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Riccardo Faccini

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Allo IEO una sonda “cerca-tumore” individua con precisione i tessuti tumorali da rimuovere nel corso degli interventi di chirurgia dei tumori neuroendocrini

Uno studio clinico condotto presso l’Istituto Europeo di Oncologia dimostra l’efficacia di un’innovativa sonda, sviluppata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dalla Sapienza Università di Roma, nell’individuare con precisione i tessuti tumorali da rimuovere nel corso degli interventi di chirurgia dei tumori neuroendocrini.

chirurgia sonda tumori
Immagine di Mohamed Hassan

Un team congiunto di medici, ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e di Sapienza Università di Roma, coordinato da Emilio Bertani della Divisione di Chirurgia dell’apparato digerente e Direttore dell’Unità di Chirurgia dei tumori neuroendocrini dello IEO, e Francesco Ceci Direttore della Divisione di Medicina Nucleare dello IEO, ha dimostrato con uno studio clinico che l’impiego di una innovativa sonda “cerca-tumore” migliora l’efficacia della chirurgia dei tumori neuroendocrini gastrointestinali.

La sonda oggetto dello studio costituisce uno strumento innovativo in grado di rilevare i positroni, particelle emesse da radiofarmaci come quelli comunemente utilizzati per eseguire una diagnostica PET. Il dispositivo, sviluppato da INFN e Sapienza, ha dimostrato un’elevata sensibilità nell’individuare cellule tumorali marcate con un radiofarmaco specifico per i tumori neuroendocrini. Una capacità che rende la sonda efficace nel guidare la mano del chirurgo esattamente alla sede della lesione, per quanto microscopica o in una posizione difficile. Lo studio condotto in IEO fra maggio 2022 e aprile 2023 su 20 pazienti ha infatti dimostrato che la nuova sonda è in grado rivelare le sedi di malattia con una sensibilità e specificità del 90%.

Grazie all’impiego della sonda le operazioni chirurgiche, sia tradizionale che con robot, risulteranno quindi più precise e conservative, in quanto sarà possibile rilevare con grande precisione la presenza di tessuti da rimuovere, evitando al contempo asportazioni inutili. In sintesi, la procedura prevede l’iniezione di una minima dose di radiofarmaco specifico per i tumori neuroendocrini che va selettivamente a posizionarsi sulle cellule tumorali.

“La chirurgia radioguidata – spiegano Francesco Collamati dell’INFN e Riccardo Faccini di Sapienza Università di Roma – fino ad oggi ha utilizzato le sonde a raggi gamma che non funzionano quando quello che si vuole rivelare è vicino ad organi che assorbono molto radiofarmaco, come per esempio nell’addome. Una sonda come quella da noi ideata, che rivela i positroni anziché i fotoni, permette di rivelare esattamente specifiche forme di tumore in zone del corpo dove sarebbe altrimenti impossibile individuarle. Grazie alla collaborazione con IEO, siamo riusciti a validare per la prima volta la sonda durante interventi chirurgici”.

Ideatore della possibilità di effettuare questa sperimentazione presso l’IEO è stato Francesco Ceci, Direttore della Divisione di Medicina Nucleare, nonché uno dei maggiori esperti del settore.

“Da sempre il mio focus di ricerca è stata la Teranostica, quella disciplina che unisce la diagnostica di ultima generazione con le terapie di precisione. Quando sono venuto a conoscenza di questo dispositivo ho subito intuito le incredibili potenzialità ed è iniziata una proficua collaborazione con il dott. Collamati. La vera innovazione di questa procedura chirurgica risiede nel somministrare ai pazienti durante l’intervento lo stesso radiofarmaco cancro-specifico usato per la diagnostica PET. Prima individuiamo con la PET le localizzazioni del tumore e poi utilizziamo la sonda per rimuoverle con grande accuratezza. Diagnosi e terapia, le basi della Teranostica, questa volta applicate alla chirurgia”.

“IEO è sempre più vicino all’obiettivo “chirurgia di precisione”, capace di asportare niente di più e niente di meno di ciò che è necessario per guarire – spiega Emilio Bertani, chirurgo della Divisione di Chirurgia dell’Apparato Digerente e coordinatore dello studio clinico – Anche il chirurgo più esperto in un caso su tre può lasciare della malattia residua, non visibile neppure alla PET perché localizzata ad esempio nei piccoli linfonodi vicini ai vasi mesenterici. La sonda beta è in grado di rilevare anche la minima presenza di cellule tumorali e nell’ 80% dei casi il chirurgo riesce a rimuoverle senza creare danni eccessivi. Il punto forte della procedura è che bilancia la capacità di trovare la malattia e la necessità di preservare tessuti vitali per il paziente”.

“È importante ricordare che per i Tumori Neuroendocrini la chirurgia è l’unica forma di cura radicale – continua Bertani – purtroppo però fino al 30% delle laparotomie non arrivano a sterilizzare il letto tumorale e dunque a controllare il tumore. Le metastasi linfonodali si ripresentano nel 10% dei casi. La nuova sonda rappresenta quindi un grande progresso e una speranza nel trattamento dei NET anche se occorre sottolineare che ciò che cambia il risultato non è tanto la tecnologia quanto la procedura. La sonda è efficace soltanto se è in mano a un chirurgo esperto”.

“Gli eccellenti risultati ottenuti sui tumori neuroendocrini ci incoraggiano ad estendere lo studio. È già in corso in IEO uno studio nel carcinoma prostatico, e abbiamo in programma di applicare la procedura con la sonda beta anche ad altri tumori gastrointestinali e ai tumori ginecologici” conclude Ceci.

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Una sonda per aiutare la chirurgia oncologica
A compiere un nuovo passo avanti verso una “chirurgia di precisione” sempre più sofisticata e ottimizzata sul paziente potrebbe contribuire una sperimentazione in-vivo su pazienti avviata nelle scorse settimane per validare una tecnica di chirurgia radioguidata con farmaci che emettono radiazione beta. La nuova tecnica, sviluppata dalla Sapienza Università di Roma e dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), è frutto della stretta collaborazione interdisciplinare tra fisici, chimici, radio-farmacisti, medici nucleari e chirurghi, e potrebbe diventare uno strumento aggiuntivo a supporto del chirurgo oncologico durante la rimozione dei tumori.

La chirurgia radioguidata è una tecnica che permette di identificare in tempo reale i residui tumorali. La tecnica consiste nel rivelare, grazie ad una sonda, la radiazione emessa da una sostanza radioattiva, un radiofarmaco contenente una specifica molecola che viene riconosciuta e metabolizzata dai recettori delle cellule tumorali. In questo modo è possibile verificare direttamente durante l’operazione se i tessuti analizzati siano tumorali o meno, e quindi guidare il chirurgo sulle sedi da rimuovere.
radiazioni alfa beta gamma sonda chirurgia oncologica
Immagine di Stannered / opera derivata: Ehamberg, CC BY 2.5

Il progetto si basa su un’idea iniziale, brevettata nel 2013 da Sapienza, INFN e Centro Fermi Museo della Scienza, che prevedeva l’utilizzo di radiazione beta-: un tipo di radiazione poco penetrante composta da elettroni, che però pone problemi di natura applicativa a causa della limitata disponibilità di radiofarmaci con questo tipo di emissione.

“Essendo particelle cariche, – spiega Riccardo Faccini, Professore Ordinario del Dipartimento di Fisica della Sapienza e attualmente Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, tra gli inventori della tecnica – gli elettroni di cui si compone la radiazione beta perdono velocemente la loro energia a seguito delle interazioni con le altre particelle cariche presenti in tutti i tessuti del corpo umano. Ciò determina l’impossibilità per gli elettroni di uscire dal paziente. Questa è la ragione che ci ha spinti a concepire uno strumento a cui i chirurghi avrebbero potuto far ricorso durante le operazioni, andandolo a posizionare direttamente sui tessuti da analizzare. Sebbene la procedura sia risultata efficace, le difficoltà di somministrazione, i costi elevati e la limitata diffusione dei farmaci beta-, ci hanno spinto a cercare soluzioni alternative più accessibili e sostenibili”.
Dopo studi condotti in collaborazione con l’Istituto Neurologico “Carlo Besta”, l’Istituto Europeo di Oncologia, il Leiden University Medical Center e il Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli, la scelta è quindi ricaduta sulla radiazione beta+, caratterizzata dall’emissione di un positrone, l’antiparticella dell’elettrone, e da due fotoni, usata quotidianamente nei reparti di medicina nucleare per gli esami diagnostici PET (Tomografia ad Emissione di Positroni).
“Mentre la radiazione beta-, alla luce delle sue caratteristiche, risulta poco adatta alle indagini diagnostiche – chiarisce Francesco Collamati, ricercatore della sezione INFN di Roma, attuale Principal Investigator dello studio -, i fotoni della radiazione beta+ sono in grado di attraversare senza ostacoli i tessuti del paziente, per essere infine rivelati da apparati diagnostici esterni. Da qui il diffuso utilizzo negli ospedali di farmaci beta+, che potranno quindi essere in parte utilizzati anche per la nostra tecnica.”
Nonostante la loro reperibilità, rispetto a quelli emettenti beta-, questi radiofarmaci presentano difficoltà legate all’abbondanza dei fotoni prodotti non solo nei tessuti malati, ma anche in tutte le aree del corpo raggiunte dalla molecola dopo la somministrazione, che possono disturbare i segnali rivelati dalla sonda.
“Per questa ragione risulta necessario continuare a effettuare test che consentano di comprendere e calibrare il dispositivo e di fornire ai medici indicazioni, per esempio, sui livelli di conteggi associati all’effettiva presenza di un tumore”, conclude Collamati.
Dopo anni di studi di fattibilità e test ex-vivo, effettuati cioè su campioni di tessuto asportati dai pazienti sottoposti a operazioni, recenti sperimentazioni sono ora in corso, con il prototipo sviluppato dalla NUCLEOMED S.r.l., presso lo IEO di Milano, dove sono studiate nel dettaglio le potenzialità della tecnica sia sui tumori Neuro-Endocrini del tratto gastro-intestinale (GEP-NET) che sui carcinomi prostatici, e l’Ospedale ‘Molinette della Città della Salute di Torino’, nel caso di tumori prostatici.Settore Ufficio stampa e comunicazione
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma