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Osservatorio Vera C. Rubin

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LE PRIME IMMAGINI DALL’OSSERVATORIO VERA C. RUBIN (VERA C. RUBIN OBSERVATORY)

Dalle Ande cilene questo telescopio di nuova generazione è pronto a scrutare tutto il cielo australe. Nuove viste mozzafiato delle nebulose Laguna e Trifida, dell’ammasso di galassie della Vergine e molto altro nelle prime quattro immagini rilasciate dal Rubin Observatory, che rappresentano una piccola anteprima della missione scientifica finalizzata a esplorare e comprendere alcuni dei più grandi misteri dell’universo. Inizia ufficialmente il programma osservativo LSST (Legacy Survey of Space and Time).

L’Osservatorio Vera C. Rubin, situato a oltre 2.600 metri di altitudine sul Cerro Pachón, in Cile, è pronto a rivoluzionare l’astronomia moderna. A dimostrarlo, le nuove immagini che verranno svelate oggi al mondo e che mostrano le regioni di formazione stellare Laguna e Trifida, rispettivamente a 4000 e 5000 anni luce da noi, nella costellazione del Sagittario, le galassie dell’ammasso della Vergine, a circa 60 milioni di anni luce e molto altro ancora. In meno di dieci ore di osservazioni, il potente telescopio ha già catturato una moltitudine  di galassie e stelle nella nostra galassia, la Via Lattea, nonché moltissimi asteroidi nel nostro “vicinato cosmico”, il Sistema solare. Queste immagini e video, che verranno presentate in Italia durante il Watch Party nella Sala Piersanti Mattarella del Palazzo dei Normanni a Palermo, sono solo un assaggio delle straordinarie scoperte che questo osservatorio all’avanguardia potrà realizzare.

Frutto di una vasta collaborazione scientifica internazionale, l’Osservatorio Vera C. Rubin è stato progettato per realizzare la più estesa mappatura continua del cielo australe mai tentata grazie alla Legacy Survey of Space and Time (LSST), una campagna osservativa che, ogni notte per i prossimi dieci anni, raccoglierà una quantità di dati sull’universo senza precedenti (nello specifico circa 20 terabyte a notte).

Dal 2017 l’Italia partecipa attivamente al progetto attraverso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che rappresenta il nostro Paese nella comunità scientifica internazionale dell’Osservatorio Vera C. Rubin e coordina il contributo italiano all’analisi scientifica dei dati. L’INAF svolge un ruolo fondamentale anche nella gestione e nell’analisi di questa enorme mole di dati, garantendo alla comunità scientifica italiana l’accesso a questa straordinaria risorsa, promuovendo il contributo nazionale all’analisi e all’interpretazione dei dati, alla formazione di giovani ricercatori e ricercatrici, al raggiungimento di importanti risultati scientifici che apriranno nuove sfide, e allo sviluppo di tecnologie avanzate.

“L’Osservatorio Vera C. Rubin ci consentirà di aggiungere profondità e dinamismo all’osservazione dell’Universo”, afferma Roberto Ragazzoni, presidente INAF. “Con questo telescopio di classe 8 metri in grado di mappare continuamente il cielo australe ogni tre giorni, entriamo nell’epoca dell’’astro-cinematografia’, esplorando una nuova dimensione: quella del tempo, con la quale ci aspettiamo di studiare il cosmo con una nuova prospettiva, che oggi è possibile grazie anche all’uso di nuove tecnologie informatiche per trattare una mole di dati altrimenti imperscrutabile. L’Istituto Nazionale di Astrofisica, con le sue ricercatrici e ricercatori, anche in questa occasione coglie l’opportunità di partecipare a questo nuovo importante progetto”.

Al centro del progetto c’è la fotocamera astronomica più grande mai costruita: 3.200 megapixel, capace di riprendere ogni notte enormi porzioni del cielo australe con sensibilità e risoluzione eccezionali. Ogni immagine copre un’area del cielo grande come 45 volte la luna piena e per ammirarla in tutta la sua risoluzione servirebbero 400 monitor televisivi da 4K. Grazie a un design innovativo, l’Osservatorio Rubin sarà in grado di puntare una nuova porzione di cielo in meno di cinque secondi, osservando l’intero cielo australe in circa 3-4 notti. Nel corso del prossimo decennio, l’osservatorio sarà dunque in grado di riprendere ogni regione del cielo circa 800 volte, creando così un vero e proprio “film” del cosmo ad altissima risoluzione.

“Il Vera C. Rubin Observatory e il suo primo progetto LSST sono un’opportunità unica per la nuova generazione”, commenta Sara (Rosaria) Bonito, la quale rappresenta l’INAF nel Board of Directors della LSST Discovery Alliance del Vera C. Rubin Observatory ed è co-chair della Transients and Variable Stars Science Collaboration (TVSSC). “È una grande eredità per chiunque voglia avvicinarsi alle discipline scientifiche, offrendo uno strumento rivoluzionario per l’astrofisica e le nuove tecnologie per l’interpretazione  dei dati. L’astrofisica che si potrà fare con Rubin è estremamente diversificata: una singola campagna osservativa ci permetterà di rispondere a temi scientifici molto vasti, che riguardano la nostra Galassia ma anche la materia oscura, il nostro Sistema solare e anche i fenomeni più imprevedibili che si verificano nel cielo. Differenti gruppi di ricerca da tutto il mondo con differenti competenze hanno contribuito all’ottimizzazione della strategia osservativa e allo sviluppo di metodologie di analisi dati interdisciplinari. Il progetto coinvolge modelli teorici, big data e data science per indagare ambiti che vanno dalle esplosioni di supernove ai nuclei galattici attivi, fino alle stelle in formazione”, aggiunge.

La survey LSST, che avrà inizio nei prossimi mesi, permetterà di rilevare oggetti estremamente deboli fino a oggi difficili da osservare, ma fondamentali per affrontare questioni chiave della cosmologia e dell’astrofisica moderna: la natura della materia e dell’energia oscura, la struttura a grande scala del cosmo, l’evoluzione delle galassie, l’archeologia galattica, la formazione stellare, i fenomeni transienti e la sorveglianza di oggetti potenzialmente pericolosi. L’osservatorio porta il nome di Vera C. Rubin, astrofisica statunitense i cui studi sulla rotazione delle galassie rappresentano una delle prime prove a favore dell’esistenza della misteriosa materia oscura.

Uno degli ambiti di ricerca che beneficerà maggiormente di questa impresa è lo studio delle stelle variabili, oggetti che cambiano luminosità nel tempo. L’osservatorio sarà in grado di osservare oltre 100 milioni di stelle variabili permettendo studi senza precedenti sui meccanismi che regolano queste variazioni. Questi fenomeni possono derivare da processi interni alle stelle stesse – come pulsazioni dovute a instabilità termiche – oppure da fattori esterni, come eclissi da parte di stelle o pianeti compagni. Grazie alla sua precisione fotometrica, l’Osservatorio Rubin permetterà di esplorare la struttura interna delle stelle.

Non solo: l’osservatorio sarà anche testimone di milioni di esplosioni stellari, eventi catastrofici legati alla morte delle stelle. Analizzando la luce proveniente da alcune di queste esplosioni, le supernove di tipo Ia, sarà inoltre possibile stimare le distanze di galassie lontanissime, esplorando la storia di espansione dell’universo e la sua accelerazione, che si pensa sia causata dalla misteriosa energia oscura.

Bonito sottolinea: “Rubin è dotato della camera digitale più grande mai costruita per l’astronomia, che ha già ottenuto un altro record mondiale, quello della sua lente ottica più grande al mondo. Nonostante le sue dimensioni, è un telescopio molto veloce. Se qualcosa nel cielo si muove o cambia, Rubin lo rileverà e distribuirà l’informazione in tempo reale a tutto il mondo. Questo significa che potremo osservare fenomeni transienti in azione, rendendo possibili nuove scoperte astrofisiche, spesso inaspettate”.

E conclude: “Rubin produrrà un vero e proprio film multicolore del cielo, lungo un’intera decade. Un film che ci permetterà di vedere l’Universo come mai prima: non solo attraverso immagini statiche, ma in evoluzione dinamica”.

Capofila di questa imponente impresa sono il National Science Foundation (NSF) e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE), in collaborazione con il NOIRLab e lo SLAC National Accelerator Laboratory.

Testi, video e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

COME NASCONO GLI AMMASSI STELLARI NUCLEARI: ECCO LE PRIME IMMAGINI, LA PRIMA OSSERVAZIONE DEGLI STESSI IN FASE DI FUSIONE

Pubblicato oggi su Nature un nuovo studio scientifico riporta la prima osservazione diretta di ammassi stellari in fase di fusione nella regione nucleare di cinque galassie nane. Questa scoperta conferma la plausibilità – a lungo dibattuta tra gli esperti – di tale modalità di formazione per i nuclei delle galassie di piccole dimensioni (ossia composte da un numero di stelle variabile da poche migliaia ad alcuni miliardi). Il gruppo di ricercatrici e ricercatori è stato guidato dall’Università di Oulu (Finlandia) e ha visto la partecipazione anche dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Esempio di due galassie nane dai campioni della survey MATLAS che mostrano le prove della fusione tra ammassi stellari. Crediti: NASA, ESA, Mélina Poulain, e STScI
Esempio di due galassie nane dai campioni della survey MATLAS che mostrano le prove della fusione tra ammassi stellari. Crediti: NASA, ESA, Mélina Poulain, e STScI

Rispetto alla nostra Galassia sono piccoli puntini nel cielo notturno, ma le galassie nane sono il tipo di galassia più abbondante nell’Universo. Con un numero di stelle circa 100 volte inferiore rispetto alla Via Lattea (o anche meno), le galassie nane rappresentano i mattoni fondamentali delle galassie più massicce. Comprendere la loro formazione è quindi essenziale per studiare l’evoluzione delle galassie.

Rebecca Habas, assegnista di ricerca INAF e tra le autrici dell’articolo su Nature, spiega: “Riportiamo la scoperta fortuita di cinque galassie nane che sembrano essere nel processo di formazione di un ammasso stellare nucleare (nuclear star cluster in inglese). Cosa sono? Si tratta di  gruppi di stelle gravitazionalmente legate, situati al centro (o molto vicino al centro) di molte galassie, inclusa la nostra Via Lattea. Questi ammassi contengono milioni, fino a centinaia di milioni di stelle, e rappresentano i sistemi stellari più densi conosciuti nell’Universo”.

Il mistero irrisolto è però la comprensione di come si formino, quando e perché a volte non si formino affatto.

“In che modo la loro presenza (o assenza) influenza l’evoluzione delle galassie ospiti? Per questo motivo, gli ammassi stellari nucleari sono oggetti di grande interesse scientifico”, aggiunge Habas, esperta di galassie diffuse, fluttuazioni della brillantezza superficiale e misure di distanza stellari.

Simulazione della fusione di ammassi stellari. Crediti: Rory Smith
Simulazione della fusione di ammassi stellari. Crediti: Rory Smith

Una scoperta casuale, quindi, perché il team – parte della collaborazione internazionale MATLAS (Mass Assembly of early-Type GaLAxies with their fine Structures) – era impegnato in osservazioni di galassie nane con il telescopio spaziale Hubble quando ha notato alcune galassie con un ammasso stellare nucleare dall’aspetto insolito. In alcune di esse si osservavano un paio di ammassi stellari vicini tra loro, mentre in altre era presente una struttura simile a un debole flusso di luce collegato all’ammasso stellare nucleare.

“Siamo rimasti sorpresi dai flussi di luce visibili vicino al centro delle galassie, poiché non era mai stato osservato nulla di simile in passato”, commenta Mélina Poulain, prima autrice dell’articolo e ricercatrice presso l’università finlandese.

Habas aggiunge: “Abbiamo identificato diverse galassie con strutture insolite al loro centro. Per esempio, alcuni sistemi sembrano avere più ammassi stellari nucleari o ammassi globulari multipli vicino al centro (le loro proprietà sono parzialmente sovrapposte, rendendo difficile distinguerli con certezza), e altre invece mostrano deboli scie di luce che sembrano provenire da questi oggetti”.

“Abbiamo combinato le nostre osservazioni con simulazioni di fusioni di ammassi globulari, che suggeriscono che queste strutture corrispondono esattamente a ciò che ci si aspetterebbe di vedere durante, o poco dopo, la fusione di due ammassi globulari. Pertanto, riteniamo di aver identificato le prime immagini della formazione di un ammasso stellare nucleare tramite la fusione di ammassi globulari”.

Le simulazioni indicano che fusioni di ammassi globulari come questa avvengono su scale temporali relativamente brevi (qualche milione di anni, che è effettivamente poco per i processi astronomici), rendendo molto improbabile catturare immagini di questo evento in corso. Tuttavia, è possibile compensare questa rarità con un campione statistico più ampio.

“Abbiamo osservato qualche decina di galassie con Hubble, un campione piccolo, ma queste galassie sono state selezionate da un catalogo iniziale di 2210 galassie nane, permettendoci di individuare gli oggetti più interessanti”,

afferma la giovane ricercatrice. Il campione originale di galassie era stato identificato utilizzando immagini ottiche profonde del telescopio Canada-France-Hawaii (CFHT).

Conclude Habas: “Ci aspettiamo che le future indagini del cielo, come quelle pianificate dal telescopio spaziale Euclid e dall’Osservatorio Vera C. Rubin, identificheranno ancora più esempi di ammassi stellari nucleari in via di formazione”.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “Evidence of star cluster migration and merger in dwarf galaxies”, di Mélina Poulain, Rory Smith, Pierre-Alain Duc, Francine R. Marleau, Rebecca Habas, Patrick R. Durrell, Jeremy Fensch, Sungsoon Lim, Oliver Muller, Sanjaya Paudel e Ruben Sanchez-Janssen, è stato pubblicato sulla rivista Nature.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

DUE STUDI ATTORNO AGLI AMMASSI GLOBULARI DELLE GALASSIE NGC 3640, NGC 3641, NGC 5018

Nelle osservazioni di gruppi di galassie realizzate con il telescopio italiano VST in Cile, tra cui una nuova immagine del gruppo dominato dalla galassia NGC 3640, gli ammassi globulari tracciano la storia e le dinamiche galattiche. Scoperte anche 17 nuove galassie nane nel gruppo.

Gli ammassi globulari non sono solo semplici agglomerati di stelle: sono vere e proprie macchine del tempo cosmiche che permettono di tuffarsi nella storia di formazione ed evoluzione delle galassie. Con centinaia di migliaia di stelle raccolte in un unico sistema, questi antichissimi agglomerati stellari raccontano storie segrete di fusioni galattiche e di eventi cosmici che hanno scolpito l’Universo come lo conosciamo oggi. Lo ribadiscono le immagini dei gruppi di galassie NGC 3640 e NGC 5018, realizzate con il telescopio italiano VST (VLT Survey Telescope) in Cile e analizzate in due studi guidati da giovani dottorandi dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), pubblicati recentemente su Astronomy & Astrophysics.

Uno dei due lavori si focalizza sul gruppo di galassie NGC 3640, dominato dall’omonima galassia ellittica, a circa 88 milioni di anni luce da noi. Si tratta di una galassia dalla forma curiosa e perturbata, che reca i segni di passate interazioni con le vicine galassie. La nuova immagine ottenuta con il VST e pubblicata oggi svela per la prima volta la distribuzione degli ammassi globulari nella regione, visibili come puntini luminosi nei pressi delle galassie: questi non si limitano a orbitare intorno alle singole galassie, ma si estendono anche nello spazio intergalattico. La loro disposizione è il risultato di una lunga storia di interazioni e fusioni galattiche che hanno “strappato via” non solo singole stelle ma anche interi ammassi stellari dai loro sistemi originali.

“Il nostro studio offre una comprensione più approfondita dell’evoluzione e delle interazioni delle galassie nel corso della loro storia, arricchendo le conoscenze sui processi fondamentali che hanno modellato l’universo”, spiega Marco Mirabile, dottorando presso il Gran Sasso Science Institute (GSSI) con una borsa supportata da INAF d’Abruzzo e primo autore di uno dei due articoli. “Abbiamo studiato per la prima volta le proprietà degli ammassi globulari delle galassie NGC 3640 e NGC 3641 utilizzando immagini a grande campo e multi-banda, identificando un possibile nuovo modello di interazione tra le due galassie e scoprendo inoltre 17 nuove galassie nane che non erano note precedentemente in questo campo”.

Gli ammassi globulari analizzati nel lavoro, contrariamente alle aspettative, mostrano la loro massima concentrazione non intorno a NGC 3640, la galassia più massiccia del gruppo, ma intorno alla sua vicina, NGC 3641, che spicca nella metà inferiore dell’immagine. La distribuzione degli ammassi risulta peraltro allineata con la cosiddetta luce intragruppo (in inglese: intra-group light, IGL). Si tratta di una luminosità diffusa dovuta a stelle che sono state sottratte alle varie galassie durante fenomeni di merging, già studiata in questo sistema proprio grazie ai dati del VST in un lavoro guidato dalla ricercatrice INAF Rossella Ragusa nel 2023. Tutti questi indizi suggeriscono che la fusione tra queste due galassie sia ancora in corso.

Il secondo studio si concentra invece sul gruppo di galassie NGC 5018, anch’esso dominato dalla galassia ellittica che porta lo stesso nome e che si trova a circa 120 milioni di anni luce da noi. Anche NGC 5018 è ricca di segni di interazioni cosmiche: concentrazioni di stelle disposte in forma di gusci concentrici, code mareali e flussi di gas. Nelle immagini del VST, già studiate sin dal 2018, è stato ora possibile identificare, per la prima volta, una popolazione di ammassi globulari distribuita, anche in questo caso, lungo la luce intragruppo: questo evidenzia come la mutua gravità delle galassie abbia scolpito il sistema durante passate fusioni e interazioni.

“Il nostro studio suggerisce che le interazioni gravitazionali tra le galassie del gruppo NGC 5018 abbiano disperso gli ammassi globulari lungo l’asse di interazione”, nota il Pratik Lonare, dottorando presso l’Università di Roma Tor Vergata con una borsa supportata da INAF d’Abruzzo e primo autore del secondo articolo. “Questa ricerca dimostra che gli ammassi globulari non sono solo fossili della formazione iniziale delle galassie, ma vengono rimodellati dinamicamente da interazioni, fusioni e processi di accrescimento nel tempo”.

Inoltre, il team ha individuato una possibile nuova galassia nana ultra-diffusa (in inglese: ultra-diffuse galaxy, UDG) mai osservata prima in questo gruppo galattico.

I due nuovi lavori fanno parte del progetto VEGAS-SSS (VST Early-type GAlaxy Survey – Small Stellar Systems), un censimento di galassie guidato dall’INAF con il VST dedicato ai sistemi stellari più piccoli delle galassie, come ammassi globulari e galassie nane, per esplorare i processi di formazione galattica su scale cosmiche. Il telescopio VST, gestito da INAF presso l’Osservatorio ESO di Paranal, è lo strumento ideale per questo tipo di studi grazie al suo grande campo di vista di un grado quadrato, pari a circa quattro volte l’area della luna piena nel cielo. Questo permette di osservare in dettaglio non solo le galassie ma anche l’ambiente circostante, spianando la strada a progetti futuri come l’Osservatorio Vera C. Rubin, che sarà inaugurato prossimamente, sempre in Cile, per realizzare survey astronomiche con un campo di vista ancora più grande.


 

Per ulteriori informazioni:

Gli articoli “VEGAS-SSS: Tracing Globular Cluster Populations in the Interacting NGC 3640 Galaxy Group“, di Marco Mirabile, Michele Cantiello, Pratik Lonare, Rossella Ragusa, Maurizio Paolillo, Nandini Hazra, Antonio La Marca, Enrichetta Iodice, Marilena Spavone, Steffen Mieske, Marina Rejkuba, Michael Hilker, Gabriele Riccio, Rebecca A. Habas, Enzo Brocato, Pietro Schipani, Aniello Grado e Luca Limatola, e “VEGAS-SSS: An intra-group component in the globular cluster system of NGC 5018 group of galaxies using VST data“, di Pratik Lonare, Michele Cantiello, Marco Mirabile, Marilena Spavone, Marina Rejkuba, Michael Hilker, Rebecca Habas, Enrichetta Iodice, Nandini Hazra e Gabriele Riccio sono stati pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

17 febbraio 2025

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF.