News
Ad
Ad
Ad
Tag

Sergio Campana

Browsing

GRB 230307A: JWST RIVELA ELEMENTI PESANTI NELL’ESPLOSIONE DI UNA KILONOVA

Il James Webb Space Telescope (JWST) ha svelato che il secondo lampo di raggi gamma più luminoso di sempre, osservato il 7 marzo 2023, ha avuto origine dalla fusione esplosiva di due stelle di neutroni. Il potente evento ha prodotto ed espulso nelle zone circostanti diversi elementi pesanti, tra cui il tellurio. Allo studio, pubblicato su Nature, hanno partecipato diversi ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e di altri istituti di ricerca e atenei italiani.

Un team internazionale di scienziati ha identificato l’origine di un potente lampo di raggi gamma (gamma-ray burst, o GRB) osservato lo scorso marzo: a generarlo è stata una kilonova, ovvero l’esplosione causata dalla fusione tra due stelle di neutroni. La ricerca è basata su osservazioni realizzate con il James Webb Space Telescope (JWST), che ha anche permesso di rilevare l’elemento chimico tellurio nel materiale espulso dalla potente esplosione. Il lampo, denominato GRB 230307A, è il secondo più luminoso mai scoperto in oltre 50 anni di osservazioni. È stato individuato il 7 marzo 2023 dal telescopio spaziale per raggi gamma Fermi, a cui ha fatto seguito il Neil Gehrels Swift Observatory, entrambi della NASA. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature.

“Il materiale in queste esplosioni è lanciato nello spazio a velocità molto elevate, causando una rapida evoluzione della luminosità e della temperatura del plasma in espansione”, afferma Om Sharan Salafia, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Milano, tra gli autori dello studio. “Con l’espansione, il materiale si raffredda e il picco della sua luce si sposta sempre più verso il rosso, per poi passare all’infrarosso su scale temporali che vanno da giorni a settimane”.

Le kilonove sono esplosioni estremamente rare, il che ne rende difficile l’osservazione. Per molto tempo, si è ritenuto che i GRB brevi, dalla durata inferiore a due secondi, derivassero da questi eventi, mentre i GRB più lunghi fossero associati alla morte esplosiva di una stella massiccia, o supernova. Il caso di GRB 230307A è peculiare: il lampo è durato 200 secondi, come i GRB di lunga durata, eppure le osservazioni di JWST indicano chiaramente che proviene dalla fusione di due stelle di neutroni. Oltre al tellurio, è probabile che nel materiale espulso nella kilonova  siano presenti anche altri elementi pesanti, vicini ad esso sulla tavola periodica, come ad esempio lo iodio, necessario per gran parte della vita sulla Terra.

Bright galaxies and other light sources in various sizes and shapes are scattered across a black swath of space: small points, hazy elliptical-like smudges with halos, and spiral-shaped blobs. The objects vary in colour: white, blue-white, yellow-white, and orange-red. Toward the centre right is a blue-white spiral galaxy seen face-on that is larger than the other light sources in the image. The galaxy is labelled “former home galaxy.” Toward the upper left is a small red point, which has a white circle around it and is labelled “GRB 230307A kilonova.
GRB 230307A è il secondo lampo di raggi gamma più luminoso di sempre, generato da una kilonova: elementi pesanti rilevati nell’esplosione. Immagine del lampo di raggi gamma GRB 230307A e la relativa kilonova (in alto a sinistra) realizzata con la fotocamera NIRCam a bordo del telescopio spaziale Webb. La galassia di colore bluastro in basso a destra è il luogo d’origine delle due stelle di neutroni che, dopo aver viaggiato per circa 120mila anni luce, hanno dato luogo all’esplosione. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI, A. Levan (IMAPP, Warw), A. Pagan (STScI)

La collaborazione di molti telescopi, sia a terra che nello spazio, ha permesso al team di raccogliere una gran quantità di informazioni su questo evento subito dopo il primo rilevamento, aiutando loro a individuare la sorgente nel cielo e a monitorare la sua luminosità nel tempo. Le osservazioni nei raggi gamma, nei raggi X, nell’ottico, nell’infrarosso e in banda radio hanno mostrato che la controparte ottica/infrarossa era debole, evolvendosi rapidamente e passando dal blu al rosso: i tratti distintivi di una kilonova. In particolare, la sensibilità di JWST nell’infrarosso ha aiutato gli scienziati a identificare l’origine delle due stelle di neutroni che hanno prodotto la kilonova: una galassia a spirale a circa 120mila anni luce dal luogo della fusione. I progenitori del poderoso evento erano due stelle massicce che formavano un sistema binario in questa galassia: le esplosioni che le hanno trasformate in stelle di neutroni, tuttavia, hanno espulso il sistema binario dalla galassia. Prima di fondersi e dare luogo alla kilonova, diverse centinaia di milioni di anni più tardi, hanno percorso un tragitto pari al diametro della Via Lattea.

Alla campagna osservativa ha partecipato anche il VST (VLT Survey Telescope), telescopio dell’INAF presso l’Osservatorio di Paranal, in Cile.

“Quando il GRB fu scoperto, non si conosceva ancora la sua controparte ottica, in quanto Swift non lo aveva osservato e quindi non si aveva idea della posizione esatta con precisione di arcosecondi, in modo da attivare il follow-up classico”

spiega il co-autore Luca Izzo, ricercatore presso l’INAF a Napoli e presso il Dark Cosmology Center, Niels Bohr Institute, Università di Copenhagen, in Danimarca.

“Avendo del tempo di osservazione al VST per un mio programma sulle galassie vicine, decisi di pianificare delle osservazioni per la ricerca della controparte nella notte a me riservata, due giorni dopo la scoperta del GRB. Queste osservazioni hanno identificato correttamente la controparte ottica poche ore dopo la prima conferma, ottenuta dalla ULTRACAM sul New Technology Telescope. Questo dimostra il contributo del VST nell’identificazione ottica di sorgenti ad alta energia e nel successivo follow-up e caratterizzazione. Una cosa che faremo sicuramente nel futuro immediato”.

 


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Heavy element production in a compact object merger observed by JWST”, di Andrew Levan, Benjamin P. Gompertz, Om Sharan Salafia, Mattia Bulla, Eric Burns, Kenta Hotokezaka, Luca Izzo, Gavin P. Lamb, Daniele B. Malesani, Samantha R. Oates, Maria Edvige Ravasio, Alicia Rouco Escorial, Benjamin Schneider, Nikhil Sarin, Steve Schulze, Nial R. Tanvir, Kendall Ackley, Gemma Anderson, Gabriel B. Brammer, Lise Christensen, Vikram S. Dhillon, Phil A. Evans, Michael Fausnaugh, Wen-fai Fong, Andrew S. Fruchter, Chris Fryer, Johan P. U. Fynbo, Nicola Gaspari, Kasper E. Heintz, Jens Hjorth, Jamie A. Kennea, Mark R. Kennedy, Tanmoy Laskar, Giorgos Leloudas, Ilya Mandel, Antonio Martin-Carrillo, Brian D. Metzger, Matt Nicholl, Anya Nugent, Jesse T. Palmerio, Giovanna Pugliese, Jillian Rastinejad, Lauren Rhodes, Andrea Rossi, Andrea Saccardi, Stephen J. Smartt, Heloise F. Stevance, Aaron Tohuvavohu, Alexander van der Horst, Susanna D. Vergani, Darach Watson, Thomas Barclay, Kornpob Bhirombhakdi, Elm e Breedt, Alice A. Breeveld, Alexander J. Brown, Sergio Campana, Ashley A. Chrimes, Paolo D’Avanzo, Valerio D’Elia, Massimiliano De Pasquale, Martin J. Dyer, Duncan K. Galloway, James A. Garbutt, Matthew J. Green, Dieter H. Hartmann, Páll Jakobsson, Paul Kerry, Chryssa Kouveliotou, Danial Langeroodi, Emeric Le Floc’h, James K. Leung, Stuart P. Littlefair, James Munday, Paul O’Brien, Steven G. Parsons, Ingrid Pelisoli, David I. Sahman, Ruben Salvaterra, Boris Sbarufatti, Danny Steeghs, Gianpiero Tagliaferri, Christina C. Th one, Antonio de Ugarte Postigo, David Alexander Kann, è stato pubblicato online sulla rivista Nature.

Testo dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

CON HUGO SCOPRIREMO I LAMPI GAMMA AGLI ALBORI DELL’UNIVERSO

In un articolo pubblicato ieri sulla rivista Nature Astronomy, un team internazionale guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) presenta un metodo per scovare i lampi di raggi gamma (GRB, dall’inglese gamma-ray burst) lontanissimi, sfruttando osservazioni combinate nella luce visibile e nel vicino infrarosso. I GRB sono fenomeni transienti impulsivi al centro di continue rivoluzioni scientifiche e l’INAF è impegnato sia sul piano osservativo-interpretativo che con la partecipazione a grandi missioni dallo spazio per rilevarli e studiarli. L’idea dei ricercatori è quella di costruire HUGO (High-redshift Universe GRB Observatory), un telescopio specificamente progettato e ideato per dare la caccia a GRB lontani nello spazio e quindi anche nel tempo, che potrebbero essere avvenuti anche oltre 13 miliardi di anni fa.

Con HUGO scopriremo i lampi gamma agli albori dell'universo: nell'immagine un GRB
Con HUGO scopriremo i lampi gamma agli albori dell’universo: nell’immagine un GRB

Ricerche con strumenti sempre più avanzati, come quelle effettuate con il telescopio spaziale James Webb della NASA, hanno permesso di scoprire e studiare galassie sempre più lontane arrivando fino all’alba dell’Universo. Queste galassie, la cui luce appare “arrossata” per effetto dell’espansione dell’Universo (il cosiddetto redshift, o spostamento verso il rosso), sono però molto deboli e difficili da studiare in dettaglio. Ecco allora che diventano decisivi in queste indagini i lampi gamma, esplosioni che rilasciano getti di materia con velocità prossime a quelle della luce. Si tratta di eventi incredibilmente energetici, che osserviamo come lampi estremamente luminosi nelle frequenze dei raggi gamma, così intensi da sopraffare qualsiasi altra sorgente di alta energia nel cielo. I lampi gamma della durata di qualche secondo o più sono associati all’esplosione di una stella di massa superiore ad almeno una decina di volte quella del Sole, giunta alla fine del suo ciclo evolutivo. Dopo la fase esplosiva iniziale, i GRB sono caratterizzati da una fase di declino, della durata di qualche giorno, chiamata afterglow, durante la quale sovrastano in luminosità la galassia che li ospita anche di 100 volte.

Per trovare GRB ad altissimo redshift, emesso in un’epoca in cui l’universo aveva un’età inferiore a un miliardo di anni, i ricercatori propongono di

“costruire un telescopio infrarosso con lo stesso grande campo di vista del Vera Rubin Observatory (VRO), che è un telescopio di 8,4 metri di diametro in fase avanzata di costruzione da parte di un consorzio americano in Cile. Questo nuovo telescopio, che noi abbiamo chiamato HUGO, dovrebbe avere un diametro di 3 o 4 metri e osservare esattamente gli stessi campi di VRO, allo stesso tempo (in tandem). Le sorgenti transienti rivelate con questo telescopio, e ‘non’ rivelate da VRO, sono con grande probabilità, GRB ad alto/altissimo redshift. Abbiamo stimato che si potrebbero osservare circa 10 GRB avvenuti oltre 12,8 miliardi di anni fa (con un valore di redshift maggiore di 6) e addirittura qualcuno emesso anche 13,2 miliardi di anni fa, quindi circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang (ovvero con un valore di redshift maggiore di 10)”, spiega Sergio Campana, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF di Milano “e la nostra tecnica apre le porte allo studio della reionizzazione e dell’evoluzione chimica dell’universo primordiale. Con un po’ di fortuna si potrebbero anche rivelare le primissime stelle che si sono accese”.

Rilevare lampi di raggi gamma così lontani nell’Universo è difficile: basti pensare che il satellite Swift, in quasi 18 anni di attività in orbita, ne ha scovati “solo” 9. Perché? I GRB lontani sono deboli e sono difficili da rivelare con i satelliti sensibili alla radiazione di alta energia. Una volta rivelati poi è difficile capire se provengano davvero dall’universo lontano o se non siano semplicemente dei GRB deboli nell’universo vicino.

“Questo è il punto: distinguere i GRB intrinsecamente deboli (e quindi vicini) da quelli deboli, perché lontani. L’Universo è opaco alla radiazione ottica proveniente da oggetti ad alto redshift, a causa dell’assorbimento dell’idrogeno lungo la linea di vista, e questo ci aiuta: per un GRB ad alto redshift non si vedrà nessun afterglow nelle immagini ottiche, mentre sarà rilevabile nelle immagini infrarosse, dove l’assorbimento dell’idrogeno è ininfluente. La condizione necessaria è che esista un potente telescopio a grande campo che possa osservare il cielo in banda ottica e in profondità. Quindi, transienti impulsivi visti in infrarosso e non visti in ottico sono candidati molto forti per provenire dall’universo lontano” aggiunge il ricercatore”.

E sottolinea: “La condizione necessaria per applicare la nostra idea è che esista un potente telescopio a grande campo che possa osservare il cielo in banda ottica in profondità, in modo da escludere i GRB vicini e deboli. Se si osserva un transiente infrarosso e alla stessa posizione e allo stesso tempo non si vede nulla, è fatta: abbiamo un convincente candidato GRB ad alto redshift. Questo telescopio ottico ora esiste: VRO. Sulle spalle di questo gigante si potrebbe costruire un telescopio infrarosso che ci apra le porte dell’universo primordiale”.

Gli esperti sostengono che l’astronomia infrarossa da terra con un telescopio medio-piccolo possa essere un modo economico e competitivo per studiare gli albori dell’Universo, al pari di costose e complesse missioni spaziali presenti e future. Campana conclude:

“Questa tecnica permette di puntare il dito in cielo e dire a tutti i grandi strumenti presenti e futuri (JWST, ELT, SKA, Athena): guardate là, in quel punto esatto c’è una delle prime galassie ‘normali’ che si sia formata nell’Universo lontano”.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo Finding high-redshift gamma-ray bursts in combined near-infrared and optical surveys, di S. Campana et al., è stato pubblicato online sulla rivista Nature Astronomy.

Testo e immagine dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)