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Milano-Bicocca, sviluppati nuovi rivelatori di radiazioni nanotecnologici efficienti e ultraresistenti a radioattività estreme

Efficienti, altamente scalabili e super resistenti in condizioni estreme. I ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con il centro ricerche ENEA e l’Università Jao Tong di Shanghai hanno realizzato materiali nanotecnologici perfettamente resistenti alle radiazioni che aprono a nuove frontiere nella fisica delle particelle, nella sicurezza nazionale e nell’esplorazione spaziale

 

Milano, 28 novembre 2022 – Un rivelatore di radiazioni altamente scalabile a base di nanoparticelle di perovskite utile per applicazioni in settori quali energia, spazio e diagnostica medica e capace di interagire con la radiazione ad alta energia in modo efficiente e duraturo e di resistere agli elevatissimi livelli di radioattività presenti all’interno dei reattori nucleari e dei grandi acceleratori di particelle. È il nuovo risultato della collaborazione tra Università di Milano-Bicocca, ENEA, Istituto dei Materiali per l’Elettronica e il Magnetismo (IMEM) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e Università Jiao Tong di Shanghai.

Frutto dello sforzo congiunto dei gruppi di ricerca del dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca guidati da Sergio Brovelli e Anna Vedda, il lavoro è stato pubblicato oggi su Nature Photonics con il titolo “Extreme γ-ray radiation hardness and high scintillation yield in perovskite nanocrystals” (DOI:10.1038/s41566-022-01103-x).

La rivelazione di radiazione ionizzante, come i raggi X, raggi gamma o di particelle elementari come i neutroni, è di fondamentale importanza in un gran numero di applicazioni tecnologiche e scientifiche, che vanno dalla sicurezza nazionale e industriale, alla fisica delle alte energie e al controllo delle centrali nucleari, dall’esplorazione spaziale fino alla diagnostica medica per immagini, in cui questo tipo di radiazioni sono alla base di esami diagnostici come TAC e PET.

Nell’ambito delle attività relative ai test con radiazioni gamma, ENEA ha messo in campo la facility Calliope del suo Centro Ricerche Casaccia (Roma). Unica in Europa nel campo della qualifica e dello studio della resistenza a radiazioni di materiali, componenti e sistemi biologici per ambienti ostili, Calliope ha consentito di condurre test fino a dosi assorbite estremamente elevate, con un controllo dosimetrico molto accurato.

Per queste tecnologie, sono necessari rivelatori di radiazioni facilmente scalabili su grandi volumi a basso costo, efficienti e stabili nel tempo anche in condizioni di elevata radioattività. Pensiamo ad esempio ai grandi acceleratori di particelle, dove i livelli di radiazione sono talmente elevati che gli esseri umani non possono accedervi. La capacità di mantenere alta efficienza di rivelazione in condizioni così proibitive è alla base della durata operativa degli esperimenti che hanno portato a scoperte sensazionali sull’origine dell’Universo. Lo stesso vale nelle sonde per l’esplorazione spaziale profonda e per lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione che richiedono monitoraggio costante ed accurato in ambienti con livelli di radioattività ostili.

Gli scintillatori sono materiali che emettono luce a seguito dell’interazione con raggi X, raggi gamma o altre particelle. Perché uno scintillatore soddisfi le caratteristiche di efficienza, resistenza e scalabilità richieste da questi ambiti tecnologici, è necessario che il materiale attivo sia composto da elementi pesanti che hanno grande probabilità di interagire con la radiazione, come il piombo, e che sia utilizzabile per lungo tempo al massimo della sua efficienza. Queste caratteristiche sono molto difficili da realizzare con gli scintillatori commerciali a base di cristalli monolitici massivi.

Gli scintillatori a base di materiali nanotecnologici innovativi offrono la possibilità di raggiungere questi traguardi e rappresentano l’ultima frontiera della rivelazione di radiazione ionizzante.

Sviluppati nuovi rivelatori di radiazioni nanotecnologici efficienti e ultraresistenti a radioattività estreme. Perovskite nella foto di Andrew Silver, USGS (https://library.usgs.gov/photo/#/item/51dc1900e4b0f81004b77ee6), in pubblico dominio

Tra questi, le perovskiti ad alogenuri di piombo sono candidati ideali per la rivelazione di radiazioni. Tuttavia, fino ad ora, il loro potenziale era fortemente limitato dal timore che le radiazioni ad alta energia ne danneggiassero la caratteristica struttura “morbida”.

Fondandosi sulle conoscenze trasversali presenti nel dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca, gli scienziati hanno dimostrato che le nanoparticelle di perovskite ad alogenuri di piombo mantengono la loro efficienza di scintillazione in condizioni estreme, paragonabili ai livelli di radiazione accumulati in un intero anno dalle pareti interne di un reattore nucleare o all’interno di Large Hadron Collider del CERN di Ginevra. Questa scoperta apre le porte alle nanotecnologie per lo sviluppo di rivelatori ad alte prestazioni per studi di frontiera nella fisica nucleare e per applicazioni in contesti inaccessibili con approcci tradizionali.
«Le nanoparticelle di perovskite sono materiali molto promettenti per la rivelazione di radiazione ionizzante – spiega Sergio Brovelli, professore ordinario di Fisica sperimentale di Bicocca – in quanto presentano la giusta composizione chimica, elevata efficienza di scintillazione e la possibilità di essere prodotte in grande quantità, a basso costo e con proprietà mirate; aspetti non realizzabili con i comuni scintillatori cristallini».
Tuttavia, fino ad oggi non si sapeva nulla sulla resistenza di questi materiali a livelli di radiazione elevati né erano state individuate strategie per la loro ottimizzazione.

 

«Per prima cosa, – continua Matteo Zaffalon, ricercatore del dipartimento di Scienza dei Materiali – insieme ai nostri partner di Shanghai, abbiamo messo a punto delle strategie chimiche che permettono di realizzare scintillatori con efficienze confrontabili con materiali commerciali».
«Grazie ai colleghi di Enea e CNR, abbiamo studiato le nanoparticelle prima e dopo l’esposizione a elevate dosi di radiazione e, non senza sorpresa, abbiamo riscontrato il perfetto mantenimento delle loro proprietà ottiche e strutturali» – prosegue Francesca Cova, ricercatrice co-autore dello studio.
«Al momento sono in fase di studio nanoscintillatori a base di questi materiali per gli esperimenti di fisica delle alte energie del CERN di Ginevra e per applicazioni radiometriche in ambienti ostili» – conclude Anna Vedda, direttore del dipartimento di Scienza dei materiali di Milano-Bicocca.

 

 

Il Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca nasce nel 1997 come primo in Italia focalizzato su materiali avanzati e nanotecnologie per ambiti applicativi di grande interesse strategico quali l’energetica, l’elettronica e la fotonica, la nanomedicina e la sensoristica. Il dipartimento, premiato come Dipartimento di Eccellenza dal Ministero dell’Università e della Ricerca italiano dispone di laboratori sperimentali e di calcolo scientifico di ultima generazione dedicati alla ricerca di base ed applicata e fortemente interconnessi con il tessuto industriale high-tech. Tre corsi di laurea triennale, un corso di laurea magistrale e un dottorato di ricerca costituiscono l’ampia offerta didattica di Scienza dei Materiali che mira a formare giovani professionisti con competenze multidisciplinari a forte carattere innovativo sia in fisica che in chimica, adatte alle esigenze contemporanee del mercato del lavoro.

 

CALLIOPE (Centro Ricerche ENEA Casaccia – Roma) – Utile per numerose applicazioni nei settori spazio, energia, fisica delle alte energie e beni culturali, la facility Calliope è tra le eccellenze del programma ASIF (ASI Supported Irradiation Facilities) – network di primo livello delle facilities di irraggiamento a servizio della comunità spaziale nazionale ed internazionale secondo gli standard dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) – e di AIDA 2020, l’infrastruttura avanzata europea del CERN dedicata a rivelatori e acceleratori.
L’ENEA è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca, all’innovazione tecnologica e alla prestazione di servizi avanzati alle imprese, alla pubblica amministrazione e ai cittadini, nei settori dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico sostenibile.

 

L’Istituto dei Materiali per l’Elettronica ed il Magnetismo (Imem) fa parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e sviluppa attività di ricerca interdisciplinare nell’ambito della scienza dei materiali, che comprendono metodi avanzati di preparazione e caratterizzazione dei materiali e tecnologie di realizzazione di dispositivi, concepiti con l’obiettivo di esplorare e dimostrare le proprietà funzionali dei materiali stessi, nei settori dell’energia, della sensoristica per IOT e sviluppo economico sostenibile e della bio-nano-medicina.
Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca.

COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo

Un nuovo studio del team di ricercatori del dipartimento di Scienze biomediche della Statale evidenzia la prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1.
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COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo. Foto di Tumisu

Nuovo studio sul COVID-19 dell’equipe guidata dalla ricercatrice Alessia Lai e dai docenti dell’Università Statale di Milano, Massimo Galli, Claudia Balotta e Gianguglielmo Zehender del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” e del Centro di Ricerca Coordinata Epidemiologia e Sorveglianza Molecolare delle Infezioni dell’Università Statale di Milano (EpiSoMI). Dalla caratterizzazione di 59 nuovi genomi virali italiani, emerge la schiacciante prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1 nella nostra epidemia (arrivato in Germania da Shanghai). Un solo genoma deriva invece dalla linea evolutiva di diretta importazione da Wuhan.
I nuovi dati incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia finora.

La nuova ricerca, frutto di un’estesa collaborazione tra il Laboratorio di Malattie Infettive dell’Università Statale di Milano e più di 10 tra Centri Clinici e Università del Centro e Nord Italia (tra cui Bergamo, Brescia, Cremona, Milano, Padova, Ancona, Siena) definisce con un numero maggiore di sequenze, su un’area geografica non limitata alla Lombardia e una temporizzazione più ampia, la dinamica evolutiva e le caratteristiche epidemiologico molecolari del virus SARS-CoV-2 in Italia.

Nel corso dello studio è stato possibile effettuare la caratterizzazione molecolare di 59 nuovi genomi virali ottenuti da pazienti Italiani dai primi giorni dalla manifestazione dell’epidemia fino alla seconda metà di aprile, quando la curva epidemica ha iniziato a declinare. I nuovi genomi virali studiati, che vengono messi a disposizione della comunità scientifica nelle banche dati pubbliche, incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia da infezioni autoctone disponibili ad oggi.

Dall’indagine emerge la netta prevalenza in Italia di un singolo lignaggio virale (e di suoi lignaggi discendenti) ascrivibile, secondo uno dei sistemi di classificazione più largamente impiegati, al lignaggio B.1 e correlabile al primo cluster Europeo, che ha avuto luogo in Germania attorno al 20 gennaio ed è stato causato dalla documentata importazione di un ceppo circolante a Shanghai.

Un po’ misteriosamente, un solo isolato, ottenuto da un paziente italiano residente in Veneto, che non ha riferito viaggi recenti o contatti con persone provenienti dalla Cinasi è rivelato appartenere invece al lignaggio ancestrale B, simile quindi all’isolato giunto in Italia alla fine di gennaio per diretta importazione dalla città di Wuhan con i due turisti cinesi poi assistiti allo Spallanzani.

La divergenza tra gli isolati B.1 è risultata relativamente modesta, con differenza nucleotidica media di soli 6 nucleotidi, con alcune eccezioni.

Tutti i genomi ‘italiani’ mostrano la mutazione 614G nella proteina Spike, che caratterizza ormai la gran parte dei genomi virali isolati in Europa e al mondo, non solo quelli del ceppo B1 ma anche l’unico appartenente al ceppo B. La mutazione di Spike del lignaggio B era peraltro stata rintracciata in alcuni isolati in Thailandia, Turchia, Romania, Olanda ed Israele.

L’approccio filodinamico, che attraverso l’analisi della forma dell’albero filogenetico consente di stimare il tasso di crescita esponenziale o il numero riproduttivo effettivo (Re), ha mostrato che il virus era già presente in Italia i primi di febbraio, anche se la crescita esponenziale si è verificata tra la fine di febbraio e la metà di marzo, quando l’Re è passato da un valore iniziale prossimo a 1 a più di 2.3 e il tempo di raddoppiamento dell’epidemia si è ridotto da 5 a 3 giorni.

Solo nella seconda metà di marzo, l’analisi ha potuto evidenziare una lieve flessione dei valori di Re, probabilmente in relazione alla adozione delle misure di distanziamento sociale.

Lo studio dei ricercatori della Statale estende le osservazioni preliminari attuate nelle primissime fasi dell’epidemia ad un numero di sequenze e ad un periodo più ampio e permette di ipotizzare la diffusione largamente prevalente in Italia di un ceppo di SARS-CoV-2 originato verosimilmente da un’unica fonte iniziale di contagio e la sua successiva ulteriore differenziazione in sotto-lignaggi attualmente largamente diffusi in tutto il mondo. Il ruolo, anche se probabilmente minoritario o marginale, sostenuto da ceppi diversi dal prevalente merita tuttavia una più approfondita indagine su un più ampio campione, anche al fine di comprenderne l’origine e la reale diffusione in Italia.

 

 Testo sulla prevalenza in Italia del ceppo “Europeo” di COVID-19 dall’Università Statale di Milano