo, video e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sull’Osservatorio SKA (SKAO).

BAMBINI DAI 5 AGLI 11 ANNI: IL VACCINO PFIZER-BIONTECH BNT162B2 (COMIRNATY) OFFRE UNA PROTEZIONE MODERATA DALLA VARIANTE OMICRON

Lo dimostra un ampio studio appena pubblicato su The New England Journal of Medicine condotto nella più grande organizzazione sanitaria israeliana, il Clalit Health Services, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Padova dell’Università di Harvard e dell’University College London

Lo studio è l’esito di una collaborazione internazionale tra Israele, Stati Uniti ed Europa, nell’ambito della Ivan e Francesca Berkowitz Family Living Laboratory Collaboration e del progetto VERDI, coordinato dall’Università di Padova e Fondazione Penta ONLUS e finanziato dal Programma europeo Horizon Europe.

 

Carlo Giaquinto
Carlo Giaquinto

Si tratta del primo studio di coorte sottoposto a una rigorosa valutazione critica da parte della comunità scientifica (peer review), che ha controllato le differenze tra i due gruppi di studio rispetto a numerose variabili, compresi fattori demografici, numero di patologie croniche e percezione individuale dello stato di malattia.

I risultati sono stati discussi nei giorni scorsi da ricercatori provenienti da più di 30 istituzioni scientifiche in vari Paesi del mondo, compreso Israele, Haiti, Stati Uniti, Sudafrica e Thailandia, nell’ambito dell’Assemblea Generale del progetto VERDI che si è tenuta a Padova al Museo di Storia della Medicina.

«Questo studio dal database di Clalit Health Services – dice Carlo Giaquinto, Professore Ordinario al Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova e Presidente della Fondazione Penta ONLUS, nonché coordinatore del progetto VERDI – mostra come i Real World Data, ovvero i dati sullo stato di salute di una popolazione raccolti nel corso della pratica medica corrente, possono essere utilizzati per fornire rapidamente una stima dell’efficacia di nuovi interventi terapeutici o profilattici, come la formulazione pediatrica del vaccino di Pfizer-BioNTech. Questi sono risultati importanti, in un contesto in cui le evidenze sull’efficacia della vaccinazione Covid-19 nella popolazione pediatrica sono limitate».

È uno dei primi grandi studi osservazionali che utilizza dati raccolti durante la pratica medica corrente, volto a valutare l’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech BNT162b2 (Comirnaty) nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni contro la variante Omicron. La ricerca ha confrontato la percentuale di effetti correlati al Covid-19 in 94.728 bambini vaccinati con un numero pari di bambini non vaccinati appaiati per 10 variabili diverse.

L’efficacia a breve termine del vaccino è risultata del 51% contro l’infezione da SARS-CoV-2 e del 48% contro la malattia sintomatica da Covid-19, sviluppata nell’intervallo di 7-21 giorni successivi alla seconda dose del vaccino. Una tendenza verso una maggiore efficacia è stata osservata nella fascia di età più bassa (5-6 anni) rispetto alla fascia di età più alta (10-11 anni) della popolazione in studio. Resta da determinare quanto questi risultati debbano essere attribuiti alla dose ridotta per la fascia d’età pediatrica e quanto invece alla capacità del vaccino di creare una risposta efficace contro il ceppo Omicron.

Studi precedenti avevano dimostrato che l’efficacia a breve termine del vaccino Pfizer-BioNTech nel prevenire il Covid-19 sintomatico da ceppo Delta era molto alta negli adolescenti e nei bambini, ma poco si sapeva della protezione nelle fasce di età più basse.

I ricercatori israeliani hanno studiato gli effetti della formulazione pediatrica del vaccino Covid-19 di Pfizer-BioNTech nel periodo compreso tra 23 novembre 2021 e 7 gennaio 2022, periodo in cui la variante Omicron (B.1.1.529) di SARS-CoV-2 è diventata dominante in Israele, uno dei primi Paesi a lanciare la campagna vaccinale per i bambini di età compresa tra 5 e 11 anni.

 

Testo e foto dall’Università degli Studi di Padova