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Relatività Generale di Einstein

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UN ANELLO PERFETTO PER LA MISSIONE EUCLID: NGC 65o5 È LA PRIMA LENTE GRAVITAZIONALE FORTE

La missione Euclid dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha scoperto la sua prima lente gravitazionale forte: l’immagine di una galassia lontana che appare sotto forma di anello, grazie alla forza di gravità di una galassia molto più vicina a noi (NGC 6505) che si trova, casualmente, sulla stessa linea di vista. I risultati dello studio, guidato da una collaborazione internazionale a cui partecipano ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università di Bologna, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e di molti atenei italiani, sono stati pubblicati oggi su Astronomy & Astrophysics.

Immagine della galassia NGC 6505: l'anello di Einstein creato da questa lente gravitazionale si può vedere al centro dell'immagine
Immagine della galassia NGC 6505: l’anello di Einstein creato da questa lente gravitazionale si può vedere al centro dell’immagine. Crediti: ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre, T. Li 

Lanciata nel luglio del 2023, Euclid sta scansionando il cielo in profondità per costruire la più precisa mappa 3D mai realizzata dell’Universo, spingendosi fino a 10 miliardi di anni fa per studiare la storia cosmica e indagare i misteri delle enigmatiche materia oscura ed energia oscura. La missione, che vede un forte contributo italiano attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’INAF, l’INFN e numerosi atenei, deve raccogliere una enorme mole di dati per raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi scientifici. E tra questi dati si nascondono moltissime sorprese.

Una delle prime sorprese è la galassia NGC 6505, nota sin dalla fine dell’Ottocento e relativamente vicina a noi – la sua luce è partita “appena” 590 milioni di anni fa. Grazie a Euclid si è scoperto che questa galassia agisce come lente gravitazionale, deviando la luce proveniente da un’altra galassia molto più lontana, la cui luce è partita ben 4,42 miliardi di anni fa. Il risultato è un’immagine distorta di quest’ultima galassia: distorta al punto giusto da formare un anello perfetto. La ricerca è guidata da Conor O’Riordan dell’Istituto Max Plack per l’Astrofisica (Max Planck Institute for Astrophysics) di Monaco di Baviera, Germania.

Secondo la teoria della relatività generale di Einstein, i corpi dotati di massa “piegano” il tessuto dello spaziotempo che pervade l’Universo, deflettendo il percorso di qualsiasi altro oggetto nelle vicinanze, compresa la luce. Questo fenomeno, chiamato lensing gravitazionale, produce immagini distorte dei corpi celesti, proprio come quelle create da una comune lente d’ingrandimento. La missione Euclid userà il lensing gravitazionale nella sua forma “debole” per studiare l’invisibile materia oscura attraverso la sua influenza sulle immagini leggermente deformate di miliardi di galassie. In rari casi, per esempio quando galassie a diverse distanze da noi si trovano fortuitamente allineate, il lensing gravitazionale si manifesta nella sua forma più eclatante, detta “forte”, dando luogo a immagini multiple di una stessa galassia o eccezionalmente a un intero anello, detto anello di Einstein.

Dettagli dell'anello di Einstein, immagine distorta di una galassia lontana creata dalla lente gravitazionale NGC 6505.Crediti: ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre, T. Li
NGC 6505 è la prima lente gravitazionale forte scoperta dalla missione Euclid, lo studio è stato pubblicato su Astronomy & Astrophysics. Dettagli dell’anello di Einstein, immagine distorta di una galassia lontana creata dalla lente gravitazionale NGC 6505.
Crediti: ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre, T. Li

“Questa prima lente gravitazionale forte scoperta da Euclid ha caratteristiche uniche”, spiega Massimo Meneghetti, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, tra gli autori del nuovo studio. “È veramente raro poter trovare una galassia relativamente prossima a noi, come questa che si trova nel catalogo NGC (New galaxy catalog, uno dei cataloghi di galassie vicine), che agisca da lente gravitazionale forte. Galassie così vicine infatti non sono generalmente in grado di focalizzare la luce di sorgenti retrostanti e formare immagini multiple, a meno che non contengano enormi quantità di materia nelle loro regioni centrali. La formazione di anelli di Einstein completi come quello di NGC 6505 è un evento ancora più raro, perché richiede che la galassia lente e quella sorgente siano perfettamente allineate con il nostro telescopio. Per questi motivi, non ci aspettiamo che Euclid osserverà molte lenti come NGC 6505. Anche considerando la vasta area di cielo che verrà coperta nel corso della missione, ci aspettiamo di poter scoprire al massimo 20 lenti come questa”.

Questa lente gravitazionale è stata scoperta per caso, in una delle prime zone di cielo osservate da Euclid, analizzando i dati della fase di verifica della missione appena due mesi dopo il lancio, dall’astronomo Bruno Altieri dell’ESA: per questo il gruppo di ricerca l’ha soprannominata “lente di Altieri”. Benché la galassia NGC 6505 sia stata osservata per la prima volta nel 1884, l’anello di Einstein scoperto con Euclid non era mai stato notato prima, dimostrando le straordinarie capacità di scoperta della missione.

La distorsione indotta dal lensing gravitazionale dipende dalla distribuzione e dalla densità di materia della galassia che agisce da lente. Per questo motivo, analizzando la distorsione è possibile misurare la sua massa sia in termini di stelle che di materia oscura. In questo caso, inoltre, visto che l’anello di Einstein della lente di Altieri ha un raggio più piccolo rispetto a quello di NGC 6505, è stato possibile studiare accuratamente la composizione e la struttura delle regioni centrali, dove la materia oscura è meno prominente, e dove la galassia è dominata dalle stelle.

“Dato che il lensing gravitazionale è il metodo più preciso per misurare la massa, combinando il modello dell’anello di Einstein e della distribuzione di stelle della galassia, abbiamo potuto misurare che la frazione di massa composta da materia oscura al centro della lente è soltanto l’11 per cento”, spiega la co-autrice Giulia Despali, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, associata dell’INAF e dell’INFN. “Ricordiamo che la materia oscura costituisce circa l’85 per cento della materia totale del nostro Universo, quindi le regioni centrali delle galassie sono veramente particolari. Abbiamo infatti misurato le proprietà della galassia con estrema precisione, scoprendo una struttura complessa che varia con la distanza dal centro e stimando la funzione di massa iniziale, e cioè la proporzione di stelle di piccola e grande massa. Le nuove osservazioni di Euclid ci aiutano quindi a capire di più sia sull’Universo oscuro che sui processi di formazione ed evoluzione delle galassie”.

Se questa scoperta è avvenuta per caso, all’interno della collaborazione Euclid c’è un vasto gruppo dedicato alla ricerca di lenti gravitazionali, e ci si aspetta di trovarne oltre centomila nei 14mila gradi quadrati di cielo che saranno osservati nel corso della missione. Queste indagini sfruttano, da un lato, strumenti sofisticati come l’intelligenza artificiale, e dall’altro anche la citizen science, coinvolgendo il pubblico non esperto nell’ispezione visuale delle immagini, in collaborazione con la piattaforma Zooniverse. L’obiettivo è quello di realizzare una mappa dettagliata della distribuzione della materia, sia quella visibile che quella oscura, nelle galassie e negli ammassi di galassie a varie distanze dall’Universo locale per poter così studiare la natura e l’evoluzione nel tempo della materia oscura e dell’energia oscura.

Testo e immagini dagli Uffici Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Buchi neri: quale destino dopo la loro evaporazione?

Uno studio congiunto Sapienza-INFN ipotizza, attraverso complesse simulazioni numeriche, i possibili effetti del fenomeno di evaporazione dei buchi neri, la cui esistenza è stata prevista da Stephen Hawking. La ricerca è pubblicata sulla rivista Physical Review Letter.

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Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope. Foto modificata Event Horizon TelescopeCC BY 4.0

Il destino dei buchi neri potrebbe essere quello di evaporare fino a dischiudere le singolarità gravitazionali altrimenti celate dall’inviolabile barriera rappresentata dall’orizzonte degli eventi, oppure assumere una forma stabile e paragonabile ai più suggestivi oggetti previsti dalla Relatività Generale di Einstein, i wormholes. È questa una delle conclusioni a cui è giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), in collaborazione con una collega del Niels Bohr Institute danese, che, attraverso complesse simulazioni numeriche, ha esplorato per la prima volta, nell’ambito di una teoria della relatività generale modificata, i possibili esiti finali dell’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dal celebre fisico teorico Stephen Hawking. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, mette in evidenza l’importanza delle simulazioni numeriche (numerical relativity) per fornire nuove spiegazioni sul destino dei buchi neri, suggerendo al tempo stesso la possibilità di nuovi candidati di materia oscura formatisi alla fine della loro evaporazione nei primi istanti dell’universo.

Sebbene il regime di campo gravitazionale forte che li contraddistingue non consenta né alla materia, né alla luce, di liberarsi dalla loro oscura morsa, i buchi neri, a causa di effetti quantistici, evaporano emettendo radiazione termica in maniera continua. Descritta nel 1974 da Stephen Hawking, questa evaporazione comporterebbe il restringimento dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, un processo non ancora osservato, il cui stadio finale rappresenta a sua volta uno dei grandi misteri della fisica teorica. La dissoluzione del buco nero potrebbe infatti non costituire l’unico esito possibile dell’evaporazione, che potrebbe cambiare drasticamente a seconda delle condizioni gravitazionali durante il processo.

“La riduzione di un buco nero”, spiega Fabrizio Corelli, ricercatore del Dipartimento di Fisica della Sapienza associato INFN e primo autore dello studio, “potrebbe comportare l’avvicinarsi dell’orizzonte degli eventi verso la singolarità gravitazionale presente al suo interno, e quindi verso regioni dello spaziotempo di curvatura sempre maggiore. È quindi inevitabile che, durante l’evaporazione di Hawking, effetti gravitazionali legati all’alta curvatura dello spaziotempo diverrebbero via via sempre più rilevanti, al punto da modificare lo stadio finale dell’evaporazione. Proprio per questo è particolarmente interessante studiare questi fenomeni in una teoria di gravità modificata come quella da noi considerata.”

Imponendo le opportune correzioni alla Relatività Generale e facendo ricorso a complesse simulazioni numeriche, i ricercatori sono stati perciò in grado di ottenere per la prima volta alcuni possibili stati finali per il processo di evaporazione dei buchi neri. Tra i risultati discussi nell’articolo apparso su Physical Review Letter, c’è quello che suggerisce la comparsa di singolarità al di fuori dei loro orizzonti degli eventi. Scenario che si pone tuttavia in contrasto con il cosiddetto principio di “censura cosmica” di Roger Penrose, il quale ipotizza come la singolarità debba essere relegata all’interno del buco nero e non possa essere in comunicazione diretta con l’esterno. Una seconda alternativa riguarda invece la trasformazione dei buchi neri in wormholes, strutture capaci di collegare punti diversi dello spaziotempo, previste sulla base di alcune soluzioni esotiche delle equazioni della Relatività Generale, ma finora mai osservate, le cui caratteristiche potrebbero consentire di spiegare l’ancora sfuggente natura della materia oscura.

“I risultati di questo studio – conclude Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza e ricercatore INFN – mostrano che l’evaporazione di un buco nero in teorie con correzioni ad alta curvatura alla Relatività Generale potrebbe violare la censura cosmica. Le simulazioni evidenziano infatti come durante il processo di evaporazione le singolarità potrebbero uscire dal buco nero. Se confermato, questo implicherebbe la necessità di una teoria quantistica della gravitazione per spiegare il destino dei buchi neri. È comunque possibile che il destino dell’evaporazione di Hawking sia la formazione di un wormhole, un oggetto senza singolarità e senza orizzonte degli eventi che non evapora ulteriormente, rispettando così la congettura di Penrose. Se confermato, in questo scenario i buchi neri primordiali, formati nei primi istanti dell’universo, evaporerebbero fino a raggiungere una configurazione stabile, diventando così dei perfetti candidati per spiegare la materia oscura”.

Riferimenti:

What is the fate of Hawking evaporation in gravity theories with higher curvature terms? – Fabrizio Corelli, Marina De Amicis, Taishi Ikeda, Paolo Pani – Physical Review Letter  https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.130.091501

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

LISA e la scoperta di nuovi campi fondamentali 

Su Nature Astronomy lo studio pubblicato da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, e dai colleghi della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham e della Sapienza di Roma, che suggerisce un nuovo approccio per rilevare con grande accuratezza nuovi campi fondamentali e verificare la teoria della relatività generale grazie a LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale, che partirà come missione ESA – NASA nel 2037.

LISA campi fondamentali
Foto 1: Rappresentazione artistica della deformazione spazio-tempo di un EMRI. Un piccolo buco nero che ruota intorno ad un buco nero supermassiccio. (Credits: NASA)

La Relatività Generale di Einstein è la teoria corretta per i fenomeni gravitazionali? È possibile sfruttare tali fenomeni per scoprire nuovi campi fondamentali?

Il lavoro uscito oggi su Nature Astronomy, condotto da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, assieme a ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham, e della Sapienza Università di Roma, mostra che le osservazioni di onde gravitazionali da parte dell’interferometro spaziale LISA (Laser Interferometer Space Antenna) saranno in grado di rivelare la presenza di nuovi campi fondamentali con grande accuratezza.

Il campo gravitazionale è, secondo la Relatività Generale, espressione della curvatura dello spazio-tempo creata dalla presenza di massa o energia che altera lo spazio circostante.

Nuovi campi fondamentali associati alla gravità, in particolare quelli scalari, sono alla base di modelli teorici sviluppati per spiegare una grande varietà di scenari fisici. Potrebbero ad esempio fornire indizi sull’espansione accelerata dell’Universo o sulla materia oscura, oppure essere manifestazioni a bassa energia di una descrizione consistente e completa della gravità e delle particelle elementari.

Le osservazioni di oggetti astrofisici caratterizzati da campi gravitazionali deboli e piccole curvature spazio-temporali non hanno mostrato finora alcuna indicazione dell’esistenza di questi campi. Tuttavia, diversi modelli suggeriscono che deviazioni dalla Relatività Generale, o interazioni tra la gravità e nuovi campi, siano più rilevanti quando la curvatura dello spazio-tempo è molto grande. Per questa ragione, l’osservazione di onde gravitazionali – che ha aperto una nuova finestra sul regime di campo gravitazionale forte – rappresenta un’opportunità unica per scoprire nuovi campi fondamentali.

LISA campi fondamentali
Foto 2: EMRI: Sezione di un’orbita percorsa da un oggetto stellare attorno a un buco nero massivo (Credits: N. Franchini)

LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale sviluppato per osservare onde gravitazionali da sorgenti astrofisiche, permetterà di studiare nuove famiglie di sorgenti astrofisiche, diverse da quelle osservate da Virgo e LIGO, come gli Extreme Mass Ratio Inspirals (EMRI).

“Gli EMRI, sistemi binari in cui un oggetto compatto con massa stellare – un buco nero o una stella di neutroni – orbita attorno ad un buco nero milioni di volte più massivo del nostro Sole, sono infatti tra le sorgenti che ci si aspetta di osservare con LISA, e rappresentano un’arena preziosissima per studiare il regime di campo forte della gravità. – spiega Andrea Maselli, primo autore del paper – Il corpo più piccolo di un EMRI compie decine di migliaia di cicli orbitali prima di cadere nel buco nero supermassivo, emettendo così segnali di lunga durata che permettono di misurare anche le più piccole deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein e del modello standard delle particelle”.

Gli autori dello studio hanno sviluppato uno nuovo approccio per modellizzare il segnale emesso dagli EMRI, studiando per la prima volta in modo rigoroso se e come LISA possa scoprire l’esistenza di campi scalari accoppiati all’interazione gravitazionale, e misurare la carica scalare, una grandezza che quantifica il campo associato al corpo più piccolo del sistema binario.

Il nuovo approccio sviluppato è “agnostico” rispetto alla teoria che predice l’esistenza del campo scalare, poichè non dipende dall’origine della carica o dalla natura dell’oggetto compatto.  L’analisi mostra anche come future misure della carica scalare potranno essere tradotte in vincoli molto stringenti sulle deviazioni della Relatività Generale o del Modello Standard.

LISA, che partirà come missione ESA-NASA nel 2037, opererà in orbita attorno al Sole, in una costellazione di tre satelliti distanti milioni di chilometri l’uno dall’altro, osservando onde gravitazionali emesse a bassa frequenza, in una banda non accessibile agli interferometri terrestri a causa del rumore ambientale. Lo spettro visibile di LISA aprirà una nuova finestra sull’evoluzione degli oggetti compatti in una grande varietà di sistemi astrofisici del nostro Universo.

Riferimenti:

Detecting fundamental fields with LISA observations of gravitational waves from extreme mass-ratio inspirals – Andrea Maselli, Nicola Franchini, Leonardo Gualtieri, Thomas P. Sotiriou, Susanna Barsanti, Paolo Pani – Nature Astronomy DOI: https://doi.org/10.1038/s41550-021-01589-5

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Con l’European Pulsar Timing Array un altro passo verso l’osservazione di onde gravitazionali a bassissima frequenza
Pubblicato su MNRAS lo studio che ha visto in prima linea i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca
EPTA onde gravitazionali a bassissima frequenza
Con l’European Pulsar Timing Array un altro passo verso l’osservazione di onde gravitazionali a bassissima frequenza. Il logo dell’EPTA di Robert Ferdman, Sotirios Sanidas, CC BY-SA 3.0

 

Milano, 27 ottobre 2021 – L’European Pulsar Timing Array (EPTA) è una collaborazione scientifica che riunisce team di astronomi afferenti ai più grandi radiotelescopi Europei, e coordina gruppi di ricercatori specializzati nell’analisi dei dati e nella modellizzazione dei segnali di onde gravitazionali. Fra questi è presente il gruppo di astrofisica del Dipartimento di Fisica “Giuseppe Occhialini” dell’Università di Milano-Bicocca. L’EPTA ha recentemente pubblicato sulla storica rivista scientifica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society un’analisi dettagliata (“Common-red-signal analysis with 24-yr high-precision timing of theEuropean Pulsar Timing Array: Inferences in the stochasticgravitational-wave background search“; DOI: 10.1093/mnras/stab2833) di un segnale compatibile con il tanto ricercato fondo di onde gravitazionali proveniente da una popolazione cosmica di binarie di buchi neri supermassicci.
Sebbene non sia ancora possibile confermare l’origine gravitazionale del segnale, questo rappresenta un altro passo significativo nello sforzo di rivelare per la prima volta onde gravitazionali a bassissima frequenza, con frequenze dell’ordine di un miliardesimo di Hertz. Il segnale candidato è emerso da un’analisi dettagliata senza precedenti condotta utilizzando due metodologie indipendenti. Inoltre, il segnale presenta forti somiglianze con quello riscontrato da analisi di altri team.
Le pulsar sono stelle di neutroni molto compatte che emettono fasci di onde radio collimati  in direzione dei poli magnetici, in generale non allineati con l’asse di rotazione della stella creando un “effetto faro”. Se i fasci attraversano la nostra linea di vista, da terra osserviamo un impulso periodico molto preciso: un orologio che batte un tic ad ogni rotazione della pulsar. Un pulsar timing array (PTA) è un insieme di pulsar rotanti molto stabili, utilizzate come un enorme rivelatore galattico di onde gravitazionali. PTA, sensibile a onde gravitazionali con frequenze del miliardesimo di Hertz, è quindi un osservatorio complementare agli attuali rivelatori a terra LIGO/Virgo/Kagra, sensibili a frequenze comprese fra 10 Hz ad 1000 Hertz. Mentre questi ultimi rivelano le repentine collisioni di buchi neri di massa stellare e stelle di neutroni, un PTA può osservare onde emesse da sistemi binari di buchi neri supermassicci che spiraleggiano l’uno intorno all’altro al centro delle galassie. Il sovrapporsi di moltissimi di questi segnali, provenienti da una popolazione cosmica di binarie massicce, crea un cosiddetto “fondo stocastico” di onde gravitazionali.
«Possiamo misurare piccole fluttuazioni nei tempi di arrivo del segnale radio delle pulsar sulla Terra, causate dalla deformazione dello spazio-tempo dovuta al passaggio di un’onda gravitazionale. In pratica queste deformazioni si manifestano come una perturbazione a bassissima frequenza dei tempi di arrivo degli impulsi osservati, perturbazione comune a tutte le pulsar di un PTA», spiega il dottor Golam Shaifullah, ricercatore presso il Dipartimento di Fisica “Giuseppe Occhialini”, co-autore principale dello studio.
Tuttavia, l’ampiezza di questa perturbazione è incredibilmente piccola (stimata nell’ordine delle decine di miliardesimi di secondo) e può essere confusa o mascherata da tantissimi altri effetti fisici che possono creare piccole instabilità nel periodo di rotazione delle pulsar, elementi della rete PTA. Per convalidare i risultati sono stati quindi utilizzati più codici indipendenti con diverse tecniche statistiche per mitigare fonti alternative di rumore e identificare il segnale gravitazionale.
È importante sottolineare che nell’analisi sono state utilizzate due procedure “end-to-end” indipendenti per la verifica incrociata dei risultati. Inoltre, sono stati utilizzati tre metodi indipendenti per tenere conto dei possibili errori sistematici dovuti all’incertezza sulla conoscenza delle masse e posizioni dei corpi celesti nel sistema solare: incertezza che può indurre falsi positivi nella rivelazione del segnale stocastico di onde gravitazionali.
Le analisi svolte da EPTA con entrambe le procedure hanno riscontrato la presenza di un chiaro segnale candidato per un fondo stocastico gravitazionale, e le sue proprietà spettrali (ovvero come l’ampiezza della perturbazione osservata varia con la frequenza) rimangono all’interno delle aspettative teoriche per questo tipo di segnale.
Il dottor Nicolas Caballero, ricercatore presso il Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics di Pechino e co-autore principale, spiega: «L’EPTA ha trovato per la prima volta indicazioni di questo segnale nei dati precedentemente pubblicati nel 2015, ma poiché i risultati avevano maggiori incertezze statistiche, sono stati discussi rigorosamente solo come limiti superiori. I nostri nuovi dati ora confermano chiaramente la presenza di questo segnale, rendendolo un candidato per un fondo stocastico di onde gravitazionali».
La Relatività Generale di Einstein prevede una relazione molto specifica tra le deformazioni spazio-temporali sperimentate dai segnali radio provenienti da pulsar situate in diverse direzioni nel cielo. Gli scienziati la chiamano correlazione spaziale del segnale o curva di Hellings e Downs. Il suo rilevamento identificherà in modo univoco l’eventuale origine gravitazionale del segnale osservato.
«Al momento – nota il dottor Siyuan Chen, ricercatore all’LPC2E, CNRS di Orléans in Francia, co-autore principale dello studio – le incertezze statistiche nelle nostre misurazioni non ci consentono ancora di identificare la presenza della correlazione spaziale prevista per il segnale dovuto ad onde gravitazionali. Per ulteriori conferme dobbiamo includere i dati di più pulsar nell’analisi, tuttavia i risultati attuali sono molto incoraggianti».
L’EPTA è un membro fondatore dell’International Pulsar Timing Array (IPTA). Poiché anche le analisi dei dati indipendenti eseguite dagli altri partner IPTA (cioè gli esperimenti NANOGrav e PPTA) hanno indicato segnali comuni simili, è diventato fondamentale applicare più algoritmi di analisi per aumentare la confidenza in un possibile rilevamento futuro di questo fondo stocastico. I membri dell’IPTA stanno lavorando insieme, traendo conclusioni dal confronto delle analisi dei diversi dati per prepararsi al meglio per i prossimi passi.
Alberto Sesana, professore associato di Milano-Bicocca e membro dell’EPTA, conclude: «Il rilevamento di un fondo di onde gravitazionali proveniente da una popolazione di sistemi binari di buchi neri supermassicci o da altre sorgenti di origine cosmica fornirà informazioni uniche sui modelli cosmologici di evoluzione dell’Universo, imponendo forti vincoli al processo di aggregazione delle galassie come le vediamo oggi. Pertanto, stiamo intensificando i nostri sforzi aggiungendo i dati di nuove pulsar e rafforzando i controlli incrociati delle nostre analisi. Non c’è spazio per gli errori».
Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca, circa lo studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, altro passo verso l’osservazione di onde gravitazionali a bassissima frequenza.