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Identificato il meccanismo che consente alle cellule del tumore al pancreas di sopravvivere e proliferare in assenza di nutrienti
Uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Signal Transduction and Targeted Therapy, che ha visto la collaborazione multidisciplinare di diversi centri in Italia fra cui la Sapienza Università di Roma, ha svelato per la prima volta il meccanismo di sopravvivenza e progressione neoplastica di questo tumore, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici.

Da un punto di vista biologico, le cellule tumorali sono continuamente sottoposte a stress: il loro microambiente infatti è povero di ossigeno e soprattutto povero di nutrienti. Questo è particolarmente vero per il tumore del pancreas, una delle neoplasie più temibili dei nostri tempi, spesso resistente ai trattamenti. Come il tumore del pancreas sia in grado di mantenere un alto tasso di proliferazione in carenza di nutrienti è ancora ignoto.

Uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Signal Transduction and Targeted Therapy, che ha visto la collaborazione multidisciplinare di diversi centri in Italia fra cui la Sapienza Università di Roma, ha svelato per la prima volta il meccanismo di sopravvivenza e progressione di questo tumore, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici.

Secondo i ricercatori, alla base vi è la mancata espressione di una piccola molecola di RNA non codificante (microRNA) denominata miR-15a, la quale è normalmente espressa nel pancreas sano ma viene spesso persa durante le fasi precoci di trasformazione neoplastica. Il miR-15a rappresenta una sorta di freno molecolare che mantiene costantemente bassi i livelli della proteina Fra-2, un fattore di trascrizione di cruciale importanza per la risposta del tumore allo stress.

In assenza di miR-15a, le cellule tumorali sollecitate dalla carenza di nutrienti sono libere di esprimere il fattore di trascrizione Fra-2 che, a cascata, attiva la trascrizione di geni fondamentali per la loro sopravvivenza. Tra i geni targets di Fra-2, vi è il recettore per IGF1 (IGF1-recettore), responsabile dello stimolo proliferativo.

“La scoperta di questo meccanismo – spiega Gian Luca Rampioni Vinciguerra, primo nome dello studio e ricercatore del Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare della Sapienza – accresce la nostra comprensione della malattia e fornisce un razionale utile per l’impostazione delle terapie. Nei nostri modelli, il tumore del pancreas in carenza di nutrienti diventa dipendente dall’attivazione di IGF1-recettore e, quindi, estremamente sensibile alla sua inibizione farmacologica, che diventa un’arma estremamente efficace per contrastare la crescita tumorale”.

Il lavoro è stato concepito dal Professor Carlo Maria Croce (The Ohio State University, USA), lo scienziato italiano più citato al mondo secondo top italian scientists, che nella sua lunga carriera ha compiuto scoperte fondamentali nel campo della genetica dei tumori. La ricerca si è avvalsa inoltre della collaborazione multidisciplinare di diversi centri in Italia, quali l’Università Sapienza di Roma, l’Università di Modena e Reggio Emilia e il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano.

Identificato il meccanismo che consente alle cellule del tumore al pancreas di sopravvivere e proliferare in assenza di nutrienti 
Identificato il meccanismo che consente alle cellule del tumore al pancreas di sopravvivere e proliferare in assenza di nutrienti. Rappresentazione grafica

 

Riferimenti bibliografici:

Nutrient restriction-activated Fra-2 promotes tumor progression via IGF1R in miR-15a downmodulated pancreatic ductal adenocarcinoma – Gian Luca Rampioni Vinciguerra, Marina Capece, Luca Reggiani Bonetti, Giovanni Nigita, Federica Calore, Sydney Rentsch, Paolo Magistri, Roberto Ballarin, Fabrizio Di Benedetto, Rosario Distefano, Roberto Cirombella, Andrea Vecchione, Barbara Belletti, Gustavo Baldassarre, Francesca Lovat & Carlo M. Croce – Signal Transduction and Targeted Therapy 2024, DOI: https://doi.org/10.1038/s41392-024-01740-4

 

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Tsunami di luce contro il cancro: grazie alle onde luminose estreme sarà possibile concentrare energia in modo preciso e non-invasivo in tessuti tumorali profondi. Questa la scoperta di un gruppo di ricerca formato da Sapienza Università di Roma, Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università Cattolica del Sacro Cuore e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che è riuscito nella trasmissione di luce laser di intensità estrema attraverso tumori millimetrici. Il risultato, pubblicato su Nature Communications, apre importanti prospettive per nuove tecniche di fototerapia per il trattamento del cancro.

Onde luminose per trasmettere luce laser attraverso tessuti tumorali
Onde luminose estreme possono essere sfruttate per trasmettere luce laser intensa e concentrata attraverso campioni di tessuti tumorali

La luce laser ha potenzialità enormi per lo studio ed il trattamento dei tumori.

Fasci laser in grado di penetrare in profondità in regioni tumorali sarebbero di importanza vitale per la fototerapia, un insieme di tecniche biomediche d’avanguardia che utilizzano luce visibile ed infrarossa per trattare cellule cancerose o per attivare farmaci e processi biochimici.

Tuttavia, la maggior parte dei tessuti biologici è otticamente opaca ed assorbe la radiazione incidente, e questo rappresenta il principale ostacolo ai trattamenti fototerapici. Trasmettere fasci di luce intensi e localizzati all’interno di strutture cellulari è quindi una delle sfide chiave per la biofotonica.

Un team di ricerca di fisici e biotecnologi, guidato da Davide Pierangeli per il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Claudio Conti per la Sapienza Università di Roma, e Massimiliano Papi per l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ha scoperto che all’interno di strutture cellulari tumorali possono formarsi degli “tsunami ottici”, onde luminose di intensità estrema note in molti sistemi complessi, che possono essere sfruttate per trasmettere luce laser intensa e concentrata attraverso campioni tumorali tridimensionali di tumore pancreatico.

“Studiando la propagazione laser attraverso sferoidi tumorali – spiega Davide Pierangeli – ci siamo accorti che all’interno di un mare di debole luce trasmessa c’erano dei modi ottici di intensità estrema.  Queste onde estreme rappresentano una sorgente super-intensa di luce laser di dimensioni micrometriche all’interno della struttura tumorale. Possono essere utilizzate per attivare e manipolare sostanze biochimiche”.

“Il nostro studio mostra come le onde estreme, che fino ad oggi erano rimaste inosservate in strutture biologiche, siano in grado di trasportare spontaneamente energia attraverso i tessuti – continua Claudio Conti – e possano essere sfruttate per nuove applicazioni biomediche.

“Con questo raggio laser estremo – conclude Massimiliano Papi – potremmo sondare e trattare in maniera non-invasiva una specifica regione di un organo. Abbiamo mostrato come tale luce può provocare aumenti di temperatura mirata che inducano la morte di cellule cancerose, e questo ha implicazioni importanti per le terapie fototermiche.”

Lo studio, pubblicato su Nature Communications, dimostra uno strumento totalmente nuovo nella cura al cancro.

 

Riferimenti:

Extreme transport of light in spheroids of tumor cells – Davide Pierangeli, Giordano Perini, Valentina Palmieri, Ivana Grecco, Ginevra Friggeri, Marco De Spirito, Massimiliano Papi, Eugenio DelRe, e Claudio Conti – Nature Communications (2023) https://doi.org/10.1038/s41467-023-40379-7

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Nanotecnologie per curare il diabete di tipo 1: una nuova strategia terapeutica scoperta al Centro di Ricerca Pediatrica Invernizzi della Statale di Milano

 I ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università degli Studi di Milano hanno sviluppato una nuova strategia terapeutica per il diabete di tipo 1 basata su nanotecnologie che permette il targeting delle cellule T effettrici contemporaneamente nei linfonodi pancreatici e nel pancreas. Il lavoro, svolto in collaborazione con il Brigham and Women’s Hospital e la Harvard Medical School, è stato pubblicato su Advanced Materials.

COVID-19 albumina diabete tipo 1 nanotecnologie
Foto di Michal Jarmoluk

Milano – 17 luglio 2023 – I ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università degli Studi di Milano, guidati dal Prof. Paolo Fiorina, in collaborazione con il Brigham and Women’s Hospital e la Harvard Medical School, hanno sviluppato una nuova strategia terapeutica per il diabete di tipo 1, basata su nanotecnologie che permette il targeting delle cellule T effettrici contemporaneamente nei linfonodi pancreatici e nel pancreas.

I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Advanced Materials, una delle più prestigiose in ambito di scienza dei materiali. I ricercatori hanno sviluppato per la prima volta una nuova e specifica piattaforma basata su nanotecnologie per curare il diabete di tipo 1 che ha come target le HEVs (high endothelial venules) presenti nei linfonodi pancreatici e nel pancreas. L’anticorpo monoclonale anti-CD3 è incapsulato in nanoparticelle la cui superficie è coniugata con un anticorpo che riconosce le HEVs, questo consente il rilascio diretto dell’anti-CD3 mAb sia nei linfonodi pancreatici che nel pancreas. Il trattamento di topi NOD iperglicemici con queste nanoparticelle è risultato in una significativa remissione del diabete di tipo 1 rispetto ai gruppi di controllo.

 “Abbiamo scoperto come nel pancreas di topi NOD e di pazienti con diabete di tipo 1 vi siano HEVs di nuova formazione” afferma Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia all’Università Statale di Milano, Direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi, Direttore di Endocrinologia Ospedale Sacco-Fatebenefratelli-Melloni “questo trattamento, che ha come target le HEVs, può essere quindi utilizzato per rilasciare in modo specifico nei linfonodi pancreatici e nel pancreas agenti immunoterapici allo scopo di sopprimere in modo efficace il diabete autoimmune”.

Analizzando in vitro le caratteristiche immunologiche dei linfociti T dei topi NOD iperglicemici trattati con le nanoparticelle, i ricercatori hanno rilevato una riduzione significativa delle cellule T effettrici e una diminuzione nella produzione di citochine pro-infiammatorie.

“Questa piattaforma basata su nanotecnologie, creata in collaborazione con il Brigham and Women’s Hospital e la Harvard Medical School, ci ha permesso di preservare le isole pancreatiche, ridurre le cellule T effettrici, aumentare le cellule T regolatorie e curare il diabete autoimmune in un modello preclinico di diabete di tipo 1” afferma il Prof. Paolo Fiorina.

 Sarà necessario effettuare ulteriori studi ma sicuramente questi dati possono essere un punto di partenza per ottenere un’efficace strategia terapeutica per il trattamento dei pazienti diabetici di tipo 1.

Questo è un altro successo del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi che si aggiunge a quelli già recentemente presentati”, commenta il Prof. Gian Vincenzo Zuccotti, Direttore del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi. “Questo Centro sta facendo così tanto in termini di ricerca, deve diventare un punto di riferimento per la ricerca scientifica in Italia, un polo all’avanguardia anche per la scoperta di nuove terapie”, continua Zuccotti,senza la collaborazione internazionale tra l’Università di Milano e il Brigham Women’s Hospital Harvard Medical School questo sarebbe stato difficile, impossibile senza il sostegno fondamentale della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi che ha permesso la costruzione di questo Centro e che ci motiva ogni giorno a lavorare per fare di più in questo campo”.

I coautori dello studio sono Sungwook Jung, Moufida Ben Nasr, Baharak Bahmani, Vera Usuelli, Jing Zhao, Gianmarco Sabiu, Andy Joe Seelam, Said Movahedi Naini, Hari Baskar Balasubramanian, Youngrong Park, Xiaofei Li, Salma Ayman Khalefa, Vivek Kasinath, MacKenzie D. Williams, Ousama Rachid, Yousef Haik, George C. Tsokos, Clive H. Wasserfall, Mark A. Atkinson, Jonathan S. Bromberg, Wei Tao, Paolo Fiorina, Reza Abdi.

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università Statale di Milano

IMPORTANTE FINANZIAMENTO PNRR PER IL VACCINO 2.0 PER LA CURA DEL TUMORE DEL PANCREAS ALL’OSPEDALE MOLINETTE DI TORINO

Il progetto è coordinato da Francesco Novelli, Professore Ordinario di Immunologia e Direttore del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino.

Un importante finanziamento PNRR di 950.000 euro per il nuovissimo vaccino 2.0 a DNA per la cura del tumore del pancreas all’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. Il progetto finanziato ha lo scopo di validare ENO3PEP come vaccino di seconda generazione somministrabile virtualmente a tutti i pazienti con tumore pancreatico, dopo avere ottenuto l’autorizzazione dall’AIFA per il  primo studio clinico sui pazienti di tumore pancreatico.

proteina tumore del pancreas
Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

Il Ministero della Salute, nell’ambito del finanziamento PNRR M6C2 INVESTIMENTO 2.1 VALORIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA RICERCA BIOMEDICA DEL SSN, ha approvato l’ammissione al finanziamento del bando Proof of  concept (PoC), che supporta l’attività di valorizzazione di un brevetto depositato intitolato:

“Un vaccino a DNA di seconda generazione codificante per le sequenze immunodominanti di alfa-enolasi per la cura del tumore del pancreas”.

Si tratta di un progetto coordinato dal professor Francesco Novelli (responsabile del Laboratorio di Immunologia dei Tumori del Centro di Ricerca in Medicina Sperimentale (CeRMS) dell’ospedale Molinette, Professore Ordinario di Immunologia e Direttore del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino), sviluppato con il sostegno della FONDAZIONE RICERCA MOLINETTE ONLUS. Il Progetto sarà condotto in collaborazione con l’Unità del Policlinico P. Giaccone di Palermo, guidato da Serena Meraviglia (Professore Associato di Immunologia Università di Palermo).

Il Progetto, che disporrà di un importo complessivo di 950.000 euro e che prevede l’assunzione di tre ricercatrici under 40, ha come obiettivo il completamento degli studi preclinici, di tossicità e bio- distribuzione e la raccolta di tutte le informazioni necessarie per ottenere  l’autorizzazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) della sperimentazione clinica di un vaccino anti-alfa-enolasi di seconda generazione (ENO3PEP).

Da anni il Laboratorio del professor Novelli studia la relazione tra il sistema immunitario ed il tumore pancreatico, uno tra i tumori più aggressivi e letali. Questi studi hanno portato all’identificazione di una proteina iper-espressa nel tumore del pancreas, l’alfa-enolasi, capace di scatenare nei pazienti con tumore pancreatico sia una risposta anticorpale sia l’attivazione di linfociti T anti-tumore. Questa proprietà immunostimolante ha suggerito lo sviluppo di un vaccino a DNA, codificante l’intera sequenza di alfa-enolasi che si è rivelato efficace, ed in maggior misura in combinazione con la chemioterapia, nel ritardare la progressione del tumore pancreatico in modelli animali, senza tuttavia eradicarlo del tutto.

Allo scopo di aumentare l’efficacia terapeutica del vaccino, il gruppo del professor Novelli ha sviluppato un vaccino a DNA di seconda generazione, selezionando solo alcune sequenze dell’intera alfa-enolasi aventi la capacità di stimolare una più forte e sostenuta risposta
anti-tumore (ENO3PEP). In modelli animali il vaccino ENO3PEP si è rivelato più efficace e potente rispetto a quello di prima generazione nel bloccare la progressione del tumore e nello scatenare una risposta immunitaria anti-tumore.

Nel settembre 2021, il professor Novelli, insieme a tre ricercatrici del suo gruppo di ricerca (la Prof. Paola Cappello, la Dr.ssa Claudia Curcio e la Dr.ssa Silvia Brugiapaglia) ha depositato, a nome dell’Università di Torino, la domanda di brevetto italiano e nel settembre 2022 è stata richiesta l’estensione europea del brevetto di ENO3PEP.

Il progetto finanziato ha lo scopo di validare ENO3PEP come vaccino di seconda generazione somministrabile virtualmente a tutti i pazienti con tumore pancreatico. Questo sarà ottenuto attraverso l’integrazione degli studi finalizzati a definire i meccanismi immunologici con cui ENO3PEP attiva l’immunità anti-tumore insieme a quelli di tossicologia e bio-distribuzione, per garantirne la sicurezza. Il completamento di questo programma permetterà di raccogliere tutti i dati per la richiesta di autorizzazione all’AIFA per il primo studio clinico sui pazienti di tumore pancreatico.

Come è ben noto, il passaggio dalla fase di ricerca pre-clinica di un potenziale nuovo prodotto terapeutico come ENO3PEP all’approvazione dello studio clinico da parte di AIFA è purtroppo il più difficile a causa dei costi molto elevati della ricerca tossicologica e per la produzione e la preparazione del vaccino in condizioni cosiddette di Good Manifacturing Practice (GMP) per la sua somministrazione ai pazienti.

Questo finanziamento metterà il Consorzio di Ricerca in condizione di completare un percorso di ricerca traslazionale svolto presso l’ospedale Molinette, anche grazie al supporto costante della Fondazione Ricerca Molinette ONLUS, e potere ottenere l’autorizzazione ministeriale per lo studio clinico del vaccino ENO3PEP e renderlo così sicuramente più appetibile per molti investitori dell’industria farmaceutica e biotech.

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

TUMORE AL PANCREAS, SCIENZIATI DI UNITO IDENTIFICANO UN NUOVO MARCATORE PER INDIRIZZARE MEGLIO LE TERAPIE

Lo studio pre-clinico pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale Gut dimostra come PI3K-C2γ giochi un ruolo chiave nello sviluppo di uno dei tumori attualmente più aggressivi

 

Un nuovo studio preclinico, svolto al Centro di Biotecnologie Molecolari “Guido Tarone” dell’Università di Torino, ha reso possibile la scoperta di una nuova terapia focalizzata per un sottogruppo di pazienti affetti da neoplasia maligna del pancreas. Il gruppo di ricerca guidato dalla Prof.ssa Miriam Martini e dal Prof. Emilio Hirsch ha dimostrato che la proteina PI3K-C2γ gioca un ruolo chiave nello sviluppo del tumore al pancreas. L’indagine scientifica ha permesso di far luce sui meccanismi di sviluppo di questo tumore e potrebbe consentire, in futuro, di massimizzare l’efficacia delle attuali opzioni terapeutiche di uno dei tumori attualmente più aggressivi.

Emilio Hirsch cause invecchiamento
Emilio Hirsch

In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 13.000 nuovi casi di tumore al pancreas e la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è meno del 10%. Si prevede che, entro il 2030, il tumore al pancreas diventi la seconda causa di morte oncologica. La gravità e la mancanza di trattamenti efficaci rendono necessari studi per la ricerca di nuove terapie e marcatori che possano aiutare a scegliere il farmaco più efficace. Per poter crescere, le cellule tumorali hanno bisogno di nutrienti e fonti d’energia.

proteina tumore del pancreas
Tumore al pancreas, un nuovo marcatore per indirizzare meglio le terapie. Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

L’aggressività del tumore al pancreas è dovuta alla capacità di adattarsi in condizioni avverse, come ad esempio la scarsità di nutrienti e fonti energetiche, che vengono sfruttate dalle cellule per sopravvivere. Recentemente, sono stati sviluppati dei farmaci che impediscono l’utilizzo di tali nutrienti, come ad esempio la glutammina.

PI3K-C2γ controlla la via di segnalazione intracellulare di mTOR, che regola il metabolismo e la crescita della cellula, e influisce sull’utilizzo della glutammina per favorire la progressione tumorale. Nel tumore al pancreas, la proteina PI3K-C2γ non è presente in circa il 30% dei pazienti, i quali sviluppano una forma maggiormente aggressiva della malattia

La Dott.ssa Maria Chiara De Santis, primo autore dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Gut, ha dimostrato che la perdita di PI3K-C2γ accelera lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rende più sensibili a farmaci che colpiscono mTOR e all’utilizzo della glutammina.

Lo studio guidato dagli scienziati di UniTo è stato frutto di un intenso lavoro di collaborazione con gruppi nel territorio italiano ed internazionale, tra cui quelli del Prof. Francesco Novelli, Prof.ssa Paola Cappello e Prof. Paolo Ettore Porporato (Università di Torino), Prof. Andrea Morandi (Università di Firenze), Prof. Vincenzo Corbo e Prof. Aldo Scarpa (Università di Verona), Prof. Gianluca Sala e Prof. Rossano Lattanzio (Università di Chieti) e Prof.ssa Elisa Giovannetti (Università di Amsterdam e Fondazione Pisana per la Scienza).

 

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

I RICERCATORI DI UNITO SCOPRONO UNA PROTEINA FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO DEL TUMORE DEL PANCREAS

Lo studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Gastroenterology, è importante per comprendere a fondo la patologia e per identificare possibili marker molecolari utili sia nella diagnostica sia nella terapia

Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

Gli scienziati del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino hanno scoperto un fattore indispensabile per l’insorgenza del tumore al pancreas, identificato nel ruolo della proteina chiave p130Cas. Il loro studio è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista Gastroenterology.

Il tumore al pancreas rimane a oggi uno dei tumori più letali e complessi da individuare: la scarsa percentuale di sopravvivenza è principalmente dovuta al fatto che la malattia, nelle sue fasi iniziali, non si manifesta con sintomi eclatanti. Inoltre, la comprensione di tali fasi è ancora limitata, così come la conoscenza di marcatori molecolari per la diagnosi precoce. I tumori pancreatici hanno origine a partire dalle cellule esocrine, responsabili della produzione degli enzimi pancreatici, che permettono la digestione: tali cellule possono andare incontro a una metaplasia acino-duttale (termine che indica la trasformazione di una tipologia cellulare in un’altra differente), che rappresenta il primo step nella progressione tumorale sostenuta dall’oncogene Kras. Gli oncogeni sono geni che, se subiscono delle mutazioni, causano lo sviluppo del tumore; in più del 90% dei tumori pancreatici sono state infatti individuate mutazioni di Kras. Tramite screening genetici ad ampio spettro, la proteina adattatrice p130Cas è emersa come un potenziale interattore di Kras e possibile candidato per predire la suscettibilità allo sviluppo del tumore pancreatico.

Coordinati dalle Prof.sse Miriam Martini e Sara Cabodi, i ricercatori di UniTo hanno analizzato campioni umani di tumore pancreatico e generato modelli murini di cancro del pancreas di crescente aggressività per studiare la relazione fra p130Cas e la tumorigenesi nel pancreas.

Il Dott. Andrea Costamagna, primo autore dello studio, utilizzando topi suscettibili al tumore al pancreas e privi della proteina p130Cas ha osservato che un’elevata espressione di p130Cas è frequente nel tumore pancreatico e ha quindi una stretta correlazione con un maggiore sviluppo del tumore e una peggior prognosi. Al contrario, i topi in cui p130Cas è stata rimossa non sviluppano il tumore nonostante l’attivazione dell’oncogene Kras. Nello studio si è dimostrato che la delezione di p130Cas sopprime la tumorigenesi, poiché blocca la metaplasia acino-duttale tramite l’inibizione della via di segnalazione PI3K-AKT, coinvolta nei meccanismi di crescita e sopravvivenza e fondamentale per la progressione tumorale.

Grazie a una stretta collaborazione con la Prof.ssa Elisa Giovannetti del VU University Medical Center di Amsterdam, è stato inoltre possibile dimostrare che l’elevata espressione di p130Cas si correla a una peggior prognosi e a una minore aspettativa di vita dei pazienti. Queste scoperte hanno dimostrato come p130Cas agisca a valle di Kras per aumentare la segnalazione di PI3K-AKT richiesta per la metaplasia acino-duttale e il successivo sviluppo del tumore, facendo inoltre luce su aspetti ancora poco chiari dello sviluppo del tumore al pancreas oltre ad aprire la strada per futuri studi volti a comprendere se la proteina p130Cas potrà essere utilizzata come marcatore molecolare per l’individuazione di questo tumore tristemente ancora troppo letale.

La scoperta di proteine chiave che regolano le fasi iniziali della tumorigenesi è fondamentale per comprendere a fondo questa patologia e identificare possibili marker molecolari utili nella diagnostica e nella terapia.

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino

Un nuovo approccio farmacologico per ridurre la progressione del tumore pancreatico

Una ricerca pubblicata su Gastroenterology, che ha visto la partecipazione di ricercatori dei dipartimenti di Medicina sperimentale e di Chimica e tecnologie del farmaco della Sapienza, insieme con altre università e centri di ricerca internazionali, ha identificato una potenziale strategia farmacologica adiuvante della terapia convenzionale del cancro pancreatico, basata sull’attivazione di uno specifico enzima coinvolto nel metabolismo del tumore.

farmacologico tumore pancreatico
Un nuovo approccio farmacologico per ridurre la progressione del tumore pancreatico. Immagine di un adenocarcinoma, opera di Scientific Animations Inc. – http://www.scientificanimations.com/wiki-images/, CC BY-SA 4.0

A oggi il carcinoma pancreatico è un tumore praticamente intrattabile, che rappresenta la settima causa di morte per cancro a livello mondiale. Il motivo è che tale tumore si sviluppa in un microambiente particolarmente ostile, con ridotta tensione di ossigeno e limitato apporto nutritivo, che porta le cellule tumorali pancreatiche a riprogrammare il proprio metabolismo, acquisendo così dei vantaggi proliferativi rispetto alle cellule normali.

Recentemente, nella progressione tumorale è risultata coinvolta una classe di sette enzimi, chiamati sirtuine, capaci di modificare le altre proteine per il loro ruolo nella regolazione del metabolismo, del microambiente tumorale e della stabilità genomica delle cellule cancerose. Tra queste la sirtuina 5 (SIRT5), localizzata nei mitocondri e nel citosol, è stata collegata sia alla regolazione del metabolismo in generale sia, in particolare, a quello dell’amminoacido glutammina in diversi tipi di tumore.

In tale cornice si colloca un nuovo studio internazionale pubblicato sulla rivista Gastroenterology, che ha visto la partecipazione di un team di ricercatori dei dipartimenti di Medicina sperimentale e di Chimica e tecnologie del farmaco della Sapienza, insieme all’Eppley Institute for Research in Cancer and Allied Diseases dell’Università del Nebraska e con altri centri di ricerca internazionali. L’obiettivo del lavoro è stato quello di definire la funzione di SIRT5 nel carcinoma pancreatico e di utilizzare una strategia farmacologica basata sull’attivazione di SIRT5, come adiuvante della terapia convenzionale a base di gemcitabina, al fine di ridurre la crescita tumorale.

“La SIRT5 – spiega Antonello Mai del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco della Sapienza – rappresenta una sirtuina mitocondriale non ancora studiata rispetto al suo ruolo nell’adenocarcinoma pancreatico duttale (PDAC)”.

“Questo studio – aggiunge Dante Rotili dello stesso Dipartimento – ha rivelato che la SIRT5 è down-regolata sia in tessuti umani con PDAC, che nei tumori pancreatici murini”.

Tale riduzione di SIRT5 modifica e attiva l’enzima aspartato aminotransferasi (AST/GOT1), che consente un maggior utilizzo della glutammina da parte delle cellule tumorali, favorendo quindi la loro crescita e sopravvivenza.

“Un ridotto livello di espressione di SIRT5 – aggiunge Marco Tafani del Dipartimento di Medicina sperimentale – è stato inoltre associato a una ridotta sopravvivenza dei pazienti con adenocarcinoma pancreatico duttale”.

Partendo da tali risultati, e proseguendo le ventennali ricerche nell’identificazione di piccole molecole come ligandi di target epigenetici, è stato sintetizzato un attivatore specifico di SIRT5 che, somministrato con la gemcitabina, ha mostrato di ridurre la crescita tumorale in modelli cellulari, in organoidi ottenuti da biopsie di carcinoma pancreatico umano e in modelli animali.

“Abbiamo sviluppato una piccola molecola innovativa “first in class”, un attivatore della sirtuina 5 chiamato MC3138” – conclude Sergio Valente, del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco.

I risultati ottenuti forniscono una nuova potenziale strategia basata sull’attivazione farmacologica di SIRT5, per il trattamento dei pazienti affetti da carcinoma pancreatico con ridotta espressione di questa sirtuina.

 

Riferimenti: 

Metabolic Rewiring by Loss of Sirt5 Promotes Kras-induced Pancreatic Cancer Progression. Tuo Hu, Surendra K. Shukla, Enza Vernucci, Chunbo He, Dezhen Wang, Ryan J. King, Kanupriya Jha, Kasturi Siddhanta, Nicholas J. Mullen, Kuldeep S. Attri, Divya Murthy, Nina V. Chaika, Ravi Thakur, Scott E. Mulder, Camila G. Pacheco, Xiao Fu, Robin R. High, Fang Yu, Audrey Lazenby, Clemens Steegborn, Ping Lan, Kamiya Mehla K, Dante Rotili, Sarika Chaudhary, Sergio Valente, Marco Tafani, Antonello Mai, Johan Auwerx, Eric Verdin, David Tuveson, Pankaj K. Singh. Gastroenterology. 2021 7:S0016-5085(21)03159-0. DOI: 10.1053/j.gastro.2021.06.045.

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

TUMORE DEL PANCREAS: SCOPERTA DAI RICERCATORI DEL CERMS DELLE MOLINETTE E DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO LA CHIAVE DI INGRESSO PER L’INVASIONE DEI LINFOCITI KILLER

In uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA (1) i ricercatori del Centro di Ricerche in Medicina Sperimentale (CeRMS) della Città della Salute di Torino e del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino hanno scoperto il modo per permettere ai linfociti killer antitumore di infiltrarsi all’interno del tessuto tumorale per eliminarlo.

Da destra verso sinistra: linfocita T, piastrina ed eritrocita. Immagine Electron Microscopy Facility at The National Cancer Institute at Frederick (NCI-Frederick) – [1] in pubblico dominio
Il tumore del pancreas viene a ragione definito il “killer silenzioso”. Il motivo di questo nome deriva dal fatto che non presenta sintomi specifici quando si manifesta, o meglio, quando questi compaiono spesso sono associati ad uno stadio molto avanzato della malattia. La causa potrebbe derivare dal fatto che, fin dalla sua origine il tumore del pancreas è caratterizzato da un intricato insieme di cellule di diversa natura che lo circonda e forma il cosiddetto “microambiente tumorale”. Nel microambiente vengono accesi numerosi programmi genetici e metabolici che forniscono un enorme vantaggio alla crescita del tumore e nello stesso tempo impediscono ai linfociti T killer antitumore di “infiltrarsi” nel tessuto tumorale, confinandoli all’esterno ed impedendo loro di riconoscerlo ed eliminarlo.

Coordinati dai professori Paola Cappello e Francesco Novelli, i ricercatori impegnati in questo studio hanno dimostrato che bloccando l’interleuchina 17A, un importante messaggero della comunicazione tra le cellule del sistema immunitario e tra queste e le cellule circostanti, si modifica “il microambiente” tumorale ed in particolare il comportamento di un tipo di cellule, i fibroblasti. Queste cellule sono particolarmente abbondanti nel tumore del pancreas e sono responsabili della deposizione di un complesso e compatto reticolato di fibre, la cosiddetta “matrice”, che rappresenta il più grosso ostacolo all’ingresso dei linfociti killer antitumore così come la diffusione dei farmaci utilizzati per il trattamento.

Il dottorando Gianluca Mucciolo, impegnato nel Dottorato di Ricerca in Medicina Molecolare dell’Università di Torino e primo autore di questo studio, utilizzando un modello animale predestinato a sviluppare il tumore del pancreas e privo della capacità di produrre l’interleuchina 17A, ha osservato che, nonostante la presenza di molti fibroblasti, il microambiente tumorale era molto più “invaso” da linfociti killer antitumore. Grazie ad una collaborazione con un gruppo di ricerca della Czech Academy of Sciences di Praga, diretto dal professor Luca Vannucci, il gruppo torinese ha dimostrato che in assenza dell’interleuchina 17A, la matrice depositata dai fibroblasti era, diversamente dal solito, molto più soffice e lassa, e presentava un’architettura che aveva poco in comune con le vere e proprie “autostrade” che favoriscono l’invasione delle cellule tumorali dei tessuti circostanti.

Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

Per analizzare a fondo il comportamento dei fibroblasti nel tumore del pancreas, la professoressa Cappello è ritornata presso il Campbell Family Institute for Breast Cancer Research a Toronto nel Laboratorio diretto Professor Tak Mak, dove aveva già trascorso alcuni periodi di lavoro, e mediante l’utilizzo di sofisticate tecnologie per lo studio dell’espressione genica a livello di una singola cellula, ha dimostrato come in assenza dell’interleuchina 17A i fibroblasti del tumore del pancreas modificano il loro programma genico per promuovere sia l’accumulo di linfociti T antitumore che l’aumento della loro attività killer.

Seppure siano necessari ulteriori studi per approfondire il ruolo di questa interleuchina nella risposta anti-tumorale nell’ambito del tumore pancreatico, la grande notizia è che anticorpi anti-interleuchina 17A vengono già utilizzati nella pratica clinica per limitare i danni di alcune malattie autoimmunitarie e quindi potrebbero essere combinati con altre strategie per colpire il tumore del pancreas da più parti e rendere più efficienti i diversi trattamenti” commenta la Prof.ssa Cappello.

Questi dati aggiungono un nuovo mattone per costruire una strategia efficace per la cura del tumore del pancreas. Aggiunge il Prof. Novelli: “Il nostro stesso gruppo ha recentemente sviluppato una terapia basata su vaccinazione a DNA e chemioterapia che nel modello animale ha dimostrato una notevole efficacia nel bloccare la progressione del tumore (2). Questa efficacia potrebbe essere ulteriormente aumentata dalla somministrazione combinata di anticorpi anti-interleuchina 17A, scatenando l’attività antitumore dei linfociti killer”

Dallo studio contestuale del microambiente tumorale e dei meccanismi con cui il sistema immunitario può reagire contro il tumore del pancreas nascono le nuove terapie combinate che ci permettono di “accerchiare” sempre di più questo tumore e di aprire prospettive concrete per la sua cura.

 

1)    https://www.pnas.org/content/118/6/e2020395118

2)    https://jitc.bmj.com/content/8/2/e001071

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino.

ERC 2020  – LA RICERCATRICE DI UNITO CHIARA AMBROGIO SI AGGIUDICA IL CONSOLIDATOR GRANT

Alla ricercatrice Chiara Ambrogio del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino un finanziamento di 2 milioni di euro per lo studio sulle mutazioni del gene KRAS, tra le principali cause del cancro ai polmoni, al pancreas e al colon

Chiara Ambrogio gene KRAS consolidator grant ERC 2020
La ricercatrice UniTO Chiara Ambrogio, che si è aggiudicata il Consolidator Grant per lo studio del gene KRAS

Mercoledì 9 dicembre 2020, lo European Research Council (ERC), organismo dell’Unione Europea che attraverso finanziamenti competitivi sostiene l’eccellenza scientifica, ha pubblicato la lista dei progetti vincitori dei Consolidator Grant. Tra i lavori finanziati c’è quello di Chiara Ambrogio, ricercatrice del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino, che ha presentato il progetto dal titolo “KARMA – Dalla comprensione delle dinamiche della membrana KRAS-RAF alle nuove strategie terapeutiche nel cancro”. Il grant, riservato ai ricercatori che vantano tra i 7 e i 12 anni di esperienza dal completamento del dottorato di ricerca e un ricco curriculum scientifico, consiste in un finanziamento del valore di 2 milioni di euro.

Il progetto della Dott.ssa Ambrogio si concentra sullo studio delle mutazioni del gene KRAS. Tali mutazioni possono innescare una crescita cellulare anomala che, a sua volta, può causare il cancro ai polmoni, al pancreas e al colon. Sebbene le mutazioni KRAS siano state scoperte più di 30 anni fa, una comprensione dettagliata delle proprietà biologiche dei tumori causati da questo gene mutato è ancora lontana. Chiara Ambrogio utilizzerà il suo nuovo finanziamento dell’ERC per indagare i processi che innescano l’iperattivazione di KRAS sulla membrana cellulare. La conoscenza approfondita di questi meccanismi sarà fondamentale per scoprire nuove strategie per trattare i pazienti con tumori causati da mutazioni nel gene KRAS.

La carriera della Dott.ssa Ambrogio ha un interessante profilo internazionale. Dopo una laurea in biotecnologie mediche e un dottorato in immunologia e biologia cellulare all’Università di Torino, si è trasferita a Madrid nel 2009 per lavorare al Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO). Nel 2016 si è spostata negli Stati Uniti, al Dana Farber Cancer Institute (DFCI) di Boston, per completare la sua formazione traslazionale. Nel 2019, grazie alla vittoria del grant Career Development Award della Fondazione Giovanni Armenise Harvard, che promuove la ricerca di base in campo biomedico finanziando giovani scienziati che dall’estero vogliono lavorare in Italia, ha creato un gruppo di ricerca presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino (MBC), tornando a svolgere la sua attività scientifica nel nostro Paese.

“Questa è un’enorme opportunità per portare avanti progetti di ricerca di valenza internazionale nel nostro Centro – dichiara Chiara Ambrogio – oltre a essere un’occasione per dare visibilità a tutto l’Ateneo”.

“La centralità della ricerca scientifica – dichiara Stefano Geuna, Rettore dell’Università di Torino – è uno dei valori fondamentali del nostro Ateneo. Il prestigioso riconoscimento ottenuto dalla Dott.ssa Ambrogio è la conferma che stiamo lavorando nella giusta direzione, supportando i giovani scienziati e i loro progetti. Il nostro obiettivo è continuare ad attrarre talenti, nella ferma convinzione che solo così potremo contribuire allo sviluppo e al progresso in campo scientifico, in Italia e in Europa”.

Testo e foto dall’Università degli Studi di Torino

Mutazioni BRCA: un rischio anche per gli uomini. Caratterizzazione dello spettro dei tumori negli uomini con mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2

Foto di Ryan McGuire

Un nuovo studio internazionale coordinato dal Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza e sostenuto anche da Fondazione AIRC, ha fatto luce sullo spettro dei tumori che insorgono negli uomini con mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Oncology

Le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano un rilevante esempio di medicina di genere, pur essendo ereditate in ugual misura dai due sessi. Il loro ruolo nella suscettibilità alle forme ereditarie di neoplasie prettamente femminili, come tumori della mammella e dell’ovaio, è ben conosciuto ed è entrato di routine nella pratica clinica; al contrario, l’impatto sul rischio oncologico delle stesse mutazioni nei soggetti di sesso maschile è meno noto.

Uno studio coordinato da Laura Ottini del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, in collaborazione con il consorzio internazionale CIMBA (Consortium for Investigators of Modifiers of BRCA1/2), ha evidenziato importanti e peculiari caratteristiche nello spettro dei tumori che insorgono negli uomini con queste mutazioni. I risultati della ricerca sostenuta anche da Fondazione AIRC sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista JAMA Oncology.

“Grazie alla collaborazione di oltre 50 gruppi di ricerca in tutto il mondo, abbiamo ottenuto e analizzato i dati clinici di circa 7000 uomini portatori di mutazioni BRCA1 e BRCA2” – spiega Valentina Silvestri del Dipartimento di Medicina molecolare, responsabile dell’analisi dei dati. “Mentre nelle donne è noto che i due geni BRCA hanno un impatto diverso sul rischio oncologico, poco si sapeva su eventuali analoghe differenze negli uomini. Lo studio ci ha permesso di confrontare le caratteristiche cliniche degli uomini con mutazioni di BRCA1 con quelle degli uomini con mutazioni di BRCA2 in un’ampia casistica, a oggi la più numerosa in letteratura, in modo da mettere in luce eventuali differenze”.

 I risultati mostrano che, a differenza di quanto accade nelle donne, dove è BRCA1 a conferire un maggior rischio, gli uomini con mutazioni di BRCA2 hanno una probabilità circa tre volte maggiore di avere un tumore rispetto a quelli con mutazioni di BRCA1. In particolare, i tumori alla mammella, alla prostata e al pancreas sono significativamente più frequenti negli uomini con mutazioni di BRCA2 rispetto a BRCA1, come pure più comuni in questo gruppo sono più neoplasie nel corso della vita e un’età più giovane di insorgenza della malattia. Di contro, lo spettro di tumori negli uomini con mutazioni di BRCA1 è risultato più eterogeneo, con una maggiore frequenza di cancro al colon.

“Per migliorare l’efficacia dei programmi di screening e sorveglianza oncologica negli uomini con mutazioni BRCA si dovranno prendere in considerazione queste differenze” – afferma Laura Ottini. “In generale, i risultati di questo studio potranno aiutare gli oncologi a sensibilizzare gli uomini con mutazioni BRCA nella percezione del loro rischio oncologico personale, e non più solo delle loro familiari di sesso femminile. Inoltre, questi dati contribuiranno a orientare i prossimi studi, su cui stiamo già lavorando, al fine di sviluppare linee guida sempre più personalizzate e specifiche per genere, in modo da garantire una migliore gestione clinica a tutti i pazienti”.

Riferimenti:
Characterization of the cancer spectrum in men with germline BRCA1 and BRCA2 pathogenic variants: Results from the Consortium of Investigators of Modifiers of BRCA1/2 (CIMBA) – Silvestri V, Leslie G, Barnes DR, … Ottini L. – JAMA Oncology (2020) DOI 10.1001/jamaoncol.2020.2134

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma