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Buchi neri: quale destino dopo la loro evaporazione?

Uno studio congiunto Sapienza-INFN ipotizza, attraverso complesse simulazioni numeriche, i possibili effetti del fenomeno di evaporazione dei buchi neri, la cui esistenza è stata prevista da Stephen Hawking. La ricerca è pubblicata sulla rivista Physical Review Letter.

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Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope. Foto modificata Event Horizon TelescopeCC BY 4.0

Il destino dei buchi neri potrebbe essere quello di evaporare fino a dischiudere le singolarità gravitazionali altrimenti celate dall’inviolabile barriera rappresentata dall’orizzonte degli eventi, oppure assumere una forma stabile e paragonabile ai più suggestivi oggetti previsti dalla Relatività Generale di Einstein, i wormholes. È questa una delle conclusioni a cui è giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), in collaborazione con una collega del Niels Bohr Institute danese, che, attraverso complesse simulazioni numeriche, ha esplorato per la prima volta, nell’ambito di una teoria della relatività generale modificata, i possibili esiti finali dell’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dal celebre fisico teorico Stephen Hawking. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, mette in evidenza l’importanza delle simulazioni numeriche (numerical relativity) per fornire nuove spiegazioni sul destino dei buchi neri, suggerendo al tempo stesso la possibilità di nuovi candidati di materia oscura formatisi alla fine della loro evaporazione nei primi istanti dell’universo.

Sebbene il regime di campo gravitazionale forte che li contraddistingue non consenta né alla materia, né alla luce, di liberarsi dalla loro oscura morsa, i buchi neri, a causa di effetti quantistici, evaporano emettendo radiazione termica in maniera continua. Descritta nel 1974 da Stephen Hawking, questa evaporazione comporterebbe il restringimento dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, un processo non ancora osservato, il cui stadio finale rappresenta a sua volta uno dei grandi misteri della fisica teorica. La dissoluzione del buco nero potrebbe infatti non costituire l’unico esito possibile dell’evaporazione, che potrebbe cambiare drasticamente a seconda delle condizioni gravitazionali durante il processo.

“La riduzione di un buco nero”, spiega Fabrizio Corelli, ricercatore del Dipartimento di Fisica della Sapienza associato INFN e primo autore dello studio, “potrebbe comportare l’avvicinarsi dell’orizzonte degli eventi verso la singolarità gravitazionale presente al suo interno, e quindi verso regioni dello spaziotempo di curvatura sempre maggiore. È quindi inevitabile che, durante l’evaporazione di Hawking, effetti gravitazionali legati all’alta curvatura dello spaziotempo diverrebbero via via sempre più rilevanti, al punto da modificare lo stadio finale dell’evaporazione. Proprio per questo è particolarmente interessante studiare questi fenomeni in una teoria di gravità modificata come quella da noi considerata.”

Imponendo le opportune correzioni alla Relatività Generale e facendo ricorso a complesse simulazioni numeriche, i ricercatori sono stati perciò in grado di ottenere per la prima volta alcuni possibili stati finali per il processo di evaporazione dei buchi neri. Tra i risultati discussi nell’articolo apparso su Physical Review Letter, c’è quello che suggerisce la comparsa di singolarità al di fuori dei loro orizzonti degli eventi. Scenario che si pone tuttavia in contrasto con il cosiddetto principio di “censura cosmica” di Roger Penrose, il quale ipotizza come la singolarità debba essere relegata all’interno del buco nero e non possa essere in comunicazione diretta con l’esterno. Una seconda alternativa riguarda invece la trasformazione dei buchi neri in wormholes, strutture capaci di collegare punti diversi dello spaziotempo, previste sulla base di alcune soluzioni esotiche delle equazioni della Relatività Generale, ma finora mai osservate, le cui caratteristiche potrebbero consentire di spiegare l’ancora sfuggente natura della materia oscura.

“I risultati di questo studio – conclude Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza e ricercatore INFN – mostrano che l’evaporazione di un buco nero in teorie con correzioni ad alta curvatura alla Relatività Generale potrebbe violare la censura cosmica. Le simulazioni evidenziano infatti come durante il processo di evaporazione le singolarità potrebbero uscire dal buco nero. Se confermato, questo implicherebbe la necessità di una teoria quantistica della gravitazione per spiegare il destino dei buchi neri. È comunque possibile che il destino dell’evaporazione di Hawking sia la formazione di un wormhole, un oggetto senza singolarità e senza orizzonte degli eventi che non evapora ulteriormente, rispettando così la congettura di Penrose. Se confermato, in questo scenario i buchi neri primordiali, formati nei primi istanti dell’universo, evaporerebbero fino a raggiungere una configurazione stabile, diventando così dei perfetti candidati per spiegare la materia oscura”.

Riferimenti:

What is the fate of Hawking evaporation in gravity theories with higher curvature terms? – Fabrizio Corelli, Marina De Amicis, Taishi Ikeda, Paolo Pani – Physical Review Letter  https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.130.091501

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

LISA e la scoperta di nuovi campi fondamentali 

Su Nature Astronomy lo studio pubblicato da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, e dai colleghi della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham e della Sapienza di Roma, che suggerisce un nuovo approccio per rilevare con grande accuratezza nuovi campi fondamentali e verificare la teoria della relatività generale grazie a LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale, che partirà come missione ESA – NASA nel 2037.

LISA campi fondamentali
Foto 1: Rappresentazione artistica della deformazione spazio-tempo di un EMRI. Un piccolo buco nero che ruota intorno ad un buco nero supermassiccio. (Credits: NASA)

La Relatività Generale di Einstein è la teoria corretta per i fenomeni gravitazionali? È possibile sfruttare tali fenomeni per scoprire nuovi campi fondamentali?

Il lavoro uscito oggi su Nature Astronomy, condotto da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, assieme a ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham, e della Sapienza Università di Roma, mostra che le osservazioni di onde gravitazionali da parte dell’interferometro spaziale LISA (Laser Interferometer Space Antenna) saranno in grado di rivelare la presenza di nuovi campi fondamentali con grande accuratezza.

Il campo gravitazionale è, secondo la Relatività Generale, espressione della curvatura dello spazio-tempo creata dalla presenza di massa o energia che altera lo spazio circostante.

Nuovi campi fondamentali associati alla gravità, in particolare quelli scalari, sono alla base di modelli teorici sviluppati per spiegare una grande varietà di scenari fisici. Potrebbero ad esempio fornire indizi sull’espansione accelerata dell’Universo o sulla materia oscura, oppure essere manifestazioni a bassa energia di una descrizione consistente e completa della gravità e delle particelle elementari.

Le osservazioni di oggetti astrofisici caratterizzati da campi gravitazionali deboli e piccole curvature spazio-temporali non hanno mostrato finora alcuna indicazione dell’esistenza di questi campi. Tuttavia, diversi modelli suggeriscono che deviazioni dalla Relatività Generale, o interazioni tra la gravità e nuovi campi, siano più rilevanti quando la curvatura dello spazio-tempo è molto grande. Per questa ragione, l’osservazione di onde gravitazionali – che ha aperto una nuova finestra sul regime di campo gravitazionale forte – rappresenta un’opportunità unica per scoprire nuovi campi fondamentali.

LISA campi fondamentali
Foto 2: EMRI: Sezione di un’orbita percorsa da un oggetto stellare attorno a un buco nero massivo (Credits: N. Franchini)

LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale sviluppato per osservare onde gravitazionali da sorgenti astrofisiche, permetterà di studiare nuove famiglie di sorgenti astrofisiche, diverse da quelle osservate da Virgo e LIGO, come gli Extreme Mass Ratio Inspirals (EMRI).

“Gli EMRI, sistemi binari in cui un oggetto compatto con massa stellare – un buco nero o una stella di neutroni – orbita attorno ad un buco nero milioni di volte più massivo del nostro Sole, sono infatti tra le sorgenti che ci si aspetta di osservare con LISA, e rappresentano un’arena preziosissima per studiare il regime di campo forte della gravità. – spiega Andrea Maselli, primo autore del paper – Il corpo più piccolo di un EMRI compie decine di migliaia di cicli orbitali prima di cadere nel buco nero supermassivo, emettendo così segnali di lunga durata che permettono di misurare anche le più piccole deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein e del modello standard delle particelle”.

Gli autori dello studio hanno sviluppato uno nuovo approccio per modellizzare il segnale emesso dagli EMRI, studiando per la prima volta in modo rigoroso se e come LISA possa scoprire l’esistenza di campi scalari accoppiati all’interazione gravitazionale, e misurare la carica scalare, una grandezza che quantifica il campo associato al corpo più piccolo del sistema binario.

Il nuovo approccio sviluppato è “agnostico” rispetto alla teoria che predice l’esistenza del campo scalare, poichè non dipende dall’origine della carica o dalla natura dell’oggetto compatto.  L’analisi mostra anche come future misure della carica scalare potranno essere tradotte in vincoli molto stringenti sulle deviazioni della Relatività Generale o del Modello Standard.

LISA, che partirà come missione ESA-NASA nel 2037, opererà in orbita attorno al Sole, in una costellazione di tre satelliti distanti milioni di chilometri l’uno dall’altro, osservando onde gravitazionali emesse a bassa frequenza, in una banda non accessibile agli interferometri terrestri a causa del rumore ambientale. Lo spettro visibile di LISA aprirà una nuova finestra sull’evoluzione degli oggetti compatti in una grande varietà di sistemi astrofisici del nostro Universo.

Riferimenti:

Detecting fundamental fields with LISA observations of gravitational waves from extreme mass-ratio inspirals – Andrea Maselli, Nicola Franchini, Leonardo Gualtieri, Thomas P. Sotiriou, Susanna Barsanti, Paolo Pani – Nature Astronomy DOI: https://doi.org/10.1038/s41550-021-01589-5

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Articolo a cura di Silvia Giomi e Piero Paduano

L’Universo in cui viviamo ci è in gran parte ignoto. La materia di cui siamo fatti noi, i pianeti, le stelle e tutti gli oggetti che osserviamo – e quindi conosciamo – ne costituisce meno del 5%. La restante parte dell’Universo è energia oscura (70%) e materia oscura (25%). Quest’ultima è detta “oscura” poiché, non emettendo radiazione elettromagnetica, rimane invisibile ai nostri strumenti, ma la sua presenza si rivela per via degli effetti gravitazionali osservati.

La ricerca delle particelle di materia oscura è una sfida che coinvolge da anni la comunità scientifica che si cimenta in esperimenti di osservazione diretta (in laboratori sotterranei come CERN, LNGS) e indiretta (nello spazio).

Tra i metodi indiretti vi è quello che sfrutta il fenomeno della superradianza dei buchi neri, esplorato approfonditamente nell’articolo Black hole superradiant instability from ultralight spin-2 fields, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters.

Tale metodo è estremamente interessante anche perché si inserisce nel contesto della LGQ (Loop Quantum Gravity), teoria che cerca di unificare la meccanica quantistica e la relatività generale.

Abbiamo il piacere e l’onore di parlarne con il professor Paolo Pani, associato in Fisica Teorica presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, tra i protagonisti dello studio.

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Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope. Foto modificata Event Horizon TelescopeCC BY 4.0

 

In cosa consiste l’instabilità per superradianza, e in che modo la sfruttate per la vostra indagine?

La superradianza è un fenomeno che avviene in molti sistemi fisici quando un’onda riflessa da un oggetto viene amplificata a scapito dell’energia dell’oggetto stesso. Questo avviene anche per un buco nero, che può amplificare le onde elettromagnetiche o gravitazionali che “sbattono” su di esso. L’energia in eccesso viene presa dalla velocità di rotazione dell’oggetto, che diminuisce.

L’instabilità per superradianza è un fenomeno collegato: se le particelle del campo elettromagnetico (fotoni) o del campo gravitazionale (gravitoni) avessero una seppur minuscola massa, la radiazione amplificata per superradianza rimarrebbe intrappolata vicino al buco nero, generando un effetto a cascata che rallenta il buco nero fino quasi a fermare completamente la sua rotazione.

In questo caso l’energia in eccesso viene emessa in onde gravitazionali la cui frequenza è direttamente collegata all’ipotetica massa del campo. Se queste particelle ultraleggere esistessero, quindi, non dovremmo osservare buchi neri rotanti e ciascun buco nero si comporterebbe come un “faro” di onde gravitazionali.

 

Il fenomeno della superradianza ha qualche connessione con la radiazione di Hawking?

Sì, si può dire che la superradianza è la controparte “classica” della radiazione di Hawking, che è invece un effetto “quantistico”. La superradianza richiede che il buco nero ruoti, mentre nel caso della radiazione di Hawking il buco nero può rimanere statico. In questo caso la radiazione viene emessa spontaneamente, a scapito della massa del buco nero.

 

Può spiegarci quali sono i vantaggi di aver esteso il fenomeno al caso di campo tensoriale rispetto allo scalare e al vettoriale?

Il caso di campo tensoriale è strettamente collegato ad alcune teorie che prevedono una massa minuscola per il gravitone, una proprietà che potrebbe risolvere il problema della costante cosmologica e dell’energia oscura responsabile dell’espansione accelerata dell’universo.

Inoltre, campi tensoriali ultraleggeri sono ottimi candidati per spiegare la materia oscura che sembra permeare il cosmo ma che finora non si è riusciti a misurare in laboratorio. Il nostro studio mostra che i segnali di onde gravitazionali presenti e futuri permettono di ricercare queste particelle anche quando la loro massa è troppo piccola per essere vista in esperimenti terrestri, come negli acceleratori di particelle.

 

I vostri risultati sono condizionati dalla scelta della metrica di Kerr?

Nella teoria della gravitazione di Einstein, la relatività generale, la metrica di Kerr è l’unica possibile per descrivere un buco nero astrofisico. Nelle teorie che menzionavo sopra, tuttavia, possono esistere altre soluzioni che descrivono buchi neri differenti.

Nel nostro studio abbiamo fatto l’ipotesi standard che i buchi neri siano descritti dalla metrica di Kerr. Scelte differenti renderebbero i calcoli più laboriosi ma ci aspettiamo che non modifichino sostanzialmente il risultato: in presenza di campi ultraleggeri tutti i buchi neri rotanti sono instabili per superradianza ed emettono onde gravitazionali.

 

Quali porte si stanno aprendo e/o quali si stanno chiudendo sulla ricerca della materia oscura?

Il problema della materia oscura è che sappiamo davvero poco su di essa, e quindi svariate speculazioni teoriche sono possibili. Nel corso dei decessi alcuni modelli teorici sono divenuti più popolari di altri, ma l’ultima parola ce l’ha sempre l’esperimento: finché non scopriremo tracce di materia oscura oltre quelle ben note, non sarà possibile distinguere diversi modelli.

Gli esperimenti attuali atti a ricercare uno dei candidati più promettenti (le cosidette WIMPS, weakly interacting massive particles) hanno raggiunto precisioni tali che possono quasi escludere questa ipotesi. Un altro candidato molto promettente sono gli assioni, che sono appunto particelle ultraleggere che producono l’instabilita’ di superradianza dei buchi neri.

Penso che la risposta al problema della materia oscura arriverà da esperimenti innovativi, o magari proprio dai buchi neri, tramite segnali inaspettati di onde gravitazionali.

 

 

Riferimenti allo studio su instabilità per superradianza, buchi neri, materia oscura:

Black Hole Superradiant Instability from Ultralight Spin-2 Fields – Richard Brito, Sara Grillo, and Paolo Pani – Phys. Rev. Lett. 124, 211101 – Published 27 May 2020 DOI:https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.124.211101

I buchi neri come fari sulla materia oscura

Una nuova luce sulla strada della ricerca della materia ultraleggera dell’Universo arriva dai buchi neri. È quanto suggerisce lo studio del Dipartimento di Fisica della Sapienza pubblicato sulla rivista Physical Review Letters

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Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope. Foto modificata Event Horizon Telescope, CC BY 4.0

Le osservazioni sulla cosiddetta materia oscura del nostro Universo sono sempre più numerose e significative, ma sono ancora tante le incognite in questo affascinante campo della fisica moderna.

La particella elementare massiccia più leggera conosciuta in natura è il neutrino, con una massa qualche milione di volte più piccola di quella di un elettrone. Alcuni modelli di materia oscura hanno però suggerito l’esistenza di particelle elementari anche molto più leggere, le cui masse che possono essere miliardi di volte più piccole di quella di un neutrino.

Rilevare queste sfuggenti particelle è impossibile sulla Terra, a causa delle loro debolissime interazioni con la materia “conosciuta”, cosiddetta ordinaria.

In un nuovo lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, il team di ricercatori coordinato da Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza, ha identificato nei buchi neri un metodo innovativo per la ricerca di questa materia oscura ultraleggera.

I buchi neri possono amplificare radiazione in un certo range di frequenze generando un sorprendente effetto chiamato superradianza. Finora la superradianza e il suo segnale emesso in onde gravitazionali sono stati studiati solo per una certa famiglia di particelle con proprietà simili al fotone, per riprodurre onde elettromagnetiche, qui, per la prima volta sono stati applicati a particelle con proprietà simili al gravitone, trasformando i buchi neri in veri e propri “fari di onde gravitazionali”.

Secondo i ricercatori, se tali particelle esistono in natura e hanno una massa minuscola, potenzialmente qualsiasi buco nero nell’universo potrebbe emettere periodicamente onde gravitazionali a una data frequenza (direttamente correlata alla massa delle particelle di materia oscura), analogamente a uno strumento musicale che ripete sempre la stessa singola nota con cadenza regolare.

“Cercando questo segnale – commenta Paolo Pani – i rivelatori di onde gravitazionali come LIGO e Virgo (e la futura missione spaziale LISA, supportata da ESA e NASA) cercheranno la materia oscura ultraleggera in un nuovo regime, finora praticamente inesplorato. E forse, dopo tutto, la risposta al problema della materia oscura verrà proprio dai buchi neri”.

Lo studio è parte del progetto Marie Skłodowska Curie “FunGraW” (PI: Richard Brito) e del progetto ERC DarkGRA (PI: Paolo Pani) entrambi ospitati presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza.

 

Riferimenti:

Black Hole Superradiant Instability from Ultralight Spin-2 Fields – Richard Brito, Sara Grillo, and Paolo Pani – Phys. Rev. Lett. 124, 211101 – Published 27 May 2020 DOI:https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.124.211101

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma